domenica 30 novembre 2014

Un libro per tè: Tutti i nomi e la tisana Bonne nuit



Leggere José Saramago è ogni volta un'avventura. Addentrarsi nel suo stile, perdersi tra le sue frasi, le sue virgole che apparentemente sembrano messe a caso, e ritrovarsi a leggere, sempre, una storia magnifica (in cui la sintassi svolge un ruolo fondamentale). Tutti i nomi è un libro un po' impegnativo, soprattutto nelle prime pagine. Ma una volta preso il via, non si riesce a smettere di leggerlo, di seguire il Signor Josè nella sua ricerca quasi disperata.
A rigore, noi non prendiamo decisioni, sono le decisioni che prendono noi.
Associo a questo libro una tisana della buonanotte, la Bonne Nuit della Neavita, che ho comprato principalmente per la sua bellissima confezione. Per poi scoprire, fortunatamente, che è buona anche nel gusto. A base di frutta (mela e ribes), camomilla, verbena, tiglio e fiori di rosa, di arancia e di fiordaliso.


La associo a questo libro semplicemente perché è un libro che se si inizia a leggere nel letto, la sera, non ti fa più dormire, perché si va avanti a leggere, quasi ipnotizzati dallo stile di Saramago. E io, solitamente, se prima di coricarmi bevo una tisana, poi la notte non dormo. Non sto scherzando. Ho una vescica molto debole che, se aiutata da una tazza d'acqua, mi porta ad alzarmi almeno due volte, per fare pipì. 
Ma va bene, perché così sgranchisco un po' le gambe e le braccia, anchilosate dalle strane posizioni in cui inconsciamente mi posiziono leggendo nel letto.

giovedì 27 novembre 2014

GIUSEPPINO - Joe Bastianich e Sara Porro

Prima di scrivere questa recensione devo fare qualche premessa.
La prima: io non sono solita accettare i libri che mi vengono proposti in lettura dalle case editrici, soprattutto da quelle medio-grandi. Non che trovo che ci sia qualcosa di sbagliato in chi li accetta, per carità, semplicemente preferisco comprarmi i libri da sola, onde evitare spiacevoli incidenti nel caso in cui il libro che mi viene mandato non mi piaccia. Non dico che non sarei onesta nella recensione, questo no. Però, conoscendomi, sicuramente mi sentirei un po' a disagio. Come quando qualcuno vi regala una cosa brutta ma voi non ve la sentite di dirgli in faccia che è brutta. A volte, però, faccio delle eccezioni: se la casa editrice è piccolina e non avrei avuto altri modi per conoscerla, se il libro che mi viene proposto effettivamente mi ispira, se chi mi ha contattato è stato davvero molto gentile o senza un vero e proprio motivo, così perché mi va. 
La seconda premessa è che io odio i libri scritti da chi nella vita fa già altro. Soprattutto se è un presentatore tv, una velina o un calciatore. Li odio senza mai averne letto uno, diciamo la verità. Per snobismo, forse. O perché penso che la letteratura sia altro e che questi libri, piano piano, la stanno distruggendo.
La terza, e ultima giuro, premessa è che adoro Masterchef. Una scoperta tardiva, solo di quest'anno, che mi ha portato in una decina di mesi a vedere tutta la quarta serie di Masterchef USA, la prima di Masterchef Spagna, la prima serie di Junior Masterchef USA, la terza serie di MAsterchef Italia e, a breve, anche la prima di Junior Masterchef Italia. Adoro le sfide di cucina, adoro la creatività di certi piatti e adoro provare a rifarli a casa (il mio filetto alla Wellington è spettacolare). E, soprattutto, adoro le reazioni dei giudici. Soprattutto dei tre di Masterchef USA: Gordon Ramsay, Graham Elliot e, sì, soprattutto lui, Joe Bastianich.

Quindi alla luce della terza premessa ho deciso di violare quanto detto nella prima e nella seconda e quando la Utet mi ha scritto per propormi di leggere Giuseppino di Joe Bastianich (scritto con Sara Porro... cosa che, pur non avendo idea di chi fosse, un po' mi ha incoraggiata, perché vuol dire che il personaggio forse conosce i suoi limiti come scrittore) ho accettato. E li ringrazio davvero per avermelo inviato.
Anche se temo che loro non faranno lo stesso per questa recensione.

Giuseppino di Joe Bastianich avrebbe tutte le potenzialità per essere un bel libro. Non sto scherzando. La vita di Bastianich, dalla fuga dei suoi nonni dall'Istria subito dopo la guerra, all'arrivo in America, dall'infanzia all'apertura del primo ristorante da parte di quel fenomeno che deve essere sua madre, dall'acquisto dei vigneti in Friuli alla collaborazione con Farinetti per portare Eataly a New York, oltre ovviamente alla sua esperienza come giudice di Matserchef, sarebbero materiale più che sufficiente per scrivere una piccola e interessante saga familiare.
Però, qualcosa non ha funzionato. Il libro è scritto, francamente, abbastanza male, in modo quasi frettoloso e tratta solo di sfuggita tutti gli argomenti che avrebbe potuto e dovuto ampliare sulla vita di questo personaggio. Già solo il titolo, che effettivamente è una delle cose che mi ha attirata di più, viene quasi sprecato senza che davvero si racconti quasi nulla del rapporto con la nonna, l'unica a chiamarlo ancora così, e di cosa questo rapporto ha significato. Certo, alcuni aneddoti sono divertenti, così come lo sono i disegnini tra un capitolo e l'altro (a opera di Gianluca Biscalchin) e, soprattutto, il glossario Bastianich-Italiano in chiusura del libro. Però, la sensazione una volta chiuso il libro è che manchi davvero qualcosa. Molto spesso inoltre si fa riferimento a quello precedente, Restaurant man (pubblicato da  Rizzoli, nel 2012), dicendo proprio "questa cosa la racconto già lì, quindi qua non la dico". Ed è una cosa irritante (anche perché se compro uno non è poi detto che io compri anche l'altro, no?).

Forse avrei dovuto ascoltare il mio buon senso, quello che mi ha sempre detto di non leggere libri scritti da personaggi televisivi, indipendentemente da quanto questi personaggi televisivi mi piacciano. Ma lo so per la prossima volta. E ora tornerò sicuramente alle mie vecchie abitudini, di non accettare libri dalle case editrici, se non in casi eccezionali, di non leggere libri scritti da personaggi televisivi e di guardare puntate Masterchef, in ogni sua edizione, come se non ci fosse un domani.

Titolo: Giuseppino
Autore: Joe Bastianich con Sara Porro
Pagine: 201
Editore: Utet
Anno: 2014
Acquista su Amazon:
formato ebook: Giuseppino (Utet)

mercoledì 26 novembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #99

Per la puntata di questa settimana ringrazio tantissimo Valentina del blog Peek a Book, per avermi fornito una  bella segnalazione, che merita di essere condivisa.

Inoltre, mi offre lo spunto per nominare almeno una volta su questo blog Patrick Modiano, scrittore francese vincitore del Premio Nobel per la Letteratura del 2014, nonché, per quanto mi riguarda, illustre sconosciuto. So che ha scritto diversi romanzi, in Italia pubblicati da Guanda, Einaudi e Lantana, ma al momento, ammetto la mia ignoranza, non sarei in consigliarvene nemmeno uno (anzi, se ne consigliate voi uno a me, mi fa te un favore!).
Tra le varie cose che non sapevo di questo scrittore c'è che ha scritto anche un libro per bambini CATHERINE CERTITUDE



Il romanzo, con le illustrazioni di Jean-Jacques Sempé, è uscito in Francia nel 1988 e racconta la storia di Caterina, aspirante ballerina con seri problemi di vista che la obbligano a indossare sempre gli occhiali. La bambina se li toglie solo per ballare e ha la possibilità così di vedere il mondo in modo completamente diverso.

Il romanzo è stato tradotto in italiano da Giulio Lughi per la casa editrice Einaudi nel 1993, con il titolo SOGNI SENZA OCCHIALI


Il titolo italiano è stato quindi cambiato, forse perché non piaceva l'idea di tradurre letteralmente il nome proprio della protagonista (cosa che, teoricamente, non andrebbe mai fatta), ma nemmeno quella di lasciarlo in originale, essendo un romanzo per bambini (e considerando che eravamo all'inizio degli anni '90, in cui la tendenza ad italianizzare il tutto era ancora in uso). Einaudi ha quindi preferito far leva sulla caratteristica principale della protagonista, il fatto che porti gli occhiali e di come il suo mondo cambi quando se li toglie.

Nel 2014, però, esce una nuova versione del romanzo, tradotta da Maria Vidale per la casa editrice Donzelli, con un nuovo titolo: CATERINA CERTEZZA


A differenza di quanto fatto da Einaudi, in questa versione viene tradotto letteralmente il titolo originale: Catherine Certitude diventa quindi Caterina Certezza.
Dal punto di vista del titolo, forse, la scelta di Donzelli è migliore, in quanto fedele all'originale. Però da un lato suona sicuramente un po' strano trovare una bambina con nome e cognome italiani in un'opera ambientata a Parigi, dall'altro c'è il rischio del cambio di titolo di un'opera già tradotta.

La segnalazione di Valentina deriva proprio da questo: una sua conoscente ha preso Sogni senza occhiali e Caterina Certezza in biblioteca, convinta fossero due libri diversi.

Voi che titolo avreste scelto?

martedì 25 novembre 2014

IN STATO DI EBBREZZA - James Franco

La prima cosa che mi viene in mente quando qualcuno nomina James Franco è il film Spiderman, in cui interpreta prima il figlio del cattivo e poi il cattivo vero e proprio. La seconda è il ricordo di una domenica pomeriggio di due anni fa, quando, sotto una consistente nevicata, sono andata al cinema a vedere Il grande e potente Oz, in cui James Franco interpreta proprio il grande mago. Uno dei film più brutti che abbia mai visto negli ultimi anni. Da allora, devo ammetterlo, ho cercato di tenermi il più lontano possibile da questo attore. Poi però è uscito questo libro, In stato di ebbrezza, per la casa editrice minimum fax. Una casa editrice che, seguite questo blog da un po', già sapete quanto io adori. Adoro le loro copertine, adoro i libri che scelgono di pubblicare e la passione per la cultura e la letteratura che trasmettono con ogni nuova uscita. Per cui, sebbene io sia sempre un po' diffidente nei confronti di quelle persone che hanno successo in tante, troppe cose, ho deciso che era il caso di dare a James Franco una seconda possibilità. Per cancellare dalla mia mente l'immagine dell'attore antipatico e fargli trovare spazio come scrittore.

In stato di ebbrezza è una raccolta di racconti ambientati a Palo Alto, città natale dell'autore (nonché titolo originale dell'opera). Protagonisti sono degli adolescenti, ragazzi e ragazze, spinti al limite: adolescenti ubriachi, drogati, violenti e in fissa con il sesso, che faticano a trovare il loro posto nel mondo. Hanno sogni, certo, eppure non riescono ad allontanarsi da quel baratro, da quel senso di frustrazione, da quella noia che la vita di provincia riserva loro ogni giorno.

Prima di riuscire a scrivere la recensione di In stato di ebbrezza ho dovuto cercare i commenti di altri lettori. Solitamente non lo faccio, più per pigrizia che per paura di farmi in qualche modo influenzare. In questa caso, però, ne ho sentito la necessità. Volevo capire quali erano state le reazioni degli altri, a un'opera del genere. Capire cosa è stato detto, come e perché. La cosa buffa, sebbene con il senno di poi abbastanza prevedibile, è che ho trovato pareri diametralmente opposti: c'è chi elogia James Franco e il suo stile diretto, senza sconti e, per questo, molto reale e molto forte; c'è chi invece critica il libro perché totalmente incomprensibile, perché questi ragazzi sono davvero troppo esasperati per apparire realisti. E poi c'è anche chi ne fa recensioni e commenti neutri, in cui non si capisce nemmeno cosa abbia effettivamente pensato chi li ha scritti.
La cosa ancor più buffa è che mi trovo completamente d'accordo con tutte e tre le reazioni. James Franco scrive molto, molto bene, soprattutto considerando che questa è la sua opera di esordio. I suoi personaggi sono forti, il più delle volte sconvolgenti, ma anche tanto, tanto umani. Capisco chi l'ha elogiato, quindi. E in parte non posso che farlo anche io. D'altra parte, però, l'ho trovato eccessivo, esagerato e non sono stata in grado di capire per tutti i racconti cosa effettivamente l'autore mi volesse raccontare. È quasi sicuramente un limite mio, che ho cercato, oltre al sesso a volte grottesco, all'alcool e alle violenze un significato forse troppo profondo che alla fine non sono riuscita a ritrovare. E, stranamente, capisco anche le recensioni neutre, sebbene solitamente non abbiano alcun senso. Perché il libro ti lascia talmente confuso che è difficile fare chiarezza nei propri pensieri.

Per cui il mio commento finale è un bel "non lo so". Non lo so se In stato di ebbrezza mi sia piaciuto o meno. Non lo so se è un libro che consiglieri o che vi direi di lasciar perdere. Davvero, non lo so.
Le uniche cose che so è che ora ogni volta che qualcuno citerà James Franco, oltre a Spiderman e Il grande e potente Oz, nel bene e nel male, penserò anche a questo libro.

Titolo: In stato di ebbrezza
Autore: James Franco
Traduttore: Tiziana Lo Porto
Pagine:192
Editore: minimum fax
Acquista su amazon:
formato brossura:In stato di ebbrezza
formato ebook:In stato di ebbrezza

domenica 23 novembre 2014

Un libro per tè: James Franco e l'infuso al Mojito


Ieri pomeriggio ho iniziato In stato di ebbrezza di James Franco, tradotto da Tiziana Lo Porto ed edito da minimum fax. Sì, James Franco l'attore, che però oltre che essere un attore ha anche una laurea in scrittura creativa e scrive. E lo fa abbastanza bene, da quanto ho letto finora.

Diciamo che l'abbinamento di questa settimana è stato un po' telefonato. Che se leggo un libro che si intitola In stato di ebbrezza, non posso che abbinarci l'infuso al Mojito di Whittard. 
Il Mojito è uno dei miei cocktail preferiti, nonché il fautore della mia prima vera sbornia. Io non reggo molto l'alcool, già un bicchiere è sufficiente per farmi cantare... e quella volta ne ho bevuti tre. Ma era stata una sbornia voluta e preparata: non ho preso io l'auto e gli amici che erano con me sono rimasti sobri di proposito, per darmi il giusto sostegno. E che diamine, era appena finita, male, una storia di otto anni... un'ubriacatura ci stava, no?
Questo infuso Whittard non è alcolico e sa prevalentemente di menta, con un leggero retrogusto di lime. È ideale per avere lo stesso gusto del cocktail, ma rimanendo sobri. 
Comunque, se proprio volete potete aggiungerci anche un dito di rum, per non sbagliarvi. Però non sono sicura che dopo riusciate ancora a leggere.

sabato 22 novembre 2014

IO NON RICORDO - Stefan Merrill Block

Ci sono libri che, ancor prima di aprirli, sai già come ti faranno stare. Sai quali ti faranno ridere e quali piangere, quali ti trasmetteranno benessere e quali dolore, quali saranno bellissimi e quali, invece, bruttissimi.
Quando ho preso in mano per la prima volta Io non ricordo di Stefan Merril Block sapevo già che avrei letto una storia bellissima e dolorosissima. Non è che ci vada un genio per capirlo, in realtà, perché il romanzo parla di Alzheimer, di una delle sue forme, se possibile, ancor peggiori del solito: l'Alzheimer famigliare a esordio precoce. Che si tramanda di genitore in figlio. Che hai il 50% delle possibilità di avere se uno dei tuoi genitori ne soffre. Che sai che non ti lascerà alcuno scampo. Ti farà dimenticare, prima le cose più inutili, poi quelle sempre più importanti.

Io non ricordo racconta di un bambino, Seth, la cui madre è affetta da questa terribile malattia e che viene quindi rinchiusa in una casa di riposo, perché l'unico modo per contenerla. Seth soffre per questa situazione, soffre per l'apparente indifferenza del padre, soffre perché sa che potrà succedere anche a lui. E per cercare in qualche modo di mitigare questa sua sofferenza, per renderla in qualche modo più sopportabile, decide di iniziare a fare ricerche, sulla malattia ma soprattutto sul passato della madre, un passato misterioso di cui non ha mai voluto parlare con nessuno. In parallelo viene raccontata la storia di Abel, ora un anziano solitario e un po' scorbutico, che difende in ogni modo la sua casa dall'invasione dell'abuso edilizio, che vorrebbe abbatterle per farci altre villette. La difende perché spera ancora che qualcuno del suo passato in quella casa ci torni, che torni da lui. 

Il libro si divide tra i capitoli raccontati da Seth e quelli raccontati di Abel, sempre inframmezzati da un racconto, quello di Isidora, la città fantasma in cui tutti sognano di arrivare, filo conduttore, bellissimo e un po' straziante, di tutto il romanzo. Qua e là ci sono poi alcune informazioni di carattere saggistico e scientifico, ma romanzate, sulla scoperta di questa variante dell'Alzheimer, su come si è diffusa e cosa ha comportato negli anni in chi scopriva di averla.
Io non ricordo è un romanzo scorrevole ma allo stesso tempo difficile da leggere, che racconta di amore e di dolore, di frustrazione e di impotenza, di voglia di sapere e di paura. E che lascia, forse, un briciolo di speranza.

Sicuramente bisogna essere nel giusto stato d'animo per leggerlo, perché è davvero molto intenso e molto toccante, oltre che non semplice da accettare (perché parla di qualcosa che potrebbe colpire tutti, il perdere la memoria, il dimenticare, il non riconoscere più nemmeno chi ci sta accanto ogni giorno... una delle mie più grandi paure, se devo essere onesta). 
Però è anche un libro bellissimo, che merita davvero di essere letto.


Titolo: Io non ricordo
Autore: Stefan Merril Block
Traduttore:  Stefano Bortolussi
Pagine: 340
Editore: BEAT/ Neri Pozza
Acquista su Amazon:
formato brossura: Io non ricordo

giovedì 20 novembre 2014

L'AMICA AMERICANA - Margherita Oggero


Per qualche motivo in questo periodo mi ritrovo sempre più spesso coinvolta in discussioni su termini dialettali e regionalismi. Io sono piemontese e, sebbene non parli in dialetto e nemmeno lo capisca poi così tanto, quando parlo e quando scrivo mi capita spesso di utilizzare termini ed espressioni che in altre parti d’Italia  non verrebbero nemmeno capite. Eppure, per quanto mi sforzi, non sempre riesco a evitare l’utilizzo di queste parole. 
C’è da dire poi che essere piemontese mi piace un sacco. Mi piace il nostro buffo accento (io non parlo con la e aperta, né?), mi piacciono espressioni come “facciamo che andiamo” o “solo più” , mi piace il nostro cibo e la nostra presunta riservatezza. E poi, mi piacciono molto un paio di scrittori piemontesi, che hanno fatto di questa “piemontesità” il loro cavallo di battaglia. 

Tra questi, c’è sicuramente Margherita Oggero, autrice torinese doc. L’amica americana è il suo secondo romanzo che leggo (pur essendo il terzo della serie che ha come protagonista la profia Baudino, di cui ho letto La collega tatuata, che è invece il primo. Il secondo, per ora, me lo son persa per strada).  Serie da cui è stata tratta la serie tv “Provaci ancora Prof” con Veronica Pivetti. Serie di cui ho visto qualche puntata, prima di decidere che leggere i libri sarebbe stato molto meglio

Come i romanzi precedenti, anche L’amica americana è ambientato a Torino e ha come protagonista, appunto, la profia Baudino, che in questa sua nuova avventura si ritrova suo malgrado coinvolta nell’omicidio di Dora Vernetti. La donna è da poco rientrata in Italia dagli Stati Uniti, dopo l’improvvisa morte del marito, per mettere in vendita una bellissima villa nel capoluogo piemontese. Camilla, che ha sempre amato quella casa, pur sapendo di non potersela permettere, chiede a  Dora di poterla vedere. Da quell’incontro, le due donne iniziano a frequentarsi e diventano amiche, soprattutto per insistenza di Dora, che è terribilmente sola. Peccato che la don a poi muoia, proprio una mattina in cui è a spasso con Camilla, che diventa, ovviamente, la principale indiziata. Ad aiutare la profia ad uscire dai guai ci sono Gaetano, il bel commissario conosciuto nel primo libro della serie, uno studente brillante che sta patendo le prime pene d’amore, il matto Indistruttibile, con cui la donna ha molto legato, oltre ovviamente al marito, alla figlia Livietta e al fantastico bassotto Poti.

La forza del libro, per quanto mi riguarda, non sta solo nella trama, che comunque è davvero ben strutturata (con colpi di scena continui e indagini e deduzioni vecchio stile), ma soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi (Livietta è fenomenale) e nella “piemontesità” dello stile della Oggero. Non so se questa definizione possa avere un senso riferita a uno stile narrativo, né se si capisca effettivamente cosa voglia intendere. Le origini di questa scrittrice sono evidenti a ogni riga e di Torino, oltre che la geografia, riesce a ricreare perfettamente anche il clima e gli atteggiamenti tipici delle persone, quella serietà mista a ironia, quel prendersi a volte troppo a volte troppo poco sul serio. 

Devo ammettere che non sono poi così sicura che un non piemontese riesca ad apprezzare così tanto questa lettura. A me ha fatto letteralmente impazzire. 
Fate che leggerlo e poi mi venite a dire che ne pensate.

Titolo: L'amica americana
Autore: Margherita Oggero
Pagine: 315
Editore: Mondadori
Acquista su Amazon:
formato brossura:L'amica americana

mercoledì 19 novembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #98


«Scusami, ma tu A Good American come lo tradurresti?»

«Beh, non mi sembra ci siano così tante alternative, no? "Un buon americano" o "una buona americana", dipende un po' se stiamo parlando di uomo o di una donna».
«Eh, è quello che ho pensato anche io. Solo che poi mi è venuto il dubbio che avesse, che so, qualche significato nascosto o gergale».
«Perché ti è venuto il dubbio?»
«Perché ho visto come è stato reso il titolo in italiano».

Questo è il dialogo avvenuto poche ore fa tra me e una mia amica. Ho visto questo libro, La locanda del tempo e dell'amore di Alex George, edito da Frassinelli con la traduzione di L. M. Cantarelli, online, mentre curiosavo tra i libri consigliati per Natale nei vari store online. Un titolo strano, che si vede lontano un miglio non possa essere quello originale. Ho allora cercato la versione inglese e scoperto che si intitola appunto A Good American. Un buon americano o una buona americana (non conosco la trama, quindi non so dire se sia declinato al maschile o al femminile). Facilissimo da tradurre. E completamente diverso in italiano. Capite anche voi perché mi è venuto qualche dubbio, no?
Oltre al titolo quasi da denuncia (perché piazzare "l'amore" in copertina, che in qualche modo classifica il romanzo in una determinata tipologia di genere a cui magari la trama nemmeno corrisponde?), la Frassinelli non ha avuto pietà nemmeno per la copertina. Avrebbero potuto limitarsi alla tromba. Ancora ancora avrei accettato anche quella specie di bolla che dalla tromba esce. Ma la donna di profilo, perché?


Titolo originale: A Good American
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: La locanda del tempo e dell'amore
Autore: Alex George
Traduttore italiano:  L. M. Cantarelli
Editore italiano: Frassinelli

domenica 16 novembre 2014

Un libro per tè: Amiche americane di scrittrici torinesi e tisane digestive



Secondo me Fabio Concato ha scritto la canzone "Domenica bestiale" un giorno festivo in cui era stato invitato a pranzo dai suoceri e a cena dai genitori. Non posso fare a meno di pensarlo, mentre sto cercando di digerire l'abbuffata di pranzo, per prepararmi psicologicamente a quella prevista per cena. Se vivete fuori casa (in coppia, per avere effetto doppio, ma vale anche se siete invece da soli), capite perfettamente a cosa mi sto riferendo: pare che i genitori pensino che lontani dalla casa in cui siamo cresciuti noi figli non mangiamo. E quindi giù di antipasti, primi, contorni, dolci, "e portatene un po' a casa", e "sei sicuro che non ne vuoi ancora?", "e mangia su, mica vorrai avanzarlo?".

Nella pausa tra un genitore e l'altro (e una mangiata e l'altra, ovviamente) , non c'è niente di meglio che un buon libro e una buona tisana digestiva. Nel primo caso, a tenermi compagnia c'è L'Amica americana di Margherita Oggero, scrittrice torinese, di nascita e di stile, che con questi suoi romanzi con protagonista la profia Camilla mi fa trascorrere sempre delle ore divertenti e piacevoli. Certo, non è un libro molto profondo, ma è proprio ciò di cui la mia mente ha bisogno in questo momento, per rimanere sveglia senza dover però fare troppi sforzi.
La tisana invece è la classica Digestiva della Pompadour, che credo conosciate un po' tutti perché si trova in ogni supermercato: roiboos, anice e finocchio per cercare di liberare lo stomaco.
Le tisane Pompadour le riconoscete subito, sono quelle che, nell'aprire la scatolina che le contiene, vi travolgono con il loro profumo non sempre molto invitante (una volta una mia collega a lavoro mi ha chiesto cosa diavolo stessi bevendo). Eppure, una volta immerse nell'acqua e trascorsi i cinque-otto minuti richiesti, diventano buonissime.

Talmente buone che mi sa che ne dovrò bere una anche prima di andare a dormire, per riprendermi dalla cena.

sabato 15 novembre 2014

STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA - Elena Ferrante

Lo so, lo so, bisognerebbe lasciar passare un po' di tempo dalla fine della lettura di un libro alla sua recensione. Per lasciare che la sensazione iniziale prenda meglio la sua forma, che i pensieri si consolidino lasciando indietro l'entusiasmo o la delusione che sempre si provano nel momento stesso in cui si gira l'ultima pagina. Ma non ci riesco. Avessi potuto, già stanotte quando ho finito il libro avrei aperto questo blog e vi avrei parlato di Storia di chi fugge e di chi resta.  Ho dovuto per forza aspettare, però, con la paura, sì la paura, che dormendoci  tutte le sensazioni provate sfumassero per fare spazio a una qualche forma di delusione. 
Cosa che, per fortuna, non è successa. E ora sono qui, a cercare di contenere l'entusiasmo e parlarvi in modo oggettivo di un libro bellissimo.

Storia di chi fugge e di chi resta di Elena Ferrante è il terzo volume dell serie dell'Amica Geniale, il cui quarto e ultimo è appena approdato in libreria. 
Qui ritroviamo Elena e Lila esattamente dove le avevamo lasciate alla fine di Storia del nuovo cognome. Elena ha appena pubblicato il suo primo libro e si ritrova a dover fare i conti con le opinioni e le critiche del mondo della letteratura e, soprattutto, di quelle del suo rione. Sta per sposarsi, poi, e trasferirsi a Firenze. Lila invece lavora ancora nella fabbrica di salumi, vive ancora con Enzo e si prende cura del figlio Gennaro. La politica sta diventando sempre più importante e presente nella vita di tutti, e le rivendicazioni operaie stanno entrando nelle fabbriche italiane, portando con sé lotte e violenza, che a Napoli sono amplificate dalla presenza della famiglia Solara, che ancora dettato il bello e il cattivo tempo di tutto il rione.
Si cercano ancora Elena e Lila e ancora provano nei confronti l'una dell'altra quello strano sentimento, di odio e amore, di orgoglio e invidia, che le porta ad avvicinarsi e poi ad allontanarsi. Fanno ancora a gara a chi è più brava, a chi ha avuto di meno dalla vita e a chi ha avuto di più, a chi si è ribellata di più, se andandosene dal rione e se restandoci e piegandolo al proprio volere. E poi c'è lui, Nino, che è nella vita di entrambe da sempre, che è l'amore della vita di entrambe da sempre e che sempre le sconvolgerà.

Molti mi avevano detto che questo terzo volume era un po' meno bello degli altri, che il fascino dell'Amica Geniale stava un po' scemando. E l'ho letto, quindi, con questa consapevolezza. Eppure, in questo Storia di chi fugge e di chi resta, ci ho trovato forse ancora qualcosa di più rispetto ai due libri precedenti. Qualcosa che è legato al fatto che Elena e Lila sono donne, adesso, sono mogli, madri. E questo loro essere adulte ha reso il loro strano rapporto ancor più destabilizzante. Se ai bambini e agli adolescenti è concesso un po' tutto, ora che sono grandi non sai bene come rapportarti con loro, non sai con chi schierarti. Una volta ti sta simpatica una e prenderesti a schiaffoni l'altra, dieci pagine dopo succede il contrario. È questa loro umanità, questa loro imperfezione, che qui risulta in qualche modo ancor più marcata e non sempre facile da accettare, ad aver reso questo libro, per me, ancor più forte degli altri.

Si sta facendo tanto un gran parlare ultimamente su Elena Ferrante e il suo successo, in Italia e all'estero. Su chi ci sia dietro, sul perché voglia restare anonima. Onestamente, mi sento di dire che non me ne frega assolutamente niente, se questi libri siano stati scritti da un uomo, da una donna, a quattro, a sei o a otto mani. A chiunque ci sia dietro sarò grata per sempre per i bellissimi libri che ci sta regalando.

(Invece, per quanto riguarda la serie tv annunciata su RaiUno, per favore, ripensateci. Non date un volto a Elena e Lila, lasciate al lettore la possibilità di immaginarsele nella sua mente come più preferisce. Fa parte della forza e della bellezza del libro e un telefilm, per quanto fatto bene, non potrà che rovinarlo).

Titolo: Storia di chi fugge e di chi resta
Autore: Elena Ferrante
Pagine: 382
Editore:edizioni e/o
Acquista su Amazon:



giovedì 13 novembre 2014

IN VIAGGIO CON LA ZIA - Graham Greene

Io non ho zii né zie. Sia mia madre sia mio padre sono figli unici e quindi non so quale effettivamente sia il rapporto che si possa instaurare con i fratelli dei propri genitori. Lo scoprirò, spero, quando mio fratello o mia sorella o io avremo dei figli, che probabilmente i miei genitori per sopperire alla mancanza di compagnia che hanno avuto loro da bambini, hanno deciso di fare tre figli.
Se avessi avuto uno zio o una zia, comunque, mi sarebbe davvero piaciuto che fosse come zia Augusta, la protagonista di questo romanzo di Graham Greene. Una donna eccentrica, un po' folle, logorroica e passionale, che non si lascia mai scoraggiare di fronte a nulla.

In viaggio con la zia racconta del rapporto che si crea tra Henry e sua zia, appunto, una donna non più tanto giovane, che rientra di colpo nella vita dell'uomo dopo anni di assenza proprio il giorno del funerale della madre. Un arrivo impetuoso, che sconvolge completamente la tranquilla vita da pensionato di Henry, costretto ad abbandonare le sue amate dalie per seguire la donna in viaggi in giro per l'Europa, tra amori del passato e del presente, attività più o meno lecite, sesso, droga, passione e amore. Viaggi strampalati, quasi surreali, fatti di coincidenze e strani incontri, che portano Henry a riflettere sulla sua vita e a scoprire una parte di sé che non conosceva.

In viaggio con la zia è un romanzo molto coinvolgente, che finisci quasi senza accorgertene, talmente ti prende. La sua maggiore forza è sicuramente nei personaggi: la zia Augusta, sicuramente, con il suo modo di fare e di affrontare la vita e il mondo con il solo scopo di essere felice; ma anche quelli di contorno, tra cui più di tutti il valletto/amante Wordsworth, che portano Henry ben lontano dalla cittadina di provincia in cui è nato e vissuto e allargano i suoi orizzonti, fisici e soprattutto mentali.
Certo, le avventure che vivono zia e nipote sono poco credibili, e se siete delle persone molto pratiche e realiste e non amate questo genere di storie un po' folli, farete sicuramente fatica ad appassionarvi al libro. 
Ma io adoro le storie strampalate e adoro quei personaggi che riescono a vivere tali storie come se fossero del tutto normali. E quindi ho adorato tantissimo zia Augusta e i suoi viaggi con il nipote.

Titolo: In viaggio con la zia
Autore: Graham Greene
Traduttore:  Adriana Bottini
Pagine: 340
Editore:Oscar Mondadori
Acquista su Amazon:
formato brossura: In viaggio con la zia

mercoledì 12 novembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #97


Ancor prima di parlarvi, nel bene o nel male, del cambio di titolo di questo libro, devo confessarvi che la copertina italiana, sebbene sia molto diversa dall'originale, mi fa impazzire. Sarà che ho un debole per i peluche (vedi ultima recensione), ma la prima volta che ho visto questo libro di Maddie Dawson in libreria, con quel panda lì seduto, stavo per comprarlo a scatola chiusa. Poi però ho letto la quarta, il titolo originale e ho deciso che forse era il caso di aspettare ancora un po'.
Il titolo originale, The opposite of maybe, letteralmente si può tradurre con "Il contrario di forse". Che suona effettivamente un po' strano, nella nostra lingua. Come la Giunti abbia fatto, da questa stranezza, ad arrivare a Non c'è niente che non va, almeno credo, onestamente non riesco nemmeno a immaginarlo. Però, per quanto sia sempre una fervente sostenitrice dei titoli originali e sia contraria a ogni cambiamento, soprattutto se tanto evidente, devo ammettere che il titolo italiano non mi dispiace più di tanto. Ma forse è colpa del panda, che mi distrae.

Titolo originale: The opposite of maybe
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Non c'è niente che non va, almeno credo
Autore: Maddie Dawson
Traduttore italiano:  Roberta Zuppet
Editore italiano: Giunti

domenica 9 novembre 2014

Un libro per tè: Viaggi, zie e tè verde mango e bergamotto


"L'età, caro Henry, potrà modificare un tantino le nostre emozioni... ma non cancellarle" 
Graham Green, In viaggio con la zia, trad. di Adriana Bottini, ed. Oscar Mondadori 

Il tè di oggi arriva direttamente da Whittard, una favolosa catena di negozi di tè e tisane che ho scoperto durante il mio secondo viaggio a Londra (nel primo sono andata solo alla Twinings) e che da allora non ho più abbandonato. Whittard è un piccolo paradiso per gli amanti del tè, delle tisane e degli infusi, ma anche per chi preferisci caffè e cioccolata calda. E poi ha anche tante caramelle, tanti biscotti e tazze, tazzine, piatti e teiere. 
Era da un po' che non bevevo un loro tè e quindi la settimana passata ho deciso di fare un ordine. Tra i vari tè acquistati, c'è anche anche quello verde mango e bergamotto. Il tè al bergamotto (Earl Grey, per intenderci) è l'unico tè tradizionale che riesco a bere (gli altri, non so perché, proprio non mi piacciono). La combinazione con il mango, pur non avendola mai provata prima, mi ispirava tantissimo. Ed effettivamente è davvero buono!

(E poi avete visto che belle le due tazze? Anche queste prese da Whittard!) 

sabato 8 novembre 2014

LA BANDA DELLE CASSE DA MORTO - Nick Laird

Sembrerà assurdo, ma mi stupisco sempre di quanto un titolo e, soprattutto, una copertina possano influenzare le scelte dei lettori nell’acquistare o meno un determinato libro. Spesso ci portiamo a casa libri che non avevo mai sentito nominare perché hanno un titolo accattivante e una copertina fantastica, e altrettanto spesso lasciamo sugli scaffali delle librerie libri che potrebbero anche essere belli, se non fosse che la casa editrice ha affidato grafica e titoli a un bambino delle elementari.
Prendete ad esempio La banda delle casse da morto di Nick Laird, libro che non avevo mai sentito nominare e che, di conseguenza, non sapevo nemmeno di che cosa trattasse. Poi, passeggiando in via Roma a Torino durante Portici di carta, abbiamo visto spuntare su un bancone tre scimmiette: una con una birra in mano, una con una pistola e una con gli occhiali da sole. Ok, non mi interessa di cosa parli, devo assolutamente avere quel libro. Diciamo che il titolo ha aiutato molto, così come la quarta di copertina. Però, ecco, sono sicura che lo avrei comprato anche se titolo e quarta non mi avessero attirato per nulla.

Il romanzo racconta la storia di Danny, un avvocato irlandese che lavora nella City di Londra, a cui un giorno piomba in casa un suo amico di infanzia Geordie. Non si tratta esattamente di una visita di cortesia, perché Geordie, che non ha mai lasciato l’Irlanda e ha sempre vissuto di espedienti e imbrogli, è in fuga da una potente organizzazione criminale a cui, tra le altre cose, ha rubato parecchi soldi. Danny quindi, oltre a dover affrontare i dilemmi etici che il suo lavoro di avvocato gli pone da sempre,  tener testa a un capo stronzissimo e cercare di conquistare la bella Ellen, con l’arrivo di Geordie si ritrova a fare i conti con un episodio del passato che gli ha cambiato la vita e che forse ora riuscirà finalmente a superare e a espiare.  Cercando se possibile di non saltare in aria.

Il libro è scritto molto bene ed è molto divertente, e riesce a trattare in forma leggera e scanzonata alcuni temi molto profondi: il passato che ritorna, le scelte etiche e morali che si devono affrontare ogni giorni, il rapporto tra l’Ulster e il Regno Unito, l’amicizia, l’amore e la fedeltà ai propri ideali  e a se stessi. Il tutto condito da una buona dose di alcool, droga, botte e scorregge.
Insomma, è stata davvero una lettura piacevole, con molte frasi all'apparenza banali ma in realtà molto profonde e vere e con tante, tantissime risate. Unica pecca è il titolo italiano che, sebbene un riferimento  a questa banda sia effettivamente presente nel testo, con l’originale (Utterly Monkey, che invece si riferisce a un modo tipicamente irlandese di definire una persona brutta) c’entra poco. Ma è tutto sommato scusabile (anche se non riesco a togliermi dalla mente come sarebbe stato se lo avessero intitolato "totalmente cozza"... vabbè).

Concludo facendo i complimenti a Federica Aceto per la bella traduzione (ci sono alcuni giochi di parole che è riuscita a rendere davvero bene, nonostante la difficoltà) e consigliandovi caldamente la lettura. Non fosse altro per le tre adorabili scimmiette in copertina.

Titolo: La banda delle casse da morto
Autore: Nick Laird
Traduttore:  Federica Aceto
Pagine: 314
Editore: minimum fax
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formato brossura: La banda delle casse da morto
formato ebook: La banda delle casse da morto

martedì 4 novembre 2014

STORIE DI GATTI - James Herriot

Una volta avevo un gatto rosso tigrato. Era arrivato a casa nostra in un giorno di dicembre di tredici anni fa, poco prima che in casa nostra si verificasse quell’evento tragico che poi avrebbe segnato, nei mesi e negli anni successivi fino a oggi, la vita di tutta la mia famiglia. Non so se avremmo affrontato quei primi mesi allo stesso modo, se non ci fosse stato lui.  Li avremmo superati, sicuramente, come si supera sempre tutto, ma avremmo solo ricordi brutti. Invece Miciu (inizialmente si chiamava Aristotele, ma poi abbiamo dovuto semplificare, che tanto non rispondeva in ogni caso) con la sua inconsapevole comicità, con il suo sguardo tenero e buffo, ci ha tenuto tutti un po’ su di morale. Certo, una volta ho dovuto salvarlo dall’annegamento nella vasca da bagno e un’altra volta mio fratello è dovuto quasi salire sul tetto perché lui era troppo piccolo per scendere da solo (a salire non hai avuto problemi però eh?). Però ecco, di lui serbiamo ancora tanti, tantissimi ricordi che non ci abbandoneranno mai. Tutti quelli che hanno o hanno avuto un gatto sanno benissimo quanto questi animaletti pelosi possano cambiare la vita di chi li accoglie in casa, se si è disposti a lasciarsi un po’ cambiare. E sanno quanto è triste quando poi se ne vanno.

Storie di Gatti di James Herriot racconta di alcuni gatti della campagna scozzese che ha conosciuto durante la sua professione di veterinario. Di gatti trovati per strada e poi adottati e di gatti che vanno al guinzaglio. Di gatti eroinomani e di gatti messi a scaldarsi nel forno per poter sopravvivere. Di gatti che vivono con mille altri gatti e di piccoli miracoli di Natale. Poche pagine per ogni racconto, eppure di un’intensità quasi incredibile per la loro semplicità.

Non è che si possa fare un riassunto della trama di questo libro. E’ davvero breve, ancor più se si considerano tutti gli anni di lavoro e di esperienza di James Herriot e si pensa a tutti i casi che ha potuto incontrare svolgendo la sua professione. 
Eppure, sebbene si legga in un paio d’ore, è davvero un piccolo gioiellino. Certo, dovete avere un debole per gli animali, per i gatti nello specifico ma per tutti in generale, per poterlo apprezzare al meglio. Se non vi piacciono, ammirerete forse le illustrazioni di Lesley Holmes (che sull’e-reader, ahimè, si perdono tantissimo), ma troverete il libro un po’ banale e difficilmente riuscirete a comprendere a pieno l’amore e la passione di Herriot.
Se invece avete o avete avuto un gatto, non potrete che ridere e commuovervi di fronte agli episodi raccontati. 

E non è assolutamente vero che i gatti sono animali egoisti e opportunisti. Se la pensate così forse, semplicemente, non ve li meritate.


Titolo: Storie di gatti
Autore: James Herriot
Traduttore:  Adriana Dell'Orto  -  Bruno Oddera  -  Marina Valente  -  Gioia Zannino Angiolillo
Pagine: 144
Editore: BUR
Acquista su Amazon:
formato brossura: Storie di gatti

lunedì 3 novembre 2014

IL TERRORISTA E IL PROFESSORE - Vito Faenza

Ho sempre preferito i romanzi ai saggi, anche quando devo imparare qualcosa di nuovo. Sarà che mi trovo molto più a mio agio nelle storie romanzate, quelle che non ti forniscono solo nozioni ma collocano queste nozioni nella vita reale, tenendo conto anche degli aspetti umani e quotidiani. Sono anche convinta che ci siano degli argomenti che trattati in forma di romanzo possano arrivare a più persone in modo più diretto e deciso, rispetto a quando vengono presentati in forma di saggio.
La Camorra per me è uno di questi. Certo, ho letto e apprezzato Gomorra di Roberto Saviano, uno dei pochi saggi che, complice un po' la moda e la potenza della casa editrice che l'ha pubblicato, è diventato un best seller. Da lì ho scoperto alcune cose che ignoravo e mi sono indignata ancor di più per altre che già conoscevo. Però ecco, se qualcuno mi chiedesse di che cosa parla Gomorra risponderei semplicemente di camorra.

Se invece mi chiedeste di cosa parla Il terrorista e il professore di Vito Faenza, vi risponderei che parla di camorra e di Brigate Rosse, di affiliazioni e di politici corrotti, ma anche di legami d'amicizia e d'amore. Parla del Professore, Don Vittorio, che dal carcere in cui è rinchiuso riesce comunque a portare avanti la sua attività, grazie ad agganci politici, a poliziotti facilmente corrompibili e al silenzio di chi sta attorno. E parla del terrorista, il Sindacalista, o più semplicemente Aldo, che ha un legame con le Brigate Rosse pur non essendo mai stato attivo in prima linea, che è stato arrestato a causa di una distrazione dei suoi compagni. Aldo e Don Vittorio in qualche modo diventano amici e tra i due si crea un legame di reciproci favori e di confidenze, sebbene entrambi sappiano bene che ruolo hanno nella vita l'uno dell'altro. Finché qualcosa poi non si incrina, nel sistema politico che proteggeva  Don Vittorio, con inevitabili conseguenze.

Dopo L'isola dei fiori di cappero, quindi, Vito Faenza torna a parlare di camorra e lo fa ancora una volta ispirandosi a una storia vera. Quella del sequestro di Ciro Cirillo da parte delle Brigate Rosse all'inizio degli anni '80 e del ruolo avuto da un clan nella sua liberazione. Faenza però sceglie altri nomi, altri personaggi e racconta il modo in cui questi hanno vissuto quel periodo e il ruolo che questi hanno avuto, ma anche la loro quotidianità, la vita in carcere, le fughe d'amore e le speranze di uscirne vivi, gli affronti subiti e la paura.
Il terrorista e il professore è un romanzo che si legge d'un fiato, un po' perché scritto molto bene e appassionante, un po' perché forse leggermente troppo corto. È un libro che ti fa aprire gli occhi sulla potenza della camorra e su come questa in qualche modo, soprattutto in passato, è stata resa possibile da uno Stato corrotto. Ti fa conoscere un episodio del passato che forse oggi è stato anche un po' dimenticato (io sono nata qualche anno dopo e del rapimento di Ciro Cirillo non avevo mai sentito parlare). E poi ti fa entrare nella mente dei suoi protagonisti, che oltre a terroristi e camorristi sono, anche se spesso è difficile da credere, anche persone.

Insomma, se volete scoprire qualcosa in più di camorra ma allo stesso tempo avete voglia di leggere un bel romanzo, Il terrorista e il professore di Vito Faenza è sicuramente il libro ideale. 

Titolo: Il terrorista e il professore
Autore: Vito Faenza
Pagine: 117
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Edizioni Spartaco
ISBN: 978-8896350423
Prezzo di copertina: 10 €
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formato brossura:Il terrorista e il professore

domenica 2 novembre 2014

Un libro per tè: Il terrorista, il professore e il tè alla violetta


La mia lettura di questi giorni è Il terrorista e il professore di Vito Faenza, da poco edito dalla casa editrice Spartaco. Il libro racconta in forma romanzata una storia vera, che mette in evidenza il forte legame che esisteva tra la camorra, le BR e lo Stato negli anni '80.  Mi mancano pochissime pagine per arrivare alla fine e quindi ve ne parlerò in modo più approfondito tra non molto, nella recensione. Per ora vi basti sapere che mi sta piacendo molto.

Per quanto riguarda il tè di oggi, invece, vi presento uno dei miei preferiti del momento: il tè alla violetta. Tutto ciò che è alla violetta, in realtà, mi piace molto: dalle caramelle al gelato, dai petali zuccherati allo sciroppo. Trovare il tè a questo gusto è stato l'apice di questa mia passione. Questo nello specifico l'abbiamo comprato in una tisaneria di Bologna, StregaTe, un paio di anni fa (non chiedetemi di preciso dove sia, che l'abbiamo trovata per caso durante un girovagare massacrante a piedi per la città... siamo andati dalla stazione a San Luca e ritorno, così, per dire) . L'abbiamo visto in vetrina e ci siamo precipitata dentro al negozio, per acquistarlo e da allora, almeno una volta a settimana, ne devo bere una tazza.
Qui nella mia zona non l'ho trovato fino a quest'estate, solo che era in versione fredda. Versione che però mi è piaciuta meno, perché non sono solita mettere lo zucchero né nel tè, né nel caffè, né nelle tisane e questo té freddo, senza zucchero, era quasi imbevibile. Ma se siete grandi amanti dello zucchero, e lo mettete a palate ovunque, anche con quello freddo non avrete alcun problema!
Spero davvero quando finirà il mio sacchettino da 100 gr, di riuscire a recuperarne dell'altro da qualche parte... se no ci toccherà ritornare a Bologna!