giovedì 25 novembre 2010

ESERCIZI D'AMORE- Alain De Botton

Iniziata e finita su un volo Parigi-Londra, questa vicenda si svolge ai giorni nostri nella capitale inglese (tra musei, supermarket, ristoranti esotici) e ci fa vivere ogni fase di un'esemplare e normale storia d'amore.


Che romanzo/manuale di autoaiuto/saggio bislacco. Il protagonista ci racconta la sua storia d'amore con questa ragazza, conosciuta per caso su un aereo, in una parabola che parte dall'idillio iniziale, tocca i momenti di massima passione, per poi passare all'abitudine, all'insofferenza, al tradimento e all'inevitabile fine. Il tutto condito di massime e metafore di grandi filosofi e scrittori del passato.
Di per sé l'idea non è malvagia. E' bello vedere come questi grandi pensieri si manifestino nella vita di tutti. Ed è anche molto bella (e moooooolto plausibile) la narrazione della storia d'amore tra i due, che non è la solita storia sdolcinata da romanzo, ma fa vedere anche gli aspetti negativi, le cose che infastidiscono, i piccoli e grandi compromessi che devono essere fatti per poter stare insieme a una persona. Così come racconta bene quel senso di impotenza che si percepisce di fronte al logoramento che molto spesso (ma non sempre!) subiscono le storie d'amore.
Ma è la parte finale che mi lascia perplessa. Il modo in cui il protagonista narratore vive la fine di questa storia, questa sua tendenza a moralizzare, al martirio (arriva a paragonarsi, sebbene in modo volutamente esasperato, a Gesù), al punto da pensare al suicidio (bello però quando si rende conto che morendo non potrà godere della soddisfazione di vedere gli altri che si sentono in colpa per lui).
Capisco che sia volutamente esasperato, che abbia narrato il caso estremo della fine di un amore (e posso assicurarvi per esperienza diretta che molto spesso ci si sente come lui descrive). Però boh, secondo me si lascia prendere troppo la mano, forse per poter utilizzare di più gli esempi e gli insegnamenti dei grandi pensatori del passato, rendendo però il finale un po' noioso.
Si può tranquillamente evitare.

Nota alla traduzione: "la Ketchup"...

domenica 21 novembre 2010

SOFFOCARE- Chuck Palahniuck

Victor Mancini, studente di medicina fallito, ha architettato un fantasioso sistema per pagare le spese ospedaliere della vecchia madre: ogni giorno va a cena in un ristorante diverso e, nel bel mezzo della serata, finge di soffocare per colpa di un boccone andato di traverso. Immancabilmente qualcuno si lancia a salvarlo, e altrettanto immancabilmente diventa una sorta di padre adottivo del protagonista e in occasione dell'anniversario dell'incidente gli invia dei soldi. Dopo anni di questa attività il nostro eroe si trova a ricevere quasi quotidianamente un gruzzolo da persone di cui ormai non ricorda nulla ma che gli sono grate per aver dato un senso alle loro vite.


Sono sempre stata convinta, e ancora lo sono, che un po' di sano cinismo faccia sempre bene nella vita. Tanto lo sappiamo tutti che il mondo non è tutto rose e fiori e che a fare troppo i buonisti e i perbenisti non si ottiene nulla.
Il problema però sta nel quantificare quel "PO'". E se prendete un libro di Palahniuck (questo, ma anche altri penso) vi renderete subito conto che il suo "PO'" è "UN PO' TROPPO".
Questo romanzo parla di un ragazzo dal passato turbolento a causa della madre che quando non lo rapiva era in galera e che lo tormentava con discorsi su come rendere il mondo migliore. Parla di un ragazzo, sempre lo stesso, affetto da una dipendenza sessuale che lo porta ad andare a letto più o meno con qualunque ragazza incontri, tanto da dover frequentare un gruppo di sostegno. Parla di un ragazzo squattrinato, sì sempre lui, che per riuscire a pagare la casa di cura dove risiede la suddetta madre leggermente psicopatica, si inventa un sistema geniale per fare soldi: ogni sera, in un ristorante diverso, finge di soffocare e si fa salvare da qualcuno che poi, immancabilmente, ogni anno gli manderà dei soldi per aiutarlo (cosa non fanno gli esseri umani quando si fa leva sul loro orgoglio e coraggio...).
Insomma, parla di un ragazzo che nasconde dietro al suo cinismo, alle sue pulsioni, la paura di provare sentimenti, di affezionarsi, voler bene, innamorarsi, al punto che, quando questo inizia a succedere, inizia a domandarsi "cosa Gesù non farebbe?" e comportarsi di conseguenza. Parla di un ragazzo che ha come unica grande paura quella di essere solo e che nessuno abbia bisogno di lui.

Non posso negare che sia un libro geniale, che esaspera in maniera impeccabile, cinica ma anche tragi-comica, tutte le pulsioni, i vizi ma anche semplicemente i dilemmi morali di tutti gli esseri umani, che molto spesso preferirebbero essere psicopatici o dipendenti da qualcosa piuttosto che dover amare e soffrire, nei vari protagonisti che si avvicendano nelle pagine di questo romanzo (il mio preferito è Danny, il migliore amico del protagonista, che per resistere al suo disturbo sessuale inizia a raccogliere pietre con cui costruire qualcosa)

Però, se non fosse che so che si tratta di Palahniuck, penserei che questo libro sia troppo. Penserei che sia sbagliato cercare di "convincere" la gente a non amare per non soffrire. Penserei che sì, tutto questo cinismo può forse aiutare qualche volta, ma non ti fa vivere meglio. Penserei che nulla di quel che viene narrato in questo libro sia normale. Ma poi, ovviamente, mi ricordo che si tratta di Pahalaniuck e che quindi pensare tutte queste cose non serve a nulla. Si legge. Si ride a volte. Ci si incazza altre. Si riflette. Si ricordano alcune frasi memorabili e alcuni personaggi fantastici. Ma di sicuro non mi aiuterà ad affrontare meglio il mondo. Nè mi ha convinto che veramente tutto faccia schifo e che non valga la pena stare male.

Mi è piaciuto o no, questo libro? Non sono in grado di stabilirlo.

Nota alla traduzione: un applauso al traduttore che utilizza la parola "burino", tipicamente romanesca, all'interno di un romanzo ambientato negli USA. Un altro applauso, sempre allo stesso traduttore, per aver scritto più e più volte OBIETTIVO con due B (quello con due B è quello della macchina fotografica, non uno scopo nella vita... e non venitemi a dire che adesso è accettato in tutti e due i modi... perché è accettato proprio perché la gente sbagliava a scriverlo)


"Ogni cosa che possiedi è solo l'ennesima cosa che un giorno perderai"

"Il passato non si può ricreare. Puoi fare finta. Puoi illuderti, ma ciò che è finito non torna."

"Io non sono buono, né gentile, né premuroso, né nessua di queste stronzate buoniste lì. Sono solo un povero imbecille egoista sfigato. E me ne sono fatto una ragione."

venerdì 19 novembre 2010

ANDY CAPP- Reg Smythe

Nasce il 5 agosto 1957 sulle pagine del Daily Mirror, quotidiano londinese. Gli editori del giornale avevano commissionato a Smythe un nuovo personaggio, un ubriacone rissoso e infedele. Quest' uomo si chiama Andy Capp. Pensa e parla di poche cose: donne, sesso, rugby, biliardo, freccette e ovviamente la birra. È sposato con Florrie (chiamata però sempre Flo), una donna che lavora onestamente e che sopporta un marito fannullone, che invece di cercare lavoro passa tutta la giornata a dormire sul divano e, quando è sveglio, si piazza al bancone del pub vicino a casa a bere birra. La coppia è sempre indebitata fino al collo e stenta ad arrivare a fine mese, ma la potenza comica della striscia nasconde la drammaticità della vita dei due personaggi.

Oggi sono in vena di recensioni, ma considerando che non posso leggere due libri un pomeriggio, ho pensato che la cosa migliore sarebbe stata quella di parlare di un fumetto che sta accompagnando le mie giornate da un mese a questa parte circa: Andy Capp di Reg Smythe (a volte tradotto in italiano con "Carlo e Alice"). Lo so che è Andy è tutto fuorchè l'uomo ideale e perfetto, che vive alle spese della povera Flo, che frequenta i pub tutte le sere e torna a casa con una scusa sempre nuova (e sempre meno probabile) con cui placare la moglie. Lo so che è uno scansafatiche, che picchia la moglie, che ha una marea di amanti e che scrocca soldi da chiunque.Ma è comunque adorabile. E' adorabile perché Flo risponde a tutto questo, con un sarcasmo disarmante (oltre che con le botte, ovviamente, perché non è una che si fa mettere i piedi in testa). E' adorabile perché a litigate e decisioni di lasciarsi, si inframmezzano momenti di tenerezza tra i due. Una tenerazza unica e speciale, che fa capire quanto bene si vogliono questi due coniugi, sebbene si lascino ogni due settimane.

Reg Smythe riesce a fare con un'ironia incredibile un ritratto della società inglese dell'industrializzazione, che si incarna perfettamente nel suo protagonista maschile, che raccoglie in sé tutti i vizi e le debolezze della classe operaia del periodo, quella che fatica ad arrivare a fine mese ma che non rinuncerebbe mai a una birra, quella classe che ha magari poco rispetto per le donne, che crede ancora nella superiorità maschile, ma che sa arrendersi anche davanti all'evidenza di quanto importanti siano le proprie mogli. Andy Capp è tutto questo ed è anche qualcosina in più.

IL LIBRAIO CHE IMBROGLIO' L'INGHILTERRA- Roald Dahl

Mr. Buggage è il proprietario di una libreria antiquaria londinese; insieme alla sua assistente (e amante) trascorre gran parte della giornata nel retrobottega, dedicandosi più alla lettura di necrologi che alla vendita dei libri. Eppure gli affari vanno bene e un giorno i due decidono di concedersi una vacanza in Marocco in alberghi esclusivi. Come si scoprirà, il successo economico non nasce da una oculata gestione delle vendite, ma... Il volume è completato da un altro racconto, "Lo scrittore automatico", storia di una grande macchina in grado di sfornare best seller a ripetizione.

Quanto adoravo i romanzi di Roald Dahl da bambina! "Le Streghe", "Il GGG" e soprattutto "La Fabbrica di Cioccolato" hanno accompagnato la mia infanzia e credo che li consiglierei ancora adesso.
E devo ammettere che fa' uno strano effetto leggere un Roald Dahl per adulti. Entrambi i racconti compresi in questo volume, infatti, trattano argomenti e temi sicuramente poco adatti ad un lettore bambino. Eppure, nonostante questo senso di stranezza, i due racconti non sono per niente male.
Nel primo, "Il Libraio che Imbrogliò l'Inghilterra", si narra di due protagonisti che gestiscono una negozio di libri usati che però si rivelerà essere una copertura per un altro business, ben più illegale e immorale. Mi è piaciuta molto la caratterizzazione dei due protagonisti, una coppia obbrobriosa, "sordido" lui e dall'aspetto "scoraggiante" lei, che si trovano complici negli affari e nella passione. Un'ironia sottile quella di Dahl, che quasi si schiera inizialmente con i due protagonisti, e che accompagna tutto il racconto fino a un finale che forse si sarebbe potuto intuire ma comunque geniale.
Il secondo invece, "Lo Scrittore Automatico", è quello che da' più da riflettere (ma sarà che in quanto aspirante traduttrice sono più suscettibile all'argomento di macchine che superano la mente umana). Il protagonista, che adesso verrebbe etichettato come nerd, con aspirazioni letterarie, inventa una macchina che produce best-seller: basta schiacciare i pulsanti giusti, creare il giusto amalgama di passione, avventura, pathos e dramma, scegliere il tema che si preferisce e in meno di un minuto si avrà un racconto e in un quarto d'ora un vero e proprio romanzo. Un'idea geniale, che gli porterà soldi e brama di potere... tanto che riuscirà a convincere altri scrittori a smettere di scrivere best-seller e a mettersi in società con lui e la sua macchina (un'agenzia letteraria che paga i suoi membri per NON scrivere). La critica implicita che vuole fare Dahl è proprio contro gli autori di best-seller, che sfornano libri a velocità impressionante, semplicemente rimescolando temi triti e ritriti. E, quel che peggio, con la consapevolezza di stare scrivendo non per il piacere di farlo ma per i soldi. Una critica quella di Dahl molto ben riuscita e facilmente condivisibile.
Vi consiglio di leggere entrambi i racconti, vi portano via poco più di mezz'ora. Sorriderete per il primo e rifletterete un po' sulle vostre letture per il secondo.
Certo, Willy Wonka è sempre Willy Wonka.

Nota alla traduzione: niente di particolare sa segnalare.

mercoledì 17 novembre 2010

CASINO' ROYALE- Ian Fleming

È il romanzo in cui fa la sua prima apparizione James Bond e in cui sono già presenti i tipici ingredienti della serie: il fascinoso 007 con licenza d'uccidere; la bella Vesper Lynd, tenera e tragica; il malvagio e imprendibile Le Chiffre. Ma c'è anche la rappresentazione del mondo delle sale da gioco della Francia meridionale, che Fleming ricostruisce in modo impeccabile, consegnando intatto al lettore il fascino di quel mondo e di quella società.


E io che pensavo che James Bond fosse un figo... Eppure in questo romanzo, il primo della serie di 007, non è che ci faccia sta grande figura. Oltre ad essere un po' un pollo che non si accorge di nulla e casca in tutto ciò in cui può cascare (e meno che male che è un agente segreto), manca anche dello charme e della classe che ha poi saputo imprimergli Sean Connery (sugli altri due non mi esprimo) nei vari film tratti dai questi romanzi.
Sarà che non è tanto il mio genere, sarà che tutto mi aspettavo fuorchè un James Bond così misogeno e maschilista che si crede un Dio ma che non si accorge di quasi nulla di ciò che capita attorno a sè, però non mi è piaciuto più di tanto.
Si legge bene e in fretta, anche in lingua originale. Ma la storia non cattura così tanto (o almeno, non ha catturato me) e si arriva alla fine con un po' di irritazione per la caratterizzazione di certi personaggi (sta ragazza, ad esempio, è veramente ma veramente piatta) e soprattutto alla fine ci si chiede: "beh, tutto qui?".
Boh, non me la sento nè di consigliarlo, perché comunque a me non è piaciuto, nè di sconsigliarlo, perché mi rendo conto che la serie 007 di Fleming sia comunque un classico.

Nessuna nota alla traduzione, letto in originale.

sabato 13 novembre 2010

IL PRIMO MIRACOLO DI GEORGE HARRISON- Stefania Bertola

Un ragazzino disposto a tutto per neutralizzare il fascino di sua sorella. Un carrarmatino del Risiko coinvolto in un tentativo di omicidio. Una perfida vigilessa e le sue serate imprevedibili. Tre ragazze torinesi che attraversano Londra in una giornata calda come liquirizia appiccicosa: cosa le aspetta in St John's Wood? Una raccolta di racconti che trabocca di intelligenza, divertimento e stupore. Stefania Bertola osserva il mondo con la lente giocosa dell'immaginazione, svelando i piccoli imprevisti della vita e dei sentimenti.

Non del tutto casualmente, il libro che ho letto dopo la Kinsella è l'ultimo della Bertola (in realtà ne sto leggendo anche un altro, che però non mi sta entusiasmando più di tanto). Ecco, i romanzi della Bertola, almeno per me, sono ideali quando si è un po' giù o quando si ha voglia di leggere qualcosa di non leggero e non troppo impegnativo.
A questo punto però mi vedo costretta a non consigliare questo suo ultimo libro. Ma semplicemente perché si tratta di una raccolta di racconti, venti in tutto, che danno solo un limitatissimo assaggio dello stile dell'autrice. Quindi, iniziate con i romanzi (Biscotti e sospetti, il mio preferito), e poi leggete anche questo.
Non sono una grande amante dei racconti, mi piace affezionarmi ai personaggi, seguirli nelle loro peripezie di pagine e pagine, patire con loro e arrivare con loro insieme al finale. Quindi non sono solita leggerli (con eccezioni di tanto in tanto ovviamente).
In questa raccolta, ce ne sono diversi che meritano proprio: da "Il Nostro Capitano", dedicato a Alex Del Piero e a un suo piccolo fan (che fa veramente ma veramente ridere), a " La strega del bosco va al circolo dei lettori", passando per Ave Verum (un inno a non fermarsi alle apparenze) e "La Ragazza che Piangeva in discoteca".
Non sono tutti belli però, alcuni sembrano buttati lì proprio perché non si può vendere un libro di meno di 100 pagine a 14,50 euro (non che con 120 sia più accettabile eh...). E anche quello che da' il titolo alla raccolta "Il primo miracolo di George Harrison", che mi sono accorta che avevo già letto, non mi ha entusiasmato molto.
Insomma, da leggere per distrarsi un paio d'ore e per sorridere un po'(e se siete di Torino o comunque la conoscete un po', rende ancora di più). Ma cominciate dai suoi romanzi, che meritano molto di più.

domenica 7 novembre 2010

SAI TENERE UN SEGRETO? -Sophie Kinsella

Emma Corrigan è una ragazza normale, lavora in una multinazionale ed ha un fidanzato simpatico. E come tutte le ragazze normali coltiva i suoi sogni, i suoi segreti e le sue paure. E proprio cercando di fronteggiare una delle sue più grandi paure, quella di volare, si trova a raccontare tutti i suoi più intimi segreti al suo compagno di viaggio, un simpatico americano. Che altri non è che... Abbandonata Rebecca, la protagonista del ciclo «I love shopping», Sophie Kinsella regala ai suoi lettori un nuovo divertente personaggio femminile.


Piccola premessa: mai più avrei pensato che avrei letto un libro della Kinsella. Mi è stato prestato quasi a tradimento, senza che potessi ribellarmi. Ma, effettivamente, per poter criticare per bene un'autrice e i suoi libri forse almeno uno dei suoi romanzi va letto. Quindi eccomi qui.
Quando ho annunciato che stavo leggendo questo romanzo, una mia amica mi ha detto: "Ho solo paura che poi mi dirai che ti è piaciuto". Quindi, per prima cosa, vorrei tranquillizarla: no, non mi è piaciuto. Ok, non nego che c'è qualche gag divertente, qualche trovata non male che fa sorridere. Non nego nemmeno che si tratta di un libro leggerissimo, che si legge in fretta, che non richiede il benchè minimo sforzo mentale e che va bene per passare una domenica pomeriggio uggiosa (sul fatto che questi siano pregi, però, ne dovremmo discutere un attimo).

Ma prendiamo la storia: una ragazza qualunque, un po' sfigatina, che ha paura di volare ,si ritrova su un aereo nel bel mezzo di una perturbazione e, terrorizzata dal pensiero di poter morire, rivela tutti i suoi segreti più imbarazzanti allo sconosciuto seduto accanto a lei. Sconosciuto che il giorno dopo guarda caso si scoprirà essere il suo capo. Tra i due nascerà ovviamente qualcosa (che strano, non l'avrei mai detto), solo che lei si accorge che lui invece stenta a parlare di sè, per paura di rivelare segreti troppo importanti. Ovviamente si arriverà a un punto di rottura, lei soffrirà, lui si scuserà e le rivelerà questo segreto, l'amica psicopatica di lei tenta di vendicare l'umiliazione ricevuta, fino all'immancabile lieto fine. Carino eh?

Peccato che sta ragazza qualunque a me poi così qualunque non sembri (promossa a responsabile marketing dopo nemmeno un anno senza esperienze, il capo si innamora immediatamente di lei, va a feste esclusive e club privati, ha una famiglia di pazzi alle spalle)... non è che perchè le fanno succedere cose sfigate (ok, quelle forse sono le uniche che la fanno sembra una persona qualunque) allora tutte riusciamo a identificarci in lei (perchè è questo, no, lo scopo dei libri come questi?).
E lui, il capo, uno strafigo da paura che ovviamente si innamora dell'ultima arrivata (oddio, devo preoccuparmi?) e che per questo diventa adorabile e protettivo nei suoi confronti, tanto da affittarle un autobus a due piani, da portarle un cocktail rosa in una fiaschetta o da regalarle un mazzo di fiori gigantesco per farsi perdonare.

Ragazze, scusate, ma veramente voi vi indentificate in queste cose? Veramente leggere un libro così vi aiuta a stare bene dopo una delusione amorosa (boh, a me sembra giri il coltello nella piaga) o a distrarvi quando avete pensieri che vi tormentano?
Eppure io ho una buona dose di romanticismo, tendo più o meno a credere nei lieti fini e che l'amore trionferà, che prima o poi l'uomo giusto arriverà e che vivremo per sempre più o meno felici e contenti.
Però non ho certo bisogno di questi libri idioti, scontati e completamente inverosimili per sognare queste cose.

Nota alla traduzione: niente da dire.

giovedì 4 novembre 2010

IL MONDO NUOVO- Aldous Huxley

L'autore prefigura nel primo romanzo una società pianificata in nome del razionalismo produttivistico, votata all'assoluta perfezione.


Un romanzo che racconta di una futura società utopistica, nel filo di 1984 di Orwell o "Fahrenheit 451" di Bradbury. Questi libri sono accomunati dalla creazione di una società che ci rende tutti uguali, che vede nella cultura il pericolo di ribellione, perchè la cultura fa pensare.
Il perno di Brave New World (scusate, me lo ricordo con il titolo originale) è una società basata sulla felicità e la stabilità, in cui dolore, sofferenza, peccato, morale e tutto quello che ci può portare a riflettere su questi sentimenti è completamente abolito. Il sesso è visto solo esclusivamente con il fine del piacere e non per procreare (perchè ci sono delle macchine per farlo, che creano delle sorte di cloni, appartenenti a classi diverse e con felicità diverse in base alla loro evoluzione), la parola "madre" e "moglie/marito" sono delle più scandalose che si possano pronunciare e la solitudine, che tende a portare a pensare, è mal vista e combattuta in tutti i modi. Una società basata sul piacere dei sensi, che porta alla felicità, una felicità che non può essere messa in dubbio e che viene protetta, anche con l'uso di droghe per non vedere sentimenti negativi.
E quando John, il Selvaggio, nato da una donna di questa società persasi durante una vacanza nella riserva, va per la prima volta in questo nuovo mondo, non può che uscirne sconfitto, così come le uniche due persone che l'hanno sempre pensata come lui.
E' un libro particolare, che non so dire bene quanto mi sia piaciuto. E' una società utopistica che impressiona un po', forse ancora di più del Grande Fratello di 1984. Si basa sulla ricerca di felicità e stabilità, due cose che onestamente sarebbe stupido negare che tutti cerchiamo. Ma come dice il Selvaggio, non c'è felicità senza infelicità, e la felicità e la stabilità preconfezionate non sono altro che vacue e fasulle.
Fa sicuramente impressione pensare che questo libro, scritto negli anni '30, tratti così liberamente il tema della sessualità, del sesso come piacere e quindi non c'è nulla di immorale ad avere più compagni, così come il tema della clonazione, di essere che nascono in bozzoli, tutti uguali.
Però manca a mio avviso una struttura narrativa completa, una storia che faccia appassionare. Insomma, non è 1984.

Nota alla traduzione: terribile. semplicemente terribile. Rimane la stessa impressione già espressa per Fahrenheit 451... Mondadori, spendi un po' di soldi e fai ritradurre sti classici, perchè nel 2010, tradotti così, sono semplicemente illeggibili.