mercoledì 30 settembre 2015

Impressioni di settembre... rampante

Wake me up when September ends cantano i Green Day in una loro celebre canzone. E dal momento che oggi è il 30 settembre, credo sia il momento di svegliarli e raccontar loro cosa è successo in questo mese sul blog.
Scherzi a parte (che lo so che cosa racconta in realtà la canzone), scopo di questo post è quello di fare una sorta di riassunto di questo ultimo mese rampante. L’idea è quella di farlo poi tutti i mesi, memoria e tempo e permettendo. Così se qualcuno si è perso qualche contenuto e vuole rimediare, o magari è la prima volta che arriva qui e non sa bene che cosa leggere può partire da questo resoconto.
Ah sì, ovviamente ringrazio la PFM per il titolo di questo mese.

Il mese è iniziato con una gita a Torino per librerie con Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri, ragazza e blog splendidi, oltre che canavesani come me. Ed è bello quando il virtuale diventa reale e ti permette di conoscere delle belle persone.  
Per il resto, a livello di eventi settembre è stato un mese un po’ smorto, almeno per quanto mi riguarda. Non sono andata né a Sarzana al Festival della Mente, né a Mantova né a Pordenonelegge. Tutti e tre con grande rammarico, ma sappiamo tutti che tra il dire e il fare c’è di mezzo la pigrizia e la mancanza di accompagnatori a cui infliggere il supplizio di sopportarmi durante un festival letterario (ok, e un po’ anche la distanza).
C’è stata però una cosa molto bella sulla pagina Facebook collegata al blog, ovvero una mega partita rampante a Trivial Pursuit Letterario. Abbiamo cambiato un po’ le regole, che giocare a distanza con un tabellone è difficile, trasformandolo in un semplice gioco a quiz, in cui io ponevo le domande e gli altri dovevano rispondere. È stato un grande casino, passatemi il termine, tra pagine aggiornate compulsivamente e domande a volte incomprensibili, ma alla fine mi sono divertita un sacco (e spero anche gli altri… perché a breve lo rifaremo).

Veniamo alle letture. Il mese di settembre è stato ricco di libri e di recensioni qui sul blog. Sto leggendo tanto in questo periodo, un po’ come sempre perché mi piace, un po’ per far fronte alla noia da lavoratrice freelance part-time (qualche lavoro c’è, ma poco poco). Potrei stirare, certo, ma vi pare che spreco tempo a togliere le pieghe da qualcosa che tempo due giorni e le avrà di nuovo per rinunciare a leggere?

Manca Pennac, perché me l'avevano prestato e l'ho già restituito

Il mese è iniziato con Daniel Pennac e il suo Storia di un corpo, edito da Feltrinelli. Un libro molto bello, sull'evoluzione e i cambiamenti del corpo del protagonista nel corso degli anni e di come questi cambiamenti possano raccontare una vita.
Dopo è toccato allOdore della polvere da sparo di Attilio Coco, delle edizioni Spartaco. Un libro sulla storia d’Italia del secondo dopoguerra un po’ diverso dal solito, raccontato attraverso lo sguardo di un uomo che prende parte solo marginalmente alle rivendicazioni politiche e sociali.
La lettura successiva è stata molto breve: Spaghetti, cozze e vongole, un raccontino di Nicola Lagioia pubblicato da Slow Food Editore. Il racconto in sé non è niente di che, ma mi è piaciuto questo piccolo libricino per le aggiunte sul fondo, con la storie delle cozze e delle vongole.
Poi è arrivato Quim Monzò, con la sua raccolta di racconti Olivetti, Moulinex, Chaffoteaux et Maury, edita da Marcos y Marcos e l’unica che ancora mi mancava. Descrivere i racconti di Monzò in poche parole è difficile: racconti di persone normali, persone che potremmo essere noi, che virano poi verso un finale inaspettato.
Da lì siamo passati a José Saramago e al suo Lucernario, pubblicato da Feltrinelli. Primo romanzo di Saramago, ma uno degli ultimi a essere pubblicati. Lo stile è diverso rispetto agli altri, al punto che viene da chiedersi cosa sia cambiato dopo questo libro. Però è un libro bellissimo.
Poi siamo tornati in Italia con Alessio Mussinelli e il suo Nemmeno Houdini, edito da Fazi. Un libro molto divertente, ambientato in un paesino sul lago e con protagonisti i suoi particolari abitanti. Leggero e intelligente al tempo stesso.
Subito dopo è stato il turno di Hugo e Rose di Bridget Foley, inviatomi da e/o. Lo specifico, questo, mentre con altri non l’ho fatto, per giustificare in qualche modo la presenza in rete di tantissime recensioni di questo libro su blog e youtube nel giro di pochi giorni. Troppe addirittura. Al punto che forse, se avessi saputo di questo lancio promozionale così massivo tramite blogger, forse avrei rifiutato. Per carità, il libro è bello, anche se con qualche remora da parte mia, però ecco non sono così convinta che mille recensioni in un mese gli diano il giusto onore (non sarebbe meglio inviarli più dilatati nel tempo i libri ai blogger, così da dare al libro una visibilità più duratura?).
Naif.Super di Erlend Loe è arrivato invece quasi per caso. Iperborea un giorno ha messo in offerta una vasta selezione di suoi libri in ebook e io ho scelto basandomi solo sulla copertina. E questa volta mi è andata davvero bene, perché è proprio un gran bel libro.
Le ultime due letture sono state Delitto ai grandi magazzini di Cortland Fitzsimmons, un giallo vecchio stile, molto onesto, della collana I Bassotti di Polillo editore, e quello splendore di Quello che hai amato, raccolta di racconti a cura di Violetta Bellocchio, edito da Utet, in cui undici donne e scrittrici italiane hanno raccontato undici storie vere della loro vita. Molto, molto intenso.
In realtà ce n’è stato anche un altro: Miracolo in libreria di Stefano Piedimonte. Non l’ho recensito, però, perché la rabbia nei confronti del suo formato ha preso il sopravvento sulla storia in sé, generando il post Ci vedo e se non ci vedessi metterei gli occhiali. 

E ottobre? Beh, ora sto leggendo Un posto al mondo di Wendell Berry che è stupendo, forse ancor più dei due precedenti di Berry. Non so bene cosa leggerò dopo. Poi ci sarà Portici di carta a Torino e il festival I luoghi delle Parole a Chivasso. Nel mezzo lettore rampante e fratello rampante parteciperanno a un’esposizione di Lego in un paese qua vicino e credo che proprio che vi racconterò anche di quello.

E il vostro settembre come è stato?

lunedì 28 settembre 2015

QUELLO CHE HAI AMATO - a cura di Violetta Bellocchio

Per cominciare a conoscere qualcuno, devo vedere cosa gli provoca una reazione forte. Il modo più semplice è fare una domanda. Che cosa ami?
Scelgo questa domanda perché non ho idea di quale risposta sto per ricevere. L’amore, in concreto, prende forme  strane e specifiche, e l’amore come concetto si può intendere in migliaia di modi. Che cosa ti piace? Che cosa ti muove? A cosa scegli di dare importanza? Che cosa ti spinge a cambiare, o a stabilire una tregua con una parte di te.


Violetta Bellocchio, scrittrice e curatrice della rivista online “Abbiamo le prove” (che se ancora non conoscete vi consiglio caldamente di visitare), ha posto questa domanda ha undici scrittrici italiane, compresa se stessa. Undici donne, a cui è stato chiesto di raccontare undici storie vere della loro vita che parlano d’amore. Da queste risposte, da questi racconti, Violetta Bellocchio ha fatto nascere Quello che hai amato, pubblicato da Utet.

Si parla d’amore, si diceva, ma non nel senso più comune che gli viene attribuito. Si parla d’amore per le cose, per gli oggetti, per le situazioni, per le città, per i luoghi, per gli altri, per se stessi. Sono storie di vita vissuta che in qualche modo hanno segnato la vita di chi le racconta. Possono sembrare all'apparenza banali, tipo la storia d’amore di Nadia Terranova per la vecchia panda di sua mamma, piazzato proprio in apertura alla raccolta. Possono sembrarci folli, come quell'amore smisurato per il cibo nella storia che ci racconta Mari Accardi. Tristi e nostalgici per un passato d’amore e un presente che non riesce mai a esserne all’altezza, se ascoltiamo le parole di Giusi Marchetta. Dolorosi, quando una persona che si ama smette d’improvviso di essere se stessa, con Carolina Crespi. Possono essere amori per una grande e caotica città, Napoli per Raffaella R. Ferré e New York per Claudia Durastanti, che a volte però racchiude in sé piccoli paesi, che crescendo si perdono e si abbandonano, come per Giuliana Altamura. Poi sì, nel racconto di Flavia Gasparetti c’è anche l’amore inteso come relazione amorosa tra due persone, ma è un amore fatto di abitudini, di imperfezioni, di incongruenze, di sofferente. E si ritorna poi all’amore per il proprio paese di origine, che assomiglia un po’ a un telefim e che diventa odio quando vacilla la certezza di potersene andare, nel racconto di Chiara Papaccio. L’amore per la lettura che mette insieme persone completamente diverse tra loro e porta a grandi riflessioni sulla propria vita e su quel grasso, quella Sugna, che deve far parte di ogni cosa che facciamo, per Serena Braida. Per poi arrivare alla fine, con il racconto di Violetta Bellocchio, che parla di scrittura e tornare a sorridere.

Nadia Terranova, Mari Accardi, Giusi Marchetta, Carolina Crespi, Raffaella R. Ferré, Claudia Durastanti, Giuliana Altamura, Flavia Gasparetti, Chiara Papaccio, Serena Braida e Violetta Ballocchio, con i loro racconti, hanno raccontato loro stesse, il loro modo di essere, di pensare, di amarsi e di amare, arrivando a creare qualcosa, secondo me, di incredibile. Per la forza narrativa, sicuramente, ma anche per tutte le sfaccettature che con i loro racconti, le loro storie, così diverse tra loro eppure che rispondono tutte alla stessa domanda iniziale, sono riuscite a dare.

Come succede con tutte le raccolte di racconti, alcuni li ho preferiti ad altri (il mio preferito in assoluto è Gioia e Fosco di Flavia Gasparetti, forse perché mi ricorda una mia storia passata, forse perché quello che racconta è ciò che più mi spaventa in una relazione), con alcuni stili ho faticato un po’ di più e forse uno o due racconti non li ho nemmeno capiti del tutto. Ma è normale, succede anche fuori dalle pagine di andare più d’accordo con qualcuno rispetto a qualcun altro.

Quello che hai amato è  stata per me davvero una grande lettura. Per il progetto in sé, di mettere tutte insieme queste scrittrici italiane e fare in modo che si raccontino, che poi è quello che succede quotidianamente su Abbiamo le prove. Ma anche per il coraggio, per la voglia di raccontare e raccontarsi, che queste scrittrici hanno avuto (parlare di sé non è più semplice che inventare, secondo me).

A chi dice che la narrativa italiana contemporanea non esiste, men che meno quella femminile, consiglio caldamente di leggere questo libro, che è solo un assaggio di quello che queste scrittrici sanno fare. E ovviamente lo consiglio anche a tutti gli altri, perché è davvero una gran bella lettura.

Titolo: Quello che hai amato
Autore: Nadia Terranova, Mari Accardi, Giusi Marchetta, Carolina Crespi, Raffaella R. Ferré, Claudia Durastanti, Giuliana Altamura, Flavia Gasparetti, Chiara Papaccio, Serena Braida e Violetta Ballocchio
Pagine :203
Editore: Utet
Acquista su amazon:
formato brossura: Quello che hai amato. Undici donne. Undici storie vere
formato ebook: Quello che hai amato: Undici donne. Undici storie vere

venerdì 25 settembre 2015

DELITTO AI GRANDI MAGAZZINI - Cortland Fitzsimmons

Era da un po’ di tempo che volevo leggere un libro della collana I bassotti di Polillo editore. Una collana che raccoglie romanzi gialli, principalmente antecedenti agli anni ’60, di autori considerati spesso minori e che da noi quindi non erano mai arrivati. Ad attirarmi è l’idea di questa riscoperta di gialli dimenticati, ma anche la veste grafica, che trovo molto elegante e perfettamente adatta al contenuto, con cui sono stati presentati da Polillo. E poi vabbè, io ho un debole per i bassotti.

Eppure, nonostante tutte queste premesse, ne è passato di tempo prima che mi decissi finalmente a comprarne uno. Ed è stato quasi per caso, in realtà, quando spulciando tra una bancarella dell’usato mi è capitato tra le mani questo Delitto ai grandi magazzini di Cortland Fitzsimmons. Una rapida occhiata alla trama e, niente, doveva essere mio.

Protagonista di questo romanzo è Ethel Thomas, un’arzilla e un po’ scorbutica vecchietta di settantacinque anni, che si ritrova, più o meno suo malgrado, coinvolta nelle indagini riguardo a una serie di omicidi che si verificano all’interno dei grandi magazzini di cui possiede una quota di proprietà. 
Dopo aver sentito quell’urlo spaventoso provenire dall’ufficio della signora Briggs, e aver trovato tale signora morta, per Ethel è infatti davvero troppo difficile fare finta di niente ed esimersi dal partecipare alle indagini condotte dal suo ex poliziotto di quartiere Peter Conklin. Certo, mai avrebbe immaginato che a quell’omicidio ne seguissero poi altri, né che quei grandi magazzini potessero racchiudere così tanti intrighi.

Non ha poi tanto senso fare un riassunto della trama, essendo un giallo. E’ più bello che la scopriate da soli, seguendo le indagini e le intuizioni di Ethel in questa elegante carneficina. Sì, mi viene da definirla così perché effettivamente gli omicidi sono davvero tanti, eppure il libro è scritto con uno stile così garbato, elegante, che quasi non ci si rende conto di quanto cruenta sia la fine di alcuni dei personaggi. E questo è proprio quello che mi aspettavo e che cercavo in uno romanzo come questo e che, soprattutto, mi rende un po’ più ostici i gialli contemporanei rispetto a quelli del passato. Puntano più sui personaggi, sulla loro caratterizzazione, sulle intuizioni, che non sull'omicidio e la violenza in sé, che diventa quasi un espediente.
Poi beh, Ethel è fantastica, nel suo ispirarsi apertamente a Miss Marple, ma anche nella sua scorbuticità e le sue piccole debolezze. 

Delitto ai grandi magazzini di Cortland Fitzsimmons non è sicuramente il capolavoro dei romanzi gialli.Lo definirei più un romanzo giallo onesto, che compie perfettamente il suo scopo di intrattenere e appassionare il lettore, mescolando la giusta proporzione di suspence e ironia.
Se siete degli appassionati del genere, secondo me, non vi deluderà!

(E ora voglio un sacco di bassotti!)

Titolo: Delitto ai grandi magazzini
Titolo originale: The Whispering Window"
Autore: Cortland Fitzsimmons
Traduttore: Francesca Stignani
Pagine:250
Editore: Polillo editore
Acquista su amazon:
formato brossura: Delitto ai grandi magazzini

martedì 22 settembre 2015

Ci vedo, e se non ci vedessi metterei gli occhiali... ovvero piccola invettiva contro i libri scritti a carattere 18 per farli sembrare più lunghi.

Ieri, mentre ero in coda dal medico, tra un pettegolezzo di una vecchina e un informatore saccente, ho letto Miracolo in libreria di Stefano Piedimonte.

Sul merito del libro entrerò in seguito, perché il fastidio provato per l’edizione, l’impaginazione e l’aspetto grafico in generale hanno preso un po’ il sopravvento sulla mia percezione del libro. Al punto che forse dovrò addirittura rileggerlo.
Miracolo in libreria è un racconto, che sono riusciti a spalmare su 77 pagine con espedienti differenti: l’aggiunta di qualche capito di un libro citato nel racconto sul fondo, un carattere enorme, un’impaginazione bislacca che fa sembrare il testo una lunga colonna. Prezzo di copertina: 7€. Che ci sta anche, perché se si pensa ai costi della copertina, della stampa, etc etc, tutto sommato non è una cifra così elevata.

È che a me, queste cose fanno un po’ arrabbiare. Visto che se lo impaginate normalmente e lo scrivete con un carattere normale, il racconto sarebbe venuto si e no di 20 pagine, non si poteva o aspettare che l’autore ne scrivesse un altro o aggiungerlo in calce a un romanzo, come contenuto extra?
La risposta, ovviamente, è no, perché loro ci guadagnano meno.


Il caso più clamoroso che io ricordi è sempre della Guanda, quando ha fatto uscire Tutti mi danno del bastardo di Hornby in un volumetto a 9€, quando in lingua originale era uscito solo in ebook a 0,99€. Mi ero arrabbiata anche se lo avevo comprato in originale e in ebook, perché capisco che Hornby è un nome che attrae e che quindi in molti lo avrebbero comprato, ma al tempo stesso viene mancare, secondo me, il rapporto di fiducia con i lettori che un po’ si sentono presi in giro. (Anche perché quel racconto funzionava solo come ebook  o dentro a una raccolta, da solo no).
Guanda comunque non è l’unica a fare questi giochetti. Mi viene in mente Rizzoli e il libro dei Carofiglio brothers, che per compensare avevano aggiunto in fondo delle ricette di cucina,  e/o con un Carlotto , per citare solo i casi in cui io ci sono cascata come una pera. Ma penso che tutti gli editori almeno una volta lo abbiano fatto.

Io, da lettrice, lo trovo irritante. È non è solo una questione economica. Cioè, anche sì, sarebbe inutile negarlo. Ma è il concetto in sé che trovo sbagliato. Devi fare cassa? Ok, ma dato che il lettore è chi ti permette di farla, magari dagli qualcosa in più di un libro scritto a carattere 18 e con margini enormi. Perché di fronte a una presa in giro tanto evidente, secondo me, ne rimette anche il contenuto del libro. Può essere un capolavoro, può essere riconosciuto come tale dal lettore meno irritabile come me, ma un pochino di amaro in bocca, pensando ai caratteri giganti o ai margini, rimarrà anche di fronte al libro più bello.

Lo so, in parte è anche colpa mia e, più in generale, di chi lo compra. Perché vuol dire che comunque, per quanto sia una presa in giro, funziona. Soprattutto con i  nomi che attirano, di cui magari si aspetta per anni un libro (ed è il caso di Hornby, ad esempio) o verso i quali si ha una certa curiosità o entrambe le cose (tipo il libro dei fratelli Carofiglio… ormai di Gianrico si venderebbe anche la lista della spesa).

(© Paweł Jońca)
Considerando anche le difficoltà del mondo dell’editoria e, soprattutto, di quello dei lettori, sempre più in calo (poi una volta o l’altra parleremo anche di nuovo di #ioleggoperché, eh…) secondo me espedienti del genere non andrebbero utilizzati, perché rischiano di allontanare ancora di più.

La cosa buffa è che io sono una grandissima amante dei racconti. Leggo tantissime raccolte, soprattutto monoautore, ma mi è capitato anche antologie. Quindi questa mia avversione non è assolutamente per il genere, ma per il modo in cui spesso viene presentato. E in parte secondo me l’avversione per questo genere è dovuta anche al fatto che spesso i singoli racconti vengono venduti e presentati da soli, come libri a se stanti, per cui si crea un effetto di aspettative-delusione, perché troppo corto, perché mi aspettavo più approfondimento da un libro singolo, etc etc…

Mi spiace davvero per Miracolo in libreria di Stefano Piedimonte, per essere stata l’origine (o forse la goccia…) di questo post. Anche perché tra un irritazione e l’altra, la storia in sé non mi è dispiaciuta per niente. Sicuramente lo rileggerò, anche perché ci vanno meno di venti minuti.


Mi rendo conto che questo post è in realtà una polemica molto personale, perché se io detesto questi libricini c’è magari chi invece li adora e quindi lo troverà completamente inutile. Però, ecco, volevo comunque condividere questo mio disagio.

lunedì 21 settembre 2015

NAIF.SUPER - Erlend Loe

Tutti noi abbiamo i nostri momenti difficili. Giorni in cui la mancanza di senso si insinua strisciante e sprofodiamo nel cinismo e nel sarcasmo. Giorni in cui smettiamo di credere nell’amore e nel fatto che alla fine andrà tutto bene.
In momenti come questi sarebbe una benedizione sentire una sottile e incerta voce di bambino che canta una canzone carina.


La mia conoscenza della letteratura nordica è molto limitata. Ho letto pochissimi libri e conosco di nome pochissimi autori. Una lacuna che mi piacerebbe colmare, come quasi tutte le lacune letterarie che ho, ma che non so mai da dove partire per iniziare a farlo. 
Forse dovrei andare a caso e fidarmi del mio istinto. Perché è stato proprio lo scegliere a caso, il mio istinto, a portarmi tra le mani Naif.Super di Erlend Loe, libro norvegese pubblicato in Italia prima da Feltrinelli e ora da Iperborea, con la traduzione di Giovanna Paterniti.

Non avevo mai sentito nominare né l’autore né il titolo, ma quando l’ho visto in offerta in ebook quella buffa copertina e quello strano titolo mi hanno conquistata. Non ho nemmeno letto la trama. L’ho comprato e basta. Ed è stato uno degli acquisti impulsivi migliori della mia vita.

Un libro che è un elogio del candore e della semplicità, attraverso il suo protagonista, un ragazzo venticinquenne che di colpo non trova più un senso alla sua vita. Lascia l’università, lascia il lavoro al giornale e va a vivere a casa di suo fratello, dopo che questi è partito per un viaggio di lavoro e gliel’ha affidata. Qui, il protagonista cerca di ridare un senso, di rifar quadre tutto, anche se non sa bene come. Certo, lo scambio di fax con il suo amico Kim, in cui elencano le cose che hanno e quelle che non hanno, le cose che ricordano del passato e di quelle che piace ora, aiuta. Così come aiutano le chiacchiere con Bøerre, quel bambino che vive sopra di lui e che con lui condivide candore e semplicità, che li portano a compiere bizzarre avventure cittadine. Per non parlare poi delle martellate sul banco da lavoro. Uno sfogo, per non pensare. Poi il fratello lo invita a New York, e il ragazzo si ritrova immerso in qualcosa di completamente diverso, che forse forse lo aiuterà a ricominciare.

Naif.Super è un libro semplice eppure potente. Un libro che tratta temi importanti, come la famiglia, l’amore, il futuro, la paura di vivere e quella di non capire, di lasciarsi trasportare dagli eventi senza averne controllo. E lo fa tramite un protagonista che verrebbe voglia di abbracciare ogni cinque minuti, per i pensieri che fa, per le sue ansie. Abbracciare e dirgli che davvero alla fine andrà tutto bene.

Non mi aspettavo così tanto da questo libro. Soprattutto all'inizio, quando ne ho visto lo stile, tutto in prima persona, direttamente nei pensieri del protagonista, e scritto davvero in modo molto semplice, come un flusso di pensieri. E invece, è un piccolo gioiello. Perché alla fine tutti almeno una volta nella nostra vita ci siamo sentiti così. Tutti ci siamo sentiti sopraffatti da qualcosa di più grande di noi e abbiamo avuto bisogno di un tavolo da martellare o di qualcuno che ci dicesse che alla fine andrà davvero tutto bene. Ed è bello che esistano libri come Naif.Super e personaggi come quello creato da Erlend Loe che ci facciano capire che è normale e soprattutto che non siamo soli.
Io credo che nessuno dovrebbe essere solo. Che si dovrebbe stare insieme a qualcuno. Agli amici. A chi si ama. Io credo che amare sia importante. Credo che sia la cosa più importante.
Assolutamente da leggere.


Titolo: Naif. Super
Autore: Erlend Loe
Traduttore: Giovanna Paterniti
Pagine: 252
Editore: Iperborea
Acquista su amazon:
formato brossura:Naif.Super
formato ebook:Naif.Super (Narrativa)

venerdì 18 settembre 2015

HUGO E ROSE - Bridget Foley

«Mi racconti il sogno di Hugo che hai fatto stanotte?»
«Perché mi chiedi sempre di Hugo?»
A lui piaceva ascoltare quelle storie. Gli piaceva pensare a ciò che era successo sull'isola. Aveva un sacco di motivi per cui le chiedeva sempre di parlargliene… ma decide di dirle il motivo migliore. Conosceva anche la parola giusta. Un complimento. Voleva fare un complimento alla mamma.
«Perché quando parli di lui sei bella».


I sogni son desideri di felicità cantava Cenerentola in mezzo a un gruppo di topolini parlanti. I sogni ci aiutano a vivere, ci viene detto molto spesso, e sui sogni e il modo in cui raggiungerli improntiamo spesso la nostra vita. A chi non è mai capitato di sognare qualcosa la notte e poi sperare con tutto se stesso che il giorno dopo quanto sognato si avveri. Chi nei sogni non è completamente diverso da quello che è in realtà, non si sente più bello, più sicuro, più qualsiasi altra cosa vi venga in mente? Tutti, almeno una volta. E tutti, quando si svegliano al mattino, si ritrovano di fronte a qualcosa di diverso.  Mai un sogno notturno si è realizzato completamente. 
Ma non è detto che non sia un bene.

Hugo e Rose, romanzo d'esordio di Bridget Foley, appena pubblicato da edizioni e/o con la traduzione di Nello Giugliano, affronta il tema dei sogni e del loro diventare realtà, o confondersi con essa.

Rose è una casalinga americana, moglie di Josh, un medico che è poco a casa, e madre di tre figli. Era bella, da giovane, ma ora si sente sciatta, trasandata, incastrata tra i vari impegni dei figli e l’immagine di famiglia felice che si sente costretta a mantenere. Suo marito la ama tantissimo, la trova bellissima anche così. Ma lei è insicura. Lei sa che dovrebbe essere felice di quello che ha, e non accetta di dire ad alta voce di non esserlo. Per fortuna c’è la notte e ci sono i suoi sogni. Uno, in realtà, sempre lo stesso da quando ha sei anni: le sue avventure su un’isola misteriosa insieme a Hugo. Sono coetanei quando si incontrano per la prima volta e negli anni sono cresciuti insieme e insieme hanno vissuto mille avventure, tra conchiglie da mangiare, mostri da cui fuggire e castelli da raggiungere. Sono belli, sono felici, in quel mondo inventato in cui ci sono solo loro. Ed è lì che Rose si rifugia ogni volta per scappare dall'insoddisfazione della sua vita reale. Un giorno, però, Rose incontra Hugo nella realtà. È un Hugo diverso, imperfetto, con un lavoro mediocre e una vita un po’ solitaria. Ma è Hugo, lo riconosce. E Hugo riconosce lei. Cosa succede, allora, quando sogni e realtà si confondono, si sovrappongono? 

Hugo e Rose è un romanzo strano. In molti, editore compreso, lo hanno avvicinato ad Amabili resti di Alice Sebold, per quel mischiarsi, sovrapporsi di realtà e finzione, che né il protagonista né il lettore è sicuro di riuscire a distinguere. Ed effettivamente la finzione, il sogno appunto, svolge un ruolo essenziale. Non solo come rifugio di Rose (e un po’ di tutti no), ma anche come voce a tutti i suoi problemi, le sue insoddisfazioni, la sua incapacità di accettarsi e di lasciarsi amare. Il problema è che poi quando i sogni diventano reali, tutto si complica ancora di più, la perfezione si perde, i sogni diventano incubi, al punto da non voler più dormire. 

Questo libro trasmette una buona dose di angoscia, fin dall'inizio. Vediamo l’insoddisfazione di Rose, la frustrazione del marito che non riesce a farle capire che la ama anche così, il suo fuggire nei sogni di cui ha reso partecipe tutta la famiglia. Aumenta con l’arrivo di Hugo, perché non c’è niente che spaventi di più del vedere i proprio sogni trasformarsi in realtà, fino all'epilogo, forse un po’ macchinoso e che non risponde a tutte le domande che io mi ero posta durante la lettura.

Bridget Foley scrive davvero bene ed è brava nel portare su carta tutte queste vite, queste sensazioni, soprattutto se si considera che questo è un romanzo d’esordio. Certo, io non amo molto i racconti troppo onirici e nelle pagine in cui Rose e Hugo dormono e sognano mi sono persa un po’. Ma ho apprezzato tutto il resto. L’idea alla base del romanzo. I pensieri, i dubbi, le insicurezze e le paure di Rose e anche il modo in cui alla fine ha affrontato tutto.
Perché non è sempre vero che i sogni son desideri di felicità. A volte la felicità, anche se imperfetta, anche se faticosa, ce l’abbiamo già. Dobbiamo solo aprire gli occhi.


Titolo: Hugo e Rose
Autore: Bridget Foley
Traduttore: Nello Giugliano
Pagine: 332
Editore: edizioni e/o
Acquista su amazon:
formato brossura: Hugo e Rose
formato ebook: Hugo e Rose

martedì 15 settembre 2015

NEMMENO HOUDINI - Alessio Mussinelli

La vecchia Marta Lucia Moranti, aspra di natura e ancor più inasprita dal lutto, non aveva l’abitudine di vivere sola, né tantomeno aveva idea di come prendersi cura di sé e della propria casa. Per quanto la riguardava, il cibo cresceva in dispensa e si cuoceva sul fuoco come per magia. Dopo tre giorni di digiuno, convintasi che i prodigi e le uova strapazzate non avessero in realtà niente in comune, sparse la voce d’essere in cerca di un nuovo domestico. Sicuramente maschio, preferibilmente moro, possibilmente muscoloso, meglio se dotato di occhi versi. Adone mediterraneo, insomma, pressoché introvabile  Sarnico, novecento chilometri tondi da Bari.


Amo i libri ambientati in paese. Ancor più se in un paesino italiano, nel secondo dopoguerra, dove il ricordo del conflitto mondiale è si ancora forte, ma sta lasciando piano piano spazio alla voglia di rialzarsi. I paesi racchiudono un sacco di storie. Ancor più se sono paesi nel passato, quando il senso di comunità era talmente forte che davvero tutti conoscevano tutti e tutti sapevano storie su tutti. Credo che questi libri, queste storie semplici eppur così grandi per chi le vive, facciano bene al nostro paese, perché ridanno vita e colore a un ritratto che, presi come siamo dalla velocità e dall’evoluzione, stiamo lasciando un po’ sbiadire.
E, cosa non da poco, molti di questi libri lo fanno in modo divertente.Come Nemmeno Houdini di Alessio Mussinelli, pubblicato quest’anno dalla casa editrice Fazi nella collana Le Meraviglie.

Siamo a Sarnico, sul lago d’Iseo, nel 1946. La guerra lasciata alle spalle e nuovi gravi problemi da affrontare. L’anziana vedova Moranti, ad esempio, ancora non è riuscita a consumare con l’aitante maggiordomo Esperanto Barnelli, assunto nel 1938. In questi anni l’uomo non solo ha illuso la donna con false promesse di notti infuocate, ma l’ha anche convinta a compiere acquisti folli, sfruttando l’amore della donna per il vate D’Annunzio, della cui dipartita non è stata informate e  per il quale sarebbe disposta a tutto. La donna qualche sospetto di essere stata circuita inizia ad averlo, ma anziché ammetterlo pubblicamente preferisce vendicarsi per altre vie. E poi c’è la questione del nuovo prete, don Fulvio, giunto in paese molto di malavoglia dopo la morte dello storico reverendo che ben riusciva a sopportare la sua comunità. Don Fulvio è diverso, però. La messa non è intrattenimento, quindi via ogni orpello. E soprattutto via la musica. Il Don infrange così il sogno di Metello Patelli, detto Bruttezza, di diventare organista. Ma Metello non si arrende facilmente e decide di mettere insieme una piccola orchestrina e sfidare quel volere che proprio non può essere di Dio. Da lì in poi, il romanzo è un susseguirsi di colpi di scena, di prese di consapevolezza, di nuovi amori e di piccole vendette personali che finalmente possono realizzarsi.

È
 inutile, in realtà,  fare un riassunto completo della trama, perché rischierei di togliervi  il divertimento di scoprire da soli gli intrecci e i bizzarri personaggi.
Nemmeno Houdini è una commedia allegra e divertente, che fa sorridere praticamente sempre e più di una volta strappa anche risate fragorose (l’amore della vedova Moranti per D’Annunzio, ad esempio, ma anche la spiegazione del nome della Nina delle Merde).
È una via di mezzo tra Andrea Vitali e don Camillo e Peppone, come l’ha definito qualcuno nelle recensioni su aNobii. Certo, quel qualcuno lo ha inteso in senso negativo, mentre per me è un grande, grandissimo complimento (sarà che i film di Don Camillo e Peppone erano tra i miei preferiti quando ero bambina, al punto da farmi fare una gita a Brescello da adulta, e che adoro i primi romanzi di Andrea Vitali e le loro trame semplici eppur strampalate).


Alessio Mussinelli, con questo intreccio, che forse avrebbe potuto intrecciare ancora un pochino di più le due storie parallele della vedova e di Metello, con la grande varietà di personaggi che ha creato, tutti unici e incredibili a modo loro, e il suo stile divertente e mai irrispettoso, nemmeno di fronte ai comportamenti più deplorevoli, è riuscito in quello che dicevo all'inizio: riportare alla luce e ridare un po’ di colore a un passato di cui ci stiamo tutti un po’ dimenticando. Che aspettate a riscoprirlo?

Titolo: Nemmeno Houdini
Autore: Alessio Mussinelli
Pagine: 317
Editore: Fazi editore
Anno: 2015
Acquista su Amazon:
formato brossura: Nemmeno Houdini
formato ebook: Nemmeno Houdini

venerdì 11 settembre 2015

LUCERNARIO - José Saramago

Quando sarai cresciuto, vorrai essere felice. Per il momento non ci pensi ed è proprio questo il motivo per cui lo sei. Quando ci penserai, quando vorrai essere felice, smetterai di esserlo. Per sempre! Forse per sempre!... Hai sentito? Per sempre. Quanto più forte sarà il tuo desiderio di felicità, tanto più sarai infelice.La felicità non è qualcosa che si conquista. Ti diranno di sì. Non crederci. La felicità è o non è.



Lucernario è il primo romanzo di José Saramago. Il primo che ha scritto, tra la fine degli anni 40 e l’inizio degli anni ’50, ma anche uno degli ultimi ad essere pubblicato. Come ricorda Pilar del Río nella bella introduzione a questa edizione, il romanzo era stato dato per perso da Saramago stesso, dopo che lo aveva consegnato a una casa editrice affinché ne valutasse la pubblicazione, senza però mai ricevere alcuna risposta (considerate anche che a quei tempi non avevi copie del tuo romanzo salvate su dieci hard disk diversi). Quando il romanzo è ricomparso, nel 1999, Saramago era felice di averlo ritrovato, ma alla proposta di molti editori darlo alle stampe la sua risposta è stata “No, grazie, così vi imparate a non avermi risposto la prima volta” (ok, non credo abbia detto proprio “così vi imparate”, ma il concetto era quello). Avrebbe preferito un no onesto a quel per lui terribile e irrispettoso silenzio. Il romanzo è uscito poi postumo, nel 2011, l’anno successivo alla morte dello scrittore.

Lucernario è anche uno dei pochi romanzi di Saramago (tra quelli che ho letto io almeno, sette o otto) in cui l’autore utilizza la punteggiatura nel modo canonico. È la prima cosa che un lettore di Saramago nota iniziando a leggere questo libro. Uno stile più semplice, rispetto a quello a cui poi ci ha abituato dopo, più giovane (non per niente lo ha scritto che aveva meno di trent'anni), ma che racchiude già in sé tutta la grandezza narrativa dell’autore portoghese.

Siamo in condominio popolare in un quartiere di Lisbona in cui vivono sei famiglie. Ognuna con i suoi problemi, le sue gioie e i suoi dolori. In uno vivono quattro donne, due sorelle rimaste vedove e le due figlie di una di queste. Una delle giovani ama tantissimo la musica, l’altra non riesce a staccare gli occhi dai libri. La madre e la zia vegliano su di loro e si sconvolgono ad ogni piccolo turbamento della loro quiete.
In un altro c’è Lidia, una donna che fa la mantenuta, per non dover più vivere nell'ansia di non sapere come arrivare a fine giornata. Tutti nel palazzo conoscono gli orari di arrivo e di partenza del suo amante, tutti parlano, tutti giudicano, qualche uomo vorrebbe anche fare qualcosa di più, ma alla fine nessuno le si avvicina mai. In un altro, al piano terra che dà sulla strada, vivono Silvestre e Mariana una coppia quasi anziana, calzolaio lui, casalinga lei. Si amano e sono felici, nonostante i problemi di soldi e qualche rimpianto che la vita inevitabilmente lascia. E quando in casa loro arriva Abel, un giovane intellettuale incapace di legarsi a un posto, lo sono ancora di più.
In un altro ancora, vivono il linotipista Caetano e la moglie Justina. Non si amano, non si rispettano e, soprattutto, non sono riusciti a superare una terribile perdita  che ha segnato per sempre il loro rapporto già nato guasto. E anche l’altra giovane coppia, quella formata da Emílio e Carmen, e dal piccolo Henriquinho ha qualche problema. Anche loro, non si sopportano più. Anche loro si rifacciano delusioni e insoddisfazioni che non sanno o non vogliono risolvere. E nel sesto appartamento ci sono Anselmo, Rosalia e la figlia ventenne Claudinha. Sentono di essere una famiglia modello, nonostante i problemi economici, e soprattutto sono orgogliosi di quella figlia bellissima, che credono di vegliare e proteggere ma che in realtà sfugge loro un po’ di mano.

O sì, poi lì affacciati dal lucernario ci siamo noi lettori, che sbirciamo su quelle scale, dietro a queste porte, in quelle case e nelle vite di chi le popola. Lo facciamo con discrezione, senza essere visti, tant’è che una volta chiusa la porta di casa non ci sono sconti per nessuno. Né alla violenza, né alle lacrime, né alle delusioni o alle insoddisfazioni. Guardiamo senza essere visti e scopriamo tanti piccolo mondi sconosciuti, quelli di ogni famiglia.
Lucernario un libro molto bello. Lo è nel delineare i vari personaggi (i miei preferiti sono le quattro donne innamorate di musica e libri e la famiglia di Emilio e Carmen), ma anche i rapporti che si creano tra di loro nel condominio. Saramago è stato bravo a mettere su carta quello che in queste realtà succede davvero: tutti sanno tutto, tutti in casa parlano degli altri, in modo più o meno feroce, più o meno invidioso o benevolo, ma quando ci si incontra un sorriso e un buongiorno non si può mai negare.

Probabilmente per l’epoca in cui è stato scritto e Saramago ne ha tentato la pubblicazione, il libro era troppo scabroso, troppo rivoluzionario. L’entrare in casa delle persone e scoprirne i segreti, quelli che fuori dalle mura domestiche non andrebbero mai rivelati, quelle insoddisfazioni a cui non andrebbe mai data voce, forse era considerato troppo. Per fortuna Lucernario, questo “grande romanzo perduto”, è stato ritrovato e, soprattutto, pubblicato, perché è davvero un piccolo gioiello.


Titolo: Lucernario
Autore: José Saramago
Traduttore: Rita Desti
Pagine: 325
Editore: Feltrinelli
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mercoledì 9 settembre 2015

OLIVETTI, MOULINEX, CHAFFOTEAUX ET MAURY - Quim Monzó

“Ora però non era il momento di lamentarsi e di parlare di quel che si sarebbe potuto fare e non si era fatto perché, al momento buono, si tace, si manda tutto a quel paese e si tira dritto. In fondo, si vive solo una volta o due, e che il soffitto e il pavimento crollassero e le fondamenta su cui per tanti anni si era retta la sua esistenza andasse in briciole era il minimo che ci si poteva aspettare da una situazione come quella, da un vicolo cieco che minacciava di risucchiarlo per sempre e farlo sparire in una spirale senza fine”


Ma quanto mi piacciono i raccontini di Quim Monzó! Poche pagine ciascuno, quasi dei flash, che però riescono a dire più di quanto molti lunghi romanzi non facciano.
Me ne ero già accorta con le due raccolte di racconti precedenti, Mille cretini e Il perché di tutto sommato, e con questo Olivetti, Moulinex, Chaffoteaux et Maury, pubblicato sempre da marcos y marcos con la traduzione dal catalano di Gina Maneri, ne ho avuto la conferma.

Fin dal primo racconto, un banale tema di un bambino delle elementari su che cosa ha fatto la domenica che però nasconde una piega inaspettata. Ma anche dal racconto dello scrittore che non riesce a scrivere, distratto dai mille problemi tecnici nella casa in cui si è rifugiato apposta per cercare pace e, appunto, scrivere. O da quello di quell'uomo che vede ovunque la donna con cui ha passato la notte, solo che a volte è lei e a volte non lo è, anche se ha lo stesso aspetto. Di quell'altro che può fondare tutta una vita su un paio di gambe accavallate in un vagone di un treno o di quell'altro ancora, che proprio vorrebbe imboccare contromano uno dei viali più grandi della città. Ma anche il dialogo tra due gemelli che litigano per amore e la storia quell'acrobata di un circo che non ha mai messo piede due volte in una stessa città e non sa che effetto possa fargli, e quello di quella coppia che vuole lasciarsi e che riflette su cosa perde e cosa guadagna se finisse la loro relazione (Il nord del sud, il racconto che mi è piaciuto di più in assoluto).  

E si prosegue così, quasi senza accorgersene, a leggere dei bellissimi racconti (l’uomo vittima di telefonate anonime erotiche che non riesce più a vivere la sua vita; l’uomo che ha voglia di uccidere così, senza motivo; la donna che scrive una lettera a un uomo dicendogli che non avrà mai il coraggio di suicidarsi per lei, e che viene ritrovata sul cadavere dell’uomo; scherzi di puntualità; vecchi cinema che stanno chiudendo; di uomini depravati che si scontrano con donne dai problemi bizzarri; di scrittori che scrivono tutto che si dice). 

Sono proprio belli, vi dicevo, questi racconti, perché all'inizio parlano di persone qualsiasi, affette da problemi qualsiasi, che potremmo avere anche noi, e che poi virano verso un finale ad effetto, inaspettato, che colpisce il lettore nei punti giusti. Qui sta la forza della scrittura di Quim Monzò: nel creare situazioni banali, normali, con personaggi un po’ sfigati, molto comuni, le cui vite però nell'arco del racconto prendono pieghe inaspettate, virano a volte verso il nonsense, ma in tutta naturalezza, con una vena caustica e ironica che alla fine di ognuno lascia di che pensare. 
L’autore non fa sconti a nessuno, ma al tempo stesso non giudica, nemmeno i personaggi all'apparenza più moralmente deprecabili. Perché la vita è fatta così e le situazioni dei suoi personaggi potrebbero capitare un po’ a tutti.

Olivetti, Moulinex, Chaffoteaux et Maury è un libro piccino piccino ma in realtà grande, nei contenuti e nella vitalità che emana. Se amate quella vena di nonsense che c’è nella vita di tutti, allora dovete proprio leggere Quim Monzó e i suoi racconti di vita.

Titolo: Olivetti, Moulinex, Chaffoteaux et Maury
Autore: Quim Monzó
Traduttore: Gina Maneri
Pagine: 157
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 10,00 €
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lunedì 7 settembre 2015

SPAGHETTI COZZE E VONGOLE - Nicola Lagioia

Io non sono una di quelle lettrici che si lascia influenzare dai premi per scegliere che cosa leggere. O meglio,  mi lascio influenzare solo ed esclusivamente se il libro davvero mi interessa. Per carità, grazie alla vittoria del Nobel ho scoperto Alice Munro, ad esempio, autrice a cui sicuramente sarei comunque arrivata prima o poi, ma che comunque ancora non avevo letto e ora è tra le mie preferite. E ho letto il vincitore del premio Strega dell’anno scorso, Francesco Piccolo e il suo Il desiderio di essere come tutti, anche se ben prima che vincesse il premio, così come molti dei candidati di quest'anno. Insomma, che un libro e un autore abbia vinto o meno un premio mi importa relativamente (unica eccezione sono forse i Pulitzer, che sono quasi una garanzia), il libro deve comunque ispirarmi.

Tutta questa lunga premessa è per dire che Le ferocia di Nicola Lagioia, che ha vinto il Premio Strega 2015, non mi ispira per niente. Di questo autore avevo letto in passato Riportando tutto a casa, di cui ho qualche vago ricordo della trama e, soprattutto, dell’incredibile fatica che avevo fatto per terminarlo. Non dico che non si sia meritato il premio, in un annata in cui tra l’altro la qualità c’era eccome. Però, ecco, per il momento io passo.

Quindi, quando Slow Food Editore mi ha contattata per propormi la lettura di Spaghetti cozze e vongole, un racconto dell’autore che ha vinto il premio Strega e ora pubblicato in una nuova edizione, non poteva sapere che questa informazione più che convincermi avrebbe potuto allontanarmi.



Quel titolo, però, mi faceva letteralmente impazzire. Mi piacciono i libri che parlano di cibo, soprattutto se di un cibo che mi piace. E gli spaghetti cozze e vongole sono uno dei miei piatti preferiti.
E poi ho trovato davvero molto bella l’idea di questa collana di Slow Food, Piccola Biblioteca di Cucina Letteraria, che raccoglie diversi racconti d’autore a tema cibo. 
Per cui sì, dai, proviamo a leggere di nuovo qualcosa di Lagioia.

La primissima cosa che mi ha colpito quando ho avuto finalmente il piccolo volume in mano, dopo il titolo ovviamente, è stata la bellissima grafica di copertina: mi piace questo rosa shocking, mi piace il disegno e mi piace l’idea di ripiegare la sovracoperta. Esteticamente è davvero molto bello.
Per quanto riguarda i contenuti, devo ammettere che il racconto di Nicola Lagioia per me è stato quasi in più. È carino sì, questo collegamento tra il cibo e l’amore con la sua compagna, e vedere come un piatto di spaghetti può cambiare le sorti di una storia, da bambini quando neanche ce ne accorgiamo ma soprattutto da adulti.

Però a me ciò che più in assoluto è piaciuto non è stato tanto il racconto d’autore, forse un pochino troppo breve, si legge nel tempo in cui bolle l’acqua per gli spaghetti, ma la storia delle cozze e delle vongole, a cura di Eliza Azzimondi. Leggendo scopri come si pescano le cozze e le vongole, da quanto tempo vengono mangiate, come erano viste nel passato e soprattutto il loro diventare cibo “democratico”, che unisce le più aristocratiche vongole con le più popolari cozze. E poi beh, ci sono le ricette in chiusura che rendono il tutto più completo.

Nel complesso quindi, Spaghetti cozze e vongole è un libricino molto carino, che soddisfa tutti i tipi di palato: quello letterario con il racconto di Nicola Lagioia, quello storico e quello culinario.
E ora sono davvero troppo curiosa di leggere gli altri libri della collana.


Titolo: Spaghetti cozze e vongole
Autore: Nicola Lagioia
Pagine: 85
Editore: Slow Food editore
Anno: 2015

venerdì 4 settembre 2015

L'ODORE DELLA POLVERE DA SPARO - Attilio Coco

“Che fai, li porti sempre con te questi libri?”
“Sì, non ne posso fare a meno. Ormai mi seguono dappertutto. Sono una parte di me. Nell’ultimo anno li ho letti e riletti fino a ricavarne l’anima. Li ho divorati. Li conosco pagina per pagina, parola per parola, sillaba per sillaba. Non c’è niente che mi sia estraneo di questi due libri. E non c’è niente di me che sia estraneo a questi due libri”.


Devo ammettere, anche se sicuramente non mi fa molto onore, di non essere poi così ferrata sulla storia italiana a partire dal secondo dopoguerra. Sarà forse che nelle scuole viene trattata sì, ma molto frettolosamente. Sarà che alcune cose non vengono nemmeno ricordate. Fatto sta che conosco solo alcuni degli episodi più salienti, ma altri li ignoro completamente. 
Le cose le sto imparando adesso, piano piano, dai romanzi che sto leggendo. No, non saggi. Proprio i romanzi. Per me sono la fonte migliore per conoscere storie, fittizie ma anche e soprattutto reali, che non conoscevo.

L’odore della polvere da sparo di Attilio Coco, edito dalle edizioni Spartaco, è uno di quei libri che insegna qualcosa a chi li legge. 
Il romanzo inizia il 29 aprile del 1947, a Potenza, quando il protagonista, Gianni, è solo un ragazzo. Una mattina c’è un temporale, il professor Marotta tenta di spiegare un passo dell’Eneide ma è visibilmente distratto e sconvolto. Poi, quando la campanella suona e Gianni si accorge che il professore ha dimenticato la cartella e l’ombrello in aula. Li prende e li porta con sé. Nell'aria si sente uno strano odore, quello della polvere da sparo. C’è stato uno scontro in piazza tra i contadini venuti a protestare contro la fame che stanno patendo nelle loro campagne e i poliziotti, che non hanno esitato a sparare. Gianni viene scortato  a casa da un suo amico, Camillo, chiamato però da tutti Diavolo rosso, che la sera stessa poi lo porta in una libreria, dove si riunisco, oltre al professore Marotta, un gruppo di altri uomini e altre donne. Rivoluzionari, anarchici, li si potrebbe definire.
La storia inizia qui e poi prosegue negli anni. Le proteste di piazza in Italia continuano, anche dopo la firma della Costituzione. Episodi sempre più gravi e in qualche modo infossati, come lo strano suicidio dell’anarchico Pinelli dopo l’arresto, che lasciando intendere che le cose forse stanno sfuggendo un po' di mano. Gianni intanto segue il suo cammino, il suo sogno di andarsene e diventare attore. Approda a Roma e si scontra anche con le proteste e le barbarie di altri paesi, come l’Argentina, ad esempio, attraverso quella strana ragazza, che si fa chiamare Alejandra, che porta con sé sempre due libri e sa già quale sarà il suo destino. 
Gianni si allontana di nuovo, prosegue il suo cammino, senza mai dimenticare quello che è stato, a Potenza, a Roma, in Argentina. Mai. E lascia che si racconti la sua storia.

L’odore della polvere da sparo è, innanzitutto, un gran bel romanzo, per la trama e per lo stile, molto elegante se si può definire così uno stile, di Attilio Coco. Il libro, attraverso la storia di Gianni e di Pietro Mattei, lo scrittore che la sta scrivendo, offre uno spaccato d’Italia al tempo della guerra e del dopo guerra, da un punto di vista diverso, più umano forse, senza andare direttamente al centro delle battaglie, delle proteste, delle rivendicazioni, ma facendo vedere com'era il clima e, soprattutto, come lo viveva la gente. Racconta anche del passato, della guerra e del fascismo, solo sulla carta finito, che ancora si sente nell'aria e miete vittime.  
Ed poi è un libro che parla di sogni, alla fin fine. Di sogni collettivi di libertà e di uguaglianza, ma anche di quelli personali del protagonista che sta riuscendo a realizzarli, e di quelli destinati a infrangersi di alcuni degli altri protagonisti.
Le pagine che ho amato di più in assoluto sono quelle con Alejandra e quelle, tantissime, dedicate ai libri e alla letteratura, che possono davvero cambiare la vita.

Di cose da imparare sulla storia italiana ne ho ancora tantissime, ma Attilio Coco con L’odore della polvere da sparo ha aggiunto per me un tassello importante, e lo ha fatto con un romanzo davvero molto intenso, ricco di personaggi che difficilmente potrò dimenticare.
Molto consigliato!

Titolo: L'odore della polvere da sparo
Autore: Attilio Coco
Pagine: 272
Editore: Edizioni Spartaco
Anno: 2015
Acquista su Amazon:

giovedì 3 settembre 2015

STORIA DI UN CORPO - Daniel Pennac

13 anni, 4 mesi, 9 giorni
VENERD
Ì 19 FEBBRAIO 1937
Le gambe molli ma niente più febbre. Il dottore è tranquillo: dice che una scarlattina si "si sarebbe già dichiarata". L'espressione mi ha colpito perché, quando Violette parla di suo marito, dice sempre che "era caruccio quando si è dichiarato!". (È morto in guerra, subito, nel settembre del '14). Anche le guerre si dichiarano.

Mi scrocchio le dita prima di appoggiarle sulla tastiera. Incrocio le gambe sulla sedia. Di sottofondo, sento il ticchettio dell’orologio, il profumo all'arancia appena spruzzato dal profumatore della cucina arriva al mio naso. Incredibile quanto coinvolto sia ogni senso del nostro corpo anche nelle più piccole cose che facciamo. O forse è ovvio, anche se a volte nemmeno ci facciamo caso. Eppure sono cose che fanno parte della nostra vita e ci  possono accomunare agli altri più di qualunque altra cosa.

Storia di un corpo di Daniel Pennac, che io ho avuto la fortuna di leggere nella stupenda edizione illustrata da Manu Larcenet, racconta proprio quello che il titolo lascia intendere. È un diario, in cui il narratore annota e racconta i fatti salienti del suo corpo, da quando era bambino fino a poco prima di morire.Un diario che ha lasciato alla figlia prima di morire e in cui racconta l'evoluzione e i cambiamenti del suo fisico negli anni, le paure, le malattie, gli acciacchi, ma anche la semplice quotidianità e il modo in cui gli avvenimenti esterni lo hanno colpito.

60 anni, 10 mesi, 6 giorni
GIOVEDÌ  16 AGOSTO 1984
Lo scricchiolio della ghiaia sotto un passo tranquillo, sentito nel giardino del palazzo T., verso l'una di notte, mentre Mona è addormentata contro di me. Questo scricchiolio fa parte dei suoi rassicuranti della mia vita.

È un libro molto particolare, questo Storia di un corpo. Un libro che inizialmente, devo confessarlo, nemmeno volevo leggere. Sebbene le illustrazioni mi attirassero tantissimo, temevo fosse un romanzo noioso, prevedibile (che con un corpo ci conviviamo tutti, tutti i giorni, no?). Quando poi però mi sono decisa a iniziarlo, non riuscivo più a metterlo giù, talmente tanto è riuscito a coinvolgermi.

Ho adorato soprattutto la parte in cui il narratore è un ragazzino, con la contrapposizione tra la freddezza della madre e l'affetto e il calore della tata Violette, ma anche i primi moti apparentemente incontrollabili del suo corpo. E poi quando è più avanti con gli anni, con i figli già grandi e i nipoti da accudire e l'amore per la moglie che non scema in nessun modo. 

Ma tutto il libro è molto bello, in realtà, nella sua semplicità. Raccontare un corpo è raccontare la vita di chi in quel corpo ci vive, dando spazio a certi aspetti che per pudore forse a volte nascondiamo ma anche a quegli esperimenti "fisici" che tutti almeno una volta abbiamo fatto.
37 anni, compleanno
LUNEDÌ 10 OTTOBRE 1960
Durante una riunione particolarmente soporifera sui problemi di distribuzione, ho ceduto alla tentazione di verificare se lo sbadiglio è un fenomeno contagioso. Ho finto di sbadigliare, con un incredibile squartamento della faccia, seguito da un breve "chiedo scusa", e il mio sbadiglio si è propagato, diciamo, ai due terzi dei presenti - fino a tornare a me, facendomi sbadigliare sul serio!
Insomma, Storia di un corpo di Daniel Pennac è proprio un libro da leggere (e cercate l'edizione illustrata che lo rende ancora più speciale!)

Ora forse è meglio che mi metta seduta composta, o avrò mal di schiena per giorni.

Titolo: Storia di un corpo
Autore: Daniel Pennac
Traduttore: Yasmina Melaouah
Illustratore:  Manu Larcenet
Pagine: 414
Editore: Feltrinelli
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