venerdì 30 dicembre 2016

Le mie migliori letture del 2016

Ed ecco che finalmente arriva anche la lista delle mie migliori letture del 2016. Adoro pubblicare questo post proprio il penultimo o l'ultimo giorno dell’anno, un po’ per lasciare una speranza alle ultime letture di dicembre, un po’ per poter concludere in bellezza qui sul blog.

Come dicevo già nel post delle letture peggiori, a livello di letture questo 2016 è stato un anno molto particolare: ho letto meno del solito, a ritmi molto rallentati, soprattutto da agosto in poi. Nonostante questo, comunque, di libri davvero davvero belli ne sono entrati diversi nella mia vita in questi dodici mesi. Alcuni sono stati delle vere e proprie rivelazioni, altri delle riconferme, altri libri semplicemente fondamentali… in ogni caso, tutti romanzi che mi rimarranno nel cuore.

Il mio panda di peluche, entusiasta per le belle letture di quest'anno
(nella foto manca un libro)

I VENERDÌ DA ENRICO’S di Don Carpenter, pubblicato da Frassinelli, con la traduzione di Stefano Bortolussi: un bel romanzone, mi era venuto da definirlo mentre lo stavo leggendo. Che parla di scrittori e, soprattutto, di rapporti umani. Bello, bello, bello.

UN COMPLICATO ATTO D’AMORE di Miriam Toews, edito da Adelphi e pubblicato da Monica Pareschi: il più bel romanzo in assoluto di Miriam Toews (sì, persino più di In fuga con la zia, che già ritenevo un piccolo capolavoro). Nomi è un personaggio incredibile, così come lo è lo stile di questa grande autrice canadese. (Adelphi, ti prego, non farlo finire fuori catalogo!)

TRILOGIA DELLA PIANURA di Kent Haruf, pubblicati da NN editore e tradotti da Fabio Cremonesi: sono passati mesi da quando ho letto Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo e ancora non sono in grado di dire quale sia il più bello. Ho pianto un sacco, con tutti e tre, di tristezza e di gioia. Ho amato la fragilità di Dad e la dolcezza dei fratelli McPheron. E soprattutto lo stile di Kent Haruf. Tre libri bellissimi, anche per il significato che hanno avuto (e hanno ancora) di riflesso nella mia vita.

GIRL RUNNER di Carrie Snyder, edito da Sonzogno e tradotto da Gioia Guerzoni: una vera rivelazione. Temevo parlasse solo ed esclusivamente di corsa, e invece è una saga familiare, la storia di due sorelle, una che amava correre sfidando tutte le convenzioni, l’altra che non capiva questa passione. Da leggere anche se non si ama la corsa.

PIÙ PICCOLO È IL PAESE PIÙ GRANDI SONO I PECCATI di Davide Bacchilega, edito da Las Vegas edizioni: altra grandissima rivelazione di questo 2016. Un romanzo giallo ambientato nella Romagna invernale, quella senza turisti e senza ombrelli. Semplicemente geniale lo stile e bellissimi i personaggi. E poi, sul colpo di scena sono cascata come una pera.

LA FIGLIA SBAGLIATA di Raffaella Romagnolo, uscito per Frassinelli: un romanzo che è un pugno nello stomaco. La storia di una famiglia che sembra perfetta, ma che si sta sgretolando dall’interno. Durissimo e bellissimo.

7-7-2007 di Antonio Manzini, pubblicato da Sellerio: quinta avvenuta del vicequestore Rocco Schiavone, che fa un salto nel passato e ci racconta cosa è successo con Marina. E niente, mi sono innamorata ancora di più.

LA MIA VITA È UN PAESE STRANIERO di Brian Turner, pubblicato da NN editore e tradotto da Guido Calza: un memoir di guerra, che alterna descrizioni cruente a pura poesia. Durissimo e bellissimo.

LA SOGNATRICE DI OSTENDA di Eric-Emmanuel Schmitt, pubblicato da E/O e tradotto da Alberto Bracci Testasecca: altra racconta di racconti di Eric-Emmanuel Schmitt e di nuovo sono uno più bello dell’altro. Amo questo scrittore e questa è l’ennesima conferma.

LA SAGA DEI CAZALET di Elizabeth Jane Howard, edito da Fazi editore con la traduzione di Manuela Francescon: in realtà il primo volume, Gli anni della leggerezza, è uscito nel 2015, ma quest’anno ho letto il secondo, Il tempo dell’attesa, e il terzo, Confusione, e ne sono stata ancora una volta completamente conquistata. Una saga famigliare appassionante, di quelle che quando inizi non riesci a smettere di leggere. (Prevedo che ci sarà anche nella lista dei migliori del 2017, con i nuovi volumi).

Ci sono sicuramente stati anche altri libri meritevoli in questo anno di letture, ma questi sono state in assoluto le letture migliori. E direi che non mi posso proprio lamentare.

Ci rivediamo nel 2017, per un altro fantastico anno di letture rampanti!

giovedì 29 dicembre 2016

Le mie peggiori letture del 2016

Il 2016 è ormai agli sgoccioli e, come ogni anno, è tempo di bilanci qui sul blog.
Quest’anno è stato un po’ particolare, a livello di letture. Ho affrontato un paio di crisi, che mi hanno portato a leggere meno del solito e, soprattutto, con molto meno entusiasmo. Probabilmente il peso di sette anni di blog (che sono stati sette anni bellissimi, sia chiaro!) sta iniziando a farsi sentire. E se a questo si uniscono i grandi cambiamenti nella mia vita (anche questi bellissimi) negli ultimi mesi… be’ si dovrebbe riuscire a capire il perché di questo rallentamento nelle letture.
Tutto questo, ovviamente, non mi esime dallo stilare le ormai tradizionali liste dei libri dell’anno. Non so dire in realtà quanti ne abbia letti in totale (ché insieme alla voglia di leggere ha latitato un po’ anche quella di aggiornare aNobii), ma so per certo quali sono stati i  libri più belli e quelli più brutti (perché, ribadiamolo da lettrice, che spende tempo e soldi per ogni libro che legge, ho tutto il diritto di dire se una lettura mi sia piaciuta o meno. E da blogger ancora di più).

Come ormai da tradizione, partirò proprio dalle letture più brutte dell’anno. 
Ovviamente, si tratta di un parere completamente soggettivo, legato a un gusto del tutto personale, con cui potete tranquillamente trovarvi in disaccordo (il bello della lettura è proprio questo… uno stesso libro che genera opinioni completamente e diametralmente opposte, in base a chi lo legge).

Il mio pinguino, triste perché questi libri non gli sono proprio piaciuti. (Nella foto ne manca uno)
Ed eccoli qua, i nove libri che avrei potuto tranquillamente evitare di leggere in questo 2016 senza perdere nulla:

FLORENCE GORDON di Brian Morton, edito da Sonzogno: aspettative enormi, enormissime, verso un personaggio che avrebbe potuto essere fenomenale e invece è stato ridotto a una mera macchietta.

CAFE’ JULIEN di Dawn Powell, edito da Fazi editore: altro problema di aspettative, autogenerate dal bel titolo e dalla bella copertina e completamente disattese. (Che noia, aggiungerei).

NESSUNO SCOMPARE DAVVERO di Catherine Lacey, edito da Sur: ho odiato la protagonista (e i suoi bufali interiori) fin dalla prima pagina e questa antipatia è durata per tutta la lettura, condizionandola inesorabilmente.

LA BATTAGLIA NAVALE di Marco Malvaldi, pubblicato da Sellerio: non immaginate quanto mi pianga il cuore a inserire un libro di Malvaldi in questa lista. Ma avevo aspettato così tanto una nuova storia dei vecchietti del BarLume, che trovarmi di fronte a questo, per me, è stata una vera fregatura.

TUMBAS. TOMBE DI POETI E PENSATORI di Cees Noteboom, uscito per Iperborea: immagino che il pellegrinaggio sulle tombe fatto da Cees Noteboom sia stato bellissimo, davvero. Ma leggere questo libro è un po' come quando qualcuno vuole a tutti i costi farti vedere le 1500 foto che ha scattato durante le sue vacanze: all'inizio rimani sveglio, poi dopo un po' ti chiedi semplicemente "perché?".

HARRY POTTER AND THE CURSED CHILD di J.K. Rowling, John Tiffany & Jack Thorne, pubblicato in Italia da Salani: sì, lo so che non era l’ottavo romanzo di Harry Potter. So che era il copione dell’opera teatrale e che leggere i copioni è sempre un po’ straniante. Però, che cavolo, un po’ di rispetto per tutti i fan di Harry Potter!

UN AMORE DI SALINGER di Frédéric Beigbeder, edito da Mondadori: ovvero lo scrittore più antipatico e autoreferenziale che io abbia mai letto. Almeno quest’anno.

KATHERINE di Rupert Thomson, pubblicato da NN: una lettura faticosissima, forse per un problema di distanza anagrafica con la protagonista. 

RICETTARIO AMOROSO DI UNA PASTICCIERA IN FUGA di Louise Miller, edito da Sonzogno: colpa mia, colpa mia… avrei dovuto immaginare che con un titolo così non si sarebbe trattato di un capolavoro. Ma mi sono fatta attirare da questa copertina bellissima (che trovo bellissima ancora oggi, nonostante tutto). Ben mi sta.

Tutto sommato, avrebbe potuto andare anche molto peggio. Anche perché il problema con la maggior parte di questi libri è legato più a una questione di mie aspettative che non di "bruttezza oggettiva" (checché se ne dica, esiste eccome) del romanzo. E poi, buona parte degli editori i cui libri si trovano in questa classifica di letture peggiori si troveranno anche in quella dei migliori, che uscirà nei prossimi giorni. 

E voi che mi dite? Quali sono state le vostre peggiori letture di questo 2016? 

sabato 24 dicembre 2016

Buon Natale a tutti!

L’anno scorso oggi, per farmi e farvi gli auguri di Natale, avevo scritto una bella letterina a Babbo Natale. Un po’ all'ultimo momento, in effetti, ma gli avevo chiesto solo cose non materiali, che avrebbe potuto portarmi in qualunque momento.

Quest’anno ero intenzionata a fare la stessa cosa, a scrivere di nuovo a Babbo Natale una bella lista di cose che vorrei. E ci ho anche provato, a mettermi lì e scrivergli qualcosa. Ma sono stata davanti a una pagina bianca per una buona mezz'ora senza riuscire a mettere giù nulla. A pensare e ripensare a cosa potrei volere quest’anno, in cui di cose ne sono cambiate tantissime. Ma niente, non mi è venuto in mente niente. 
E non è nemmeno così difficile capire perché.

© Kerry Meyer

Perché il regalo più grande e più bello che potesse portarmi me lo ha già portato, quest’anno.
In un modo improvviso, completamente inaspettato e travolgente. E sono belli, i regali che arrivano così e ti stravolgono completamente la vita. Soprattutto se insieme a essi ti viene dato anche il coraggio di riceverli, di affrontare tutte le difficoltà che bisogna superare per poterseli godere.
Eh sì, perché ci sono dei regali talmente tanto grandi, talmente tanto belli, che quando li scarti all'inizio destabilizzano un po', fanno quasi paura, perché non ti spieghi come qualcosa di così incredibile sia arrivata proprio a te, che nemmeno la stavi cercando.


Non ho mai voluto spiegare di preciso che cosa sia successo negli ultimi mesi nella mia vita. Un po’ perché qui ho parlato quasi sempre solo di libri, o comunque della mia vita in modo molto generico.
Un po’ perché ci sono cose che, semplicemente, non vanno spiegate. Si vivono e basta. Perché per te hanno un senso e per altri magari no. Perché tu le capisci e sai quanto siano giuste, quanto sia belle e debbano essere proprio così e altri invece no, e ci vedono solo lo sbagliato, solo il male. (E per queste persone, che cercano necessariamente un senso a cose come l'amore e, soprattutto, che vedono necessariamente solo il brutto, il male nelle cose belle, un po' mi dispiace, devo dire la verità).

Certo, se avessi potuto, avrei voluto risparmiare un po' di dolore. Avrei voluto evitare che questo regalo, così bello e così grande per me, facesse male ad altri. Anche se magari è durato poco ed è passato subito, è comunque qualcosa che avrei voluto non ci fosse. E questa forse è anche l’unica cosa che potrei chiedere a Babbo Natale quest’anno. Di far guarire in fretta, di far dimenticare e ricominciare chi da questo regalo è rimasto tagliato fuori (non per mettermi a posto io la coscienza, ma per loro, per aver la possibilità di cogliere anche loro tutti i regali che la vita inaspettatamente può mettere davanti ogni giorno).

Per il resto non saprei che altro chiedere. Magari un po’ di lavoro in più, quello sì, ma anche su questo aspetto qualcosa si sta piano piano muovendo. E anche un po’ di voglia in più di leggere, già che ci siamo, che negli ultimi mesi ha un po’ latitato e un po' mi manca (ma quando la vita prende il sopravvento, è normale che i libri vengano un po' messi da parte). Poi la serenità e la salute per le persone a cui voglio bene e tutte quelle altre cose che vorrei ci fossero ogni giorno di ogni anno, per tutti.

Ora come ora non mi serve nient’altro. Ho pure una gatta buffissima, che sta lì seduta in fondo al letto a fissarmi mentre scrivo questo post e ogni tanto muove la testolina un po’ perplessa. 

E, soprattutto, ho Luca.

© Elissabetta Decontardi

Spero che anche il vostro Natale sia così. Che tutto quello che più desiderate vi sia già arrivato e che ora possiate semplicemente stare lì, magari seduti davanti a un albero di Natale accesso o facendo la cosa che più vi piace fare, a godervelo.
E se non è ancora successo, succederà. Quando meno ve lo aspettate. Quando forse nemmeno lo state cercando. E sarà bellissimo.

Tantissimi auguri di Buon Natale a tutti voi!

mercoledì 21 dicembre 2016

Com’è andare per la prima volta a Più Libri Più Liberi

(Questo mio post è stato pubblicato su Ultima pagina il 13 dicembre 2016)

Si è conclusa domenica 11 dicembre la quindicesima edizione di Più Libri Più Liberi, la Fiera Nazionale della piccola e media editoria organizzata dal Gruppo Piccoli Editori dell’Associazione Italiana Editori, che si svolge al Palazzo dei Congressi del quartiere EUR, a Roma. Una fiera che, fin dalla sua nascita avvenuta nel 2002, è dedicata alle realtà indipendenti e che per questo motivo attira un pubblico di lettori interessato anche a un’editoria indiestream, e non solo a quella mainstream, che caratterizza invece le fiere più grandi dove sono presenti anche i maggiori gruppi editoriali italiani.
Ma com’è andare per la prima volta a Più Libri Più Liberi? Come per tutte le fiere di questo tipo, è possibile consultare il programma degli eventi e l’elenco degli espositori già qualche settimana prima, sul sito web, così da poter organizzare al meglio la visita in base agli incontri, ai propri interessi, ma anche alla voglia di girare in tutta tranquillità, evitando le giornate più affollate. Quest’anno la fiera, il cui tema è riassunto dall’hashtag #sonotuttestorie, si è svolta dal 7 all’11 Dicembre, a cavallo del ponte dell’Immacolata. Una scelta sicuramente meditata e consolidata negli anni, il cui scopo è portare più visitatori, che però, in realtà, rischia di creare l’effetto opposto: bisogna davvero essere appassionati di libri e di lettura, di scrittori e editori indipendenti, per decidere di trascorrere lì uno dei pochi ponti disponibili durante l’anno (oltre a non tener conto delle esigenze degli editori, costretti a lavorare in giorni di festa).

Una volta scelto il giorno e consultato il programma, si può finalmente entrare nel Palazzo dei Congressi e girovagare tra i vari stand. Non si fa molta coda, né alle casse né al momento dell’ingresso, a meno che non si decida di entrare proprio all’apertura dei cancelli. Gli stand sono tutti uguali a livello di struttura, a cambiare è solo la dimensione. E questa forse è una delle cose più belle delle fiere della piccola e media editoria in generale, e di Più Libri Più liberi in particolare: ovvero la possibilità offerta a ogni editore di avere la stessa visibilità di un altro, magari più grande e più conosciuto, senza che sia necessariamente la qualità estetica di uno stand, spesso determinata da fattori economici, ad attirare possibili acquirenti. Ogni editore ha poi ovviamente la possibilità di personalizzare il proprio spazio interno come preferisce, ma questa omologazione strutturale fa in modo che l’attenzione sia davvero focalizzata sui libri. La stessa accortezza andrebbe però usata anche nella selezione degli editori ospiti, perché la presenza di numerosi editori a pagamento o a doppio binario rischia di penalizzare l’immagine dell’intera fiera (problema di cui si discute da anni, che riguarda in realtà tutte le fiere del libro sul territorio nazionale e che l’AIE probabilmente prima o poi farebbe meglio ad affrontare).

Un’altra problematica è quella legata allo spazio espositivo nel suo complesso: gli editori presenti sono tanti e il modo in cui è suddivisa l’area del Palazzo dei Congressi, nei giorni di maggiore affluenza (il sabato, nell’edizione di quest’anno), rende spesso difficoltoso il muoversi tra una zona e l’altra. La situazione diventa ancor più difficoltosa al piano superiore, dove si trovano tutte le sale degli incontri, a eccezione del Caffè letterario, e gli stand di altri piccoli editori. Nel complesso, comunque, è sicuramente una fiera a misura d’uomo, in cui si passeggia volentieri ed è facile trovare gli editori e tutti i luoghi che si cercano. Mancano, però, luoghi di sosta e di ristoro pensati per un pubblico vasto: un’assenza, questa, che accorcia di molto la durata della permanenza dei visitatori all’interno della fiera – e di conseguenza le possibilità di vendita.

Il programma degli incontri, come si diceva, è abbastanza ridotto e si divide in quattro filoni precisi. Ci sono eventi di carattere prettamente professionale, concentrati nei giorni di minor affluenza di non addetti ai lavori, che forniscono uno sguardo in generale sul mercato del libro e dell’editoria indipendente, tra cui, ogni anno, l’analisi dei dati Nielsen sullo stato della lettura e delle vendite e, quest’anno, il confronto tra Chiara Valerio e Nicola Lagioia, responsabili rispettivamente di Tempo di Libri di Milano e del Salone Internazionale del Libro di Torino. C’è poi un ricco programma dedicato ai bambini, che hanno all’interno della fiera uno spazio interamente riservato, in cui possono partecipare a letture ad alta voce e laboratori, e poi le presentazioni organizzate dagli editori: alcune con grandi nomi che attraggono più pubblico, per esempio, quest’anno in chiusura c’è stato Andrea Camilleri, ma nei giorni precedenti anche Zerocalcare, Antonio Manzini, Vittorio Sgarbi, Enrico Mentana; altre con autori meno famosi, che hanno avuto, grazie a Più Libri Più Liberi, la possibilità di farsi conoscere. E questa visibilità, che riguarda gli autori ma soprattutto gli editori, è un’altra delle grandi forze delle fiere dell’editoria dedicate esclusivamente all’editoria indipendente: dare uno spazio e un’occasione per presentarsi e raggiungere i lettori a quelle case editrici che al di fuori delle fiere non sempre trovano il modo di farsi notare.

In effetti gli editori presenti sono stati davvero tanti. Alcuni un po’ più grandi e già conosciuti, grazie alla loro storia e ad alcuni colpi editoriali messi a segno negli ultimi anni (si pensi a minimum fax, ma anche a Sellerio, e/o o Iperborea); altri comparsi sul panorama letterario italiano solo negli ultimi anni ma già con una precisa identità (per esempio NN Editore e SUR), altri ancora molto piccoli, ma comunque con un target di lettori ben definito. Qui tutti trovano il loro spazio, a volte più visibile, a volte meno, in base alla posizione che occupano all’interno dell’area espositiva, e tutti hanno una loro voce.

E l’affluenza di pubblico in questi cinque giorni (cinquantamila presenze, secondo il comunicato stampa ufficiale di chiusura), così come negli anni passati, dimostra e conferma che sono in molti in Italia a voler ascoltare queste voci.

lunedì 19 dicembre 2016

Due favole per Natale: Il caso dell'oca di Natale di Arthur Conan Doyle e La volpe nella mangiatoia di P.L. Travers

Pur essendo da sempre una grande appassionata del Natale (di quelle persone che a metà novembre iniziano a scalpitare per accendere lucine, appendere palline, confezionare pacchetti e mangiare panettoni pieni di cioccolato, per intenderci), mi capita molto raramente in questo periodo di leggere libri a tema. Forse perché non ho una programmazione precisa delle mie letture, forse perché qualsiasi libro per me diventa natalizio quando lo si legge sul divano davanti all'albero di Natale acceso, forse per evitare un sovraccarico di spirito natalizio... in ogni caso, romanzi e racconti a tema non ne leggo quasi mai.
Quest'anno, però, ho fatto un'eccezione. Anzi, due. Perché di fronte a certi racconti e a certe bellissime collane, non riesco proprio a resistere.


Il primo racconto è Il caso dell'oca di Natale di Arthur Conan Doyle, pubblicato da Interlinea edizioni con la traduzione di Marina Vaggi, nella bellissima collana Nativitas. Una delle scoperte più belle di Più libri più liberi, aggiungerei: una collana tutta incentrata sul Natale, che raccoglie racconti, lettere, scritti di vario genere di autori italiani e stranieri del passato.
Il mio occhio è caduto subito sul buon vecchio Conan Doyle, perché mi piaceva l'idea di scoprire come passa il suo Natale Sherlock Holmes. 
E lo passa indagando, ovviamente. In questo caso, sul mistero di un'oca dentro al cui becco viene trovata una pietra azzurra di enorme valore, rubata qualche giorno prima alla contessa di Morcar in un lussuoso albergo londinese. Come ci è finita quella pietra preziosa dentro a un'oca? Dopo un po' di indagini, in compagnia del fidato Watson anche durante le feste, Sherlock Holmes risolverà ancora una volta il mistero.

Il secondo racconto è invece La volpe nella mangiatoia di Pamela Lyndon Travers, edito da Sellerio con la traduzione di Orietta Guaita e le belle illustrazioni di Thomas Bewick. In questo caso, ad attirarmi è stato il mio amore per Mary Poppins (che sotto Natale si amplifica sempre un po', in ricordo della tradizione mia e di mio fratello di guardare il film una volta l'anno, proprio in questi giorni) e il ricordo di quanto mi fosse piaciuta Zia Sass, la raccolta di racconti che Sellerio ha pubblicato proprio in questo periodo l'anno passato.
Qui ci troviamo di fronte a una favola natalizia vera e propria, ambientata durante la prima messa di Natale nella chiesa di Saint Paul, a Londra, dopo la fine della guerra. Protagonista è la volpe Reynard che, sebbene osteggiata da tutti gli altri animali, porta a Gesù bambino un dono esclusivo, che nessun altro animale della mangiatoia può portare.

Due favole, più tradizionale quella di P. L. Travers, in perfetto stile giallo (anche se senza omicidi) quella di Conan Doyle, che si leggono in una sera e che, complici le decorazioni, i pacchetti e le mille lucine sull'albero di Natale a far da sfondo alla lettura, riescono a trasmettere perfettamente lo spirito e la magia di questi giorni. Oltre a farti venire venire voglia di leggerne altre, tante, tante altre, di storie natalizie come queste. 


Titolo: Il caso dell'oca di Natale
Autore: Arthur Conan Doyle
Traduttore: Marina Vaggi
Pagine: 40
Editore: Interlinea
Prezzo di copertina: 6€
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Titolo: La volpe nella mangiatoia
Autore: Pamela Lyndon Travers
Traduttore: Orietta Guaita
Pagine: 100
Editore: Sellerio
Prezzo di copertina: 10€
Acquista su Amazon:

venerdì 16 dicembre 2016

PICCOLI CRIMINI CONIUGALI - Eric-Emmanuel Schmitt

GILLES: È contro natura amare per sempre, amare a lungo
LISA: Non è vero.
GILLES: Per fare in modo che duri bisogna accettare l'incertezza, bisogna avanzare in acque pericolose, avventurarsi là dove si procede solo con la fiducia, risposarsi galleggiando su onde contraddittorie, certe volte di dubbio, certe volte di fatica, certe volte di serenità, ma mantenendo sempre la rotta.


Leggo raramente le pièce teatrali. Non perché non mi piacciano (e Casa di bambola di Ibsen, ma anche Ricorda con rabbia di John Osborne, mi hanno fatto letteralmente impazzire), ma perché credo che si debba essere davvero bravi a scriverle per fare in modo che funziono anche lette e non solo messe in scena.

Puntavo Piccoli crimini coniugali di Eric-Emmanuel Schmitt, pubblicato in Italia da edizioni e/o con la traduzione di Alberto Bracci Testasecca, già da un bel po’, senza però mai riuscire a decidermi. Di questo autore francese ho letto, e amato immensamente, solo racconti, sebbene la sua produzione sia molto, ma molto più vasta e comprenda anche romanzi e, appunto, pièce teatrali. Forse avevo paura che cambiando genere, cambiasse anche il mio amore per lui (ché non tutti gli scrittori sono capaci di destreggiarsi tra un genere e l’altro sempre con lo stesso risultato). Poi, a Più Libri Più Liberi, questo libro mi è inaspettatamente giunto in regalo, permettendomi così di soddisfare la mia curiosità.

Piccoli crimini coniugali è il dialogo tra Gilles e Lisa, marito e moglie, che ritornano finalmente a casa, una sera, dopo che lui è stato ricoverato in ospedale dopo un incidente domestico, che gli ha fatto perdere la memoria. I due sono molto trattenuti, hanno perso quella famigliarità che tutte le coppie sposate hanno, o dovrebbero avere, e non sanno bene come comportarsi l’uno con l’altra. Forse perché quell'incidente ha scoperchiato qualcosa rimasto sopito da tanto tempo, dando il via, tra un colpo di scena e l’altro, a una resa dei conti sulla vita di coppia e sull’amore in generale.

Ogni volta che mi capita di leggere un libro di Eric-Emmanuel Schmitt in cui parla d’amore, mi stupisco ogni volta del modo in cui riesce ad arrivare così in profondità e portarne alla luce tutti i segreti, le cose non dette, belle o brutte che siano. Lo avevo già notato in L'amore invisibile, ma anche in buona parte dei racconti che compongono La sognatrice di Ostenda. Qui, in Piccoli crimini coniugali, porta l’amore e la vita di coppia al suo estremo, in una commedia nera che sembra anche uno scontro, una resa dei conti finale, in cui si scontrano un uomo e una donna, ma anche due idee diverse d’amore. Che forse possono convergere, o forse no.

LISA: Tu non ti scoraggi mai?
GILLES: Altroché.
LISA: E allora?
GILLES: Ti guardo e mi chiedo se malgrado i miei dubbi, i miei sospetti, le mie inquietudini e la mia stanchezza ho davvero voglia di perderti. E la risposta mi viene sempre. Sempre la stessa. E insieme a lei mi viene il coraggio. Amare è irrazionale, è una fantasia che non appartiene alla nostra epoca, non si giustifica, non è pratico, la sua unica giustificazione è che c'è.

E quindi sì, Eric-Emmanuel Schmitt sa scrivere pièce teatrali che funzionano anche solo lette (sebbene la voglia di vedere questa opera messa in scena adesso è davvero tanta), e mi conferma di essere uno di quegli autori di cui leggerei probabilmente anche la lista della spesa, trovandola bellissima e geniale. 
Ora non mi resta che provare un suo romanzo, ma ho come l’impressione che nemmeno in quel caso mi deluderà.


TITOLO: Piccoli crimini coniugali
AUTORE: Eric-Emmanuel Schmitt
TRADUTTORE: Alberto Bracci Testasecca
PAGINE:145
EDITORE: edizioni e/o
ANNO: 2004

mercoledì 14 dicembre 2016

IL TESORO DEL SIGNOR ISAKOWITZ - Danny Wattin

È una bella sensazione. Che noi insieme, tre uomini in un'automobile, stiamo viaggiando a ritroso verso le nostre origini, in un tentativo di riprenderci quello che è nostro. Effettivamente è proprio una splendida giornata per cominciare un viaggio.


Mi capita molto spesso di acquistare libri di cui non ho mai sentito parlare perché attratta da una bella copertina. Poi leggo anche la trama e la biografia dell’autore, ovviamente, per capire se davvero quel libro possa fare per me. Però, ecco, una copertina che mi piace svolge sicuramente un ruolo fondamentale negli acquisti fatti d’impulso.

Il tesoro del signor Isakowitz di Danny Wattin, pubblicato in Italia da Bompiani con la traduzione di Carmen Giorgietti Cima, è arrivato tra le mie mani così. Non ne avevo mai sentito parlare, ma l’ho visto lì, su uno scaffale del Libraccio, con quella sua buffa copertina azzurra piena di disegnini, e l’ho preso in mano. Poi vicino a me è arrivato il mio compagno, che l’ha visto tra le mie mani e mi ha detto “sì, l’ho notato anche io prima, e ho proprio pensato che questo fosse un libro per te”.

Questo romanzo è la storia di un viaggio, quello compiuto da Leo, suo padre Danny e suo nonno, verso la Polonia, alla ricerca del tesoro che, secondo una leggenda di famiglia, il bisnonno di Leo avrebbe sotterrato prima dell’invasione nazista. Sono passati tanti anni da allora, ma Danny decide di assecondare il figlio e di partire all’avventura insieme a lui e al padre, alla ricerca delle proprie radici, sradicate dalla persecuzione degli ebrei e ancora oggi non del tutto ritrovate.
Questo buffo viaggio in auto, ricco di scontri generazionali sul cibo e sulle nuove tecnologie, ma anche sulla visione generale del mondo, diventa un pretesto per fare un altro viaggio, questa volta nel passato e nella storia della famiglia Isakowitz: è così che si scopre come la famiglia abbia vissuto gli anni della guerra e delle persecuzioni, come le abbia affrontate, cosa abbia perso e quali ricordi abbia lasciato.

Sì, Il tesoro del signor Isakowitz di Danny Wattin è effettivamente un libro per me. Perché mi piace quando il presente diventa un’occasione per raccontare il passato; mi piace quando si parte in cerca delle proprie radici e si riesce a trovare anche il proprio presente. E mi piacciono, tantissimo, i libri che parlano di famiglie, delle dinamiche e dei rapporti che le uniscono, di come caratteri diversi possano scontrarsi, ma anche di come le differenze generazionali a un certo punto spariscano, quando ci si vuole bene (e poi, diciamocelo, il padre di Danny è fenomenale).

Probabilmente questo libro di Danny Wattin è rivolto principalmente a lettori più giovani, per la delicatezza con cui vengono raccontate le vicende terribili delle persecuzioni e delle deportazioni, per il modo che l’autore ha di esporre i fatti e di descrivere i buffi siparietti tra nonno, padre e nipote. Ma è un libro anche per adulti (come in realtà lo sono quasi tutti i libri per ragazzi), che amano le storie di famiglia e che credono che il passato non debba mai essere dimenticato.

E poi ve l'ho detto che secondo me ha una copertina bellissima?

Titolo: Il tesoro del signor Isakowitz
Autore: Danny Wattin
Traduttore: Carmen Giorgetti Cima
Pagine: 234
Editore: Bompiani
Prezzo di copertina: 18€
Acquista su Amazon:

lunedì 5 dicembre 2016

LA DANZA DELLE FALENE - Poppy Adams



Ho sempre avuto una certa passione per le saghe famigliari. Mi piacciono quei libri che raccontano le storie, i rapporti, i segreti, le evoluzioni che nascono all’interno di un nucleo famigliare e segnano l’esistenza di chi le vive. Forse perché sono, sostanzialmente, una persona curiosa, forse perché sono convinta che in ogni famiglia, in ogni casa, ci sia una storia da raccontare. Mi piacciono quelle saghe famigliari che partono da lontano e ripercorrono le vite di molte persone, ma anche quelle che si concentrano solo su una generazione.

La danza delle falene di Poppy Adams, pubblicato in Italia prima da Neri Pozza e poi da BEAT edizioni con la traduzione di Massimo Ortelio, rientra in quest’ultima categoria. Un padre, una madre e due figlie, Ginny e Vivian.
Il racconto inizia con le due sorelle ormai anziane. Ginny non ha mai lasciato la casa in cui è nata e ha vissuto, portando avanti per tutta la vita il lavoro di lepidotterista ereditato dal padre Clive, e ora vive in un mondo fatto di abitudini e routine che non vuole sia turbato da nessuno. Ma sua sorella Vivian, dopo più di quarant'anni d’assenza, ha deciso di tornare, per vivere gli ultimi anni della sua vita con la sorella. Dall’arrivo di Vivian a casa, una marea di ricordi sopiti e a volte distorti si fa largo nella mente di Ginny, che si ritrova a ripercorrere tutto il passato della sua famiglia: da quella volta in cui Vivian è caduta da una torre ed è sopravvissuta per miracolo, ai ricordi della loro infanzia e adolescenza, fino alla morte della madre prima e del padre poi, avvenuta molti anni dopo. Eppure Ginny è turbata da qualcosa, qualcosa che la presenza di sua sorella non fa che alimentare. Verità, segreti e risentimenti del passato vengono a galla e l’anziana donna sa che esiste solo un modo per farli tacere.

Quando sono arrivata alla fine di La danza delle falene per qualche minuto sono rimasta semplicemente senza parole. Un finale che non mi aspettavo e che ha esplicitato al meglio quello strano senso di inquietudine che mi ha accompagnata durante tutta la lettura e mi ha tenuta incollata alle pagine.
Era da tempo che non mi capitava di provare questa sensazione, leggendo. Ed era da tempo che non trovavo un personaggio così ben caratterizzato come quello di Ginny, che in parte fa una tenerezza infinita, per la sua ingenuità, in parte inquieta tantissimo, proprio per lo stesso motivo. E quindi tu ti ritrovi a leggere e non capire del tutto quale sia la ragione, quale sia la verità. Che cosa effettivamente sia successo.

È un libro bello, questo di Poppy Adams. Un libro che coinvolge (anche se alcune delle parti sulle falene e gli insetti sono un pochino noiose), appassiona e tiene ben desta l’attenzione del lettore fino all’ultima pagina. Assolutamente da leggere.


Titolo: La danza delle falene
Autore: Poppy Adams
Traduttore: Massimo Ortelio
Pagine: 294
Editore: BEAT
Prezzo di copertina: 9€
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sabato 3 dicembre 2016

La mia prima volta a Più Libri Più Liberi: gli incontri a cui vorrei partecipare

Ebbene sì, quest'anno andrò anche io, per la prima volta, a Più Libri Più Liberi, la fiera nazionale della Piccola e Media editoria che si tiene a Roma, al Palazzo dei Congressi dell'Eur, da mercoledì 7 a domenica 11 dicembre.



Inutile dire che non vedo proprio l'ora. Sono anni che cerco di organizzarmi per andare e anni che, per un motivo o per l'altro, alla fine non ci sono mai riuscita. Ci voleva Luca, che sarà là per lavoro tutti e cinque i giorni allo stand di NN editore, a darmi finalmente la spinta giusta per andarci. E quindi mi troverete a gironzolare per gli stand e a seguire incontri e conferenze dal mercoledì alla domenica (con qualche pausa di tanto in tanto per fare un giretto a Roma, ché sotto Natale è ancora più bella).

Ho dato un'occhiata al programma, non così vasto eppure non così semplice da consultare (mettete gli eventi in ordine d'orario, porca miseria!) e sono riuscita a segnare alcuni degli incontri che più mi interessano e che vi segnalo qui.

MERCOLEDÌ 7
ore 14
L’andamento del mercato 2016 alla vigilia del Natale e la piccola editoria. Da un’editoria mainstream a una indistream? - Sala Aldus Room

ore 15
Tempo di libri. Fiera dell’editoria italiana (19-23 aprile 2017) - Sala Rubino

ore 17
Longform: i libri tutto l’anno - Caffè letterario

GIOVEDÌ 8
ore 13
Come è cambiata la piccola editoria negli ultimi 10 anni. Editori allo specchio - Sala Aldus Room

ore 15
Una perfetta geometria. Presentazione del romanzo di Giorgio Serafini Prosperi - Sala Turchese

ore 16
“7-7-2007” e “La fabbrica di stelle”. Presentazione dei romanzi di Antonio Manzini e di Gaetano Savatteri - Sala Diamante

ore 18
Più Gorilla Più Sapiens Reading - Caffè letterario

VENERDÌ 9
ore 13
Arrivare ai non lettori (tra letti di notte, giri d’Italia e librerie) - Sala Turchese

ore 16
Americana. Presentazione del libro di Luca Briasco - Sala Turchese

ore 16.30
Fantastic Mr. Dahl - Spazio ragazzi

 ore 18
A che servono i Saloni del Libro - Sala Diamante

SABATO 10
ore  13
Overlove. Presentazione del libro di Alessandra Minervini - Sala Corallo

ore 16
Warlock. Presentazione del libro di Oakley Hall - Sala Turchese

DOMENICA 11
ore 16
Un solo paradiso. Presentazione del libro di Giorgio Fontana - Sala Rubino

ore 19
Tre maestri (involontari): Cortázar e altri sudamericani militanti - Sala Turchese


Sicuramente ci sono molti altri incontri e presentazioni interessanti, ma queste sono quelli che più interessano a me e a cui farò di tutto per partecipare (anche se in alcuni casi è richiesto il dono dell'ubiquità oppure una giratempo).

E quindi, niente, per chi non ci sarà, cercherò di raccontare sulla pagina Facebook e su Twitter l'aria di questa fiera e gli eventi a cui parteciperò. Per chi invece sarà presente uno di quei cinque giorni e vuole fare due chiacchiere, mi potrà riconoscere dalla solita borsa rampante (o trovarmi spesso allo stand NN). Se no, ci si può anche vedere per un caffè o una bella amatriciana in centro (che Roma sotto Natale è bellissima l'ho già detto, sì?).

mercoledì 30 novembre 2016

ESCHE VIVE - Fabio Genovesi

Ci sono cose che sono proprio giuste, cose che semplicemente devono succedere per quanto sono belle, anche se poi non succedono. Ma non c'è problema, perché magari succedono domani, o il giorno dopo domani o quando gli pare a loro.


Mi capita spesso di scoprire un autore dall’ultimo romanzo che ha pubblicato e poi da lì, pian piano, riscoprire tutti i suoi lavori precedenti. Ovviamente lo faccio solo se il romanzo mi è piaciuto, o mi ha in qualche modo dato lo stimolo per leggere altro.

Il primo romanzo che ho letto di Fabio Genovesi è stato Chi manda le onde, uscito nel 2015 per Mondadori e anche finalista al premio strega di quell’anno (vinto poi da Nicola Lagioia). Mi ci ero avvicinata incuriosita dalla copertina, senza neanche lontanamente immaginare quanto me ne sarei poi innamorata. 
Quel libro è stato per me una grandissima rivelazione: per la storia, per lo stile, per l’incredibile caratterizzazione dei personaggi (il piccolo Zot rimarrà per sempre nel mio cuore) e per tutte le sensazioni che mi ha lasciato una volta terminata la lettura. E quindi, capite anche voi perché volessi assolutamente leggere qualcos’altro di Fabio Genovesi.
Poi, l’altra sera, in un Libraccio (sì, a Milano c’è un Libraccio aperto fino a mezzanotte, una cosa bellissima, soprattutto quando fuori piove e tu ci arrivi sottobraccio a una persona speciale) ho trovato in condizioni eccellenti e a un prezzo incredibile Esche vive. L’ho comprato e, la mattina dopo, ho iniziato a dare un’occhiata alle prime pagine. Senza sapere bene come, mi sono ritrovata in Toscana, a Muglione, completamente coinvolta nella storia di Fiorenzo e del campioncino.

Loro due sono i protagonisti della storia raccontata da Fabio Genovesi. Fiorenzo era una giovane promessa del ciclismo su cui molti, tra cui il padre stesso che lo allenava, puntavano. Finché non decide insieme a due suoi amichetti di provare a stanare il mostro del fossato dove va a trascorrere i suoi pomeriggi estivi. Come? Fabbricando una specie di bomba fatta di petardi, che non solo non stanano il mostro, ma gli portano via anche una mano. Fine dei sogni di gloria per Fiorenzo e, soprattutto, per suo padre.
Da quel giorno sono passati alcuni anni, Fiorenzo ha imparato a vivere con una mano sola e sta per finire le scuole superiori, anche se al frequentare le lezioni preferisce andare a pescare o lavorare nel negozio di articoli per la pesca di suo padre. Suona in una band metal e non ha alcuna esperienza con le ragazze. Ma, soprattutto, si ritrova a fare i conti con un’altra grande tragedia: l’improvvisa perdita della madre, avvenuta l’anno precedente e di cui si sente in qualche modo responsabile.
A peggiorare il suo stato d’animo arriva Mirko, un ragazzino tanto forte e bravo in bicicletta quanto ingenuo, che il padre di Fiorenzo porta a vivere a casa sua per trasformarlo in un vero campione. Fiorenzo, ovviamente, lo odia. Ma proprio grazie ai suoi tentativi di boicottarlo conosce Tiziana, che dopo aver studiato all’estero, ha deciso di tornare a Muglione per provare a cambiare le cose, e che ora si ritrova incastrata in una vita fatta di disincanto e disperazione.

Le storie di Fiorenzo, Tiziana e Mirko si intrecciano per tutto il romanzo, dando vita a una storia l’apparenza potrebbe essere banale, ma che invece va in profondità e tratta temi importanti. L’amicizia e l’amore, sicuramente, ma anche il non arrendersi, il darsi seconde possibilità e il fare i conti con se stessi e con il proprio passato. Il tutto scritto con uno stile divertente, scanzonato e serio al tempo stesso.

Sono scoppiata a ridere più volte, mentre leggevo Esche vive. E più volte mi sono anche fermata anche a riflettere di quel che veniva raccontato, su quel senso di insoddisfazione e di immobilità che riguarda un po’ tutti quelli che vivono in paesini come Muglione (e ce ne sono davvero tanti).
Ho riso e un pochino mi sono anche commossa, perché Fabio Genovesi dà seconde possibilità a tutti, dà a tutti una speranza, anche quando sembra davvero impossibile.
Fiorenzo ha detto che il suo sogno era comprarsi una barca e girare i mari, tu gli hai ricordato che il suo sogno era diventare famoso con la sua band e lui ha detto che era vero, ma che nella vita è meglio avere tanti sogni perché funziona come con le cartelle della tombola: più ne hai e più è probabile che vinci.

Non so se mi sia piaciuto di più Esche vive o Chi manda le onde. Non lo so davvero. Però so che mi piace tantissimo il modo in cui Fabio Genovesi racconta le sue storie e il modo in cui mi sento una volta arrivata alla fine.
Insomma, che cosa state aspettando a leggere Fabio Genovesi? Sono sicura che non ve ne pentirete.


Titolo: Esche vive
Autore: Fabio Genovesi
Pagine: 388
Editore: Mondadori
Anno: 2013
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formato brossura:Esche vive

lunedì 28 novembre 2016

NON È IL MIO GENERE! E invece (forse) sì! - romanzi gialli e thriller

Sabato 26 novembre si è tenuto il primo appuntamento di NON È IL MIO GENERE! ...e invece (forse) sì!, il nuovo ciclo di incontri in libreria, organizzato da me, Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri e Stefania della Libreria Sulla Parola.

Sebbene fossero passati solo pochi mesi dalla conclusione dei nostri incontri precedenti (quelli di Una valigia di libri), devo ammettere che questi pomeriggi di chiacchiere, risate e condivisioni letterarie mi erano mancati un sacco.

E poi, grazie a un buon passaparola (e a un pr d'eccezione, che non posso non nominare... grazie Prof!), in questo primo incontro, dedicato ai romanzi gialli e thriller, eravamo davvero tanti.
E lo so che non dovrei, lo so che dovrei dire e dirvi che è normale che ai nostri incontri superfighi venga così tanta gente, però, ecco, io un pochino mi stupisco ogni volta del fatto che ci siano persone che decidono di passare un sabato pomeriggio a parlare di libri.

Grazie, quindi, a tutti coloro che hanno partecipato. A chi era già venuto nell'edizione passata e ha deciso di tornare. A chi è venuto per la prima volta e, spero, tornerà. A chi è intervenuto e ha fatto un po' di dibattito e a chi ha semplicemente ascoltato.
E, soprattutto, grazie a Claudia e Stefania per questa cosa bellissima che abbiamo creato.




Ma ora bando alle smancerie, passiamo ai libri consigliati!
Tra quelli arrivati sulla pagina dell'evento e quelli invece suggeriti dal vivo, i libri di cui si è parlato sono stati tantissimi. Come sempre, in quelli consigliati da blogger, trovate il link alla recensione.

Pista nera; La costola di Adamo; Non è stagione; Era di maggio; 7-7-2007 - Antonio Manzini (Sellerio)
Il ballo degli amanti perduti - Gianni Farinetti (Marsilio)
Favole di morte - Brigitte Aubert (Voland)
Un cinese a Buenos Aires - Ariel Magnus (gran vía edizioni)
Dieci piccoli indiani - Agatha Christie (Mondadori)
L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome; Scrivere è un mestiere pericoloso  - Alice Basso (Garzanti)
 Il segreto dei suoi occhi - Eduardo A. Sacberi  (BUR)
Più piccolo è il paese, più grandi sono i peccati - Davide Bacchilega (Las Vegas edizioni)
Il quarto protocollo - Fredrick Forsyth (Mondadori)
Level 26 - Anthony Zuiker (Sperling & Kupfer)
I tre evangelisi - Fred Vargas (Einaudi)
La progenie; Trilogia di Nocturna - Guillelmo del Toro  (Mondadori)
Tra i malvagi - Linda Castillo  (Time Crime)
Appennino di sangue - Macchiavelli & Guccini (Mondadori)
La figlia sbagliata - Jeffery Deaver (Rizzoli)
Scomparsa; Il passato di Sarah - Chevy Stevens (Fazi)
La pietà dell'acqua - Antonio Fusco (Giunti)
Di seta e di sangue - Qui Xiaolong - (Marsilio)
Il mio nome era Dora Suarez - Derek Raymond -  (Meridiano Zero Noir)
Mr Gwyn - Alessandro Baricco -(Feltrinelli)
La serie di Agatha Raisin di M. C. BEaton (Astoria)
Anime nere -Gioacchino Criaco (Rubettino)
Bambini, ragni e altri predatori - Eraldo Baldini

E poi, sono stati citati e consigliati i romanzi in generale di: Jo Nesbø, Carlos Ruiz Zafón, Camilla Lackberg, Simenon, Izzo, Massimo Carlotto, Angela Marsons, Faye Kellerman, Massimo Lugli, Robert Galbraith, Margherita Oggero.


Oltre ai consigli letterari, si è parlato poi dei libri gialli in generale e della loro tendenza a essere trasformati in prodotti cinematografici e televisivi (con risultati non sempre idilliaci); poi della loro specificità e delle loro caratteristiche in base allo nazione in cui sono scritti e ambientati; di traduzione e poi del caso di Io uccido di Giorgio Faletti (lo sapevate che pare non l'abbia scritto lui, ma che sia una traduzione di un giallo americano? Io questa diatriba me l'ero persa!).

Come vi dicevo all'inizio, è stato un incontro davvero bello, da cui sono emersi, oltre ai consigli, tanti spunti di riflessione.

Per il mese di dicembre, gli incontri prendono una pausa e si ripartirà sabato 14 gennaio, con l'appuntamento dedicato ai racconti.

martedì 22 novembre 2016

IL VECCHIO E IL GATTO - Nils Uddenberg


Ho avuto il mio primo gatto quando ero piccolina. Ne ho un ricordo molto vago: si chiamava Pepe, era grigio striato ed è arrivato da noi nato da poco. La sua mamma era la gatta dei nostri vicini di casa di allora e lui tornava spesso da lei, al punto che alla fine è sembrato meglio per tutti che lo tenessero loro. O almeno, io la storia me la ricordo così, può anche darsi che questo fosse stato il modo più soft che i miei genitori avessero trovato per dirmi che era successo qualcosa di brutto.

Il secondo gatto è arrivato invece a dicembre del 2001. Un gatto arancione, che è entrato in casa aggrappato al maglione di lana di mio padre in cui si mimetizzava ed era talmente tanto piccolo e spaventato che ha passato tutta la serata nascosto sotto un mobile. Poi, piano piano, nei giorni successivi ha preso confidenza. Veniva con me sul letto a giocare la sera prima di dormire, oppure guardava la tv con noi appoggiato sul ginocchio di mio padre. E, soprattutto, è stato la fonte di consolazione e distrazione quando, poche settimane dopo, ne abbiamo avuto più bisogno. Miciu, si chiamava, e da cucciolo era davvero un po’ tonto (per esempio, una volta è caduto dentro la vasca da bagno piena d’acqua e l’ho dovuto ripescare; un’altra volta è salito sul tetto e proprio non riusciva a capire come fare a venire giù). Crescendo poi è diventato un gatto impestato, anche perché non lo abbiamo mai fatto sterilizzare (“non fare al gatto quello che non vorresti venisse fatto a te” è stata la motivazione data da mio fratello) e vivevamo in campagna. Se n’è andato quattro o cinque anni dopo, lasciando un esercito di figli e l’idea, nella mia mente, che ora sia in Messico a spacciare erba gatta.

E adesso c’è Luna, che vedete qui in posa nella foto insieme a  Il vecchio e il gatto di Nils Uddenberg, il libro di cui vi dovrei parlare in questa recensione, che però sta un po’ divagando. Luna è la gatta del mio compagno Luca e ha accettato in modo un po’ buffo il mio arrivo qui. Se Luca è in casa, quasi non mi considera. Se lui non c’è, Luna mi segue e sta quasi sempre vicino a me. È una gatta bellissima, buffissima e molto lunatica, che mi ha rubato il cuore fin dalla prima volta in cui l’ho vista, ancor prima di trasferirmi qui.
Leggendo Il vecchio e il gatto, pubblicato in Italia da Corbaccio con la traduzione di Lucia Barni e le bellissime illustrazioni di Ane Gustavsson, ho rivissuto almeno in parte i primi tempi della convivenza con Luna e, soprattutto, ho rivisto il bellissimo rapporto tra lei e Luca.



In questo libricino Nils Uddenberg racconta del suo rapporto con Micia, una gattina piombata all'improvviso nella vita sua e di sua moglie. Se l’è ritrovata una mattina, addormentata nel capanno degli attrezzi. “Non ci affezioniamo, mi raccomando” ha continuato a ripetersi la coppia. Ma come fai a non affezionarti quando vedi un animaletto peloso così buffo e coccolone? E quindi ben presto Micia è entrata in casa, ha trovato il suo posto d’onore nella famiglia e portato con sé alcune questioni logistiche da affrontare. Tipo a chi lasciarla quando i due padroncini sono via da casa (qui da noi viene il papà di Luca, a cui, proprio come a Luca, Luna riuscirebbe a far fare qualsiasi cosa); come insegnarle a usare la gattaiola e andare fuori a fare i bisogni (altro momento molto divertente con Luna, che per i primi giorni usava la gattaiola come un punchball, prendendo a zampettate lo sportellino senza riuscire però a capire quando fosse il momento giusto per infilarsi. Poi ha imparato da sola, dopo pochissimo tempo, come era prevedibile facesse); come entusiasmarsi di fronte ai regalini, solitamente morti, che porta in casa (questo per fortuna ancora non è successo); oppure anche solo come capire se Micia ha tutto quello di cui ha bisogno e, soprattutto, se davvero si è stati accettati (e questa è una cosa che mi domando ogni giorno, in quell'alternanza tra coccole e strusciamenti e indifferenza più totale).

Il risultato è un libro dolcissimo, che racconta davvero quanto intenso possa essere il rapporto tra un uomo e il suo animale domestico… e anche quanto un gatto possa farci rincoglionire a suon di 
fusa, musetti morbidi e buffe posizioni per dormire o per giocare. 
Proprio una storia d’amore, come recita il sottotitolo, che prende spunto anche da alcuni grandi della letteratura e dal loro rapporto con i gatti, e che spiega, in modo molto semplificato, alcune delle caratteristiche proprie dei felini (come funzionano le fusa, per esempio, ma anche il concetto di territorialità o semplicemente le dinamiche dietro alla creazione di un legame con un essere umano).

Il vecchio e il gatto è sicuramente un libro un po’ infantile a livello di stile, ma che riesce davvero a raccontare com’è la vita con un gatto in casa. Forse chi convive effettivamente con un gatto lo apprezzerà di più, perché ci riconoscerà quello che ha vissuto e vive tutti i giorni, ma soprattutto il grande amore che si prova.
Ma va bene anche per chi gatti non ne ha,  per chi ne ha avuti e ora non ne ha più, per chi vorrebbe averne, per chi adora gli animali e per chi (come me, se non si era capito) si fa rincoglionire completamente da un musetto carino.
E ora vado a fare due carezze a Luna, ché Luca non è in casa e si lascerà sicuramente coccolare.


Titolo: Il vecchio e il gatto - una storia d'amore
Autore: Nils Uddenberg
Traduttore: Lucia  Barni
Illustrazioni di: Ane Gustavsson
Pagine: 152
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Corbaccio
Prezzo di copertina: 12 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Il vecchio e il gatto. Una storia d'amore

mercoledì 16 novembre 2016

OVERLOVE - Alessandra Minervini

I ricordi di lei erano farfalle che ronzano intorno alla lampadina - insistenti - e una volta raggiunta la luce si elettrizzano e muoiono. Ma muoiono felici e innamorate. Simili a bambini che non conoscono l'amore, non sanno di provarlo, fino a quando non diventano grandi, e lo perdono. La mancanza che nutre l'amore.

Overlove di Alessandra Minervini è un libro che parla d’amore. Di tanti amori, in realtà. Nessuno perfetto. Nessuno felice.

C’è l’amore tra Carmine e Anna, a fare da filo conduttore a tutto il romanzo. Un amore intenso, ricco di passione, fatto di continui tira e molla e sensi di colpa, perché Carmine è sposato, perché Anna lo ama troppo, perché a volte l’amore è mancanza.
C’è quello tra Carmine e la moglie, che amore non è e forse non è mai stato, e che va avanti come semplice condivisione di una casa, divisa a metà da una riga, e di una figlia, che l’uomo adora. 
C’è quello tra Anna e sua madre Carla, che, dal suicidio del marito, vive davanti alla tv in compagnia dell’investigatrice infermiera Margareth Mitchell, unica persona in grado di tener viva la sua attenzione (e questo è stato l’amore che mi ha commossa e colpita di più).

Carla, avvicinandosi allo schermo, aveva congiunto le mani come in segno di preghiera, stringendole così forte che parevano scoppiare una nell'altra. Ringraziava il dio catodico di essersi ripreso, di non essere muto. Margaret Mitchell era di nuovo lì, nello schermo davanti al quale madre e figlia trascorrevano del tempo insieme, ogni giorno, invece di giocare a carte, invece di preparare il ciambellone, invece di cambiare stagione negli armadi, invece di abbracciarsi e piangere.

E poi c'è quello tra Anna e il padre sostituto; tra Anna e Mario, una vecchia fiamma del passato che torna nel presente; e, soprattutto, quello tra Anna e se stessa, sui cui lei non sembra concentrarsi mai.

Overlove è un libro che parla d’amore, dicevamo. Di troppo amore (perché sì, esiste davvero anche l’amare troppo), e di dolore. E Alessandra Minervini sceglie di raccontare tutto questo, la storia di Anna e delle persone attorno a lei, con uno stile frammentario, che alterna la terza persona con la prima, inserendo poi, qua e là, alcune piccole riflessioni, su quello che l’amore è o non è, che a volte spezzano la lettura e altre volte la rendono ancor più completa.

All’inizio la lettura di Overlove può sembra un po’ difficoltosa, per lo stile dell’autrice, ma anche e soprattutto per questo concetto di troppo amore. Perché sì, il romanzo inizia con una donna che lascia un uomo perché si amano troppo. Ed è un concetto non poi così semplice da comprendere. Man mano che si va avanti, però, si entra nella vita di Anna, in quella di Carmine, nei loro problemi, nei loro dolori, nella loro apparente incapacità di essere felici. O almeno di esserlo insieme.
Dal dolore non c'è scampo, le aveva detto Carla la prima volta che era caduta dalla bicicletta, a sette anni. Sul ginocchio di Anna la cicatrice era incollata da allora. La felicità si fa desiderare e la maggior parte delle volte arriva solo per tradire. Il dolore è una forma di onestà. Chi soffre è onesto. Come chi muore.
Un esordio narrativo notevole, questo di Alessandra Minervini, che, dopo un po’ di titubanza iniziale, è riuscito a tenermi incollata alle sue pagine e a portarmi a riflettere sul concetto di amore e su quanto, a volte, sia difficile abbandonarcisi. Una lettura che merita.

Titolo: Overlove
Autore: Alessandra Minervini
Pagine: 200
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: LiberAria editrice
Prezzo di copertina: 12 €
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formato brossura: Overlove

giovedì 10 novembre 2016

ROCCO SCHIAVONE - LA SERIE - il mio parere spassionato sulla prima puntata

Ieri sera su Rai2 è andata in onda la prima puntata di Rocco Schiavone, la serie tv tratta dai romanzi di Antonio Manzini pubblicati da Sellerio, che hanno come protagonista l’omonimo vice questore.
Se mi seguite già da qualche tempo, saprete quanto io sia innamorata di Rocco Schiavone: questo vice questore romano, spedito in punizione in Valle d’Aosta, che proprio non riesce ad adattarsi a quel clima così diverso e si ostina, nonostante il freddo e le condizioni climatiche avverse, ad andare in giro solo con un loden e con le Clarks. È davvero un gran personaggio, quello inventato da Antonio Manzini: un poliziotto un po’ burbero, che adora farsi una canna non appena arriva in ufficio al mattino, che non sempre è così rispettoso della legge che dovrebbe difendere e che, soprattutto, ha un doloroso passato alle spalle, che nei romanzi si scopre pian piano.

Sono innamorata di Rocco Schiavone, vi dicevo, e quindi quando ho saputo che sarebbe andata in onda una serie tv, sono stata molto combattuta tra un incontenibile entusiasmo e la paura che rovinassero tutto (e il fatto che la serie sarebbe stata per la Rai alimentava parecchio questa paura). Poi s’è scoperto che l’avrebbe scritta Antonio Manzini stesso, insieme con Maurizio Careddu, che sarebbe stata girata da Michele Soavi e, soprattutto, che a interpretare Rocco sarebbe stato Marco Giallini. Che è esattamente come io mi ero immaginata Rocco Schiavone leggendo i libri.
E quindi ieri (ma anche i giorni precedenti, in realtà) ho passato la giornata aspettando che arrivassero le 21.10 e che la prima puntata, tratta dal primo romanzo (Pista Nera), incominciasse.
Io, sul divano, mentre aspetto che inizi la puntata (foto di Luca, tutto intento a trollarmi)

Poi, una volta finita, ho scritto qualche commentino veloce su Facebook, per poi aspettare che passasse una notte per schiarirmi bene le idee e parlarvene come si deve. Alcune impressioni, dormendoci su, sono rimaste esattamente le stesse. Qualcuno è peggiorata.

I PERSONAGGI
Come dicevo prima, Marco Giallini È Rocco Schiavone. Ed è di una bravura incredibile. È riuscito a interpretare bene tutte le caratteristiche tipiche di questo personaggio: la sua apparente antipatia e stronzaggine, il suo menefreghismo per le regole, la sua dolcezza in determinati momenti e situazioni.
Ma è Rocco Schiavone anche nel senso che, se non ci fosse lui, la serie sarebbe un disastro. Se li mangia tutti, gli altri personaggi, ridotti, forse per esigenze di copione, forse per inesperienza degli attori che li interpretano, a delle mere macchiette.
Italo Pierron nel libro è ben caratterizzato: un poliziotto un po’ timido ma che con Rocco instaura subito un grande rapporto, nonostante la soggezione iniziale. Nella serie tv, almeno nella puntata di ieri, sembra un po’ uno scemo. Come se non sapesse molto bene che cosa deve fare ( o provasse soggezione per la bravura di Marco Giallini).
E lo stesso si può dire più o meno di tutti gli altri personaggi. I due poliziotti scemi; la Rispoli (di cui lacaratteristica principale emersa ieri è solo ed esclusivamente il bel sedere); Nora, che compare per meno di cinque minuti, mentre nel libro aveva un ruolo notevole; e anche i protagonisti dell’omicidio.
Si salva Isabella Ragonese, bravissima anche lei a rendere davvero commoventi le scene tra Rocco e Marina (soprattutto se avete letto i libri).

Si può basare un’intera serie tv sulla bravura di uno solo dei suoi protagonisti? Secondo me, no. E infatti Marco Giallini mangia tutti gli altri.



LA FEDELTÀ AL LIBRO
Fedele è fedele. Quasi troppo, verrebbe da dire. Perché, per inserire dentro alla puntata tutte le cose che succedono nel libro, molte sono state solo accennate, abbozzate, rendendole a volte incomprensibili, a volte semplicemente inutili.
È ovvio che è impossibile far stare in una trasposizione televisiva di due ore tutto quello che c’è in un libro di 275 pagine. E quindi forse qualcosa avrebbe potuto essere sacrificato… o si fa bene o non si fa, insomma. (Per esempio, ha reso pochissimo la scena del tir che Rocco, Sebastiano e Italo fermano una sera per smerciare quello che ci dovrebbe essere dentro… e quella nel libro era una scena importante, anche per capire meglio il carattere di Rocco).
Anche lo svolgimento della trama principale (di cui non vi dico nulla, tranquilli, così se non avete visto la serie o letto il libro non avete problemi) è stato un po’ troppo frettoloso e, secondo me, non del tutto comprensibile. Ho capito cosa è successo, ho capito chi è stato, ma in tv viene reso talmente tanto in fretta che arrivi alla fine e pensi “aspetta, siamo già qui?”.
E poi, come dicevo prima, c’è il discorso personaggi. Anche loro solo abbozzati (con alcuni riferimenti incomprensibili o precisati solo con una frasetta in mezzo alle altre) e, in qualche modo, rovinati.

LA REGIA, I DETTAGLI E ALTRE COSE BUFFE
L’atmosfera valdostana del libro viene ricreata perfettamente anche nella serie. Il problema, però, è che ci sono molti dettagli e molte scene un pochino strane, e a volte anche ridicole.
Tipo il momento in cui Rocco, Italo e il maestro di sci sono sulla motoslitta, che si vede lontano un miglio essere finta (ma ci può stare, per carità) e, soprattutto, fatta male.
Oppure il fatto che Rocco in una scena abbia la barba e in quella immediatamente dopo non ce l’abbia più. E una cosa simile succede anche con le scarpe (scende dall’auto con gli scarponcini e sale sul tetto con le Clarks) e con la neve nei dintorni (vi assicuro che quando nevica in Valle d'Aosta come nelle prime scene della puntata, difficilmente dopo due giorni la neve è andata via tutta).
E poi, ma qui forse è colpa mia, a volte non riuscivo a capire che cosa dicessero i vari personaggi. (Per non parlare della questione accento valdostano, completamente ignorato).


IL MIO GIUDIZIO FINALE
Marco Giallini vale tutta la serie. Lui e le scene con Marina.
Senza di lui, temo che farebbe un pochino pena. Lui, con la sua eccezionale bravura, con il suo essere davvero Rocco Schiavone, riesce a salvare quasi sempre il tutto, anche se a volte la noia e il piattume prendono il sopravvento.
Non so se la percezione cambia se si ha letto il libro oppure no. Il mio compagno, seduto accanto a me per tutta la serata (quanta pazienza che hai, amore!), il libro non l’ha letto e la serie lo ha convinto ancora meno di quanto non abbia convinto me.
E quindi non lo so. Sicuramente guarderò anche le altre puntate (venerdì 11 c'è quella tratta da La costola di Adamo, uno dei miei preferiti della serie di Manzini), un po' perché magari migliorano, un po' perché rimane sempre Rocco Schiavone. E sicuramente da una fiction Rai non ci si poteva forse aspettare molto di più.

Però, ecco, i libri ancora una volta sono davvero un’altra cosa.

mercoledì 9 novembre 2016

LA SOGNATRICE DI OSTENDA - Eric-Emmanuel Schmitt

«Mi sto consolando piuttosto in fretta dal mio cruccio parigino. Ciò vuol dire che non ho poi perduto granché troncando quella storia. Ricorda cosa mi ha detto? Che è possibile rimettersi solo dalle cose poco importanti. E che da un amore totale non ci si riprende mai».
«Una volta ho visto un fulmine colpire un albero, e mi sono sentita molto vicina a quell'albero. Arriva un momento in cui bruciamo, ed è intenso, meraviglioso. Dopo, non resta che cenere».
Si girò verso il mare.
«Non si è mai visto un ceppo, anche vivo, ridare corpo a un albero intero».

Ogni volta che sento qualcuno dire “no, io non leggo i racconti, perché non mi coinvolgono tanto quanto i romanzi”, mi viene da pensare sempre che non abbiano mai letto i racconti giusti. Certo, poi è anche una questione di gusti, di percezione della lettura legata alla lunghezza del testo. Però, ecco, in generale, secondo me è perché non hanno mai letto un racconto ben fatto.

Come lo sono, per esempio, quelli dello scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, le cui opere, divise tra romanzi e raccolte di racconti, sono pubblicate in Italia da edizioni e/o. 
Ho scoperto questo autore quasi per caso, acquistando a scatola chiusa Concerto in memoria di un angelo. Me ne sono poi follemente innamorata leggendo Odette Toulemonde e ho mantenuto viva questa passione con L’amore invisibile. Tre raccolte di racconti, tra cui fatico a scegliere la mia preferita.

Anche perché adesso si è inserito anche La sognatrice di Ostenda. Di nuovo una raccolta di racconti, di nuovo cinque storie raccontate in non più di settanta pagine ciascuna (la più lunga, quella che dà il titolo alla raccolta, ma le altre molte meno) che sono riuscite, ancora una volta, a conquistarmi totalmente.

C’è questa donna, La sognatrice di Ostenda appunto, che, ormai anziana e su una sedia a rotelle, racconta a un visitatore il grande amore della sua vita, sebbene tutti, in famiglia, siano convinti che lei non abbia amato mai. 
Ce n’è un’altra, in Delitto perfetto, che decide di liberarsi del marito, perché convinta che l’enorme amore che lui riversa su di lei sia troppo grande, troppo bello per essere vero, ed è stanca di essere presa in giro.
Ce n’è una terza, in La guarigione, che di mestiere fa l’infermiera e che non è mai stata capace di amare se stessa e il suo aspetto. Finché non arriva un paziente, cieco e in fin di vita, che l’aiuta a capire quanto sia bella.
Poi si arriva al quarto racconto, Cattive letture, che in realtà io ho letto per primo, una sera prima di dormire mentre cercavo qualcosa di non troppo lungo da leggere. Qui il protagonista è uomo di lettere, che però legge solo saggi, perché i romanzi e le opere di fantasia non sono che una perdita di tempo. Finché si ritrova a leggerne uno e a lasciarsi coinvolgere talmente tanto da non distinguere più la realtà.
La raccolta si chiude con la storia di un’altra donna, La donna con il bouquet, che tutti i giorni, da quindici anni, va alla stazione con un mazzo di fiori per aspettare l’arrivo di qualcuno.

« Ti giuro che è vero. Ogni giorno, da tre lustri. Forse anche di più, visto che ognuno, prima di notare la sua presenza, impiega degli anni. Di conseguenza anche il primo... Tu, per esempio, sono tre anni che vieni a Zurigo e me ne parli solo oggi. Come niente, sta qui da venti o trent'anni... Qualcuno ha provato a chiederle cosa aspetti, ma lei non ha mai dato risposta».
«E ha fatto bene» osservai. «D'altronde, chi può rispondere a una domanda del genere?».

Di Eric-Emmanuel Schmitt adoro lo stile, la poesia che impiega nel narrare le storie che racconta, anche quelle più disparate o più macabre, ma, soprattutto, il modo in cui descrive e delinea i personaggi, con le loro fragilità, le loro debolezze, la loro incredibile umanità.
Per non parlare della facilità con cui questo autore riesce a passare dal parlare d'amore (soprattutto in La sognatrice di Ostenda, che è davvero un racconto molto dolce, ma anche in La donna del bouquet) agli omicidi... che è una cosa che pochissimi scrittori sono in grado di fare.

Insomma, se non avete mai letto racconti o ci avete provato e non vi sono piaciuti, vi suggerisco di ritentare con una delle raccolte di Eric-Emmanuel Schmitt. E La sognatrice di Ostenda è decisamente un buon punto di inizio, per imparare a conoscere questo scrittore francese, ma anche per iniziare ad amare i racconti.

Titolo: La sognatrice di Ostenda
Autore: Eric-Emmanuel Schmitt
Traduttore: Alberto Bracci Testasecca
Pagine: 209
Editore: e/o
Anno: 2008
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formato brossura: La sognatrice di Ostenda