mercoledì 28 settembre 2016

KATHERINE - Rupert Thomson

«Gli anni congelati, quelli, sono sempre con me. Impressi nelle mie cellule. Nel mio DNA». Faccio una pausa. «Quegli anni, in realtà, sono la materia di cui sono fatta».



Katherine Carlyle ha diciannove anni. Ne avrebbe ventisette se l’ovulo da cui è nata fosse stato fecondato subito e non congelato per otto anni, ad aspettare che (e se) arrivasse il suo momento.

Il lettore Katherine, protagonista dell’omonimo romanzo di Rupert Thomson, da poco uscito per NN editore con la traduzione di Federica Aceto, la conosce per la prima volta così, quando è ancora un ovulo che attende impaziente il suo momento di essere fecondato.
Poi la ritrova diciannove anni dopo, a Roma, dove si era trasferita con i genitori per soddisfare uno degli ultimi desideri della madre morente. Ora la madre non c’è più, il padre, corrispondente di guerra, è un po’ come se non ci fosse mai stato e Katherine, in procinto di partire per il college a Oxford, sente di avere qualcosa in sospeso da tutta la vita. E quindi, anziché per Oxford parte all’avventura, seguendo le strane coincidenze che le capitano e che la porteranno sempre più a nord, sempre più al buio e al freddo. Proprio dove la sua esistenza è cominciata.

È un libro strano, Katherine. Un libro il cui senso si scopre piano piano, seguendo, spesso un po’ a fatica, questa ragazza nelle sue strane avventure presenti, nei suoi ricordi del passato e nelle cose che immagina succederanno.  È così che scopriamo il forte legame che aveva con la madre e il senso di colpa che prova per la sua morte. È così che scopriamo il rancore verso il padre, colpevole di non averla forse mai voluta abbastanza, e le cui attenzioni, in un modo o nell’altro, ricerca da sempre in modo disperato. È così che scopriamo le sue insicurezze, il suo desiderio di capire, di ritrovare se stessa e, soprattutto, quanto l’essere stata lasciata otto anni in un congelatore prima di nascere abbia condizionato tutta la sua vita.

Ed è il modo in cui è stato affrontato questo tema, che poi è il tema principale, quello che muove tutto il libro e che farà arrivare Katherine in una remotissima isola del nord dove fa sempre freddo ed è sempre buio, ad avermi lasciata un po’ più perplessa. Davvero ci si può ricordare di quegli anni d’attesa? Davvero, se non ricordare, ce li si può immaginare al punto da far sì che condizionino tutta la propria esistenza?
Rupert Thomson, attraverso la sua Katherine, immagina proprio di sì. E immagina anche che questo possa portare una ragazza di diciannove anni a mollare tutto e partire all’avventura, seguendo un nome sentito in un cinema o affidandosi a strani personaggi incontrati per caso fuori da un teatro. Ma per il lettore, invece, riuscire a immaginarsi tutto questo è un po’ più difficile. Così come è difficile seguire i pensieri di Katherine, comprenderne appieno le motivazioni, accompagnarla in questo suo viaggio un po’ folle per poi lasciarla in un finale forse un pochino prevedibile.

Non so se il non avere più diciannove anni e non essere effettivamente nata da una fecondazione in vitro abbia condizionato la mia lettura. (Una volta arrivata alla fine, in effetti, ho pensato che fosse più un romanzo per ragazzi, perché forse se si ha quell'età è più facile identificarsi o per lo meno avvicinarsi ai turbamenti e ai dubbi esistenziali della protagonista).

Non so se è stato un problema mio o un problema del libro, insomma. Però, ecco, per quanto davvero abbia capito il senso del viaggio di Katherine e, in parte, alcune delle sue cose in sospeso, è stata una lettura faticosa. I temi che tratta sono sicuramente importanti (la ricerca di se stessi, il venire a patti con il passato e con i propri sensi di colpa, giustificati o meno, il bisogno d’affetto e d’amore) e danno sicuramente parecchio da riflettere, ma sono stati sviluppati in un modo troppo macchinoso, per cercare di renderli ancor più interessanti.
Peccato.


Titolo: Katherine
Autore: Rupert Thomson
Traduttore: Federica Aceto
Pagine: 300
Editore: NN Editore
Prezzo di copertina: 17,00€
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formato brossura:Katherine o gli inattesi colori del destino
formato ebook: Katherine

giovedì 22 settembre 2016

UN AMORE DI SALINGER - Frédéric Beigbeder

Quando due lingue si toccano, a volte non succede niente. Ma a volte qualcosa succede... Oh mio Dio, accade qualcosa che fa venire voglia di fondersi, di disgregarsi, è come se si entrasse nell'altro a occhi chiusi, per mettere tutto sottosopra dentro. Lui la stringeva contro la sua bocca, in apnea. Quando la depose sul pontile, Oona aveva solo un desiderio: decollare di nuovo


Come avevo già scritto quando avevo recensito il bellissimo Un anno con Salinger di Joanna Rakoff, io di Salinger non so praticamente nulla.

Ho letto Il giovane Holden qualche anno fa e ne ho un vago ricordo. Ho letto i Nove racconti più di recente e ancora sono convinta di non aver capito quasi nulla (anche se, in questo caso, so che dovrei provare a rileggerli). Eppure, nonostante ciò, mi sono ritrovata di nuovo a leggere un libro che parla di Jerry, trovato nella libreria di una persona che invece Salinger e il suo Holden li adora eccome.

Un amore di Salinger di Frédéric Beigbeder, pubblicato da Mondadori con la traduzione di Giovanni Pacchiano, racconta dell’amore estivo tra il giovane Jerry e la bella e giovanissima Oona O’Neill. Un amore forte e potente, ma al tempo stesso passeggero, che lascerà però un grande segno nello scrittore americano. Jerry continuerà a scrivere a Oona anche mentre è in guerra, sebbene lei ormai lo abbia lasciato e si sia innamorata di Charlie Chaplin. E lei, tra figli, vita mondana e l’esilio del marito accusato di comunismo, un pochino a lui continuerà a pensare, nel corso degli anni.

La storia raccontata da Frédéric Beigbeder è in parte vera, in parte inventata. È vera la relazione che c’è stata tra Salinger e Oona O’Neill, è vero che poi quest’ultima si è messa con Charlie Chaplin proprio mentre Salinger era in guerra, così come è vero tutto quello che lo scrittore ha vissuto in guerra e quello che è successo dopo alla famiglia Chaplin. Di inventato c’è il come. Frédéric Beigbeder immagina, insomma, che le cose siano andate così. Immagina come sia stata la relazione tra i due, come sia proseguita negli anni, immagina le lettere che si sono scambiati e come il ricordo abbia continuato ad accompagnare entrambi.

Un problema grosso è che nell’immaginare questo "come" mette troppo se stesso. Troppi suoi commenti esterni, a volte in nota a volte direttamente nel testo, troppi suoi “giudizi” e troppi paralleli tra passato e presente che risultano forzati e un po’ rovinano l’atmosfera che è riuscito a creare nel raccontare il passato. 

Questo stile e questa commistione di generi (non è narrativa, non è saggistica… non si capisce bene che cosa sia, in realtà) durante la lettura rendono il romanzo irritante. Ho dovuto arrivare alla fine, rifletterci un po’ di tempo (e soprassedere su alcune imperfezioni a livello traduttivo e di revisione, che raggiungono il loro culmine nella frase "Accasciata, Oona acquistò un appartamento di due piani a New York...") per riuscire a capire se Un amore di Salinger mi sia piaciuto o meno.
E la risposta è doppia: è sì, perché in effetti ho scoperto cose che non sapevo sulla vita di Salinger e di Charlie Chaplin e letto un paio di citazioni notevoli sull’amore e la sua forza; ma è anche no, perché non mi è piaciuto il modo di scrivere dell’autore (per quanto mi sforzi, io con la narrativa francese ho sempre qualche problema) né il modo in cui si è immaginato certe cose (per non parlare del finale).

Insomma, Un amore di Salinger è un libro che se vi capita sottomano potete anche leggere, sia che siate appassionati di Jerry sia che non lo siate, perché scoprirete sicuramente qualche curiosità. Però, ecco, potete anche tranquillamente soprassedere.

Titolo: Un amore di Salinger
Autore: Frédéric Beigbeder
Traduttore: Giovanni Pacchiano
Pagine: 257
Editore: Mondadori
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formato brossura: Un amore di Salinger
formato ebook: Un amore di  Salinger

venerdì 16 settembre 2016

LA GRAZIA DEL DEMOLITORE - Fabio Bartolomei

«Sono un fallito» le dice.
«Sciocchezze. Chi sei e di cosa sei capace lo dicono i passi che hai avuto il coraggio di fare». Marie chiude gli occhi e inspira profondamente. «Ma non la senti Davide? Non la senti l'aria che si respira qui? C'è passione, eleganza... improvvisazione».
Davide scuote la testa, alza le spalle.
«E a cosa sono servite?» le chiede.
«Se non riesci a esserne orgoglioso a nulla, Davide. Proprio a nulla»



Fabio Bartolomei è tornato. Chi conosce l’autore e ha letto tutti i suoi precedenti romanzi, una volta arrivato alla fine di La grazia del demolitore, da poco pubblicato sempre da edizioni e/o, capirà perfettamente a cosa mi riferisco.

Ho conosciuto Fabio Bartolomei grazie a La banda degli invisibili. Poi ho letto Giulia 1300 e altri miracoli (e visto anche Noi e la Giulia, il bellissimo film che ne ha tratto Edoardo Leo) e We are family. Ed è stato amore. Di quegli amori letterari che ti portano a correre in libreria non appena esce un romanzo nuovo. E così avevo fatto, in effetti, con il quarto libro di quest’autore romano, Lezioni in paradiso. Una delusione pazzesca. L’idea c’era, ma il libro era troppo breve, troppo frettoloso, perché potesse essere sviluppata come si sarebbe meritata.

Ma se si ama così tanto un autore, come io in effetti amo Fabio Bartolomei, gli si danno tutte le possibilità del mondo. Uno scivolone ci sta, un romanzo non propriamente riuscito dopo tre piccoli gioielli può capitare. Basta sapersi rialzare. E con La grazia del demolitore ci è riuscito alla grande.

Protagonista è Davide, figlio di uno dei più importanti costruttori della città e con una carriera spianata proprio in quel campo. Mai un problema da affrontare, mai una responsabilità, tant’è che a trentaquattro anni, pur avendo un'enorme villa tutta sua, Davide vive ancora a casa dei genitori. Il padre, per dargli una sorta di contentino, gli affida i lavori di demolizione e ricostruzione di una vecchia palazzina, proprio dove viveva sua nonna. Un lavoro semplice, in cui nulla può andare storto. Se non fosse che l’ultima inquilina rimasta nel palazzo è una ragazza cieca, Ursula, verso cui Davide prova una forte attrazione e un forte senso di protezione. E quindi decide di cambiare i suoi piani, coinvolgendo i suoi migliori amici e una bizzarra banda di operai, e di sfidare apertamente suo padre e tutto quello che aveva pensato per lui.

Fabio Bartolomei è tornato, dicevo all'inizio. È tornato un po’ alle origini, perché in La grazia del demolitore si ritrova tutta l’atmosfera di Giulia 1300 e altri miracoli, anche se in un contesto differente. C’è un ragazzo che all’improvviso decide di cambiare la sua vita, c’è una sorta di armata Brancaleone piena di saggezza che lo aiuta nell’impresa, una serie di personaggi buffi a fare da contorno e la voglia di sfidare, di contrapporsi alle ingiustizie, con una denuncia abbastanza marcata delle pratiche in voga nel campo dell’edilizia. 
E poi c’è la poesia dell’amore di Davide per Ursula. Un amore dolcissimo e bellissimo, fatto di gesti, di frasi incise sul muro, di piante di rosmarino nei vasi e marciapiedi livellati, di voglia di non arrendersi mai e di costruire strade da percorrere insieme.

E mentre ascolta il brivido del fallimento, quello della distanza incolmabile e quello della sua paziente inesistenza, si chiede se in fondo non sia proprio questo l'amore: una richiesta di salvezza. Da se stesso. Da ciò che era e da ciò che sarebbe senza di lei


La grazia del demolitore mi è piaciuto tantissimo. Ho riso tanto (i personaggi di Massimiliano, che proprio non ce la fa a non essere dipendente da qualcosa, e di Geronimo con la sua cintura sono fenomenali) e mi sono anche commossa, proprio come mi era successo con i primi tre romanzi.
E quindi sì, Fabio Bartolomei è tornato e lo ha fatto davvero in grande stile. Un libro consigliatissimo.


Titolo: La grazia del demolitore
Autore: Fabio Bartolomei
Pagine: 277
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: e/o
ISBN: 978-8866327905
Prezzo di copertina: 18 €
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formato ebook: La grazia del demolitore