venerdì 26 gennaio 2018

A MISURA D'UOMO - Roberto Camurri

È in tuta e non vorrebbe esserlo, mentre lo guarda farsi vicino vorrebbe essere pettinata e vestita diversamente, vorrebbe essersi truccata, vorrebbe che lui la vedesse bella, vorrebbe, pensa, che lui la baciasse, vorrebbe che lui trovasse il coraggio di prenderle il viso tra le mani e vorrebbe sentire il calore del suo fiato sulle guance e sulle labbra che adesso sono arrossate mentre Valerio le sta porgendo le margherite e, finalmente, piange.


Mi piacciono molto i romanzi fatti di racconti. Quei romanzi di cui puoi leggere anche un capitolo singolo e trovarci un senso compiuto, a cui poi segue un altro capitolo singolo con altrettanto senso, e poi un altro, e un altro ancora, legati tra loro da fili conduttori più o meno sottili, che dipingono una storia più grande. Può essere una tematica, può essere l'ambientazione, un sentimento comune che unisce tutti i protagonisti o ancora un personaggio. Oppure tutte queste cose insieme, come succede in A misura d’uomo, il romanzo d'esordio di Roberto Camurri, uscito il 25 gennaio per NN editore.

Qui ci sono diversi personaggi che si rincorrono da un racconto all'altro, da un capitolo all'altro; tutti hanno una loro storia a sé, che però in qualche modo è sempre legata a quella di qualcun altro. Forse per via di Fabbrico, il paese di poco più di seimila anime nella bassa emiliana, in cui la storia è ambientata. Forse perché tutti hanno a che fare con un'assenza, talmente forte e sentita da diventare quasi una presenza.

A misura d’uomo racconta la storia di Davide, Valerio e Anela. È una storia d’amicizia, la loro. Ma anche una storia d’amore, di crescita e di delusioni, di gite al mare, di serate a mangiare salame e bere lambrusco seduti attorno a un tavolo, di sofferenze, di sensi di colpa e di ricordi che, nonostante il passare del tempo, non sbiadiscono mai.
Attorno a loro tre, ci sono anche Mario e di Elena, che riescono a stare insieme, nonostante le difficoltà, nonostante tutto; Maddalena, che si ritrova suo malgrado cambiata da quello che la vita le ha messo davanti ma forse le va bene così; della Bice, che nonostante l’età continua ad aprire tutte le mattine il suo bar al centro del paese, e di Giuseppe, che nonostante l’età tutte le mattina ci va; di Luigi e di Barbara; di un marito e di una moglie e di un sogno d’amore che si è trasformato in un incubo, reso apparentemente sopportabile solo da un cane di nome di Salvo.
"Disse che avrebbe voluto sposarsi il giorno del suo compleanno, lui rispose di sì.
Erano giovani, era il ventotto luglio, faceva caldo, erano belli."
Racconta la storia di Fabbrico, insomma, un paese con le sue tradizioni e le sue contraddizioni, in cui il tempo, gli anni e le stagioni passano ma sembrano allo stesso modo sempre uguali. Un paese pieno di voci e di vite, quelle di chi ci ha vissuto e ora non c’è più, e di chi invece c’è ancora e va avanti, più o meno felice.

Trovo davvero difficile riuscire a spiegarvi perché A misura d’uomo mi sia piaciuto così tanto. O meglio, alcune cose riesco a dirvele senza problemi: lo stile incredibile dell’autore, un po’ destabilizzante nelle prime pagine, ma che a poco a poco diventa parte del romanzo stesso, fino a che non ci si rende conto che questa storia non poteva che essere scritta così. I personaggi che lo popolano, anche: il rapporto d’amicizia tra Davide e Valerio; la figura di Anela, uno scoglio, una roccia, decisa a continuare ad amare nonostante tutto; ma anche quella di Mario, di Luigi, delle amicizie che non finiscono mai.

Ma io ci ho trovato anche qualcosa di più. Con questo libro è nata un'empatia ancor più forte di quella che si crea quando si  legge un racconto scritto in un modo che ci piace. Una sensazione che ho provato dal primo racconto, fin dal primo messaggio che Anela manda a Davide, in cui scrive semplicemente “Portami al mare”. O dalla frase scritta sulla cartella di Ludovica, dal sole che si riflette su una focaccia unta, dal salame, il lambrusco e la sambuca, dai giri in bicicletta o su una vecchia Volvo sgangherata. Da un peluche che può far capire che sì, ancora ne vale la pena. 
Ho adorato questa attenzione per i dettagli, per i gesti all'apparenza insignificanti e magari anche un po’ scemi, ma che fanno parte della vita di ogni giorno, creando ricordi, rituali, che la rendono reale.

In A misura d’uomo, Roberto Camurri riesce a raccontare bene la vita di paese, l’angoscia che ti dà una pianura infinita (cit.) ma anche la libertà che ti trasmette, i legami che si creano quando si è ragazzini e che poi durano per sempre, anche se magari poi non ci si vede più. 


Titolo: A misura d'uomo
Autore: Roberto Camurri
Pagine: 176
Editore: NN Editore
Anno: 2018
Prezzo di copertina: 16,00€
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formato cartaceo: A misura d'uomo
formato ebook: A misura d'uomo

martedì 23 gennaio 2018

LE ASSAGGIATRICI - Rosella Postorino

Quando il tempo opaco e smisurato della nostra digestione fece rientrare l'allarme, le guardie svegliarono Leni e ci misero in fila verso il pulmino che ci avrebbe riportate a casa. Il mio stomaco non ribolliva più: si era lasciato occupare. Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame.


Ogni anno, nel mese di gennaio, vengono pubblicati moltissimi romanzi che parlano dell’olocausto, della Shoah e, in più in generale, dell’epoca nazista. È un modo per celebrare la Giornata della memoria, che cade il 27 gennaio, e la necessità di non dimenticare il periodo più buio, tragico e terribile della storia mondiale. Ovviamente, come sempre succede quando si abbinano i libri alle ricorrenze, la cosa sfugge un po’ di mano e ci si ritrova quasi sommersi da titoli, che spesso quasi si scimmiottano a vicenda, e, soprattutto destinati a essere dimenticati non appena finito il periodo del ricordo. 

Sono pochi, i libri su questo tema che rimangono nel tempo. E credo di poter affermare con una certa sicurezza che Le assaggiatrici di Rosella Postorino, da poco pubblicato da Feltrinelli, sarà uno di questi.
Intanto perché parla sì di Hitler, di nazismo, Seconda guerra mondiale e persone partite e mai più tornate, ma lo fa da un punto di vista un po’ diverso, quello di una donna tedesca. E poi, indubbiamente, per lo stile dell’autrice.

Partendo dalla storia di Margot Wölk, una donna tedesca che poco prima di morire ha rivelato di aver fatto da giovane l’assaggiatrice di Hitler, Rosella Postorino racconta la storia di Rosa e delle altre donne che, durante la guerra, avevano il compito di assaggiare il cibo prima che venisse servito al Führer, così da accertarsi in tempo che non fosse avvelenato. È l’autunno del ’43, la guerra sta iniziando a prendere una piega inaspettata per la Germania, e Rosa è costretta a lasciare Berlino, dopo che sua madre è morta durante un bombardamento e suo marito è partito per andare a combattere. Si rifugia dai suoceri, a Gross- Partsch, un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale dove Hitler si nasconde, ad aspettare che la guerra finisca e il marito ritorni. Lei e altre nove donne del paese vengono scelte per questo compito: da un lato hanno la sicurezza di avere cibo in abbondanza ogni giorno, dall’altro il pericolo che ogni pasto sia il loro ultimo pasto. Alcune svolgono questo compito con entusiasmo, onorate di avere un ruolo così fondamentale per la loro patria e la loro guida, altre invece lo fanno perché sanno di non avere altra scelta. A poco a poco Rosa stringe inevitabilmente dei legami con alcune di esse: legami dettati dalla paura, dalla fragilità, ma anche dal desiderio di ribellarsi, di non arrendersi all’ingiustizia che stanno vivendo. Loro sono tedesche, è vero. Loro hanno cibo ogni giorno, è vero. Ma hanno anche delle SS che le guardano a vista e che, con l’arrivo del tenente Ziegler, instaurano un vero e proprio regime di terrore e poi, se qualcosa va male, le chiudono in una stanza e le lasciano al loro destino, perché il loro destino è proprio quello di morire al posto di qualcun altro.

Le assaggiatrici è davvero un bel libro, che racconta un altro punto di vista del dominio nazista, quello di chi l’ha vissuto in patria ignorando cosa succedesse all’esterno, che ha visto morire genitori, mariti, figli in nome di un’ideale in cui all’inizio quasi tutti credevano, quello del riscatto dell’orgoglio nazionale ferito, ma che poi a poco a poco, quando ormai non era più possibile evitarlo o fermarlo, si è rivelato per quello che era.  Ma soprattutto racconta la storia di un gruppo di donne, i loro pensieri, le loro pulsioni, i loro dubbi e le loro paure, ponendo spesso la domanda di cosa, per un singolo individuo in un determinato momento, sia lecito fare e accettare e cosa invece no per riuscire a sopravvivere.
"Perché hai smesso di cantare?"
"Non lo so."
"Che hai?"
"Questa canzone mi rattrista."
"Puoi cantarne un'altra. Oppure no, se non ti va. Possiamo stare zitti e guardarci al buio: sappiamo farlo."

La forza del romanzo sta proprio qui, nella bravura di Rosella Postorino a raccontare questi sentimenti, queste ambiguità, rimanendo sempre in bilico tra il giusto e lo sbagliato, tra la consapevolezza del male e del dolore che una persona può infliggere in un momento e quella del bene che, invece, può fare in un altro. Ed è stata brava a dare voce a queste donne, ai loro diversi punti di vista, alle loro fragilità, anche ai loro tradimenti, perché fornisce un ritratto molto fedele delle complessità umane dell’epoca.
Quella di Le assaggiatrici è una lettura intensa e non semplice da affrontare, ma che vale sicuramente la pena di fare. 

TITOLO: Le assaggiatrici
AUTORE: Rosella Postorino
PAGINE: 288
EDITORE: Feltrinelli
ANNO: 2018
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formato cartaceo: Le assaggiatrici
formato ebook: Le assaggiatrici

martedì 16 gennaio 2018

PICNIC SUL GHIACCIO - Andrei Kurkov

Il pinguino e Sonja erano seduti dietro, Viktor davanti. Quando l'auto si mise in moto, il pinguino si strinse alla bambina, come se il rumore l'avesse spaventato. Viktor guardò nello specchietto e li vide quasi appiccicati. Diede una leggera gomitata a Sergej perché guardasse anche lui. Questi regolò lo specchietto retrovisore per assistere al buffo idillio sul sedile posteriore. Si scambiarono un'occhiata. Sergej fece un sorriso stanco e pigiò l'acceleratore.

Inutile girarci troppo intorno: probabilmente se non avesse avuto questa copertina meravigliosa, non avrei mai letto Picnic sul ghiaccio di Andrei Kurkov. D’altronde la prima edizione, uscita per Garzanti nel 2003, mi era completamente sfuggita. Il romanzo è stato ora ripubblicato da Keller editore, con la traduzione di Rosa Mauro e  una veste grafica che già da sola vale tutto il libro. 
Pinguini in copertina e, qua e là, anche qualche pinguino all'interno per me sono già degli ottimi motivi per leggere un libro.

Immaginatevi quindi il mio entusiasmo quando ho conosciuto Miša, il pinguino che Viktor, lo scrittore protagonista di Picnic sul ghiaccio, ha preso dallo zoo di Kiev quando ha deciso di dar via tutti i suoi animali per mancanza di fondi. Misa è al momento l’unica compagnia di Viktor, che vive in solitudine in una città in balia di mafia e nuovi ricchi dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Un giorno, però, riceve una proposta che potrebbe segnare una svolta nella sua carriera e nella sua vita: un importante giornale cittadino lo assume per scrivere i coccodrilli delle persone famose, da aver pronti da pubblicare sul giornale una volta morti. Un lavoro ben pagato, che Viktor accetta con un certo entusiasmo e in cui mette molta passione. Finché non si accorge che tutte le persone di cui ha scritto nel giro di poco tempo sono morte in circostanze misteriose. Coincidenze o qualcosa di più grave, in cui si è ritrovato invischiato senza quasi rendersene conto? Nel mentre, oltre a Miša, a cui non dovranno mai mancare forniture di pesce surgelato, si ritroverà a badare anche a Sonja, una bambina lasciatagli in custodia da un uomo misterioso, ma soprattutto dovrà cercare in ogni modo di salvarsi la vita.



Picnic sul ghiaccio è un romanzo thriller abbastanza folle. Una follia divertente, sebbene la storia che racconta prenda spunto dalla vita reale che si è vissuta in Ucraina all’epoca, grazie alla bella caratterizzazione di Viktor e da questo buffo pinguino che spunta nei momenti più impensabili e con i suoi gesti, i suoi sguardi e i suoi tuffi nell’acqua dice molto di più che se avesse la parola, fino ad arrivare a svolgere un ruolo chiave in tutta la vicenda. 
Verso la fine, però, il divertimento un po’ si smorza, forse perché la storia quando raggiunge il suo climax raggiunge di pari passo anche la sua massima assurdità e follia e, a tratti, si fa un po’ più complessa da seguire. In parte credo sia un effetto voluto, perché si viene quasi travolti dalla presa di consapevolezza di Viktor e dalla sua lotta, in certi momenti convulsa, per capire cosa sta succedendo e cercare di uscirne. 

In ogni caso, quella di Picnic sul ghiaccio è stata una lettura divertente e un po' strampalata, con alcuni momenti anche molto dolci (per esempio, proprio i picnic sul ghiaccio del titolo) e, soprattutto, con personaggi indimenticabili.
E ovviamente adesso vorrei avere un pinguino anche io.


TITOLO: Picnic sul ghiaccio
AUTORE: Andrei Kurkov
TRADUTTORE: Rosa Mauro
PAGINE: 280
ANNO: 2017
EDITORE: Keller editore
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formato cartaceo: Picnic sul ghiaccio

giovedì 11 gennaio 2018

IL CLUB DEL LIBRO E DELLA TORTA DI BUCCE DI PATATA DI GUERNSEY - Mary Ann Shaffer & Annie Barrows

Ecco ciò che amo della lettura: di un libro ti può interessare un piccolo particolare, e quel piccolo particolare ti condurrà a un altro libro, e da lì arriverai a un terzo. È una progressione geometrica, di cui non si vede la fine e che ha come unico scopo il puro piacere.


Il Club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey di Mary Ann Shaffer & Annie Barrow era già uscito in Italia qualche anno fa, nel 2008, per un altro editore e, soprattutto, con un altro titolo: La società letteraria di Guernsey. Quella prima edizione, di Sonzogno, però, non mi era mai capitata tra le mani. Anzi, a dirla proprio tutta, non l’avevo mai nemmeno sentito nominare.

Nel 2017, la casa editrice Astoria ha deciso di ripubblicarlo, sempre con la traduzione di Giovanna Scocchera ed Eleonora Rinaldi, ripristinando però nel titolo il riferimento alla torta di bucce di patate che compare in originale. E credo che sia stato proprio quello ad attirarmi verso questo romanzo e, almeno in parte, a spingermi alla sua lettura. Un ruolo fondamentale nella mia decisione di leggerlo lo hanno svolto anche tutti i commenti entusiasti che ho letto a riguardo di questo romanzo poco dopo la nuova edizione.  (Ma sì, dai, aggiungiamoci anche la copertina, ché ho una passione per queste semplicissime eppure molto di impatto copertine rosse, marchio di fabbrica di questa piccola casa editrice).

Non sapevo esattamente che cosa aspettarmi. Sapevo che si sarebbe trattato di un libro sui libri, questo sì. Speravo anche magari di trovarci qualche ricetta, magari proprio quella della torta di bucce di patata. Sapevo poi che si trattava di un romanzo epistolare e che sì, in qualche modo, c’entrasse anche la seconda guerra mondiale. Non avevo idea, però, che questo romanzo mi avrebbe appassionata così tanto.

Siamo nel 1946, la Seconda guerra mondiale è appena finita ma i suoi strascichi si sentono ancora in quasi tutta Europa. Anche Juliet Ashton, una giovane giornalista londinese di successo, li sente ancora, anche se in modo diverso: lei è diventata famosa proprio in tempo di guerra, grazie ai suoi articoli, scritti con lo pseudonimo di Izzy Bickerstaff, in cui ha raccontato in modo ironico la vita in quegli anni. Quegli articoli sono stati raccolti in un volume, Izzy Bickerstaff va in guerra, che sta vendendo molto ma anche mettendo in difficoltà la donna su cosa scrivere adesso. Difficile trovare l’ispirazione, tra un tour promozionale e l’altro, in un paese distrutto.
Perché sono così malinconica? Dovrei essere felicissima all'idea di leggere Izzy di fronte a un pubblico rapito. Sai quanto mi piaccia parlare di libri, e sai quanto io adori ricevere complimenti. Dovrei essere elettrizzata. La verità è che sono triste, più triste di quanto non sia mai stata durante la guerra. È tutto così distrutto, Sophie: le strade, gli edifici, le persone. Specialmente le persone.
Finché un giorno non le arriva a casa una lettera di uno sconosciuto, tale Dawsey Adams, che le scrive da Guernsey, un paesino che si trova nelle Isole del Canale, quel gruppo di isolette in mezzo alla Manica. L’uomo la contatta perché in un vecchio libro usato di Charles Lamb ha trovato il suo nome e il suo indirizzo. L’uomo, appassionato di questo autore, le chiede se sa dove potrebbe ordinare altri suoi libri. Tra i due inizia così uno scambio di lettere, a cui ben presto parteciperanno anche altri abitanti dell’isola, da cui Juliet scopre com’è stata la vita a Guersey al tempo dell’occupazione tedesca e, soprattutto, come hanno fatto gli abitanti a sopravvivere. È in quel tempo che è nato iI club del libro e della torta di bucce di patata, grazie alla prontezza di Elizabeth McKenna, un’abitante dell’isola che non si è mai lasciata scoraggiare dalle difficoltà, nemmeno quelle più terribili. Juliet si innamora di queste storie e decide di partire per Guernsey, certa di aver finalmente trovato l’ispirazione per il suo prossimo libro, ma forse anche qualcosa di più.

Il Club del libro e della torta di bucce di patata di  Guernsey di Mary Ann Shaffer & Annie Barrow (la prima lo ha iniziato, la seconda l'ha aiutata a finirlo quando si è ammalata), prima di tutto, è un romanzo divertente, grazie al temperamento di Juliet e a tutti gli altri personaggi inglesi che ruotano intorno a lei (l’amico e editore Sidney, ma anche lo spasimante Markham Reynolds). 
Poi, man mano che si leggono le lettere che arrivano da Guernsey e se ne conoscono gli abitanti diventa un romanzo dolce, tenero e a tratti anche molto commovente, che riflette sull'importanza dell’amicizia e dei legami, spesso improbabili, che si possono creare nei momenti più bui. E poi, ovviamente, c’è l’amore per i libri, che si trasformano davvero in ancore di salvezza per sopravvivere in mezzo alle difficoltà.

Temevo che la forma epistolare per duecentonovantadue pagine non avrebbe retto, che non sarebbe riuscita a portare avanti tutta la storia e coinvolgermi così tanto. E invece sì, ci è riuscita e questo romanzo mi è piaciuto molto. Al punto da voler partire per le Isole del Canale, per partecipare a un club del libro insieme a Dawsey, Amelia, Isola e tutti gli altri improbabili membri, per mangiare una torta di bucce di patata (lo so, è un piatto poverissimo, inventato per poter sopravvivere mangiando scarti in tempo di guerra… ma avrei comunque sperato che ci fosse la ricetta) e ascoltare le storie sulla vita di Elizabeth e sul grande amore per i libri e per la vita.


TITOLO: Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey
AUTORE: Mary Ann Shaffer & Annie Barrows
TRADUTTORE: Giovanna Scocchera ed Eleonora Rinaldi
PAGINE: 292
ANNO: 2017
EDITORE: Astoria
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formato cartaceo: Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey

lunedì 8 gennaio 2018

UN ROMANZO INGLESE - Stéphanie Hochet

La guerra cambierà l'avvenire e la concezione che ne abbiamo. Modificherà il nostro modo di pensare. Chiameremo la guerra con dei numeri, anni di inizio e fine, ricorderemo delle immagini e non soltanto immagini di distruzione; si sentirà la leggera vergogna di coloro che saranno risparmiati. Si parlerà diversamente perché il vocabolario si sarà arricchito di parole nuove nate al fronte o dalle recenti tecniche industriali, oppure semplicemente perché dopo quel cataclisma ci si vorrà esprimere in maniera differente, magari con altro accento, forse per dimenticare quello di prima. Per dimenticare il mondo che ci ha portato fino a quel punto. Troveremo altri modi per sentirci felici e capiremo che per esserlo basterà la presenza di una persona cara.



Mi ci è voluto un po’ di tempo per riuscire a scrivere una recensione di Un romanzo inglese di Stéphanie Hochet, edito da Voland con la traduzione di Roberto Lana. È stato l’ultimo libro che ho letto nel 2017 e, complici le festività natalizie, l’arrivo del nuovo anno e la poca voglia di stare al computer, la sua recensione è rimasta in sospeso. In realtà, in parte, è anche perché non sapevo bene cosa scriverne. Già leggendolo, infatti, non riuscivo a capire se il libro mi stesse piacendo o meno.

Un romanzo inglese, come il titolo stesso lascia intendere, è il tipico romanzo inglese. Ci si ritrovano le atmosfere e lo stile di scrittura, lento, pacato, senza grossi exploit narrativi eppure intenso ed efficace. Con l’unica differenza che a scriverlo è stata una scrittrice francese, evidentemente appassionata di letteratura inglese, al punto da voler cimentarsi anche lei con il genere.

Il libro è ambientato in un paesino della campagna inglese nel 1917, dove una coppia, Anna e Edward Whig, si è trasferita insieme al figlio piccolo per sfuggire ai bombardamenti londinesi. Edward fa avanti e indietro tra la campagna e la città, dove gestisce un negozio di orologeria; Anna, invece, lavora come traduttrice e intanto cura il piccolo Jack. Per poter coniugare meglio le due cose, Anna decide di assumere un’istitutrice per il bambino. La ricerca richiede più tempo del previsto, perché in tempo di guerra è davvero difficile trovare qualcuno che possa svolgere questi lavori. Finché un giorno non riceve la lettera di George. Anna è incuriosita, convinta di trovarsi di fronte a una donna costretta per qualche motivo a usare un nome da uomo, come George Eliot, l’autrice di Middlemarch. La assume, per poi scoprire la cosa più ovvia: ovvero che si tratta di un uomo. All’inizio Anna è destabilizzata dalla cosa, sia perché si aspettava una donna, sia perché in questo giovane istitutore rivede un po’ suo cugino, al momento disperso in guerra. A poco a poco, però, inizia a conoscere meglio George e a trovare con lui un’intesa che con il marito ha perso da tempo e che la porterà a mettere in discussione se stessa e tutta la sua vita, fino a un tragico epilogo.

Non so esattamente che cosa dire di questo romanzo perché, anche adesso che ci ripenso, non riesco a capire del tutto cosa mi abbia lasciato. Si legge bene, quasi senza rendersene conto. Ed è anche scritto bene, al punto che se non si sapesse che è scritto da un’autrice francese non si coglierebbe alcuna differenza. Tratta poi temi importanti, come quello della guerra e della vita durante quegli anni, ma anche del rapporto genitori figli e della ricerca di se stessi.
Però, ecco, ho l’impressione che non mi abbia trasmesso quasi nulla. Che non sia un romanzo che rimarrà nella mia mente, se non per qualche bella citazione.
Per noi, che siamo rimasti lontani dal fronte, onorare il paese è continuare a funzionare come in tempo di pace. Onorare il paese - per quanti ne sono intimamente convinti - è riparare il meccanismo di un orologio di famiglia o di un pendolo, mentre gli Zeppelin sganciano centinaia, migliaia di cilindri carichi di esplosivo sulla capitale, come si distrugge un formicaio. Oppure parlare del senso della punteggiatura nell'opera di Proust quando non si hanno più notizie di un cugino inviato al fronte. Leggere una tragedia greca, spolverare il servizio da te, anche se nessuno verrà a farci visita. È tenere il proprio villino in ordine, chinarsi sulle piante del giardino per controllare che il gelo non le abbia uccise.
È una di quelle letture senza infamia e senza lode, che quasi ti scorrono addosso e durano solo il momento della lettura. Almeno così è stato per me, che ho visto in Un romanzo inglese più un esercizio di stile di Stéphanie Hochet, un “ehi, guardate che non bisogna essere per forza inglesi per scrivere un romanzo così”, che non qualcosa di più profondo.

Non è un brutto libro, intendiamoci. È solo un libro di cui io personalmente avrei potuto anche fare a meno.  


TITOLO: Un romanzo inglese
AUTORE: Stéphanie Hochet
TRADUTTORE: Roberto Lana
PAGINE: 126
ANNO: 2017
EDITORE: Voland
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formato cartaceo: Un romanzo inglese
formato ebook:Un romanzo inglese