domenica 29 giugno 2014

MRS WEBSTER - Caroline Blackwood

Non so voi, ma quando mi prestano libri così a scatola chiusa, senza che li abbia mai sentiti nominare, non so mai bene cosa aspettarmi. Questo Mrs Webster mi è stato prestato da una collega, che me l'ha sporto dicendomi "Leggilo e fammi sapere cosa ne pensi, così poi decido se leggerlo anche io". 
Non l'avevo mai sentito nominare, anche perché uscito da poco, così come non avevo mai sentito nominare la sua autrice, Caroline Blackwood, sebbene pare fosse un'importante artista, scrittrice, giornalista nonché musa ispiratrice della Londra della seconda metà del '900. Un periodo che non conosco molto, perché i corsi di letteratura fatti a scuola o all'università tendono a concentrarsi su altri periodi o comunque su scrittori un po' più affermati.

La curiosità era quindi molta,  grazie anche alla bellissima copertina della elliot, ma altrettanta era la paura di trovarmi di fronte a un libro che, per un motivo o per l'altro, potesse non piacermi.

Il libro racconta, attraverso una serie di episodi e di personaggi, la vita di Mrs Webster, bisnonna di Caroline Blackwood e donna fredda e austera, incapace di provare ogni emozione. In questo libro, l'autrice ci racconta parte della sua infanzia: di quando dopo un'operazione ha dovuto soggiornare presso la cupa casa della parente, della morte del padre avvenuta durante la guerra, dell'instabilità emotiva della nonna, di cui nessuno vuole mai parlare, e dell'imbroglio della zia, sempre vispa e allegra per mascherare una profonda tristezza e delusione. Un libro che è una sorta di denuncia, quindi, della società anglo-irlandese dell'epoca, oltre che una storia autobiografica.

Devo ammettere però che, vista la quarta di copertina e la trama descritta nel risvolto, mi aspettavo qualcosa di più. Il libro è sicuramente interessante, scritto bene e molto godibile nella lettura. Però gli manca qualcosa. Forse sarebbe bastata qualche pagina in più, con qualche aneddoto in più sulla bisnonna o sui vari parenti, perché la lettura mi convincesse di più. Non so, si arriva alla fine con la sensazione che manchi qualcosa, sebbene l'autrice racconti qualcosa di un po' tutti i personaggi. Poi non l'ho nemmeno trovato così esilarante, come la frase presa dal The Times Literary Suplement e riportata sulla copertina lasciava intendere. Lo so, di queste frasi non bisognerebbe mai fidarsi, però, ecco, non ho mai riso di fronte ai racconti di Caroline Blackwood sul suo parentame. Credo di aver provato più tristezza e pena, che non aver sorriso (ma qui potrebbe anche centrare la mia scarsa conoscenza dell'aristocrazia dell'epoca).

In ogni caso, il libro è scritto sicuramente bene e  Caroline Blackwood riesce a mettere su carta le sue emozioni e le sue sensazioni in modo molto netto e molto chiaro. Se siete interessati a quel periodo, e cercate una lettura non troppo pensante, Mrs Webster potrebbe fare al caso vostro.

Titolo: Mrs Webster
Autore: Caroline Blackwood
Traduttore: Elena Bollati
Pagine: 128
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: elliot
ISBN: 9788861925250
Prezzo di copertina: 14,50 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Mrs Webster

sabato 28 giugno 2014

Libri e ricordi (ovvero, un post sconclusionato su uno dei motivi per cui mi piacciono tanto i libri)

Se qualcuno mi chiedesse come mai mi piacciono tanto i libri (una domanda che credo nessuno abbia il coraggio di pormi, perché quando inizio a parlare di libri divento un pochino esaltata), credo che una delle prime risposte che darei sarebbe per la storia che si portano dietro. La storia che contengono, certo, che può piacere o non piacere. Ma anche la storia di chi l'ha scritto, di come, quando e perché. E soprattutto la storia di come quel libro è arrivato a me. 
Ovvio se vado in negozio a comprarli o se mi arrivano via corriere, non è che possano avere chi sa quanto da raccontare (anche se, se ci pensate, passano di mano in mano più e più volte e si fanno un viaggio di km in scatoloni... e poi ci sono le battute scambiate con i librai!). Mi riferisco a quei libri che entrano per caso nella nostra vita, quasi all'improvviso, e di cui ci ricorderemo per sempre.

Illustrazione di Lillian Sandoval
Prendiamo ad esempio il libro che sto leggendo ora, Mrs Webster di Caroline Blackwood. Non lo avevo mai sentito nominare, poi l'altro giorno una mia collega con cui condivido la passione per la lettura, mi ferma all'uscita da lavoro e mi dice "Tieni, ti ho portato un libro, spero che ti piaccia!". Ecco, a me queste cose fanno impazzire. Vuol dire che la mattina ha visto il libro, ha pensato a me e ha deciso di portarmelo.

Un altro esempio, di cui vi ho già parlato più volte ma che non mi stancherò mai di ricordare, è Cent'anni di solitudine di Márquez. Oltre alla bellissima trama, per me ha un forte valore affettivo tutta la fatica che ha provato mio padre per convincermi a leggerlo. 

Guardando la mia libreria, mi rendo conto che ci sono tantissimi libri lì dentro che hanno una storia oltre a quella che raccontano nelle loro pagine. Se prendo Soffocare di Palahniuck non posso fare a meno di ricordare la sera in cui il mio (allora non ancora) fidanzato me lo ha regalato. Insieme al libro mi ha dato una gomma a forma di nocciolina. Se guardo il Don Chisciotte di Cervantes, mi ricordo l'esame di letteratura spagnola II all'Università, o quella volta in cui, durante una conferenza con un poeta spagnolo, ho risposto di fronte a tutti a una domanda relativa a uno degli episodi raccontati.
El alquimista di Coehlo è il primo libro che ho letto in spagnolo, regalo di un amico che, oltre a questo, mi ha fatto scoprire anche i fumetti di Calvin & Hobbes. 
La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo di Audrey Niffenegger l'ho scoperto grazie a una mia carissima amica, che ancora oggi è una delle mie spacciatrici ufficiali di libri e che mi ha fatto scoprire alcuni dei miei scrittori preferiti in assoluto. Il romanzo della Niffenegger me l'ha prestato, l'ho amato, me lo sono comprato e, insieme, lo abbiamo fatto girare tra tutte le nostre amiche e compagne di università. 
illustrazione di  Jesse Kuhn
Ci sono poi i libri con le dediche e gli autografi degli autori, che mi rimandano sempre al momento in cui mi ci sono trovata di fronte e, tremante, ho scambiato con loro due chiacchiere (mi emoziono sempre tantissimo in queste situazioni, divento tutta rossa e parlo a raffica... avranno pensato che fossi matta), ma anche quelli, tantissimi, con le dediche di chi me li ha regalati (mai regalare un libro senza dedica!). Uno di quelli che ricordo con più affetto, tra questi, è La ragazza con l'orecchino di perla, regalato in quinta superiore dalle mie compagne di classe a Natale. Era stato un regalo completamente inaspettato, arrivato in un periodo in cui avevo estremamente bisogno di questi piccoli gesti d'affetto (e credo di aver pianto come una fontana). I rapporti si sono persi quasi con tutte, però quel momento me lo ricorderò sempre. Così come mi ricordo tutti i compleanni e i natali con le mie grandi amiche di adesso, a scambiarci libri davanti a tazze di te o coppe di gelato (in base a quando cadono le varie ricorrenze).
Ci sono i libri che collego a periodo precisi della mia vita: "questo l'ho letto in quella bellissima vacanza", "questo mi ha tenuto compagnia quella volta in cui ero in ospedale" (ok, mi vergogno a rivelarvi qual è stato il libro che mi ha tenuto compagnia la volta in cui sono stata ricoverata cinque giorni... ), "questo l'ho comprato qui", "questo non so come diavolo sia finito in mezzo ai miei libri", etc etc...
Credo che potrei andare avanti delle ore. Che se prendessi uno a uno i libri che ho in libreria riuscirei a dedicare ad ognuno di essi un intero post per raccontarne la storia. Tranquilli, non ho intenzione di farlo. Però ecco, già solo il sapere di poterlo fare mi basterebbe come ragione per adorarli. Se a questo poi aggiungiamo le storie che raccontano tra lo loro pagine, beh, non può essere che grande e infinito amore.
Probabilmente succede la stessa cosa anche con altri oggetti, non solo con i libri. Ogni cosa che abbiamo in casa ha una sua piccola storia, si porta dietro un piccolo o grande ricordo, che per un momento vi farà sorridere ogni volta che ci pensate.

Ok, rileggendo il post mi rendo conto che questo post non abbia poi molto senso. I miei soliti pensieri casuali che hanno bisogno di essere scritti perché mi escano finalmente dalla mente.
Sono sicura però che per molti di voi sia lo stesso e che se in questo momento vi fermate a guardare la vostra libreria, anche voi proverete questo senso di affetto che va oltre le pagine. Se vi va, raccontate nei commenti la storia di uno dei vostri libri, anche se a voi sembra banale, perché sono sicura che sarà comunque bellissima.

giovedì 26 giugno 2014

L'ALLEGRA APOCALISSE - Arto Paasilinna

Ultimamente mi sono resa conto che se non avessi un e-reader, molto probabilmente, alcuni libri non li avrei mai letti. Sarà il costo, saranno le offerte quotidiane  o il poco spazio che occupano, fatto sta che da quando acquisto anche gli ebook mi faccio molti meno scrupoli e ho molte più possibilità di scoprire libri che potrebbero piacermi. Certo, aumenta anche la possibilità di prendersi cantonate, perché si sta molto meno attenti a cosa si compra. 

Arto Paasilinna è uno di quegli autori che probabilmente senza ereader e senza offerta non avrei mai scoperto. O magari sì, ma solo tra qualche anno.Ne avevo già sentito parlare più di una volta, su blog e siti letterari, ma mai tanto entusiasticamente da decidere di comprare un suo romanzo cartaceo. E' di quegli autori di cui si sente parlare sia bene sia male, in base a una certa affinità che può nascere o non nascere con il suo stile.  Dopo aver letto L'allegra apocalisse riesco a capirne perfettamente il motivo.

Il libro inizia con la morte di Asser Toropainer, un vecchio comunista "bruciachiese", che come sua ultima volontà richiede al nipote Eemeli Toropainen che costruisca un tempio.
Il nipote accetta e ben presto questo tempio diventa il fulcro di una piccola comunità ecologista e completamente autonoma, via via sempre più grande man mano che si sparge la voce. Una comunità che vive quasi senza leggi e per questo in pace e armonia, riuscendo a sopravvivere a tutti i mali che a poco a poco invadono il resto del mondo: carestie, disastri ambientali,  bombe H,  terze guerre mondiale e, già che ci siamo,  forse anche alla fine del mondo. E' un luogo in cui tutti sono ben accetti, purché diano una mano, e per questo preso di mira dalle autorità statali ed ecclesiastiche che pretendono pagamenti di dazi e richieste di autorizzazione.

I presupposti perché il romanzo diventasse uno dei miei preferiti c'erano tutte. Adoro questo genere di storie, un po' buffe,  ma che nascondono grandi insegnamenti e verità (e se hanno una punta di blasfemo mi piacciono ancora di più), e con personaggi un po' bislacchi che trovano il loro posto nel mondo. Eppure qualcosa nella trama o nello stile di Paasilinna non ha funzionato a dovere. I primi capitoli volano, trasmettendo al lettore un forte senso di attesa e di curiosità. Il problema è che questo senso di attesa non svanisce proseguendo con la lettura e si arriva alla fine che ancora ci si aspetta qualcosa. Probabilmente è una sensazione che l'autore voleva suscitare, perché comunque di cose nel libro ne succedono eccome ma tutti i personaggi quasi non ne vengono sfiorati, perché l'idillio della loro piccola comunità è praticamente inviolabile. Però ecco, questo senso di attesa, di calma anche di fronte agli eventi più disparati, alla lunga mi ha un po' innervosita e, devo ammetterlo, anche un po' annoiata. Le ultime pagine sono state quasi una sofferenza, proprio perché sapevo che di azione non ce ne sarebbe stata nemmeno alla fine.


L'allegra apocalisse è comunque un romanzo curioso, ben scritto e ben pensato, a cui però, almeno per quanto mi riguarda, è mancato un po' di brio per renderlo indimenticabile.

Sicuramente darò un'altra possibilità a questo autore... magari alla prossima offerta in ebook.


Titolo: L'allegra apocalisse
Autore: Arto Paasilinna
Traduttore: N. Rainò
Pagine: 320
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Iperborea
ISBN: 978-8870911893
Prezzo di copertina: 16,00 €
Acquista su amazon:
formato brossura: L'allegra apocalisse

mercoledì 25 giugno 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #84

Credo che ormai abbiate capito che, se in un periodo mi fisso con un autore, ve ne parlerò continuamente, ovunque e il più possibile fino a naturale esaurimento di questa fissa. Quella di Moehringer pensavo mi fosse quasi passata, avendo esaurito i romanzi suoi da leggere (ok, manca ancora Open) finora pubblicati qui in Italia. E davvero ero convinta che per un po' non avrei più citato il suo nome se non per consigliarlo a chi me lo chiedesse esplicitamente. Però poi ieri chiacchierando di libri con una mia collega è venuto fuori di nuovo il suo nome, le ho consigliato i suoi libri, lei mi ha detto che uno lo aveva già letto e adorato e che, visto il mio entusiasmo, avrebbe sicuramente letto anche il secondo. Dopo questo dialogo mi è venuta di nuovo voglia di parlare di Moehringer. Fortuna vuole che i titoli dei suoi due libri pubblicati in italiano siano diversi dagli originali. E quindi ho una scusa più che valida per potervene parlare!

Il primo libro di Moehringer, giornalista americano che ha vinto il premio Pulitzer per un suo reportage, è THE TENDER BAR, pubblicato in lingua originale nel 2005 e poi tradotto in italiano da Annalisa Carena lo stesso anno per la Piemme, con il titolo IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE




Il romanzo è una sorta di autobiografia, in cui Moehringer racconta la sua infanzia e la sua giovinezza, ripercorrendo tutta la strada che lo ha portato a diventare un giornalista. Fulcro della sua infanzia è il bar Dickens, poi ribattezzato Publicans, in cui il ragazzino si rifugiava dai problemi di famiglia.

Ammetto di avere qualche difficoltà con la traduzione del titolo originale. Mi verrebbe da dire che si potrebbe tradurre con "il barista" (anche se sarebbe più "bar tender" che non "tender bar").
In ogni caso il titolo italiano è ben diverso. Si è scelto infatti di mantenere più evidente il riferimento letterario del locale, che, come abbiamo visto, si chiamava Dickens, adattando un titolo di questo scrittore, Grandi speranze. Una scelta che trovo abbastanza comprensibile e azzeccata, sebbene diversa dall'originale.

Nel 2012, più o meno in contemporanea con Open, esce in lingua originale il suo secondo libro SUTTON. La traduzione italiana arriva all'inizio del 2013, sempre per Piemme ma questa volta ad opera di G. Zucca, con il titolo PIENO GIORNO


Il libro racconta la storia di Willie Sutton, uno dei più famosi ladri d'America del '900.
Ovviamente il titolo originale riprende il cognome del protagonista, senza aver bisogno di ulteriori spiegazioni in quanto in America era conosciuto da tutti. In italiano invece si elimina questo riferimento diretto dalla copertina, probabilmente perché non si sarebbe capito e non avrebbe quindi attratto più di tanto l'attenzione del lettore. Si è scelto di utilizzare "Pieno giorno", in riferimento a una frase che il protagonista dice più di una volta all'interno del libro (non so voi, ma io mi esalto tantissimo quando durante la lettura arrivo al momento in cui si capisce il significato del titolo). Un cambiamento abbastanza drastico, certo, ma che trovo anche funzionare.

Che ne pensate?
E, soprattutto, cosa aspettate a leggere questi due bellissimi libri?

lunedì 23 giugno 2014

Di discriminazioni letterarie e di leggere un po' quel cavolo che ci pare.

Non sono mai stata una fervente femminista. Mi rendo conto che questo mio esordio forse farà storcere un po' il naso, ma è quello che effettivamente sento. Nel senso che è ovvio che ci debbano essere gli stessi diritti tra uomini e donne. Tra tutti gli esseri umani, indipendentemente dal sesso, insomma. Ed è ovvio che una donna non dovrebbe mai essere discriminata perché fisicamente più debole rispetto a un uomo, o perché un giorno potrà rimanere incinta o lo è rimasta in passato. Non penso nemmeno che sia il caso che io specifichi queste cose. Però, ecco, ad esempio, alla recente proposta di legge in Parlamento per l'introduzione delle quote rosa io avrei votato no. Non perché non voglia lo stesso numero di uomini e di donne in Parlamento, ma perché se viene imposto da una legge, secondo me, non vale poi molto. 
Uno dovrebbe entrare in Parlamento per i suoi meriti (sì, lo so, fa ridere anche me questa frase), non in base agli organi genitali di cui madre natura l'ha dotato. Se serve una legge perché questo succeda, beh, per me rimane un grande fallimento nella parità di diritti.

Illustrazione di Adolfo Serra
Ok, mi sa che è ora che smetta di divagare e spieghi cosa vorrei provare a scrivere in questo post, che mi sta frullando in mente da quando ho letto sul blog Le mele del Silenzio di Andrea (blog che vi consiglio caldamente di seguire, che il ragazzo legge davvero dei bei libri) il suo pensiero in riferimento all'articolo comparso qualche giorno fa su la 27ora del Corriere, e in particolare ai commenti che ne sono seguiti. L'articolo in questione, che, diciamolo subito, mi è parso molto frettoloso e superficiale, denunciava una qualche discriminazione nei confronti delle scrittrici da parte dei lettori uomini che tendono a preferire romanzi scritti da persone del loro stesso sesso. Parla di suoi amici lettori che pensano che le donne scrivano solo romanzi stucchevoli e melensi, di premi letterari che premiano sempre e solo uomini (chi ha vinto il Pulitzer quest'anno? Donna Tartt. E due anni fa? Jennifer Egan. E il Bancarella l'anno scorso? La Premol... vabbè, forse questa non vale per confutare la tesi), e di classifiche di vendita in cui i libri scritti da uomini sono più venduti di quelli scritti da donne, e questo è sicuramente colpa degli uomini.

La cosa buffa è che proprio qualche giorno prima che uscisse l'articolo (che, ammetto, inizialmente avevo un po' ignorato) e che Andrea pubblicasse il suo post, ho guardato le mie letture degli ultimi mesi e mi sono resa conto che si trattava prevalentemente di romanzi scritti da uomini. Ho letto anche autrici eh, ma in misura minore. Non chiedetemi perché, perché non ne ho proprio idea. Anche perché io leggo un libro in base a se questo mi ispira o meno, indipendentemente da chi ne sia l'autore. E, onestamente, credo che faccia così la stragrande maggioranza di lettori appassionati. Leggo ciò che immagino mi possa piacere, che l'abbia scritto un uomo, una donna, un cane, un gatto o una giraffa onestamente non mi cambia di nulla (ok, se sapete di un libro scritto da una giraffa vi prego di farmelo sapere, che sarei proprio curiosa).
Qualche autrice donna che ho scoperto di recente e di cui sono follemente innamorata c'è, ovviamente. La Munro, scoperta grazie al Nobel qualche mese fa ed entrata di diritto nella mia top 5 di scrittori preferiti, o Miriam Toews o Elena Ferrante.
Però, sì, lo devo ammettere, credo di leggere principalmente uomini. Il fatto è che non riesco nemmeno a capire cosa ci possa essere di male, in questo. Né perché si debba per forza cercare di fare una questione di discriminazione anche nei gusti letterari di ognuno. Le scrittrici brave ci sono, proprio come ci sono gli scrittori bravi. Le scrittrici mediocri ci sono, e idem gli scrittori mediocri. Se sono nello stesso numero, onestamente non lo so. 

Per scrivere un post come quello comparso sul Corriere, a cui  si sapeva che inevitabilmente sarebbe seguiti commenti spiacevoli e sessisti, perché di gente spiacevole e sessista è purtroppo pieno il mondo, secondo me, bisognava innanzitutto aver chiaro di quali libri si volesse parlare. Se di letteratura o se di semplice intrattenimento. Perché onestamente, anche fosse vero che tutti gli uomini non leggono autrici donne, non mi sentirei di biasimarli di fronte all'ultima trilogia porno o all'ultimo pasto da Tiffany giunto in libreria (sto aspettando che esca un "In bagno da Tiffany", quello sì che lo comprerei). Nemmeno io, donna, riesco a leggerli certi libri. E anche volendo, non si può negare (perché bisognerebbe farlo, poi?) che siano indirizzati principalmente a un pubblico femminile. Se i lettori uomini non li leggono, non penso sia per discriminazione ma perché semplicemente quello che viene raccontato li annoia. Che ci sia una sensibilità diversa, tra uomo e donna, è inutile negarlo. Così come c'è anche tra ogni donna, ogni uomo, tra tutti.

Illustrazione di Miles Hyman
Certo, è sbagliato che si identifichi tutta la letteratura femminile con i romanzi rosa da supermercato. Con il puro intrattenimento, se torniamo alla distinzione che facevo prima. Perché è ovvio che Alice Munro o Jennifer Egan o Agota Kristoff o Aimee Bender o la nostra cara Elena Ferrante non abbiano assolutamente nulla a che fare con E. L. James o con la Kinsella (così come Fabio Volo e Moccia non hanno assolutamente nulla a che fare con Murakami, Auster e Roth). E se qualcuno pensa che la letteratura femminile sia quella, beh, più che discriminatorio mi sembra semplicemente poco informato, poco propenso ad andare oltre a quello che gli viene sbattuto davanti (ok, lo ammetto, stavo per scrivere imbecille, ma mi sono trattenuta).

Quello che più mi irrita, in un articolo del genere, è il cercare necessariamente di accusare, di cercare discriminazioni anche dove, onestamente, non ce ne sono. O almeno, non ce ne sono dal punto di vista dei lettori, secondo me. Leggo quello che più mi piace, quello con cui ho più affinità... e non per niente la maggior parte dei commentatori del post dice che non guarda chi sia l'autore del libro che sta comprando.

Discorso diverso sarebbe invece se parlassimo di una qualche discriminazione da parte degli editori, che preferiscono pubblicare libri scritti da uomini anziché libri scritti da donne. O che dedicano più spazio ai romanzi di scrittori invece che a quelli di scrittrici. Succede? Non lo so, onestamente. Non ho le basi, né le fonti per poterlo dire.

Forse sono ingenua, sono io che non vedo il problema e, più che altro, che trovo del tutto indifferente se il nome in copertina sia maschile o femminile. Ma sinceramente accusare gli uomini di leggere solo gli scrittori uomini, di avere pregiudizi, basandosi su dati di classifica (ma poi, se io compro un libro e poi dopo lo legge anche il mio ragazzo o mio fratello, come viene conteggiato?) e amici per cui Jane Austen e Liala sono la stessa cosa, mi sembra una grande boiata.

LA LIBRERIA DEGLI AMORI INATTESI - Lucy Dillon

Più o meno una volta all'anno abbandono tutti i miei pregiudizi, le mie perplessità e la mia avversione e leggo un romance dal titolo bislacco pubblicato dalla Garzanti.Lo faccio quando esce in versione tascabile l'ultimo romanzo di Lucy Dillon e ci sono gli sconti.
Solo questa autrice, che ho conosciuto quasi per caso qualche anno fa, quando un mio caro amico mi ha regalato in lingua originale il suo primo romanzo, The ballroomclass, riesce a farmi superare tutte le mie remore nei confronti di questo genere. Il motivo credo sia la presenza di un sacco di animaletti pelosi a quattro zampe in tutte le storie che scrive. Non riesco proprio a resistere, davanti a quei musetti. Anche se sono più che consapevole che il rischio di trovarsi di fronte a qualcosa di banale, scontato, già letto, già sentito è molto, molto alto, considerando soprattutto il fatto che Lucy Dillon pubblica un libro così all'anno, ogni anno, verso giugno, mi ritrovo un suo romanzo tra le mani.

Protagoniste sono Michelle e Anna. Michelle arriva in questo sperduto paese per sfuggire al suo passato. Espulsa della scuola che frequentava e poi ingabbiata in un matrimonio con un uomo tanto affascinante quanto viscido e crudele, la donna decide di aprire un negozio di chincaglierie per la casa al posto della vecchia pescheria. Durante i primi giorni conosce Anna, appassionata di libri per bambini, sposata con Phil, divorziato e padre di tre figlie in diverse fasi d'età a cui la donna si ritrova a fare da matrigna, rinunciando a un figlio tutto suo. Anna e Michelle diventano molto amiche, e quando Michelle decide di rilevare la libreria accanto al suo negozio, non può che affidarla ad Anna, alla quale però nasconde i suoi piani di trasformala in una succursale del suo già avviato negozio. Non potrà farlo prima di un anno però, perché il vecchio proprietario non affitterà il locale a nessuno senza la garanzia che almeno per altri 365 giorni rimarrà un libreria. A farsì che questo venga rispettato c'è il giovane e buffo avvocato appassionato di libri e, soprattutto, Tavish l'anziano cagnolino del proprietario.

Non vado avanti con la trama perché potete immaginare perfettamente da soli cosa possa succedere. Leggendo, mi sono ritrovata più di una volta a dire "Non dirmi che adesso..." e poi poche pagine dopo scoprire che effettivamente stava succedendo quello che avevo previsto.
 Però devo ammettere anche che questo libro è stato un compagno perfetto per una giornata in spiaggia. Che nella sua banalità mi ha tenuta compagnia senza richiedermi troppi sforzi mentali, che mi ha fatto ridere e sorridere e ha alimentato al punto giusto il lato pettegolo del mio carattere. E poi ci sono i libri, un elemento fondamentale nella vita di Anna, anche se forse un tantino stereotipata (o forse è la vita di noi lettori ad essere fatta di questi stereotipi). Ho apprezzato moltissimo l'idea di iniziare ogni capitolo con una breve recensione di un libro fatta da uno dei protagonisti, che in qualche modo anticipa quanto succederà nel capitolo.
Certo, i cani questa volta ci sono ma non svolgono un ruolo poi così fondamentale come nei precedenti e la loro presenza, per quanto buffa e adorabile, non era poi così fondamentale come la trama riportata in quarta di copertina lasciava intendere.
Insomma, La libreria degli amori inattesi è un libro piacevole e divertente da leggere, adatto quando si ha bisogno di riposare un po' la mente, senza però tuffarsi in romanzi davvero troppo imbecilli. Lo consiglio per un pomeriggio in spiaggia o comunque di totale inedia.

Ah sì, poi quando lo avrete letto, venite a spiegarmi cosa sono i palloncini di Natale da mettere sull'albero? (Un modo elegante per dire che la traduzione e la revisione avrebbero dovuto essere un po' più precise).


Titolo: La libreria degli amori inattesi
Autore: Lucy Dillon
Traduttore: Sara Caraffini
Pagine: 477
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811687528
Prezzo di copertina: 9,90 €
Acquista su amazon:
formato brossura: La libreria degli amori inattesi

giovedì 19 giugno 2014

IN VIAGGIO CONTROMANO - Michael Zadoorian


Troppe volte ultimamente mi viene da iniziare le recensioni dicendovi "non so assolutamente come fare a recensire questo libro". Forse dovrei cambiare "mestiere", penserete voi. E' che di fronte a certi libri, davvero, tutte le parole del mondo non servono a nulla. Servono solo quelle che questi libri contengono e leggerli è l'unico modo che si può avere per scoprire veramente quanto sono belli.

In viaggio contromano rientra di diritto in questa categoria di libri. Troppo grandi le emozioni che mi ha suscitato per riuscire anche solo a pensare di trasmetterle a voi. E pensare che la trama, pensandoci bene, non è nemmeno poi così originale.

Ci sono Ella e John, una coppia di anziani sposata da tanti anni, malata terminale di tumore lei e con l'Alzahimer lui, che, al diavolo tutto e tutti, decidono di prendere il loro vecchio camper, il Leisure Seeker, percorrere tutta la route 66 per andare a Disneyland. Un viaggio on the road, che ci viene raccontato direttamente da Ella, ben consapevole che sarà il loro ultimo viaggio insieme. Un viaggio fatto di ricordi, di imprevisti, di snervanti discussioni con un marito che spesso nemmeno si ricorda come si chiama la moglie. Di figli preoccupati che vorrebbero chiamare la polizia  e darli per dispersi, ma che alla fine capisco anche. Ma soprattutto un viaggio fatto di amore, tanto, immenso amore.
E' questa la cosa che più rimane del libro. Oltre al modo buffo in cui procede la narrazione, oltre alla tenerezza di certi momenti e alla tristezza di altri, c'è l'amore di questi due anziani coniugi, il legame che li ha tenuti uniti per tanti anni, che ancora li unisce adesso, nonostante le mille difficoltà che un viaggio in camper può provocare a una donna sul punto di morire e a un uomo che si dimentica le cose.
Un amore che, sicuramente, li terrà uniti anche dopo.

"John smette di masticare. Posa l'hamburger, si pulisce la bocca con il tovagliolo, mi mette una mano sulla coscia. «Ciao, amore» mi dice, completamente dimentico di quel che è successo nel frattempo.
Sa chi sono. Sa che sono la donna che ama, che ha sempre amato. Non c'è malattia, non c'è persona che te lo possa togliere, questo."

Credo che questo sia davvero un romanzo che tutti dovrebbero leggere. Anche i più duri di cuore, anche quelli che non amano le storie d'amore.

Non si può rimanere indifferenti a questa storia, allo stile con cui Michael Zadoorian ha scelto di raccontarla e a questi due bellissimi personaggi che si è inventato, unendo ironia, tenerezza, commozione. E riuscendo a creare così un romanzo dolcissimo e indimenticabile.


Titolo: In viaggio contromano
Autore: Michael Zadoorina
Traduttore: C. Tarolo
Pagine: 282
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: marcos y marcos
ISBN: 978-8871685052
Prezzo di copertina: 16,50 €
Acquista su amazon:

mercoledì 18 giugno 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché?#83

Mi sembra incredibile che io non abbia ancora parlato dei romanzi di Jonathan Tropper in questa rubrica. Eppure, ho controllato, questo autore che adoro non è stato protagonista di nessuna puntata di confronto tra titoli. Ed è incredibile perché a due dei suoi tre romanzi usciti in Italia è successo qualcosa di davvero strano, quando sono arrivati nelle nostre librerie. 

Ve li mostro tutti insieme, in ordine di pubblicazione in Italia (che, ho scoperto, non coincide con la pubblicazione originale).

Il primo ad arrivare, nel 2007 con la casa editrice Garzanti e la traduzione di S. Caraffini, è DOPO DI LEI, il cui titolo originale era HOW TO TALK TO A WIDOWER

 

Quindi, un romanzo che in originale si intitola "Come parlare a un vedovo", in italiano diventa "Dopo di lei". Forse la Garzanti aveva paura che venisse scambiato per un manuale di autoaiuto e non ha osato mantenere il titolo originale. Il fatto è che se non si legge la trama, la prima cosa che viene in mente vedendo il titolo italiano sia ambientato di fronte a una porta e protagonista sia un signore che si diverte a cedere a tutti il passaggio. Leggendolo e scoprendo che il protagonista è in realtà un giovane vedovo che si ritrova ad affrontare la vita dopo aver perso la moglie, anche il titolo italiano acquisisce un senso, sebbene non rispetti molto l'originale.

Il romanzo in Italia ottiene un discreto successo, grazie anche al bello stile dell'autore, e Garzanti decide quindi di far uscire nel 2008, sempre con la traduzione di Sara Caraffini, TUTTO PUO' CAMBIARE. In originale era uscito in realtà nel 2005 con il titolo EVERYTHING CHANGES




Questo è stato il primo romanzo che ho letto di Tropper e che me lo ha fatto adorare. Sul titolo, in questo, non si può poi dire molto, anche se non capisco perché non si è scelta una semplicissima traduzione letterale, Tutto cambia, e si è preferito inserire il verbo potere, che ne cambia leggermente il senso.

Nel 2009 esce un nuovo romanzo in lingua originale, con il titolo THIS IS WHERE I LEAVE YOU, che viene tradotto in italiano, sempre per Garzanti e sempre con la traduzione di S. Caraffini, nel 2010, con il titolo PORTAMI A CASA.


Tradurre letteralmente il titolo originale non è proprio così banale, ma io lo renderei con un "ti lascio qui" o "ecco dove ti lascio" (più letterale, questa, ma meno bella, secondo me). Il romanzo racconta di una famiglia riunita a casa per celebrare la Shivà e, in questa reclusione forzata, vengono fuori tutti i problemi, tutti i rancori e le difficoltà che i vari membri della famiglia si portano dietro. Ancora una volta nella versione italiana si è scelto di cambiare titolo, rendendolo ancora una volta poco fedele rispetto all'originale e con una diversa sfumatura di senso.

Scopro ora, facendo ricerche per questo post, che è stato tradotto in italiano anche un quarto libro di Jonathan Tropper. Non so come abbia fatto a perdermelo. Si tratta di ONE LAST THING BEFORE I GO, uscito in lingua originale nel 2012 e tradotto in italiano da D. Viani per Garnzanti nel 2013, con il titolo VOLTATI E SORRIDI


Letteralmente il titolo originale si potrebbe tradurre con "Un'ultima cosa prima che vada". Come abbiamo fatto a diventare "Voltati e sorridi" (che, non so a voi, ma a me sembra molto "Alzanti e cammina") è davvero un mistero. Ok, non ho letto il libro, però è un cambio talmente tanto drastico che dubito che si riesca a spiegare leggendolo.

E poi, ancora una volta, perché le copertine originali sono così belle e le nostre così banali? Niente faccioni, per carità (anche perché protagonisti dei romanzi di Tropper sono quasi sempre e solo uomini, e la moda dei faccioni di uomini in copertina, per fortuna, ancora non si è diffusa), però trovo che le copertine disegnate e non prese da fotografie siano molto più belle, che identifichino meglio il libro.

Che ne pensate dei cambi di titolo?
In ogni caso, se non avete mai letto nulla di Tropper vi consiglio di recuperare. I primi due romanzi soprattutto sono molto belli.

lunedì 16 giugno 2014

IL MONDO NON MI DEVE NULLA - Massimo Carlotto

A me, i libri questo mandano fuori di testa. Davvero. Mi arrabbio fin dal primo momento in cui li apro e vedo che sono scritti con carattere quattordici e più margine che testo. Sono libri che si leggono in un'ora al massimo e che starebbero tanto bene in una raccolta di racconti. Come testi singoli, no, mi spiace.
Mi chiedo sempre cosa ci sia dietro a queste operazioni commerciali. "Pubblichiamo qualcosa di questo autore, che sicuramente vende ,in attesa che esca il prossimo romanzo". E' questo il ragionamento che viene fatto in casa editrice? Comprensibilissimo eh, tant'è che, sebbene non l'abbia comprato direttamente, anche io mi sono ritrovata a leggerlo, questo libro. Però ecco, poi arrivo alla fine e mi viene il nervoso.

A farmi innervosire ancora di più in questo Il mondo non mi deve nulla, è il fatto che avrebbe tanto, tantissimo potenziale per essere una storia indimenticabile, se non fosse stata così frettolosa.
Un ladro, Adelmo, ex operaio da poco rimasto senza lavoro, scorge una finestra aperta in una lussuosa villa della Rimini bene. Ci entra, convinto che non ci sia nessuno, e trova, quasi ad attenderlo, una bellissima donna, Lise. Ex croupier che ha perso quasi tutti i suoi soldi dopo un investimento sbagliato in banca e che non aspetta altro che qualcuno metta fine alle sue sofferenze.
Tra Adelmo e Lise si crea uno strano legame, fatto di attrazione e repulsione, di schiettezza e sincerità, come né l'uno né l'altra provavano da anni.

Non posso dire che la storia non mi sia piaciuta, anzi! Mi ha divertita e catturata, con la sua comicità (soprattutto grazie ad Adelmo e sua moglie, che ha il vizio di chiamarlo proprio quando svaligia le case) e la sua profondità (la crisi, la disperazione, l'amore che non c'è più). Solo che è tutto troppo rapido, frettoloso, al punto che si arriva alla fine quasi delusi, per il modo in cui la trama è stata sviluppata. Mi sarebbe piaciuto saperne di più del passato di Lise e di quello di Adelmo, e dello strano legame che si è creato tra i due.
Come dicevo prima, forse il mio giudizio sarebbe stato diverso, se questo racconto fosse comparso all'interno di una raccolta e non come opera a sé.  Avrei compreso di più la sua velocità, il suo non detto, le cose lasciate in sospeso.

Forse è ora che di Carlotto legga anche un romanzo vero, di quelli lunghi. Ho conosciuto questo autore per il suo racconto pubblicato nella raccolta Cocaina, scritta insieme a De Cataldo e Carofiglio, ed ero rimasta delusa. Il mondo non mi deve nulla mi ha delusa molto meno, per fortuna. Ma qualcosa ancora non ha funzionato.

Titolo: Il mondo non mi deve nulla
Autore: Massimo Carlotto
Pagine: 108
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: e/o
ISBN: 9788866324553
Prezzo di copertina: 9.50 €
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formato brossura: Il mondo non mi deve nulla

domenica 15 giugno 2014

PASTORALIA - George Saunders

Ogni volta che concludo la lettura di una bella raccolta di racconti, mi domando come sia possibile che esistano persone che i racconti non li leggono, persone che pensano che sia un genere semplice, banale (non so più dove, ma una volta ho letto, in riferimento al Nobel dato ad Alice Munro una frase che suonava tipo "Mi sembra un po' pochino dare un Nobel a una che ha scritto solo racconti"). Lo penso ogni volta che chiudo una raccolta della Munro, appunto, o di Carver, o di Cognetti e, sì, ovviamente anche di George Saunders.

Lo avevo già pensato quindi quando avevo finito Dieci Dicembre, libro che ha avuto un successo strepitoso negli Stati Uniti e, per fortuna, che si è diffuso parecchio anche qui in Italia. Però, sebbene ne avessi l'alto sospetto, non potevo essere sicura che quello di Dieci Dicembre non fosse stato un caso, un "ha scritto i suoi capolavori, bisogna leggere anche i racconti vecchi per essere sicura". Per fortuna ci ha pensato minimumfax, a darmi la certezza assoluta di essere davanti a un grande scrittore di racconti, ripubblicando le sue opere precedenti in edizione tascabile. Opere che erano già uscite con Einaudi ma forse non considerate al punto giusto. O forse ero ancora troppo giovane quando sono state pubblicate per tenerle in considerazione. Non lo so.

Fatto sta che ho comprato questo Pastoralia nell'edizione tascabile minimumfax (edizioni che mi fanno davvero impazzire per la grafica di copertina) e mi sono tuffata nei  sei racconti che lo compongono e persa nell'incredibile stile di Saunders e nell'immagine un po' triste, un po' comica, un po' grottesca che dà della  nostra futura (ma forse non così tanto) società, attraverso questi personaggi e le loro strane vicende.

Si inizia con il racconto che dà il titolo alla raccolta, Pastoralia, ambientato in una sorta di parco a tema interattivo, in cui il protagonista vive interpretando un cavernicolo. Non deve parlare, mangia solo la capra che gli viene data ogni giorno, il suo unico contatto con l'esterno è un fax, con cui comunica con la moglie lontana e chiede notizie del bambino malato, e la sera deve compilare un modulo in cui giudica il lavoro della sua "compagna cavernicola", perché sono previsti dei tagli sul personale ed è necessario eliminare le persone che non fanno bene il loro lavoro.
Si va avanti con Winky, nome della sorella del protagonista che, stanco di vivere con lei ed assisterla, decide di iscriversi a un corso motivazionale che gli insegni a dirle tutto quello che pensa. Un corso che funziona, finché non si scontra con la realtà.
Poi c'è Quercia del Mar, forse quello che mi è piaciuto di più in assoluto, che racconta di uno spogliarellista di uno strano club in cui le donne classificano ogni giorni gli uomini, per decidere i migliori e i peggiori. Un uomo che vive in un brutto quartiere della città con due cugine e una strana zia, tranquilla e pacata, finché non muore e inizia a tormentarli perché si creino un futuro migliore
La fine dei FIRPO del mondo è invece quello che ho capito meno, se devo essere sincera. Un senso di confusione immediatamente dissipato dal racconto successivo, Il parrucchiere infelice, che mi è piaciuto quasi quanto Quercia del mar. Un racconto che parla di insicurezze, sogni e amore, attraverso un parrucchiere scapolo, senza dita dei piedi, che vive con la madre e che in ogni donna vede una futura moglie e sfrenata amante, ma che deve ancora imparare a sapersi accontentare per poter essere felici. E si conclude con Le cascate, un racconto su come l'istinto spesso prenda il sopravvento sul buonsenso, ma che lascia anche un po' di speranza sul fatto che questo mondo poi tanto brutto non può essere, che ci sarà sempre qualcuno che scapperà, ma anche qualcuno che verrà a salvarci.

Per capire bene i racconti di Saunders non si può fare altro che leggerli, secondo me. Ogni ulteriore mia parola sul suo incredibile stile, serio e ironico, pungente e dissacrante allo stesso tempo, sarebbe superflua. Così come lo sarebbe raccontarvi ancora più a fondo la trama e il senso di ognuno dei racconti di questa raccolta, perché non c'è niente di più bello che scoprirlo da soli, cosa significano per voi queste parole.
Quindi, leggete i racconti e leggete Saunders.

Titolo: Pastoralia
Autore: George Saunders
Traduttore: Cristiana Mennella
Pagine: 155
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: minimum fax
ISBN: 978-88-7521-544-6
Prezzo di copertina: 9 €
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formato brossura: Pastoralia
formato ebook: Pastoralia

mercoledì 11 giugno 2014

DANIEL CONTRO L'URAGANO - Shane Jones

Sono rimasta sveglia fino a tardi, ieri notte, per finire questo libro. E non perché lo abbia trovato particolarmente bello o coinvolgente, ma perché volevo  a tutti i costi capirlo. Speravo che arrivando alla fine tutto si chiarisse, nel libro e, soprattutto, nella mia mente. Perché se c'è una cosa che odio è non riuscire a capire i libri che leggo, non riuscire a trovar loro un senso. Mi sento quasi in colpa, nei confronti dell'autore che l'ha scritto e dei personaggi che nel libro si muovono. 

La prima cosa che mi aveva attirato di Daniel contro l'uragano è stato il bellissimo titolo, che trovo molto suggestivo ed evocativo, accompagnato poi da una copertina altrettanto bella (non so a voi, ma a me la grafica degli ISBN fa davvero impazzire). Un po' stupidamente mi sono accontentata di quelle poche righe riportate sotto il titolo e della citazione sulla quarta di copertina per farmi un'idea della trama. Fossi stata un po' più accorta, quasi sicuramente non sarei qui a scrivere questa recensione e a fare i conti con questo fastidioso senso di confusione e spaesamento che queste pagine mi hanno lasciato.

Protagonista del libro è Daniel, un uomo con dei disturbi mentali, che lo portano a parlare da solo e a vivere in un mondo immaginario, e che ha una passione smodata per i tubi e una paura folle degli uragani. Daniel ha appena perso il lavoro e decide di allontanarsi da tutto, partire e andare a vivere in una tenda in mezzo al bosco. Di lui nel libro si raccontano le visioni, i personaggi che incontra, i mezzi che impiega per tentare di sconfiggere quell'uragano che a breve arriverà. Un mondo fantastico, completamente inventato, frutto del suo grave disturbo. A cercarlo c'è Karen, la ex moglie, che si è allontanata dal marito perché non più in grado di gestire tutti i suoi problemi.

Anche adesso che tento di buttare giù un breve riassunto della trama, mi rendo conto di quanto poco io abbia capito di questo libro. Non ho capito quale fosse il messaggio che l'autore voleva trasmettere (certo, sì, accettare la diversità... e ci mancherebbe altro! Però non si può negare che Daniel abbia un serio problema e abbia bisogno di aiuto e di cure), né che quali sono le sensazioni che questo libro avrebbe dovuto lasciarmi. E questo mi disturba parecchio. Perché non riesco a capire se sia colpa mia o del romanzo.
O forse non è colpa di nessuno dei due, ma solo di un'affinità mentale che non si è venuta a creare, di una visione diversa del modo in cui un libro e una storia dovrebbero insegnarmi qualcosa. Ho bisogno di più realtà (e non per niente le parti che ho amato di più sono quelle raccontate da Karen. Parti che mi hanno aiutato un po' di più a capire e che avrei davvero voluto fossero più lunghe).

Resta comunque la forte delusione per un libro su cui avevo riposto molte aspettative, tutte completamente disattese. Onestamente, non so se lo consiglierei.

Titolo: Daniel contro l'uragano
Autore: Shane Jones
Traduttore: D. Calgaro
Pagine: 245
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: ISBN
ISBN: 978-8876383144
Prezzo di copertina: 15 €
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formato brossura: Daniel contro l'uragano

lunedì 9 giugno 2014

STALIN+BIANCA - Iacopo Barison

Non so se già conoscete la casa editrice Tunué. E' una casa editrice specializzata in fumetti e graphic novel che, da poco, ha deciso di dedicarsi anche ai romanzi, con una collana apposita, curata da Vanni Santoni. Al momento, i romanzi presenti in catalogo sono solo due: Dettato di Sergio Peter e Stalin+Bianca di Iacopo Barison.
Se devo essere sincera, non so se avrei mai acquistato uno di questi due libri. Non subito almeno, perché le case editrici nuove, o già esistenti ma che, come in questo caso, espandono i loro orizzonti mi incutono sempre un po' di timore. Però ho ricevuto questo libro direttamente dall'autore e, visto il curatore, visto il titolo curioso e, soprattutto lo ammetto, vista la fantastica copertina, ho deciso che avrei messo da parte tutta la mia reticenza e avrei provato a leggerlo.

Il romanzo racconta di due diciottenni: Stalin, un ragazzo dai buffi baffoni con la passione per il cinema e la regia, che soffre di violenti scatti d'ira, e della sua grande amica Bianca, una ragazza cieca, unica persona in grado di tenerlo calmo. Stalin ha lasciato la scuola e si guadagna da vivere svolgendo lavori sporchi per un suo vecchio amico. Il giorno del suo compleanno, preso da uno scatto d'ira, compie un gesto terribile e, terrorizzato, scappa di casa. Va prima da Bianca e poi decido di partire insieme e vivere alla giornata tutto quello che il mondo metterà loro davanti. Grazie all'autostop e lunghe camminate raggiungono la Capitale e conoscono una sorta di Comune di artisti di strada che li accoglie e offre loro un tetto. Qui, Stalin viene a conoscenza di un concorso dedicato a giovani registi e decide di parteciparvi. Il soggetto del video sarà il viaggio che lui e Bianca intraprenderanno per andare a vedere la mostra di un'artista contemporaneo. Un viaggio all'avventura, senza soldi e senza aiuti. 

Speravo che mettendo giù due righe di trama riuscissi a fare mente locale e capire cosa mi rende così dubbiosa riguardo al mio gradimento del romanzo. Perché, sebbene siano passate ormai molte ore da quando l'ho chiuso, ancora non riesco a decidere se il libro mi sia piaciuto o meno. Ammetto che i giovani protagonisti all'inizio mi hanno fatto temere di trovarmi di fronte all'ennesimo romanzo adolescenziale: lui bello e dannato, lei bellissima e unica in grado di tenere a bada il caratteraccio di lui. Per fortuna l'autore ha dissipato quasi subito le mie paure, raccontando una storia molto più complessa e profonda. I diciott'anni sono un'età strana, in cui si inseguono i sogni, in cui ci si affaccia nel mondo degli adulti, ma anche in cui si ha anche paura di tutto e in cui si cerca se stessi un po' ovunque.Un' età che diventa ancora più strana se si ha qualche difficoltà: scatti d'ira o cecità, che rendono ancor più vulnerabili. E Iacopo Barison non banalizza questa fase della vita, come molti romanzi con protagonisti di quest'età fanno, ma la rende ancor più intensa, più profonda e, in qualche modo, tragica.
Eppure, c'è davvero qualcosa che non mi torna, che non riesce a farmi dire con tutta tranquillità "questo romanzo mi è piaciuto un sacco". Forse perché avrei voluto saperne di più del passato sia di Bianca sia soprattutto di Stalin, così come di quello che succede dopo, alla fine. E forse ho trovato anche davvero un po' troppo incredibile la fuga di questi due giovani, di questi due diciottenni, che sembrano più grandi degli anni che hanno e a cui nessuno chiede niente, che nessuno sembra cercare. 

Il libro è scritto sicuramente molto bene, Iacopo Barison ha uno stile particolare che mi è piaciuto molto, anche se spesso mi sono persa in certe sue immagini. Forse è uno di quei romanzi in cui conta anche la propria esperienza, il proprio vissuto, come sono stati i propri diciotto anni, per riuscire ad apprezzarlo al meglio. O forse il problema è che qui,dove abito io, di arcobaleni per fortuna se ne vedono ancora tanti, quando piove o anche solo quando si annaffia, e quindi di questa ricerca disperata di se stessi di questi ragazzi non riesco a cogliere appieno tutta la poesia.

Titolo: Stalin+Bianca
Autore: Iacopo Barison
Pagine: 176
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Tunué
ISBN: 978-8867901043
Prezzo di copertina: 9,90 €
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formato brossura: Stalin + Bianca

venerdì 6 giugno 2014

PIENO GIORNO - J.R. Moehringer

Questa recensione non sarà una vera e propria recensione. Perché so già che, nemmeno sforzandomi, riuscirei a trovare le parole adatte per farvi capire quanto ho amato questo libro, il suo protagonista, il ladro gentiluomo e appassionato lettore Willie Sutton, e l'incredibile stile di J.R. Moehringer. Certo, potrei dirvi che da quando l'ho chiuso, poche ore fa, ne sento terribilmente la mancanza, al punto da aprilo e sfogliarlo ogni volta che passo vicino al tavolino su cui l'ho posato.
Potrei dirvi che, appena chiuso, ho scritto un messaggio a molti dei miei amici lettori, dicendo loro "Dovete leggere Pieno giorno di Moehringer. Dovete proprio".  O ancora che, se potessi scegliere uno scrittore a cui mi piacerebbe assomigliare se mai sapessi scrivere, sarebbe proprio Moehringer.
Ma nessuna di queste cose sarebbe sufficiente. E quindi faccio una cosa un po' diversa dal solito, che mi toglie dall'imbarazzo di trovare le giuste parole ma che allo stesso tempo dà a voi la possibilità di capire quanto sia effettivamente bello questo libro. Lascerò che sia lui a parlare per se stesso e a convincervi che vale la pena leggerlo.
Che ne vale davvero la pena.
Ho scelto qualche passaggio, qualche frase, presa qua e là tra le 470 pagine che raccontano la vita di quest'uomo, Willie Sutton, il leggendario rapinatore di banche, che ama i libri e ama una donna, al punto da diventare quello che è diventato solo ed esclusivamente per lei. Sono solo alcuni spezzoni, che è stato difficile selezionare perché quasi in ogni pagina c'è una frase, un pensiero o anche solo un'atmosfera creata dalla penna di Moehringer che avrebbe meritato di essere condivisa.
Spero che vi colpiscano tanto quanto hanno colpito me e che vi facciano venire voglia di leggere il libro.

E’ qui che ho imparato che nella vita contano solo i soldi. E l’amore. E che non ti manchino, né gli uni né l’altro. 
Ne è convinto signor Sutton? 
Chiunque dica il contrario è un fetentissimo bugiardo. Soldi. Amore. Non esiste problema che non sia colpa dei soldi o dell’amore. E non esiste problema che non si possa risolvere, con i soldi o con l’amore. 
Così suona un po’ riduttivo signor Sutton. 
Soldi e amore, ragazzo. Solo questo conta. Perché sono le uniche due cose che ci fanno dimenticare che esiste la morte. Almeno per qualche minuto.


Voltatevi indietro a guardare le vostre vite, e provate a vedere se riuscite a individuare il momento in cui tutto è cambiato. Se non ci riuscite vuol dire che non è ancora arrivato, quel momento, ed è meglio che stiate in campana, perché sta arrivando.



Chapin sospira. La stessa storia per tutti, qui dentro – istruzione zero, o quasi. Il modo più sicuro per fare il primo passo sulla strada del crimine. 
Devi impiegare il tempo che trascorrerai qui per leggere, dice Chapin. Impara. L’ignoranza ti ha condotto qui. L’ignoranza ti ci farà restare. E l’ignoranza ti ci riporterà. 
Mi piace leggere, signore. Mi è sempre piaciuto. Ma quando entro in una biblioteca o in una libreria mi sento sopraffare. Non so da dove cominciare. 
Da dove ti pare. 
Come faccio a distinguere i libri che vale la pena di leggere da quelli che sono tempo sprecato? 
Nessun libro è tempo sprecato. Qualsiasi libro è meglio che nessun libro. Pian piano, credimi, un libro ti condurrà a un altro, fino ad arrivare al meglio. Vuoi passare la vita a piantare rose con me? 
No signore. 
Allora libri. Niente di più facile. Un libro è l’unica vera via di fuga da questo mondo alla deriva. A parte la morte.

Io ti amo, Bess. E ti amerò sempre. Mi è costato tutto, assolutamente tutto ciò  che avevo, ma forse non è amore, se non ci costa tutto ciò che abbiamo.

Basta, mi fermo qui. Il resto lo scoprirete voi stessi, leggendo, lasciandovi trasportare dalle parole di questo grandissimo autore, premio Pulitzer mica per niente. Sono sicura che, una volta arrivati alla fine, anche se di rapine in banca, di personaggi leggendari americani e di fughe di prigione non ve ne è mai importato niente, vi sentirete esattamente come mi sto sentendo io in questo momento: tristi per averlo finito, felici per aver letto un libro semplicemente meraviglioso.
E ora mi sa proprio che dovrò leggere Open.

Titolo: Pieno giorno
Autore: J.R. Moehringer
Traduttore: G. Zucca
Pagine: 470
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Piemme
ISBN: 978-8868366858
Prezzo di copertina: 10,90 €
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formato brossura: Pieno giorno
formato ebook:Pieno giorno (True)

mercoledì 4 giugno 2014

SCONTRO DI CIVILTA' PER UN ASCENSORE A PIAZZA VITTORIO - Amara Lakhous

Non mi sono mai piaciuti gli ascensori. Cerco sempre di non prenderli, se i piani da fare non sono più di cinque o sei. Credo che questa mia avversione nei loro confronti derivi dal fatto che soffro terribilmente di vertigini, quindi ogni volta che mi ritrovo lì dentro, immagino di essere sospesa nel vuoto, oppure, più catastroficamente, che l'ascensore si blocchi e caschi giù. Quando sono sull'ascensore con degli estranei, poi, è anche peggio, perché inizio a immaginare che mi spiaccicherò al suolo insieme a uno sconosciuto, a cui magari viene una crisi di panico più forte della mia e mi tocca pure consolarlo, prima di morire. 
Sì, insomma, gli ascensori non mi piacciono.

Anche perché, se ci pensate bene, sono un posto perfetto per compiere i più terribili misfatti: farci la pipì dentro, riempire le pareti di disegnini osceni e, perché no, ammazzare qualcuno! Proprio come succede in questo romanzo di Amara Lakhous.
Un inquilino di un palazzo in piazza Vittorio, conosciuto da tutti con il nome di Il gladiatore viene trovato riverso in una pozza di sangue proprio all'interno dell'ascensore. Quell'ascensore che sta dando tanti problemi alla portinaia, che vorrebbe che nessuno ci salisse o ci facesse salire il proprio cane, che nessuno ci facesse bisognini dentro o disegnasse sui muri immagini oscene. Eppure, sembra proprio che nel palazzo tutti le diano contro e vogliano vederla impazzire. L'unico a rispettare la donna è Amedeo, un extracomunitario che tutti credono essere italiano, per il suo accento e per i suoi modi, che ha imparato la lingua in fretta e cerca di aiutare il più possibile chiunque ne abbia bisogno. Peccato che Amedeo sia sparito senza lasciare traccia, proprio nel momento in cui è stato ritrovato il cadavere, segno inequivocabile della sua colpevolezza. 

Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio è un romanzo corale, raccontato a più voci dai vari personaggi che entrano in contatto con Amedeo e da Amedeo stesso, che sfrutta il genere giallo per offrire uno spaccato sulla società contemporanea. Quale luogo migliore di un condominio, abitato da italiani e da stranieri, da gente del nord e gente del sud, da laureati e da persone con un livello di istruzione più basso, da persone oneste e da piccoli criminali, per descrivere al meglio le contraddizioni del mondo in cui viviamo, fatto ancora di razzismo, di luoghi comuni, di semplicità e ignoranza?
Ho apprezzato molto lo stile di Amara Lakhous, che mescola serietà e ironia, comicità e tragedia. E molto azzeccata, almeno per me, è stata la scelta di affidare la narrazione a più persone, per offrire punti di vista diversi di una stessa piccola realtà, con il pensiero di Amedeo a dire la sua su ognuno di essi.

E' un libro molto piacevole e molto divertente, anche se forse dalla lettura un po' troppo veloce. Si arriva alla fine quasi senza rendersene conto, talmente è coinvolgente (ok, e anche un po' breve) e, una volta chiuso, si sente la mancanza dei vari personaggi, di un maggiore approfondimento di alcune delle loro storie, da cui ci sarebbe davvero tanto da imparare. Rimangono alcuni interrogativi, che sarebbe bello avessero una risposta.
In ogni caso, è una lettura che consiglio vivamente, perché può insegnare molto. Già solo a partire di questa così semplice eppure così vera citazione:

"Questa mattina Iqbal mi ha chiesto se conoscevo la differenza tra il tollerante e il razzista. Gli ho risposto che il razzista è in contrasto con gli altri perché non li crede al suo livello, mentre il tollerante tratta gli altri con rispetto. A quel punto si è avvicinato a me, per non farsi sentire da nessuno come se stesse per svelare un segreto, e mi ha sussurrato: «il razzista non sorride!».
Ho pensato tutto il giorno al razzista che si riufuta di sorridere e mi sono reso conto che Iqbal ha fatto un'importante scoperta. Il problema del razzista non è con gli altri ma con se stesso. Direi di più: non sorride al prossimo perché non sa sorridere a se stesso. E' proprio giusto quel proverbio arabo che dice "Chi non ha non dà"

Comunque, sugli ascensori finché mi sarà possibile continuerò a non salirci.

Titolo: Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio
Autore: Amara Lakhous
Pagine: 129
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: e/o
ISBN: 9788876418099
Prezzo di copertina: 9,50 €
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formato brossura: Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio

Due titoli, un solo libro: ma perché? #82

Come vi ho già raccontato nel post di resoconto, durante il Salone del libro di Torino sono andata a sentire la conferenza sulla traduzione dei classici. E' un argomento che mi ha sempre incuriosita molto, perché una delle mie maggiori difficoltà nei confronti dei classici sta proprio nella difficoltà di lettura in italiano. Spesso infatti si tratta di traduzioni vecchie di parecchi anni, ricche di errori (comprensibilissimi, visto il periodo in cui sono state fatte, senza internet e senza tutte le fonti di informazione che ci sono ora) e scritte in un linguaggio parecchio antiquato. A volte editori illuminati decidono di ritradurre queste opere, di svecchiarle un po', rispettandone ovviamente contenuto, senso ed epoca di scrittura.

Durante l'incontro ho scoperto il cambiamento di titolo che sarà oggetto della rubrica di oggi. Si tratta del romanzo di Thomas Mann, DER ZAUBERBERG, romanzo tedesco uscito nel 1924 e tradotto in italiano per la prima volta nel 1932, da Bice Giachetti-Sorteni, con il titolo LA MONTAGNA INCANTATA



Nel corso degli anni il romanzo è stato poi ripubblicato diverse volte, da diverse case editrici: la Dall'Oglio editore nel 1945, da Mondadori nel 1965 con la nuova traduzione di Ervino Pocar, da Corbaccio e da Tea.

Per arrivare a una nuova traduzione del romanzo di Mann dal 1965 bisogna arrivare fino al 2010, quando Mondadori decide di pubblicare il libro nella collana I Meridiani. La traduzione viene affidata a Renata Colorni che, tra le altre cose, decide di cambiarne il titolo. Il romanzo non viene pubblicato come La montagna incantata ma come LA MONTAGNA MAGICA


Sebbene si tratti di una scelta decisamente coraggiosa, quella di cambiare dopo anni e anni il titolo di un'opera già diffusasi e consolidatasi nel tempo, la scelta compiuta da Renata Colorni è in realtà legata alla fedeltà rispetto all'originale. Der Zauberberg, infatti, letteralmente significa "La magia della montagna" o, appunto, "La montagna magica".  Stando a qualche ricerca, pare che già il precedente traduttore, Ervino Pocar abbia fatto notare la discrepanza del titolo italiano, non solo rispetto all'originale ma anche alle traduzioni nelle altre lingue (La montaña mágica in spagnolo, The Magic Mountain in inglese, La Montagne magique in francese). La risposta era però stata che ormai il titolo era consolidato e cambiarlo sarebbe stato un azzardo (qui l'articolo in cui se ne parla).

Renata Colorni ha avuto quindi un certo coraggio, sicuramente. Ma ha anche ripristinato il vero senso del romanzo, togliendo forse un po' di fascino al titolo (la parola "incantata" mi piace di più della parola "magica"), ma rispettando quello che Mann voleva effettivamente dire. Come evidenzia Piero Citati in un articolo apparso su Repubblica, proprio in occasione dell'uscita della nuova traduzione:

Con ogni probabilità, Thomas Mann derivò il titolo del suo romanzo La montagna magica, pubblicato nel 1924 (Meridiani Mondadori, a cura di Luca Crescenzi, traduzione di Renata Colorni, con un saggio di Michael Neumann, pagine CLXXVIII-1422, euro 55), da una frase di Nietzsche: "Ora si apre a noi il monte magico dell'Olimpo e ci mostra le sue radici". Per Nietzsche, il monte magico dell'Olimpo era il mondo di Apollo: il mondo della violenza, della dismisura, della colpa, della tenebra, miracolosamente capovolti in legge, armonia, misura, equilibrio, quiete, purezza, profezia. Non so se Mann lo amasse: forse riteneva che non era quello moderno, anzi modernissimo, dove scriveva il suo ardimentoso romanzo sinfonico.

Vera o no che sia questa origine, il nuovo titolo è comunque una traduzione letterale dell'originale e quindi, per quanto coraggiosa, è anche la scelta migliore.