sabato 2 febbraio 2019

Leggendo a gennaio: Korn, Manzini, Backman, Saramago... per tacer di Tom Gauld

Gennaio è stato un mese lunghissimo. I sei giorni di ferie con cui è iniziato sono diventati un ricordo già dal primo giorno di rientro al lavoro e, adesso che finalmente il mese e finito e ne è iniziato uno nuovo, se mi guardo indietro mi sembra che siano passati secoli da quando il 2019 è iniziato.
Eppure no, è durato solo trentuno giorni, come sempre e come fanno tanti altri mesi dell’anno. E ne sono passati poco più di quindici dall’ultima volta in cui ho pubblicato un post qui sul blog. Mi ero ripromessa che nel nuovo anno avrei tentato di aggiornarlo più spesso ma, come potete ben vedere, mi sa che il mio intento è già miseramente fallito.
E mi dispiace molto, soprattutto perché in questo mese ho letto tanto e tante cose belle. Per questo ho deciso di fare un post cumulativo, per raccontare in breve le letture che mi hanno accompagnato in questi lunghissimi trentun giorni appena trascorsi e a cui non sono purtroppo riuscita a dedicare un post singolo (quindi no, qui non ribadirò quanto poco mi abbia convinto La misura dell’uomo di Marco Malvaldi, perché lui si è meritato una recensione tutta sua).
Eccoli qua:


Partiamo con quella meraviglia di Figlie di una nuova era di Carmen Korn, primo volume di una trilogia portato qui in Italia da Fazi editore e tradotto da Manuela Francescon e Stefano Jorio. Protagoniste sono quattro donne, di origini e classi diverse, che vivono ad Amburgo nella prima metà del ‘900 e i cui destini si incroceranno con l’arrivo della guerra e delle varie vicende personali che si ritroveranno a vivere. Henny e Kathe sono amiche da sempre e ora, insieme, stanno studiando per diventare ostetriche; Ida è la rampolla di una buona famiglia, abituata agli agi e ai lussi e disposta a tutto pur di averli, forse anche a sacrificare l’amore; Lina è sopravvissuta alla Prima guerra mondiale insieme al fratello grazie ai genitori, morti di fame per permettere a loro due di sopravvivere. Mentre le loro vicende personali proseguono, tra amori clandestini, desiderio d’indipendenza, impegno politico e tante decisioni sbagliate (Henny, porca miseria!), sullo sfondo scorre la storia del ‘900, con l’avvento del nazismo e tutto ciò che porterà con sé. Era da tanto che un libro non mi prendeva così tanto, che non mi ritrovavo tanto immersa in una storia e nei suoi intrecci. Non vedo l’ora che esca il secondo volume, perché una volta girata l’ultima pagina, queste donne di Amburgo già mi mancavano parecchio.
Henny tese l'orecchio. Le sembrava di aver sentito salire dal cortile, fino al secondo piano, un suono venuto dal passato, come un rintocco di campana o il verso di un merlo. Le vennero in mente i sabati della sua infanzia. Sabati estivi. L'acqua che scintillava nella cisterna. Il ribes bianco che le lasciavano cogliere dai rovi addossati al muro di cinta, il profumo della torta che sua madre aveva già messo in forno per la domenica. Suo padre, appena tornato dall'ufficio, che fischiettava mentre si liberava della cravatta e si sbottonava il colletto della camicia.
Henny andò alla finestra, l'aprì e stette ad ascoltare il suono che aveva risvegliato in lei quella serie di immagini. Il cigolio della vecchia altalena.
Era ottobre quando è uscito Fate il vostro gioco di Antonio Manzini. Ne avevo parlato come un romanzo di transizione, dopo due libri carichi di emozioni e tensioni. Mi era sembrato quasi un libro sospeso, finito un po’ troppo bruscamente... ed ecco svelato l’arcano: il 10 gennaio, infatti, è uscito Rien ne va plus, un’altra avventura del vicequestore Rocco Schiavone. No, Manzini non ha scritto un romanzo in tre mesi. Semplicemente Fate il vostro gioco e Rien ne va plus sono lo stesso libro, diviso in due per questioni verosimilmente di lunghezza, ma anche (e soprattutto, forse) per far contenti i fan, non costretti ad attendere il solito anno tra una puntata e l’altra. In Rien ne va plus tutte le cose che mi avevano lasciato perplessa di Fate il vostro gioco un po’ si chiariscono: da un lato continuano le vicende personali di Rocco, tra il rimpianto per Caterina e le rivelazioni sempre più pericolose di Baiocchi, che rischiano di mettere il nostro vicequestore preferito in una posizione terribile; dall’altro c’è un portavalori del casinò di Saint Vincent che misteriosamente sparisce e Rocco capisce subito che c’è un collegamento con la morte del ragionier Favre; ma soprattutto che c’è qualcosa di molto, molto più grande dietro. Intanto si consolida il rapporto con Gabriele, Lupa è sempre più coccolosa e Rocco (che sì, ora ha inevitabilmente la faccia di Marco Giallini, ma va benissimo così) ha ancora tanti fantasmi a perseguitarlo. Non vedo l’ora che esca il prossimo.

Ho scoperto Fredrik Backman qualche anno fa con il suo romanzo d’esordio, L’uomo che metteva in ordine il mondo. Me ne ero follemente innamorata: avevo adorato il modo in cui tratteggiava i suoi personaggi e il suo stile, con quella capacità che non tutti hanno di raccontare anche le cose più tristi nel modo più buffo e dolce possibile (il dolore resta sempre, ma diventa più affrontabile). L’amore si è poi consolidato con Mia nonna saluta e chiede scusa, dove compare per la prima volta il personaggio di Britt-Marie, che si è poi meritata un romanzo tutto suo: Britt-Marie è stata qui (pubblicato da Mondadori con la traduzione di Andrea Stringhetti).
Britt-Marie è una donna un po’ scontrosa, incapace di uscire dalla gabbia delle imposizioni sociali e del “chissà cosa direbbero gli altri”. Ha sempre vissuto per il marito e per i figli di lui, tenendo la casa impeccabile e sacrificando se stessa, ricevendo in cambio solo recriminazioni e prese in giro.

Alla fine desiderava solo un balcone e un marito che non camminasse sul parquet con le scarpe da golf, che qualche volta mettesse la camicia nel cesto della biancheria senza bisogno di ricordarglielo e che ogni tanto dicesse che la cena era buona senza bisogno di chiederglielo. Una casa. Figli non suoi ma che vengono lo stesso a Natale. O almeno cerchino di far finta di avere un motivo per non venire. Un cassetto delle posate sistemato in modo corretto. Finestre da cui si possa vedere il mondo. Qualcuno che si accorga che si è sistemata i capelli con particolare cura. O che almeno faccia finta di accorgersene. O che almeno le permetta di continuare a fingere. 
Qualcuno che una volta ogni tanto torni in una casa con il pavimento pulito e la cena calda in tavola e veda i suoi sforzi. Perché le persone sono come le cene. Devono avere un senso. "Che bella pettinatura". È una frase che ha senso.

Forse un cuore si spezza solo quando si esce da una stanza d'ospedale con camicie che puzzano di pizza e di profumo, ma tutto si spezza più facilmente se prima si sono formate delle crepe.

Però quando il tradimento del marito, che lei già conosceva, diventa di dominio pubblico decide che non può più sopportare e se ne va di casa. Alla ricerca disperata e ossessiva di un lavoro, accetta uno strano incarico a Borg, una comunità sperduta su cui la crisi ha picchiato molto duro. Tutti i negozi e le attività che ancora non sono chiuse chiuderanno a breve e il paesino sembra destinato a morire. Britt-Marie, con le sue fobie, la sua smania per le pulizie e la sua mentalità ingenua, riesce in qualche modo a far breccia nei pochi abitanti rimasti. Senza nemmeno capire come, si ritrova addirittura ad allenare la squadra di calcio dei ragazzi del paese e a prendersi cura di loro a modo suo. Sembra esserci una speranza per Borg, nonostante tutte le tragedie e le difficoltà che sta vivendo, e sembra esserci anche per Britt-Marie.
Nella caratterizzazione di questo personaggio forse Fredrik Backman ha calcato un po’ troppo la mano, perché nella prima parte è talmente insopportabile e talmente incredibile nelle sue ingenuità che vien quasi voglia di chiudere il libro. Una voglia che però poi passa, man mano che si procede con la lettura e si assiste al cambiamento di Britt-Marie e di tutte le persone attorno a lei. È un libro pieno di buoni sentimenti, di quelli che scaldano il cuore e fanno bene, perché, ancora una volta, mostra come anche nelle tragedie, nelle difficoltà e nei momenti brutti si possa (e si debba!) trovare qualcosa per cui vale la pena sorridere.

L’ultimo libro di gennaio è Le piccole memorie di José Saramago, tradotto da Rita Desti. Un libriccino comprato un po’ per caso (insieme a Diario di scuola di Pennac per prendere la coperta del lettore di Alice nel paese delle meraviglie) e che mi ha fatto ricordare ancora una volta quanto io voglia bene a José Saramago. In questo piccolo memoir, lo scrittore portoghese racconta alcuni aneddoti della sua infanzia: i rapporti con i genitori e con i nonni, gli anni di scuola e le amicizie nate tra i banchi, i personaggi bislacchi che ha incontrato nella sua infanzia e adolescenza, i ricordi del fratellino morto a tre anni... tante piccole cose, che forse alla produzione di Saramago non aggiungono nulla, ma che per chi già lo conosce e lo ha sempre adorato sono molto preziose. (Nel caso voleste iniziare a conoscerlo: consiglio Cecità, L’uomo duplicato e Lucernario... tenetevi Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Caino per quando avrete preso più in confidenza con il suo stile).

Ho raccontato altrove come e perché mi chiamo Saramago. Che quel Saramago non era un cognome per parte paterna, bensì il soprannome con cui era conosciuta la mia famiglia nel paese. Che quando mio padre andò a dichiarare all'Anagrafe di Galeğa la nascita del suo secondo figlio, capitò che l'impiegato (si chiamava Silvino) fosse ubriaco (indignato, di questo lo avrebbe sempre accusato mio padre) e che, nei fumi dell'alcol e senza che nessuno si accorgesse dell'onomastico frode, decidesse, a suo rischio e pericolo, di aggiungere Saramago al laconico José de Sousa che mio padre voleva che fossi. E che, in questo modo, infine, grazie a un intervento a tutte le evidenze divino, mi riferisco, è chiaro, a Bacco, dio del vino e di coloro che eccedono nel berlo, non ho avuto bisogno di inventare uno pseudonimo, caso mai ci fosse stato un futuro, per firmare i miei libri.

Tra un romanzo e l’altro, a gennaio c’è stato tempo anche per i fumetti di Tom Gauld, in particolare di Baking with Kafka (esiste anche la versione italiana, In cucina con Kafka, pubblicata da Mondadori... ma se sapete l’inglese vi consiglio l’originale). Tutti gli appassionati di libri e di letteratura dovrebbero conoscere e leggere le vignette di Gauld: fanno ridere e fanno riflettere, ma soprattutto dimostrano quanto si possa amare il mondo dei libri senza prendersi mai troppo sul serio, perché gli scrittori famosi ma anche i personaggi dei libri sono prima di tutto esseri umani.

Source: https://bit.ly/2S8aIID