venerdì 29 maggio 2015

Interviste rampanti: ANTONIO MANZINI

Tornano le interviste rampanti! E il primo protagonista di questa nuova tornata è uno scrittore che ho scoperto da poco e per puro caso, per poi appassionarmici tantissimo. Sto parlando di Antonio Manzini, sceneggiatore, regista e scrittore, creatore del vicequestore Rocco Schiavone, protagonista di Pista nera, La costola di Adamo e Non è stagione, oltre che di altri racconti gialli tutti pubblicati da Sellerio.

No ma Manzini non ci piace, eh...

L'ho scoperto per caso, vi dicevo, e me ne sono innamorata. Sarà che abito molto vicina ai luoghi in cui sono ambientati questi tre romanzi, sarà che ho una passione per i romanzi dei giallisti italiani... non lo so. Però ho divorato questi suoi tre romanzi in poco e a poca distanza l'uno dall'altro (anche se l'ultimo non l'ho ancora recensito) e, quando ho pensato di riportare in vita queste interviste, lui è stato il primo autore che mi è venuto in mente. E sono contenta e lo ringrazio per aver accettato., perché così ho scoperto che ha scritto anche altri romanzi in passato (certo che anche io potevo informarmi prima di chiederglielo eh...) e, soprattutto, che il mio vicequestore preferito sta per tornare.

Ringrazio quindi Antonio per aver accettato e vi lascio alle sue risposte!

Da bambino dicevi “da grande farò lo scrittore”?
No. Volevo fare l’archeologo.

Come è nato il personaggio di Rocco Schiavone? E perché hai scelto di mandarlo in esilio proprio in Val d’Aosta? 
Io non lo so com’è nato Rocco. Piano piano, forse, n pezzo alla volta. Ci pensavo, poi lo lasciavo lì, ha avuto un paio di scritture prima della definitiva (anche il nome è cambiato) e poi è arrivato. La val d’aosta ha due ragioni. La prima, più superficiale, mi piaceva calare un trasteverino doc in una realtà lontana da lui mille miglia. Insomma, creare un fish out the water è sempre una bella molla narrativa. Forte della mia conoscenza pluriennale della Valle. La seconda poi è legata alla morfologia della Valle. Montagne altissime, le più alte d’europa, ghiacciai eterni, valli chiuse, battezzate poco dal sole, difficili da raggiungere, insomma quel panorama ricorda troppo l’interiorità di Rocco. Lui non lo sa, ma si somigliano

Hai mai pensato di scrivere un romanzo con un altro protagonista?
Sì, ne ho già scritti. Uno per Fazi editore, anni fa, si chiamava Sangue marcio. L’altro La giostra dei criceti per Einaudi,

Per Sellerio hai pubblicato sia romanzo sia racconti, all'interno di quelle raccolte “a tema” che escono per le festività. Con quale dei due generi ti trovi più affine? E’ più “difficile” scrivere un romanzo o un racconto, per te?
Ognuno ha la sua difficoltà. La struttura del racconto è più ferrea, soprattutto se si tratta di un racconto giallo. Spesso devi rinunciare a step narrativi cercando di concretizzare presto e subito, con poche pennellate, il mondo che stai provando a raccontare. Il romanzo è tutt'altro. Puoi prenderti anche delle pause. Poche, perché il lettore se ne accorge subito e castiga immediatamente. Per fare un parallelo con la pittura, il racconto è un disegno a carboncino, il romanzo un affresco.

Come sei stato scoperto ( o sei riuscito a farti scoprire)dalla casa editrice che ti ha pubblicato?
Con la Sellerio mandando il manoscritto. Ma ero forte di due pubblicazioni precedenti che qualcosa credo abbiano contato.

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
Di cose belle me ne hanno dette tante. Che il libro fa ridere e commuove e si fa leggere in maniera spedita ma non è un racconto superficiale. Anche di brutte me ne hanno dette. Ma le tengo per me.

Hai qualche mania come scrittore?  Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
No. Nessun vizio. Vorrei perdere quello di fumare, che quando scrivo tendo a esagerare.

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai voce in capitolo nella scelta di quella dei tuoi libri?
Sai, Sellerio è blu. E scelgono un dipinto o un disegno. Spesso me lo fanno vedere prima. Ma sono talmente bravi che raramente non sono stato d’accordo. Anzi, il più delle volte mi stupiscono.

Quali sono i libri che più hanno influenzato la tua vita, come narratore ma anche come uomo?
La montagna incantata, Delitto e castigo, I racconti di Cecov, Morte a credito, Un uomo vero ma potrei andare avanti fino a tarda notte.

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Niccolò Ammaniti. Uno qualsiasi.

I dati sul numero di lettori in Italia peggiorano di anno in anno. Secondo te, perché? Pensi che sia giusto cercare di convincere un non lettore a leggere? E se sì, da dove bisognerebbe partire?
Credo che i dati dipendano dalla crisi. I beni voluttuari, libri, cinema, teatro e mostre, sono i primi a pagarne lo scotto. Un non lettore deve avvicinarsi da solo se vuole alla lettura. Non è qualcosa di misterioso. Ha fatto la scuola (forse il modo di insegnare la letteratura ha qualche responsabilità) e sa dove sono le librerie. Ma il distacco fra gli italiani e la lettura credo dipenda molto dalla nostra storia. Insomma, inglesi, francesi, russi hanno una tradizione centenaria, il romanzo fa parte del tessuto connettivo di quelle società da anni. Noi siamo un po’ in ritardo. Forse le generazioni a venire colmeranno quella lacuna. E poi credo che in un paese dove per anni si è detto che con la cultura non si mangia e si è insistito nel portare la gente a guardare pessima televisione, difficilmente si sarebbe potuto allargare il numero dei lettori.

Quando uscirà il prossimo romanzo con Rocco Schiavone? (e già che ci sono, posso suggerirti di ambientarlo al Forte di Bard?)
Al forte prima o poi andrà… a Luglio, credo. Fine Luglio

Qual è il tuo colore preferito?
Rosso

martedì 26 maggio 2015

PICCOLA OSTERIA SENZA PAROLE - Massimo Cuomo

Ho sempre avuto più difficoltà a parlare dei libri belli che di quelli brutti. Sembrerà assurdo, perché elogiare dovrebbe essere più facile che criticare, eppure, ogni volta che mi ritrovo di fronte a questa pagina bianca per parlarvi di un libro che mi ha davvero colpita ed emozionata, vado un po’ nel panico. Ho paura di non riuscire a esprimere davvero perché quel determinato libro mi ha colpita, paura di cadere in frasi piene di superlativi ma, alla fin fine, povere di contenuto e banalizzare qualcosa che è tutto fuorché banale.


Sapevo fin da subito che Piccola osteria senza parole di Massimo Cuomo sarebbe stato uno di quei libri che mi sono piaciuti talmente tanto da aver difficoltà a parlarne. Lo sapevo fin dalla semplicissima eppur bellissima copertina, disegnata da Alessandro Gottardo, e da quando, sfogliate le prime pagine, mi sono trovata di fronte a una data, il 1994, anno dei mondiali in USA che io ho vissuto in un campeggio in Toscana, e, soprattutto, al quadrato del Paroliere. Lo conoscete, vero? Quel gioco composta da dadi, 16 nella versione originale, che hanno su ogni faccia una lettera. E tu li mescoli e poi devi combinare le lettere che vengono fuori per formare parole di senso compiuto. Ecco, io quel gioco ce l’avevo, anche se nella mia versione i dadi sono 25, e da bambina ci giocavo tantissimo. 

Ma al di là dei miei ricordi, che comunque il modo inaspettato in cui un libro riesce a riportarli a galla è uno dei motivi per cui adoro la lettura, in questo libro c’è un mondo. Quello di un paese, Scovazze, tra Veneto e Friuli, famoso in passato per il suo allevamento di tori, ora quasi fallito, e che ora ruota tutto attorno al suo bar, con i suoi tavoli di briscola e le sue slot machine. Tutti si conoscono, tutti sanno tutto o quasi degli altri e nessuno parla, nessuno fa domande. Finché un giorno d’estate, con i Mondiali ormai iniziati, non arriva Salvatore Maria Tempesta, un forestiero, un terrone, che subito si scontra con la poca voglia di chiacchierare che hanno gli abitanti di Scovazze. Nessun sa perché lui sia lì, nessuno chiede, sebbene la curiosità sia tanta. Si sa solo che sta cercando un campanile. A poco a poco Salvatore Maria Tempesta imparerà che i gesti possono valere tanto, tantissimo. E al tempo stesso tutto il paese ridarà ascolto alle parole.

Piccola osteria senza parole è un libro di una semplicità quasi disarmante, per la sua ambientazione, per i suoi personaggi e per la vita che questi vivono ogni giorno. Ed è forse questo che me lo ha fatto amare così tanto. Quelle piccole cose, quei piccoli gesti, come una torta lasciata su un muretto o una lotteria di boeri, una mietitrebbia che passa in una via o un bbq per dare addio qualcosa, o come l’altro giorno che ho aperto la finestra di sera e ho visto un gruppo di lucciole, ecco, queste sono quelle cose che più in assoluto per me rendono la nostra vita magari non bella, ma sopportabile, e che fanno di questo libro un piccolo gioiello.
Al punto che il colpo di scena finale del libro, che è comunque notevole, risulta quasi superfluo in mezzo a tutte quelle piccole eppur grandi cose che Salvatore Maria Tempesta e gli abitanti di Scovazze si scambiano più o meno consapevolmente.

Leggendo questo libro mi è venuta voglia di giocare a Paroliere, di mangiare il Piedone, di ballare l’hully gully e di offrire a qualcuno un pezzo di torta.  Oltre che, ovviamente, di consigliarlo a tutti.

Perché è un libro bellissimo, e al diavolo il non voler usare i superlativi.


Titolo: Piccola osteria senza parole
Autore: Massimo Cuomo
Pagine: 238
Editore: e/o
Acquista su Amazon:
formato brossura: Piccola osteria senza parole

lunedì 25 maggio 2015

Torna LA GRANDE INVASIONE, il Festival della lettura a Ivrea

Qui non si fa in tempo a smaltire tutto l’entusiasmo del Salone del Libro, che già bisogna tirarlo fuori di nuovo per qualcos'altro. Che in realtà è anche una bella cosa perché vuol dire che, in un paese di non lettori, di iniziative e cose belle per i lettori ce ne sono comunque tante.

Ma veniamo a noi. Torna dal 30 maggio al 2 giugno a Ivrea La grande invasione, il festival della lettura organizzato dalla casa editrice Sur e dalla libreria eporediese La galleria del libro che giunge quest’anno alla sua terza edizione.

In quei quattro giorni, quindi, Ivrea si popolerà di scrittori, italiani e stranieri, attori, cantanti, addetti ai lavori dell’editoria e, soprattutto, di tanti lettori. 
Il programma è bello ricco di appuntamenti, tra reading, workshop, presentazioni, concerti e laboratori dedicati ai più piccini, e vi suggerisco quindi di guardarlo direttamente sul sito web dell’evento, La grande invasione, anche per sapere luoghi e prezzi (sì, alcuni eventi sono a pagamento, ma mi sembra un buon compromesso per compensare quelli invece gratuiti). Qui vi segnalo solo gli eventi a cui cercherò in ogni di modo di partecipare (che, devo dire la verità, per chi vive Ivrea tutti i giorni il fatto che il festival coincida con un lungo ponte può essere un po’ problematico).



Sabato 30 maggio

H 17.30 – LA NOSTRA CARRIERA DI LETTORI. Alessandro Baricco e Fabio Geda parleranno non dei libri che hanno scritto ma di quelli che hanno letto e che li hanno formati, come scrittori e come uomini.
H 22.45 –  MOMENTI DI TRASCURABILE (IN)FELICITÀ , reading di Francesco Piccolo (che inseguo ogni anno al Salone e alla Grande invasione senza mai riuscire davvero ad ascoltare una sua presentazione) tratto dal suo ultimo libro.

Domenica 31 maggio

H 10.15- 11.45 – TRE TIGRI CONTRO TRE TIGRI. Alessio Torino contro Ernest Hemingway.  Ovvero, un workshop in cui Alessio Torino (che io ho conosciuto proprio alla prima edizione della Grande Invasione di due anni fa, ma che da quando ho letto i suoi libri non ho mai avuto occasione di rincontrare), legge e analizza il racconto di Hemingway “Capo Indiano”
H 12- 13.30 – ILIDE CARMIGNANI Un’idea di felicità. Un altro workshop, questa volta di traduzione, in cui la traduttrice racconta come è stato lavorare sui romanzi di Luis Sepulveda.
H 12.30 –  LA NOSTRA CARRIERA DI LETTORI. Giusi Marchetta e Francesco Piccolo. Ahimè non possiedo ancora il dono dell’ubiquità e dovrò scegliere tra questo e l’evento precedente. Come Baricco e Geda il primo giorno, oggi saranno appunto Francesco Piccolo e Giusi Marchetta a parlare dei libri della loro vita.
H 18  – LEGGERE L’AMERICA. Nickolas Butler in conversazione con Claudia Durastanti. Ok, il libro di Butler non mi ha poi entusiasmato così tanto, però tendo comunque ad andare ad ascoltare, se ne ho la possibilità, gli autori di cui ho letto i libri. E questa mi sembra decisamente una buona occasione (anche perché è in dialogo con la sua traduttrice).
H 21 – NERI MARCORÈ in È finito il nostro carnevale di Fabio Stassi, con canzoni dal vivo di Pilar.  Anche se non ho letto questo libro di Stassi, lui è un autore che mi piace molto. E poi c’è Marcorè, che non ho mai visto dal vivo.

Lunedì 1 giugno

 H 12-13.30 – MARIA NICOLA. Cose che (non si perdono), workshop sulla traduzione dei romanzi di Alan Pauls.
H 15 - ESORDIRE. Iacopo Barison, Mario Pistacchio Laura Toffanello in conversazione con Andrea Coccia. Un dialogo tra il giornalista dell’inchiesta e gli autori di due degli esordi letterari più interessanti dell’anno passato, Iacopo Barison di Stalin+Bianca e Mario Pistacchio e Laura Toffanello di L’estate del cane bambino
H 18 – Leggerei i classici per reggere i contemporanei, un dialogo tra Matteo Nucci e Martina Testa su come i romanzi del passato possono aiutarci a leggere e capire quelli del presente

Martedì 2 giugno

H 11 – L’editore ospite: Marcos y Marcos. Marco Zapparoli in conversazione con il libraio Davide Ferraris. Ok, qui non credo serva che vi dica niente, perché se seguite il blog sapete benissimo quanto io ami questa casa editrice
H 16.30 – L’editore ospite: Marcos y Marcos. Claudia Tarolo in conversazione con Hakan Gunday e Stefano Amato. Idem come sopra, con l'aggiunta di Stefano Amato (il suo blog lo conoscete, vero? L’apprendista librario… se non lo conoscete,  rimediate subito!), che seguo da anni e che sono proprio curiosa di vedere dal vivo.


Ecco, questi sono gli incontri che tra gli altri più mi interessano. Il programma però è davvero molto ricco e probabilmente mi sarà sfuggito qualcosa.
Quello che più mi piace di questo festival, oltre al fatto che popola una città che ne ha davvero bisogno, è che ogni anno se ne nota l’evoluzione, da piccola rassegna con un numero limitato di autori a evento sempre più grande e articolato. E di fronte a queste cose, da eporediese, certo, ma soprattutto da grande lettrice non posso che ringraziare chi ogni anno lo organizza con tanto impegno.
Ci vediamo là, allora?

venerdì 22 maggio 2015

L'ASSASSINO NON SA SCRIVERE - Stefano Piedimonte

Vi capita mai di prendere in mano il nuovo libro di un autore di cui avete già letto altri romanzi, convinti di trovarci dentro qualcosa e ritrovarvi invece di fronte a qualcosa d'altro? Ma così tanto diverso da chiedervi se non vi siete confusi o se non si tratta, magari, di un caso di omonimia?
Ecco, la primissima reazione dopo poche pagine di L’assassino non sa scrivere di Stefano Piedimonte è stata questa. Avevo letto e adorato il suo romanzo d’esordio, Nel nome dello zio. Letto e apprezzato un po’ meno il seguito, Voglio solo ammazzarti, pur avendoci trovato  tutta l’ironia e la verve del precedente; quindi quando è uscito quest’ultimo romanzo e ne ho letto la quarta, ero sicura che al suo interno avrei ritrovato lo stesso stile ironico e geniale, la stessa critica violenta attraverso l’esasperazione e la presa in giro dei protagonisti (se avete letto i due romanzi precedenti capite di cosa sto parlando), lo stesso ritmo narrativo e  lo stesso numero di risate.  

Ma non è stato così. Ci ho trovato qualcosa di diverso, qualcosa di meno, ma anche qualcosa di più. 

L’assassino non sa scrivere è ambientato a Fancuno, un paesino sperduto popolato da pochi abitanti che si conoscono tutti tra loro. In passato arrivava anche qualche villeggiante, per il gusto di poter dire “quest’estate me ne vado a Fancuno”, ma con gli anni si sono affievoliti. Finché in paese non compare all’improvviso un serial killer che ha due particolarità ben precise: sembra ammazzare quasi a caso, senza metodi e senza logica, e, soprattutto, non sa scrivere, come si evince dai bigliettini che lascia sulle sue vittime firmati Sirial Ciller.  Il paese, un po’ innervosito dagli omicidi e soprattutto dall’ignoranza di chi li compie, si trova così sommerso di giornalisti e curiosi. Intanto, oltre alla polizia, ad indagare ci sono un gruppo di amici del bar di Siusy, tra cui il narratore stesso che è un giornalista vicino alla pensione,  che piano piano, tra ricordi del passato e piccoli indizi nel presente, arrivano a collegare quello che sta succedendo con la leggenda del paese, quella del bosco che uccide o fa del male a chiunque ci entri, a meno che non sia protetto. Che l’assassino voglia vendicarsi per qualcosa che il bosco gli ha tolto? 

La lettura di L’assassino non sa scrivere non è stata come quella dei romanzi precedenti, vi dicevo. Diversa nel bene e diversa nel male.
Il libro mi è piaciuto, anche se forse in alcuni punti si perde un po’ e soprattutto nel finale manca qualche dovuta spiegazione. Così come mi è piaciuto molto lo stile di Stefano Piedimonte, che sa scrivere indubbiamente bene, anche quando decide di cambiare ambientazione e allontanarsi dai suoi romanzi precedenti . C’è della poesia in questo romanzo che nei precedenti non c’era, della nostalgia, dei legami con il passato e le proprie tradizioni che nei precedenti non c’erano. E so già che alcune delle frasi che ha piazzato qua e là rimarranno con me a lungo.

Odiare una persona che non c'è vuol dire disperdere il proprio odio in giro per il mondo, distribuirlo senza un criterio, fare del male a chi non lo merita. Lo so, è impossibile pensare che non ci sia nessuno con cui prendersela. Lo so benissimo. Ma non è giusto che questo «nessuno» diventi «tutti».
Al tempo stesso, però, c’è qualcosa che non mi ha convinta del tutto. Mi è sembrata una scrittura più matura  e più profonda sicuramente, ma al tempo stesso l’impressione è che Piedimonte non abbia avuto il coraggio di abbandonare completamente quello che è stato in passato (forse per paura di deludere le aspettative dei lettori?), dosando in modo non sempre perfetto il racconto ironico e la parte drammatica della sua storia. Così come anche le critiche, questa volta dirette ai giornalisti e a chi lucra sui fatti di cronaca nera, ci sono e non ci sono, come se avesse voluto farle ma non avesse osato andare fino in fondo.

Probabilmente chi non ha letto i romanzi precedenti non si accorgerebbe di queste cose. Noterebbe solo la bellezza e la tristezza della storia di Siusy, ammirerebbe il cane fosforescente, riderebbe per alcune delle vicissitudini di alcuni degli abitanti di Fancuno  e proverebbe un po’ di nostalgia per quel legame che si crea tra chi vive sempre e da sempre nello stesso posto, oltre ovviamente ad appassionarsi a questo serial killer e alle indagini per scovarlo.
Ed è su queste cose che mi voglio concentrare, perché alla fine è giusto, e ovvio, che uno scrittore cambi, maturi e tenti ogni tanto strade diverse da quelle che ha sempre percorso. E, per quanto spesso inevitabile, non è giusto valutare un nuovo libro, soprattutto se così diverso, in base ai precedenti.

Per cui sì, L’assassino non sa scrivere mi è piaciuto, con solo qualche piccola riserva, e mi sento di consigliarlo a tutti, che conosciate già Stefano Piedimonte o no.

Titolo: L'assassino non sa scrivere
Autore: Stefano Piedimonte
Pagine: 248
Editore: Guanda
Anno: 2014
Acquista su Amazon:
formato brossura: L'assassino non sa scrivere

mercoledì 20 maggio 2015

HO SPOSATO MIA SUOCERA. Memorie di un genero esaurito - Stefano Grimaldi

Alzi la mano chi tra di voi, almeno una volta, nella sua vita di coppia, ha dovuto subire in silenzio una qualche ingerenza, seppur involontaria, da parte di suoceri e suocere un pochino invadenti. Tutti, immagino. Perché fa parte della natura stessa dell’essere suocero o suocera, tentare, almeno una volta, di dire a figli e generi e nuore qual è il modo migliore per affrontare qualcosa. A volte è un gesto inconsapevole. Altre, voluto ma comunque ben accetto. La maggior parte, non richiesto e, soprattutto, fastidioso che richiede una buona esperienza di pratica zen per riuscire ad affrontarlo al meglio.

Quello di suocere invadenti nei confronti dei generi è, almeno in parte, un luogo comune. Ma sappiamo tutti che i luoghi comuni una qualche origine e un qualche fondo di verità ce l’hanno sempre.

O almeno ce l’hanno nel caso del genero esaurito protagonista di Ho sposato mia suocera di Stefano Grimaldi, un libricino pubblicato da Las Vegas edizioni, che racconta tutte le angherie che l’uomo ha dovuto subire da quando è innamorato di Clara da parte della madre di lei. La temibile suocera. Che beve solo Ceres e che porta la pelliccia in villeggiatura. Che si installa a casa di figlia e genero, ma non sopporta di avere tra i piedi la propria, di madre. Che dice la sua su tutto, dalla proposta di matrimonio al parto e la cura dei figli, passando per la disposizione degli oggetti in casa al menù quando è invitata, o autoinvitata, a pranzo, ma che non ascolta mai nessuno.

È un libricino sottile, questo Ho sposato mia suocera, che si legge in poche ore e che fa piegare in due dalle risate. Certo, io rido perché, fortunatamente, sono donna e l’ingerenza dei suoceri è diversa, più smorzata, verso il sesso femminile (sebbene in parte ci sia, soprattutto relativa a quanto il figlio mangi lontano dalla casa materna). Rido anche perché mia mamma nei confronti del genero per fortuna non è così rompiballe. Al tempo stesso, provo una profonda empatia nei confronti del protagonista e del suo livello di esasperazione, sicuramente un po’ esagerato per esigenze letterarie (o almeno, voglio sperarlo!), nel dover affrontare una terza persona nella sua vita a due.

Stefano Grimaldi è stato davvero bravo, già a partire dalle avvertenze poste a inizio libro, a dosare ironia e esasperazione, amore e (un po’ di) odio, nel raccontare le sue vicende di genero esaurito e delle sue conseguenti difficoltà nell'amare incondizionatamente sua moglie. Difficoltà sue, ma anche di molti altri lettori che non potranno che identificarsi con lui. 
E chissà che anche qualche suocera, leggendolo, non possa fare un piccolo esame di coscienza...oppure offendersi a morte e torturare ancora di più il proprio, povero, genero.

Titolo: Ho sposato mia suocera. Memorie di un genero esaurito
Autore: Stefano Grimaldi
Pagine: 119
Editore: Las Vegas edizioni
Acquista su Amazon:
formato ebook: Ho sposato mia suocera

martedì 19 maggio 2015

#SalTo15: incontri, libri, editori e parole

Ed ecco anche il secondo (nonché  ultimo) resoconto del mio Salone del Libro. Questo sarà un po’ più scemo, rispetto a quello di ieri, ma non per questo meno importante. Anzi!
Procederò per punti, perché mi viene più facile che non fare un altro lungo post discorsivo.

LE CONFERENZE E GLI INCONTRI CON GLI AUTORI
Quest’anno il programma del Salone del Libro era, a mio modesto parere, un po’ sottotono.
Zerocalcare e Giorgio Fontana
Eppure, sono riuscita comunque a incontrare autori e ad assistere ad incontri che negli anni precedenti mi ero solo sognata. Iniziando da Zerocalcare e Giorgio Fontana, venerdì pomeriggio. Li amo, entrambi. Davvero. Pur essendosi conosciuti pochi minuti prima di salire sul palco, sono riusciti, complice anche probabilmente l’essere coetanei e molto alla mano, a fare un incontro interessante e divertente. Hanno parlato dei fumetti e dei libri della loro vita, hanno risposto a domande dal pubblico (“Michele, che ci dici della tua partecipazione allo Strega?” “Eh, no, che vi devo dire? Mia mamma è molto contenta”… lo è anche lui comunque eh) e hanno fatto divertire, senza farsi condizionare minimamente da tutta quella gente accorsa lì a vederli (io sarei andata nel panico).

Ma anche Gianrico Carofiglio sabato pomeriggio, che da me aveva da farsi perdonare il ritardo alla presentazione dell’anno scorso (a cui poi, alla fine, non ero andata) e la delusione di un paio di anni fa al Circolo dei lettori (anche se lì non era stata colpa sua). Beh, ci è riuscito alla grande. Un incontro di un’ora molto divertente, grazie anche al presentatore, in cui oltre a parlare di Guido Guerrieri ha  raccontato anche diversi aneddoti e letto spezzoni dei suoi libri. È riuscito a farmi venire voglia di leggere anche l’ultimo, sebbene non riesca proprio a farmi andare giù il suo passaggio a Einaudi.
La presentazione di Mangiare è un atto agricolo
Accanto a questi grandi incontri, ce ne sono stati altri un pochino più raccolti ma in ogni caso molto interessanti. Oltre a quelli con gli autori Giunti di cui vi ho parlato ieri, ho assistito alla presentazione di Mangiare è un atto agricolo di Wendell Berry, a cura della Lindau; all'incontro con Marco Cassini della SUR e Luca Ussia di Rizzoli che hanno parlato del ruolo dell’editore, piccolo e grande, al giorno d’oggi; ho seguito mezz’ora del dialogo tra Jhumpa Lahiri (che parla italiano meglio di un sacco di italiani) e Sandro Veronesi, e poi allo Speed Book, un gioco in cui alcuni autori emergenti (e io tifavo per Diego Barbera e il suo Ti scriverò prima del confine) dovevano presentare il loro libro rispondendo in pochi secondi a domande specifiche.
Mi spiace molto per gli incontri che mi ero segnata e a cui, per un motivo o per l’altro, non ho potuto partecipare. È che dentro al Salone perdersi e distrarsi è semplice e in un attimo è già ora di uscire.

GLI EDITORI
Quest’anno sono ancora più entusiasta del solito. Ho evitato ovviamente gli stand dei grandi editori, che trovo un po’ asettici e molto simili a qualunque altra libreria che si può trovare anche all'esterno, e mi sono fatta invece conquistare da quelli piccoli.
A partire da minimum fax, in cui appena dico chi sono vengo accolta da grande entusiasmo, e dagli amici delle Edizioni Spartaco (Ugo e Andrea alla fine credo non ne potessero più di salutarmi). Ma anche dalla Gorilla Sapiens, che era un sacco di tempo che volevo incontrare e che non ha battuto ciglio quando ho richiesto espressamente di fare una foto con il peluche Gorilla (opera bellissima di Popcorn&Candies). Ho poi salutato per la prima volta, pur conoscendoli da un paio d’anni, Andrea e Carlotta di Las Vegas e mi sono fatta travolgere da Sara e da tutto lo stand della Lindau (per fortuna con meno timidezze rispetto al Book Pride).
Io con il Gorilla alla Gorilla Sapiens
Una menzione speciale va poi ai ragazzi allo stand Fazi, anche se non posso dire perché. In ogni caso, se state leggendo, vi ringrazio ancora tantissimo.

I LIBRI
Ero partita con una lista, che in parte ho seguito e in parte no. E alla fine, tra acquisti, regali, 3X2 e omaggi, sono arrivata  a casa con una ventina di libri circa.
Non male, come bottino!

Il bottino di giovedì

... e quello di venerdì e sabato.

GLI INCONTRI CON LE ALTRE PERSONE
Ecco, questo forse è l’argomento più bello e più brutto allo stesso tempo del Salone del Libro. È bello perché è l’occasione per dare finalmente un volto a persone che hai sempre e solo visto attraverso uno schermo (Cristina, finalmente!), per rivedere persone che puoi incontrare solo così in queste occasioni (Francesca e Veronica del blog La contorsionista di parole) e conoscere persone (Angela di righevaghe, ad esempio) con cui senti in qualche modo di avere una certa affinità. Oltre alle blogger che, ogni anno, anche solo per qualche minuto, saluti volentieri.
Però ecco, io dal vivo sono di una timidezza esasperante. Esasperante per me, che vado subito nel panico e mi rendo conto di fare sempre magre figure. Per cui, chiedo davvero scusa a chi mi ha fermato per salutarmi (Martina, o Stefano che addirittura è venuto a cercarmi!) e si è trovato di fronte tutto fuorché la brillante blogger (no, eh?) che sono sempre. Mi ha fatto comunque un piacere immenso, davvero!
E il proposito per il nuovo anno è iscrivermi a un corso di pubbliche relazioni… oppure la prossima volta mi porto una lavagnetta e ci parliamo scrivendo, che almeno non divento tutta rossa.

"Beeeeep"
IL LETTORE RAMPANTE
Si merita una sezione tutta per sé. Perché almeno un giorno mi accompagna sempre. Perché sopporta quasi in silenzio ogni conferenza a cui lo porto (ok, a volte il silenzio è per l’abbiocco, ma va bene lo stesso). Perché si presta sempre a “oddio, ma lui è il lettore rampante??” e perché mi lascia sempre comprare un libro in più piuttosto che uno in meno.
Oh, sì e poi perché mi asseconda nel fare le foto sceme.


Questo, insieme al post di ieri, è stato il mio Salone del libro 2015. Avrò sicuramente dimenticato qualcosa (tipo di dire, ancora una volta, che l’immagine era terrificante e che secondo me dovrebbero mettere più sedie e aree per riposarsi) e qualcuno.
Come ogni anno, comunque, è stato semplicemente bellissimo.

E ora aspettiamo il #SalTo16!

lunedì 18 maggio 2015

#GiuntialSalTo, ovvero una giornata al Salone del libro in compagnia di Giunti Editore

Prendete un gruppo di blogger, ognuna di esse dotata di smartphone o di Tablet. Prendete una casa editrice, la Giunti editore, e il suo stand presso la fiera dell’editoria più grande d’Italia, il Salone internazionale del libro di Torino. Aggiungeteci una serie di incontri con gli autori e un hashtag, #GiuntialSalTo, con cui condividere con il popolo di twitter questi incontri. 
Il mio primo giorno al Salone del Libro di Torino si può riassumere con questi semplici elementi. Nella giornata d’apertura, giovedì 14 maggio, sono stata invitata a seguire su twitter e i social network l’attività della casa editrice Giunti.

L’invito è stato per me un’immensa gioia, ma, devo ammettere, all'inizio anche fonte di un po’ di paura: e se non c’è campo? E se sbaglio gli hashtag? E  se twitto cose sceme? E se la batteria del cellulare si scarica? 
Fortunatamente non è successo nulla di tutto questo. Dentro al Salone la rete funzionava, dopo un paio di errorini, ho imparato a scrivere #SalTo invece di #Salto, la batteria del telefono ha retto molto più di quanto immaginassi (sono riuscita ad avvisare a casa la partenza dal Salone, prima che morisse) e twittare in diretta mi ha divertito molto.
E ora sono qui, a raccontarvi senza limiti di 140 caratteri, come è stata la mia giornata all'insegna di #GiuntialSalTo.

Il primo incontro a cui ho assistito è stato con Silvia Vecchini che, presso la spazio OpLab all’interno del BookStock Village, ha presentato a una classe delle scuole medie il suo Le parole giuste.
Un libro che parla di dislessia e dei problemi che i ragazzini di oggi si ritrovano ad affrontare: la protagonista è Emma, ha delle serie difficoltà a leggere e scrivere, ma non vuole dirlo ai suoi genitori, che già devono affrontare un problema ben più grande. Il padre di Emma, infatti, dovrà sottoporsi a un trapianto di rene e, vista la mancanza di un donatore compatibile, i genitori optano per una scelta difficile e pericolosa.  
Emma sa della situazione, ma non si rende forse conto di quanto sia grave, anche perché i suoi genitori credono che non sia ancora il caso di consultarla. La ragazzina, che si ispira a una ragazzina amica diSilvia Vecchini, lotta quindi con il suo problema, ma anche con il mondo circostante e le difficoltà che presenta. Finché non viene inserita in un gruppo di recupero per ragazzi con problemi dell’apprendimento, in cui, dopo una reticenza iniziale, a poco a poco prenderà consapevolezza che le sue difficoltà non dipendono da lei.

Silvia Vecchini 
La cosa più bella in assoluto di questo incontro con Silvia Vecchini  è stato vedere questa classe di ragazzini, più o meno coetanei della protagonista, seduti per terra attorno a lei ad ascoltarla attenti e interessati. Non so se loro avessero letto il libro prima di incontrarla. Io sicuramente no. Però sono sicura che, come me, molti di loro una volta alzatisi abbiano avuto voglia di tuffarsi in Le parole giuste. E che si siano sentiti in qualche modo un po’ meno soli.

Dopo la presentazione di Silvia Vecchini, e un lungo giro di acquisti per il Salone, ci siamo ritrovati tutti presso lo stand Giunti, accolti, oltre che dallo staff, da un gigantesco C1P8 in compagnia di uno Stormtrooper. Eh sì, con l’acquisizione della Lucas Art da parte di Disney, tutto il merchandising di Guerre Stellari è passato alla Giunti. Per la gioia mia e di tutti gli appassionati di cavalieri jedi.

All'interno dello stand abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Beatrice Fini e Donatella Minuto, rispettivamente direttrice editoriale ed editor della casa editrice.
Parlare con Beatrice Fini mi ha permesso di scoprire qualcosa in più sulla linea editoriale e sulla “politica” della casa editrice al momento della scelta dei libri da pubblicare. 
Il passato di Giunti è legato alla saggistica. Quando è nata, c’era solo una collana dedicata alla narrativa, la Astrea, ed era prettamente femminile: si pubblicavano scrittrici di un’epoca passata, interessate soprattutto alla condizione delle donne (e in casa ho effettivamente qualche volume di questa collana, tra cui ricordo con piacere Il tempo delle farfalle di Julia Alvarez o Inseguendo l’amore di Nancy Mitford). 
Dopo vent'anni questa collana è stata chiusa, perché ha forse esaurito un po’ il suo scopo iniziale, ma la narrativa Giunti si è espansa, continuando però ad essere indirizzata verso le donne. "Crediamo nelle donne che fanno il bilancio tra i ruoli, mamma, donna, manager” e che sono anche grandi lettrici.
Sono loro (anzi, siamo noi) quelle che leggono di più in Italia e quindi ogni editore dovrebbe avere una collana a loro rivolta. Da lì è nata la collana A, in cui viene pubblicata principalmente narrativa straniera, con un ottimo rapporto qualità prezzo e una certa riconoscibilità (fondamentale per creare una fidelizzazione del lettore, certo, ma anche un’identità per l’editore).
Beatrice Fini ha presentato anche le altre collane: la M, dedicata ai thriller e alla narrativa di genere, con un occhio attento anche verso il noir italiano, e quella di “letteratura di qualità”  (“che è una brutta definizione, perché noi crediamo nella qualità e nel valore di ogni singolo libro che pubblichiamo, ma è il modo in cui la chiamiamo noi per capirci”), gestita da Benedetta Centovalli, in cui si cerca di valorizzare gli esordienti da un punto di vista non solo di trama, ma anche di temi e di stili (e tra questi si segnala ad esempio Clara Sereni, con il suo Via Ripetta 155, e di cui a breve la Giunti ripubblicherà anche le opere passate).
In Giunti fondamentale è il riscontro dei lettori. Un riscontro che ottengono grazie alle opinioni che arrivano direttamente dalle loro libraie (sì, perché la maggior parte delle librerie Giunti sono gestite da donne), ma anche dal confronto diretto con i lettori tramite i social network e i blog. Confrontarsi con il pubblico è importante, fondamentale per un editore, perché la lettura deve essere un piacere e “risponde alle esigenze di chi legge”. 
La chiacchierata con Beatrice Fini si è conclusa con la fatidica domanda “Siamo ancora più un popolo di scrittori che di lettori? E cosa si può fare per cambiare questa tendenza?”. Lei ha risposto “sì, abbastanza”, ed è sufficiente vedere i dati di lettura e l’impressionante numero di manoscritti che arrivano ogni giorno sui tavoli degli editori, ma anche il numero di opere autopubblicate. Per cambiare la tendenza bisogna partire dai bambini, dalle scuole, svecchiando un po’ il sistema in cui certi libri vengono spiegati, evitando imposizioni e schede di lettura, che tolgono tutto il piacere della lettura.

Poi è arrivato il turno di parlare con la editor Donatella Minuto, che ha raccontato del libro Le anatre di Holden sanno dove andare, di Emilia Garuti
Ammetto che la prima volta che ho visto il titolo ho storto un po’ il naso. Vuoi perché per me Salinger e il suo Il giovane Holden sono mostri sacri, vuoi perché l’autrice del libro è molto giovane (sì, lo so, questo è un mio pregiudizio… che a breve spiegherò come mi è stato smentito), ho davvero temuto che in Giunti fossero impazziti. E come me credo molti altri amanti di Holden. 
Parlando con Donatella Minuto, però, ogni cosa è andata al suo posto e ho capito che il titolo un senso ce l’aveva eccome, oltre a dimostrare un grande rispetto e una grande conoscenza di Salinger da parte di questa giovane autrice. 
La protagonista di Le anatre di Holden sanno dove andare parla del disagio dei diciottenni di oggi, di quelli che non seguono le mode e gli stereotipi e si trovano un po’ nel panico nel momento di dover crescere e prendere decisioni. La protagonista, Willelmina, odia tutti, non riesce a trovare il suo posto nel mondo. Il suo mito è proprio il giovane Holden e lei, che si sente così spaesata e in difficoltà, dice che persino le anatre del lago ghiacciato di Central Park, la cui sorte tanto preoccupa Holden, sanno dove devono andare a svernare. Solo lei è così persa e senza meta. Finché i suoi, preoccupati, non decidono di mandarla dallo psicologo e qui farà la conoscenza che cambierà la sua vita.
Il romanzo è arrivato in Giunti via mail, direttamente dall'autrice. E subito si sono accorti del suo potenziale, della sua forza, della sua incredibile ironia e della voglia di raccontare le difficoltà dei giovani di oggi senza lasciarsi andare a inutili stereotipi.
Ho chiesto se la giovane età si sentisse, al momento della lettura ma anche al momento del lavoro di editing. E Donatella Minuto mi ha risposto che sì, un po’ si sente, perché è una scrittura fresca e briosa, ma allo stesso tempo intelligente e ironica, grazie anche al fatto che la giovane Garuti è una grande lettrice e una grande amante dei film. 

La giornata con #GiuntialSalTo si è poi conclusa con l’incontro, presso il Caffè letterario, con Paola Capriolo che, in compagnia di Elena Lowenthal e Lorenzo Mondo, ha presentato il suo Mi ricordo.

Lorenzo Mondo, Paola Capriolo e Elena Lowenthal al Caffè letterario
Il libro, che ha come protagoniste due donne in due momenti diversi della storia, ruota intorno alla frase di Dostojevsky “La bellezza salverà il mondo”, che lega un po’ tutti i temi del libro: la tragedia, le persecuzioni razziali, il ritorno fisico e sentimentale in un luogo ma anche semplicemente nel proprio passato, e il ricordo, con tutte le sue contraddizioni di necessità di vita ma anche di fonte di dolore e sofferenza.
Lorenzo Mondo ha definito Mi ricordo di Paola Capriolo, questo romanzo “una delle prove più alte della sua narrativa” , a cui la scrittrice ritorna dopo anni di silenzio. E non per niente è candidata al premio Campiello.

Concludo questo lungo resoconto, ringraziando le altre blogger mie compagne in questa avventura e la Giunti per l’opportunità che ci ha dato di essere con loro al #SalTo15. È stato davvero un piacere!

domenica 17 maggio 2015

LE BRACI - Sándor Márai

È capitato molto spesso, da quando ho il blog e mi confronto più assiduamente con altri lettori, che alla domanda “cosa mi consigliate di leggere?” mi venisse risposto Le braci di Sándor Márai. Talmente tanto spesso che, per qualche strano fattore psicologico, ne ho sempre rimandato la lettura. Se me lo consigliano in così tanti, deve essere un bel libro. E io, con i libri quasi universalmente riconosciuti come belli, ho qualche problema.
Alla fine però, complice anche aver trovato il libro a un mercatino dell’usato a un prezzo veramente stracciato, ho ceduto. La tentazione era quella di non dire che lo stessi leggendo, di tenerla una lettura solo per me, così da non generare aspettative negli altri e non avere io complessi di inferiorità. Ma anche in questo caso ho lasciato perdere, perché qua e là c’erano delle frasi, degli spezzoni, anche solo delle parole, che meritavano di essere condivise con tutti.

Le braci di Sándor Márai racconta la storia di due uomini, talmente opposti, talmente diversi tra loro, che non potevano che diventare amici da ragazzi. C’è il generale, uomo ricco e fedele alle regole che gli sono state sempre imposte, a casa prima e nell’esercito poi, e c’è Konrad, povero e gracilino, amante dell’arte e della musica. La loro sembra un’amicizia forte e sincera che non spiega come, all’inizio del libro, li ritroviamo uno nell’attesa dell’altro, dopo quarant’anni di lontananza e di silenzi. Il loro è un incontro atteso ma al tempo stesso allontanato, perché metterà il punto finale a qualcosa di finito tanti e tanti anni prima.

La trama è poi tutta qui. Nel corso del libro scopriamo come i due si sono conosciuti e come sono diventati amici e poi, in un lungo monologo del generale, quello che è successo dopo, che cosa li ha fatti allontanare, che cosa è rimasto così tanto in sospeso da averli tormentati a lungo entrambi.
Questo lungo monologo, devo ammettere, mi ha creato qualche difficoltà. Non a livello di lettura, assolutamente, perché il libro è scritto molto bene e con il suo stile Sándor Márai riesce perfettamente a trasmettere quel senso di lunga attesa che il protagonista ha provato. A crearmi difficoltà è stato il contenuto.
Tutti siamo stati traditi da qualcuno nel corso della nostra vita (e, diciamo la verità, tutti almeno una volta, magari inconsapevolmente, magari perché non potevamo proprio farne almeno, abbiamo tradito qualcuno), tutti di questo tradimento abbiamo sofferto. Però, ecco, non credo che tutti abbiamo aspettato o aspetteremo quarant’anni per cercare di venire a capo, almeno con noi stessi, di questo tradimento e questa sofferenza. Non so, quando ho chiuso il libro il primo pensiero è stato che forse se i due protagonisti avessero fatto a botte, sarebbe stato tutto più facile per entrambi. Questo freddezza , questo dolore che pervade tutto il libro, perché le braci scaldano pochissimo ma se le tocchi il segno ancora te lo lasciano, per me sono stati inconcepibili, difficili da comprendere e, quindi, da accettare.

Questa mia visione diversa, che io sono convinta che un certo punto l’unica cosa che si possa fare sia lasciar perdere e andare avanti con la propria vita, per quanto triste e doloroso possa essere, mi ha reso difficile apprezzare a pieno il libro e il suo senso.
Capisco perché molti consiglino Le braci, perché mi rendo conto perfettamente della forza che può avere una storia così, ma al tempo stesso capisco anche quelle voci dal coro che a poco a poco sono spuntate quando ho detto che lo stavo leggendo e che hanno confessato di non averlo sopportato.
Personalmente, mi vedo di più nella seconda categoria, però sono comunque contenta di averlo letto e credo che lo consiglierei anche, perché utile per confrontarsi con se stessi verso un argomento che, come dicevamo prima, almeno una volta nella vita tocca tutti.

Titolo: Le braci
Autore: Sándor Márai
Traduttore: Marinella  D'Alessandro
Pagine: 181
Editore: Adelphi
Acquista su Amazon:
formato brossura: Le braci
formato ebook: Le braci (Gli Adelphi)

lunedì 11 maggio 2015

LA CANZONE D'AMORE DI QUEENIE HENNESSY - Rachel Joyce

Voi l'avete letto L'imprevedibile viaggio di Harold Fry? Un romanzo uscito un paio di anni fa e che ha avuto un successo strepitoso, e che racconta del pellegrinaggio che il protagonista, Harold Fry appunto, decide di affrontare per raggiungere Queenie Hennessy, una donna con cui non aveva più avuto contatti da vent'anni e che, in punto di morte, gli ha scritto un messaggio, semplicemente per salutarlo e ringraziarlo.
A me il libro era piaciuto molto. Avevo adorato Harold Fry, la sua tenerezza e la sua caparbietà in quella sua lunga camminata da una parte all'altra del Regno Unito. Mi era piaciuto il modo in cui l'autrice, Rachel Joyce, aveva criticato la società che tende a strumentalizzare un po' tutto, e amato il finale, commuovente e buonista al punto giusto, pur nel dolore.

Mai, però, mi era venuto in mente di aver bisogno di leggere questa storia da un altro punto di vista. Non credevo fosse necessario, sapere cosa pensava la donna che ha dato origine al viaggio dell'uomo. Forse perché la percepivo solo come una scusa, come uno strumento, per il cammino che Harold doveva intraprendere per ritrovare se stesso.
Eppure, Rachel Joyce, forse per riprendersi un po' dal minore successo avuto dal suo romanzo successivo, Il bizzarro incidente de tempo rubato, ha pensato bene di ritornare a disturbare Harold e, soprattutto, la povera Queenie.

Questo libro parla di lei. Dal momento in cui ha spedito il suo breve messaggio all'uomo che ha sempre amato al giorno in cui lui è finalmente arrivato. Nel mentre, ha vissuto in questa casa di cura per malati terminali, con alcuni di loro ha stretto amicizia e con loro ha condiviso l'attesa, che in qualche modo ha portato un po' di speranza in un posto in cui non ce ne può proprio essere. E ha scritto: del suo passato con Harold, di come lo ha conosciuto e si è innamorata di lui senza mai rivelarglielo, e di dove si è rifugiata dopo, quando non poteva proprio più stargli accanto. Una lunga lettera destinata proprio a lui, per raccontargli tutte quelle cose che non ha mai potuto o saputo dirgli.

Già dalle prime pagine, ho avuto la conferma che questo libro non fosse per niente necessario e che sia andato a svelare il passato in un modo un po' forzato, togliendo al lettore che ha letto il romanzo precedente (e deve averlo letto, per poterci capire qualcosa) il gusto di immaginarselo da solo. 
In più, la tristezza che traspare del libro è una tristezza quasi gratuita. Nel senso, l'attesa, il dolore, l'ineluttabilità di quello che sarebbe successo a Queenie, con l'implorazione continua di Harold di aspettarlo, era ben evidente già nel primo libro, senza che fosse necessario entrare in una casa di cura per malati terminali e vedere tutti spegnersi a poco a poco. L'idea che l'autrice voleva dare era sicuramente quella che si può e si deve cercare di essere felici fino alla fine, però ho avuto l'impressione che sfruttasse la commozione e la lacrima facile per arrivare al lettore in modo, appunto, quasi gratuito.

Detto questo, non posso sicuramente negare che il libro sia scorrevole, scritto bene e di facile lettura, e che in alcuni punti la tristezza venga soppiantata da momenti dolci e divertenti. 
Però, ecco, rimane una lettura che forse non sono tanto io che non avrei dovuto affrontare (ok, in parte sì, perché quando un autore torna su una storia già conclusa a distanza di così pochi anni, probabilmente è perché non sa più bene cosa scrivere e cerca di sfruttare un successo già avuto... ma ero curiosa, dai!) ma soprattutto che l'autrice, per rispetto della sua passata storia e dei suoi personaggi, non avrebbe proprio dovuto scrivere.

Titolo: La canzone d'amore di Queenie Hennesy
Autore: Rachel Joyce
Traduttore: Ada Arduini e Lucia Olivieri
Pagine: 342
Editore: Sperling & Kupfer
Acquista su Amazon:


venerdì 8 maggio 2015

FOTOGRAFIE - Rodolfo Walsh

Quando frequentavo l’università, ogni volta che avevo la possibilità di seguire un corso a mia scelta, immancabilmente mi ritrovavo nelle aule di Lingue e Letterature Ispanoamericane. Credo di aver seguito, nel corso dei cinque anni di studio, almeno tre volte quella materia, perché già allora avevo una passione per gli scrittori del cono sud.
Eppure, pensandoci bene, non sono poi tanti i romanzi e i libri di scrittori sudamericani che ho letto nella mia carriera da lettrice: sì, ho letto e amato Manuel Puig e Pedro Lemembel, sono rimasta affascinata dalla scrittura di Mario Vargas Llosa e dallo stile di Tomás Eloy Martinez, senza dimenticare ovviamente Gabriel García Márquez, Antonio Skarmeta e i più conosciuti e commerciali Luis Sepulveda e Isabel Allende. 
Però, ecco, basta guardare il catalogo di alcune case editrici specializzate in letteratura sudamericana per capire che ho anche tantissime lacune da colmare.

Una di queste è Rodolfo Walsh, autore argentino famoso per il suo giornalismo investigativo, apertamente schieratosi contro le dittature che si sono susseguite nel suo paese, nonché uno dei tanti, troppi desaparecidos.  Ho sempre e solo sentito parlare di lui e del suo libro d’inchiesta e denuncia più famoso, Operazione Massacro, senza però mai decidermi di leggerlo. Poi, qualche giorno fa, c’era in promozione questo Fotografie, una raccolta di racconti, editi dalla casa editrice La Nuova Frontiera (che, insieme con la Sur, si dedica proprio alla letteratura sudamericana), e mi sono decisa.  

La raccolta si compone di una decina di racconti, divisi in due blocchi, il primo intitolato I riti terreni e il secondo Un chilo d’oro, scritti da Walsh in momenti diversi della sua vita, e accomunati tutti dal raccontare una parte della storia del suo paese dal punto di vista politico e sociale, a cui aggiunge elementi autobiografici.  I riti terreni inizia con Quella donna, che racconta della sparizione del cadavere di Evita senza che però ci sia mai bisogno di nominarla apertamente, perché si sa di chi si sta parlando. Si va avanti con Foto, in cui le vicissitudini di un fotografo pazzo e forse un po’ incompreso si mischiano con le vicende dell’Argentina rurale, che sta iniziando a patire il declino di Peron. E poi ci sono Il Sognatore e Sentinella, che parlano di amore e di armi. Irlandesi dietro a un gatto, il più autobiografico dei racconti, che parla dei riti di iniziazione a cui vengono sottoposti gli orfani appena arrivati in orfanotrofio, e Sfilata, che racconta delle bravate di due ragazzini durante un carnevale.

Poi arrivato il momento di Un chilo d’oro, che inizia con Lettere, quelle che un uomo dalla prigione scrive alla famiglia per cercare di giustificare le sue azione e rassicurarli del suo imminente ritorno a casa. Subito dopo, con I riti terreni si ritorna nell'orfanotrofio di Irlandesi dietro a un gatto, per l’arrivo di un nuovo orfano che di accettare riti di iniziazione proprio non ne vuole sapere, per poi arrivare a Nota a piè di pagina, che racconta del suicidio di un traduttore che nelle note a piè di pagina (un espediente narrativo eccezionale, che leggendo il libro sull’ereader per ovvie ragioni si perde un po’) spiega le sue motivazioni. Ultimo racconto è quello che da’ il titolo all'intera sezione, Un chilo d’oro.

Mentirei se dicessi che tutti i racconti mi sono piaciuti. Ho amato moltissimo Quella donna, forse perché parla di Evita e tutta la letteratura che ruota intorno al suo personaggio riesce sempre a conquistarmi, e ancora di più Nota a piè di pagina, perché parla di un traduttore partito dal nulla, dedito al suo lavoro che ha completamente assorbito la sua vita, relegando alle note a piè di pagina in cui confessa il suo gesto estremo.  E ho apprezzato anche Il sognatore e I riti terreni.
Molti degli altri, invece, devo ammettere di non averli capiti del tutto. Lo stile di Walsh è complesso, fatto di alternanze linguistiche e, soprattutto, di molti sottintesi che, credo, per essere compresi del tutto necessitano di una conoscenza più ampia di quella che io possiedo della storia dell’Argentina e di come si viveva, soprattutto nei paesi rurali. Alcune cose le ho colte, certo, però non abbastanza da farmi apprezzare a pieno tutta la raccolta. È colpa mia, sicuramente. Dovevo forse partire dalle opere per cui è più conosciuto, anche se non sono di narrativa, per iniziare a farmi un’idea del suo stile e della società in cui la sua scrittura è ambientata.

Al tempo stesso, però, quei tre o quattro racconti che davvero mi sono piaciuti sono valsi già da soli la lettura del libro.

E ora sotto con altri scrittori sudamericani!

Titolo: Fotografie
Autore: Rodolfo Walsh
Traduttore: Anna Boccuti ed Elena Rolla
Pagine: 210
Editore: La nuova frontiera
Acquista su Amazon:
formato brossura:Fotografie

giovedì 7 maggio 2015

Un salto al SalTo15! (vabbè...)

Manca una settimana esatta all'inizio del Salone Internazionale del Libro di Torino 2015 (per gli amici, SalTo15) e qui sul blog ancora non ve ne avevo parlato. Strano, perché sprizzo entusiasmo da tutti i pori già da un paio di settimane, addirittura da prima che uscisse il programma il 27 aprile.
Io adoro andare al Salone del Libro. Nonostante il caos, le scolaresche che prenderei a calci, il telefono che là dentro non prende mai, il caldo e la coda per andare in bagno, quando entro dentro ai padiglioni del Lingotto mi sento a casa. Perché ci sono tutti quei libri, milioni di libri. Perché in mezzo a chi gira senza meta e senza scopo, è pieno di lettori appassionati che corrono da uno stand all'altro, per conoscere un editore nuovo, per salutare uno che è già da tempo nel loro cuore, per incontrare altri appassionati e acquistare tutti quei libri che spesso non saprebbe nemmeno dove comprare. Perché in mezzo agli enormi stand dei grandi editori, ce ne sono tanti altri piccoli ma pieni di passione e amore.
Sì, insomma, io adoro andare al Salone.

Il tema di quest’anno è Italia, Salone delle Meraviglie ed è accompagnato da un’immagine ufficiale che è un tantino terrificante (a voi che l'avete realizzata... vi chiedo scusa per questo giudizio un po’ impietoso, ma dai, secondo me se la guardate bene, sembrerà terrificante anche a voi adesso), e soprattutto non dà l’idea di una rassegna che si occupa di libri. Però questa c’abbiamo e questa ci teniamo. Il programma, come ogni anno, si distribuisce sui cinque giorni di rassegna (da giovedì 14 a lunedì 18) all'interno del Salone, più una marea di eventi del Salone OFF nei quartieri di Torino e provincia. Una bella idea, quella degli appuntamenti all'esterno, che lo sarebbe ancora di più se possedessi il dono dell’ubiquità.



Ma veniamo a noi. Quest’anno, a differenza dell’anno scorso e di due anni fa, non svolgo ruoli “ufficiali” all’interno del Salone: niente interviste in radio e niente presentazioni. Belle esperienze entrambe, che rifarei immediatamente, ma che a causa di un mio stato di ansia abbastanza evidente, mi avevano un po’ distratto dal Salone vero e proprio. Quindi quest’anno sarà tutto all'insegna di incontri ed eventi, chiacchiere con editori e lettori, nonché acquisti forsennati, che si concentreranno quasi sicuramente nelle giornate di giovedì, venerdì e sabato.
Spulciando il programma (altra cosa che adoro fare, anche se mi richiede un intero pomeriggio per analizzarlo bene a fondo), che rispetto ad altre volte sembra un pochino sottotono, ho trovato alcuni eventi a cui mi piacerebbe partecipare e che ora vi elenco (per ogni evento ho messo il link, così potete sapere dove, come, quando e perché):

Giovedì 14
h 10.30 - PERCHÉ IL MARE È INNAMORATO DELLA LUNA? Presentazione del libro Leonardo e la marea di Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone:  poco importa se è una lettura consigliata per i bambini dai 7 agli 11 anni, l’occasione per vedere Malvaldi, per giunta in compagnia della fantastica moglie di cui ho sempre e solo sentito parlare in tutte le sue presentazioni, vale la pena di sopportare bambini urlanti.

Poi torno a casa, che avrò già sicuramente male ai piedi e, soprattutto, finito tutti i soldi.

Venerdì 15
Sono ben sei gli appuntamenti della giornata di venerdì a cui cercherò di partecipare.
h 11 – DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI LIBRI NEI SOCIAL: un’analisi del rapporto tra libri e social network da parte di chi lo fa di mestiere (tra cui Valentina Aversano, della minimum fax)
h 12 – LO STURANGOSCIA, presentazione del libro di Davide Pedrosin e Carlo Sperduti, degli amici della Gorilla Sapiens Edizioni
h 15 – I MESTIERI DEL LIBRO.Il marketing virale: in cui si parlerà delle nuove frontiere della promozione della lettura.
h 16.30 – ZEROCALCARE DIALOGA CON GIORGIO FONTANA con Giorgio Fontana: e qui credo che non servano spiegazioni
h 18 – I MESTIERI DEL LIBRO. L'editor: – altro incontro semi-professionale, sperando che mi aiuti a capire come fare a diventare editor
h 18.30 (Salone OFF) - LORENZO MAZZONI PRESENTA QUANDO LE CHITARRE FACEVANO L'AMORE, edito dalle Edizioni Spartaco (vd mia ultima recensione) presso la Libreria Trebisonda, a San Salvario
h 21 - LASCIA STARE IL LA MAGGIORE CHE LO HA GIA' USATO BEETHOVEN presentazione del libro di Alessandro Sesto, sempre degli amici della Gorilla Sapiens Edizioni

Poi torno a casa, che avrò sicuramente fame, male ai piedi e finito di nuovo tutti i soldi

Sabato 16
h 13 – WENDELL BERRY. MANGIARE E' UN ATTO AGRICOLO: presentazione del libro di Wendell Berry a cura degli amici della casa editrice Lindau
h 15 – I MESTIERI DEL LIBRO. L’editore: un altro incontro semi-professionale in compagnia di Marco Cassini e Luca Ussia
h 17 – INTERROGATORIO A GUIDO GUERRIERI. Incontro con Gianrico Carofiglio: sebbene ultimamente mi stia un po' antipatico, non posso non andare a sentire Carofiglio che parla di quel figo di Guerrieri
h 19 – SPEED BOOK : ovvero un tot di autori hanno pochi minuti di tempo per presentare i loro libri e fare innamorare i lettori (ci vado soprattutto per conoscere Diego Barbera, autore di Ti scriverò prima del confine, degli amici della Casa Sirio)

Poi, se i piedi e la fame reggono ancora, dalle 22.30 sarò al GORILLA SAPIENS EXTREME READING, presso il Camaleonte Piola a San Salvario, un ping pong di letture tra autori e lettori

(Lunedì 18 invece andrò molto probabilmente alla biblioteca di Chivasso, per la presentazione del libro La ruga del cretino di Andrea Vitali e Massimo Picozzi)

L’elenco dei libri da acquistare è in continuo aggiornamento. Ad oggi contiene tredici libri (aspetta va che ne aggiungo un altro)… ok, quattordici, anche se poi una volta lì non so se li acquisterò davvero tutti o se verranno soppiantati da altri. Anche questo, per me, fa parte del bello di queste fiere (anche se il mio portaborse ufficiale, il buon lettore rampante, non è poi così d'accordo)

Quindi, chi volesse incontrarmi mi troverà salvo imprevisti dell’ultimo minuto, ovviamente, a spasso per gli stand e alle presentazioni sopra elencate giovedì, venerdì e sabato.  E avrò con me un segno di riconoscimento (vero che è bellissima la mia borsina?), se vi va di salutarmi a me non può che fare un immenso piacere!

SalTo15… stiamo arrivando!

martedì 5 maggio 2015

QUANDO LE CHITARRE FACEVANO L'AMORE - Lorenzo Mazzoni

La primissima cosa che devo dire di questo libro di Lorenzo Mazzoni, Quando le chitarre facevano l’amore, da poco pubblicato dalle edizioni Spartaco, è che mi fanno letteralmente impazzire il titolo e, soprattutto, la copertina. Quel verde psichedelico, quella mano scheletrica che regge un fiore mi avevano colpito già ben prima che avessi il libro tra le mie mani.
Poi ho letto la quarta e la bandella e ho provato un mix di curiosità e terrore. Curiosità perché da quelle poche parole usate per raccontarla ne emerge una storia folle, fatta di bizzarri personaggi e bizzarre situazioni che sembra impossibile possano essere tutte collegate. E io amo i libri all'apparenza senza senso. Terrore perché temevo che seguire questi bizzarri personaggi e queste bizzarre situazioni sarebbe stato complesso e dal risultato finale un po’ pesante e confuso. 

Invece, mi sono divertita un sacco.

Riassumere la trama non è semplice. Si potrebbe semplicemente dire che, tra gli anni sessanta e gli anni settanta, una serie di personaggi, chi per un motivo chi per un altro, si ritrova a dare la caccia al presunto ex ufficiale nazista Martin Bornmann, che ora si fa chiamare Martin Weisberg e vive in una comune ad Anita,  un paesino sperduto nell’ovest degli Stati Uniti, fondato da un italiano follemente innamorato della moglie di Garibaldi. Martin ora è un pacifista e predicatore del rock, che produce una limonata speciale e finanzia senza alcun secondo fine l’allucinata rock band The Love’s White Rabbits.
Ma il passato non si può né cancellare, né dimenticare, per quanti sforzi si facciano. E anche se Martin volesse farlo, l’arrivo di un cacciatore di nazisti italiano con problemi coniugali, di una coppia di killer omosessuali messicani che non parlano spagnolo, ingaggiati da un Vecchio che non è poi neanche così vecchio, dell’FBI, della CIA, di un presidente cieco, di un reduce di guerra innamorato  e di una donna dall'alito pestilenziale (e aggiungiamoci anche una tartaruga suo malgrado al centro degli eventi e un gruppo di strumenti musicali stufi di stare nelle loro custodie) faranno di tutto per fargli ricordare quello che ha fatto.

Mi sono divertita un sacco, vi dicevo. Eh sì, mi rendo conto che non stia tanto bene dire di essersi divertiti leggendo un libro che tratta temi importanti, come la fuga degli ufficiali nazisti e la caccia che è stata loro data negli successivi,  ma anche come la guerra in Vietnam e la sua influenza sulle menti di chi l’ha vissuta sulla propria pelle o  le rivolte studentesche e la questione razziale, con le conseguenti repressioni da parte della polizia. Che, sì insomma, non sta poi tanto bene divertirsi con tutti questi morti. 

Ma leggendo Quando le chitarre facevano l'amore, ti ritrovi dentro a questo vortice di situazioni bislacche e di umorismo nero, di personaggi un picareschi e di inseguimenti rocamboleschi e quasi senza senso, che ti travolgono e coinvolgono, e non puoi fare a meno di tifare per l’uno o per l’altro, di ridere di fronte ai loro imprevisti e provare un po’ di pena di fronte alle loro delusioni e ai loro turbamenti, senza stare troppo a preoccuparti di chi siano i buoni e chi i cattivi.
Non conoscevo Lorenzo Mazzoni prima di questo libro. Non conoscevo il suo stile duro e ironico al tempo stesso. E sono contenta, davvero, di aver finalmente rimediato. Secondo me, dovreste farlo anche voi.

(E poi, l’autore nella pagina dei ringraziamenti ringrazia anche i romanzi che hanno ispirato il suo e, soprattutto, gli autori della sua vita. E trovo questa una cosa bellissima).

Titolo: Quando le chitarre facevano l'amore
Autore: Lorenzo Mazzoni
Pagine: 348
Editore: edizioni spartaco
Anno: 2015
Acquista su Amazon:
formato brossura: Quando le chitarre facevano l'amore