venerdì 23 febbraio 2018

LA MANUTENZIONE DEI SENSI - Franco Faggiani

«Ma tu, quando hai saputo che Chiara era morta, cos'hai detto?»
«Non scherzi stasera con le domande, eh? Vuoi proprio saperlo? Non ho detto niente. Non sono riuscito a dire una parola per giorni, avevo un dolore allo stomaco che non mi faceva stare in piedi. E la testa leggera, perché vuota. Sono andato avanti così per un bel po'.»
«E poi?»
«Poi qualcuno mi ha salvato.»

Non sono mai stata una grande amante della montagna. Ci sono andata, più spesso da bambina un po’ meno di frequente da adulta, ma non sono mai riuscita a resistere più di un giorno. Quella calma, quella quiete, quel silenzio quasi ovattato che dovrebbe servire a schiarire la mente e i pensieri, dopo qualche ora per me diventa opprimente. Mi innervosisco, quasi. Ed è strano, perché per più di trent’anni ho vissuto proprio ai piedi delle montagne valdostane. Erano la prima cosa che vedevo al mattino aprendo la finestra e l’ultima la sera prima di chiudere tutto.

Forse è per questa mia scarsa passione che ho letto pochissimi libri ambientati in montagna nella mia vita. A parte la serie di Rocco Schiavone (che credo mi piaccia proprio perché lui si sente fuoriposto come me), al momento non me ne vengono in mente altri. E no, non ho letto nemmeno Le otto montagne di Paolo Cognetti, nonostante il premio Strega dell’anno scorso. 
Poi, però, è arrivato La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani, edito da Fazi editore. Ho letto la trama e, soprattutto, ho letto recensioni entusiaste da parte di persone di cui mi fido molto, e ho deciso di provare. Perché alla fine è vero che a me la montagna non piace, ma quando mi capita di andarci per quattro o cinque ore ci sto proprio bene.

La manutenzione dei sensi racconta la storia di Leonardo Guerrieri, uno scrittore cinquantenne milanese dal passato brillante che, rimasto vedovo, si ritrova un po’ alla deriva. Non sa come fare a sopravvivere senza la sua Chiara, la donna che amava e lo rendeva felice. 
Ero comunque rimasto in zona e avevo girovagato per oltre un'ora. Poi ero andato da Mazeh, un ristorante iraniano. C'ero già stato almeno un paio di volte con Chiara, molti anni addietro, prima che Nina nascesse. Lei amava Parigi, specie in primavera, quando fiorivano i tigli, e le case ricavate dai barconi ormeggiati sulla Senna e le cucine orientali. E amava anche me. Mi ero seduto a un tavolo lungo la vetrata e avevo cenato osservando la gente passare sulla strada. Chiedendomi se fosse felice.
Per fortuna c’è la figlia Nina a tenerlo un po’ in riga, prima aiutandolo a non sprofondare nel baratro, e poi convincendolo, nemmeno lui ha capito bene come, a prendere in affido temporaneo un ragazzino, Martino Rochard, che la ragazza ha conosciuto durante il volontariato che svolge all'Istituto Maria Ausiliatrice. I due hanno un carattere quasi identico: un po’ burberi, schivi, riservati, autosufficienti ma anche capaci di gesti di incredibile generosità, purché non venga riconosciuta. Un giorno, Leonardo viene convocato dalla scuola media che frequenta Martino. È in quel momento che Leonardo scopre che il ragazzino è affetto dalla sindrome di Asperger: una diagnosi che spiega molti dei suoi comportamenti ma che, come i medici interpellati da Leonardo gli spiegheranno, non gli impedirà in nessun modo di sviluppare tutta la sua intelligenza e il suo genio. 
Una volta ricevuta la diagnosi, e dopo che Nina comunica la decisione di partire per Boston per specializzarsi ulteriormente come osteopata, Leonardo decide finalmente di realizzare il sogno che condivideva con sua moglie: andare a vivere sulle montagne piemontesi, in quell’enorme baita che avevano comprato anni prima e che Leonardo aveva poi fatto ristrutturare. Crede che la montagna a Martino possa fare bene. Così come potrà fare sicuramente bene a lui. 
I due quindi lasciano Milano per Cesana Torinese, in Val di Susa. Una scelta coraggiosa, che ben presto si dimostra quella giusta per entrambi. Martino è finalmente libero di sfogare tutto il suo potenziale: stringe amicizia con Augusto, un vecchio allevatore con cui stringerà un legame speciale; impara a fare il formaggio, a seguire la vacche, a intagliare il legno e a essere più aperto verso gli altri. E Leonardo, a poco a poco, riuscirà, nel legame con questo figlio adottivo un po’ particolare, ma anche con la natura e la montagna, a ritrovare finalmente un senso alla sua vita.

La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani è un romanzo molto intenso, che parla della forza dei  rapporti e dell’importanza dei gesti, che spesso valgono molto di più delle parole. Il fulcro è la famiglia, che non è solo quella dei legami di sangue, ma anche quella che si crea con persone esterne e apparentemente diverse da noi, che invece ne diventano parte.
Davvero ben riuscito è poi il modo in cui l’autore parla di sindrome di Asperger: un modo onesto e privo di retorica, in cui si mettono in evidenza tutte le difficoltà che si possono incontrare, ma anche come sia possibile superarle, con il tempo, con la fiducia e con attorno i luoghi e le persone giuste. 
Le ore di cammino nella notte erano le preferite di Martino. Nessuna domanda, nessuna parola, solo occhi spalancati, piccoli gesti e passi misurati per non fare rumore; inizialmente impacciati poi sempre più fluidi, naturali fino a essere parte di quel momento e di quell’ambiente. Come i rami sottili d’arbusto che tremolano al vento lieve, un cumulo di neve che diventa liquido e trasparente e si immerge nella terra, un pipistrello in caccia che sfreccia silenzioso tra gli alberi. 

La manutenzione dei sensi  è un romanzo per chi ama incondizionatamente la montagna, perché qui è una vera e propria protagonista, che viene descritta al meglio, in tutta la sua bellezza ma anche nei suoi pericoli e momenti più grigi; ma anche per chi, come me, in montagna ci resiste poco, pur riuscendo a percepirne la bellezza: è stato bello andarci insieme a Leonardo e Martino, camminare con loro nella notte e aiutare Augusto a mungere la vacche, per poi fermarsi a cena in un bell’agriturismo e guardare le stelle mentre si ritorna a casa.

Titolo: La manutenzione dei sensi
Autore: Franco Faggiani
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 16,00 €
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formato cartaceo:La manutenzione dei sensi

venerdì 16 febbraio 2018

PATRIA - Fernando Aramburu

«E se avevi tutte queste preoccupazioni, perché non sei venuto prima?»
«Perché sapevo dov'eri e dove hai passato le ultime notti. Lo sa tutto il paese.»
«Cosa sanno di me?»
«Sanno che scendi dall'autobus alla fermata della zona industriale e che poi vai a casa cercando di non incrociare nessuno. Me l'ha raccontato in ospedale qualcuno che ti ha visto. Per questo non mi sono allarmato. E può darsi che Nerea abbia fatto diversi tentativi di parlare con te. Non ti chiederò che intenzioni hai. È il tuo paese, la tua casa. Ma in caso tu voglia far rivivere storie del passato, ti sarei grato se mi tenessi al corrente.»
«Sono cose mie.»
Xabier ripose i suoi strumenti e il campione di sangue nella valigetta.
«Io faccio parte di questa storia.»


La prima parola che mi viene in mente per descrivere Patria, l’ultimo romanzo di Fernando Aramburu pubblicato in Italia da Guanda con la traduzione di Bruno Arpaia, è: monumentale. Poi, pensandoci, mi rendo conto che non sarebbe la parola più giusta perché, insieme alla mole abbastanza consistente del libro, potrebbe in qualche modo spaventare i lettori, rischiando di tenerli lontani.
La seconda parola sarebbe "bellissimo", perché effettivamente lo è, ma anche in questo caso sarebbe un po’ riduttivo per descrivere appieno tutte le sensazioni che la lettura di questo libro mi ha suscitato. 
Mi ci sono avvicinata con curiosità, un po’ di tempo dopo la sua uscita, dopo averne sentito parlare sempre e solo con toni entusiastici. Non ho sentito nessun “è un’opera commerciale”, un “piace a tutti solo perché”… insomma, tutte quelle frasi che di solito arrivano di pari passo con quei libri che in molti considerano belli e che quindi bisogna per forza criticare. Patria di Aramburu è piaciuto a tutti quello che lo hanno letto. E non fatico minimamente a capirne il perché.

Il romanzo parla dell’ETA, l’ex organizzazione armata basco- nazionalista separatista dei Paesi Baschi che, dal 1959, anno in cui è stata creata, fino al 2011 lottava per l’indipendenza basca del resto della Spagna attraverso la lotta armata e gli attentati. E lo fa raccontando la storia di due famiglie, il cui destino è stato intrecciato per tutta la loro vita. Da una parte c’è la famiglia di Joxian, sposato con Miren e padre di due figli maschi e una femmina. Dall’altro c’è lo Txato, con sua moglie Bittori e due figli, un maschio e una femmina. Sono molto amici Joxian e Txato: sono cresciuti insieme in un piccolo paesino alle porte di San Sebastián, vanno insieme in bicicletta tutte le domeniche e da sempre si aiutano come possono. Altrettanto amiche sono Miren e Bittori, nonostante le loro differenze caratteriali che riescono ad appianare. 
Bittori era più da fette di pane tostato con la marmellata e decaffeinato da bar; Miren da cioccolata con churros. Ma quanto fanno ingrassare! Non le importava. Andavano d'accordo? Moltissimo, erano intime. Un sabato andavano tutte e due in un caffè dell'Avenida, quello dopo in una churrería della Città Vecchia. Sempre a San Sebastián. Dicevano San Sebastián, in castigliano, oppure Donostia, in basco. Non erano rigide. San Sebastián? Allora San Sebastián. Donostia? Allora Donostia. Iniziavano a chiacchierare in euskera, passavano al castigliano, di nuovo all'euskera e così per tutto il pomeriggio.
E ovviamente crescono insieme anche i figli, compagni di giochi e di avventure, nonostante le età differenti, come sempre succede quando si è ragazzi.
All’improvviso però qualcosa tra di loro cambia. Per le vie del paese iniziano a comparire scritte minacciose nei confronti del Txato, reo di essersi rifiutato di pagare, o di aver pagato troppo poco, i soldi richiestigli dall’ETA. In quel momento, tutto il paese si allontana dalla famiglia del Txato, perché tutti sanno che non bisogna rimanere vicini a chi è vittima delle minacce dell’ETA per non rischiare. Anche il legame tra il Txato e Joxian si allenta, con un po’ di delusione e di dispiacere da parte di entrambi. Ma Joxian purtroppo non può farne a meno, combattuto tra l’affetto per il suo migliore amico e la sua famiglia, forse molto più coinvolta di quanto non sembri all’apparenza.

Poi succede quello che tutti pensavano sarebbe successo, ma nessuno si aspettava veramente. E Bittori decide di non andare avanti, di non superare la cosa, di non avere pace finché qualcuno non si scuserà con lei.

Oltre che nella storia, la bellezza di Patria sta nel modo in cui il tutto viene raccontato: Aramburu salta continuamente tra passato e presente, da un personaggio all’altro, raccontando quello che ha vissuto all’epoca, come ha reagito a quanto successo (chi non ha avuto il coraggio di tornare, chi non ha quello di andarsene) e quello che sta vivendo ora. Incastri perfetti tra una storia e l’altra, susseguirsi di eventi e di emozioni che, in un modo o nell’altro, ritornano sempre a quell’evento terribile che ha segnato la vita di tutti. Il risultato è un romanzo intenso, che coinvolge il lettore fin dalla prima pagina e non gli permette di andarsene finché non è arrivato alla fine. Durante la lettura, si pensa al libro sempre, anche quando non lo si sta leggendo. Ci si arrabbia, si affibbiano colpe e si arriva quasi a odiare certi personaggi, anche se poi nella pagina dopo magari un po’ li si capisce anche, così come si prova tenerezza e dolcezza per dei piccoli gesti: un geranio sul balcone, un pugno alzato e un sorriso stentato, un braccialetto, un abbraccio.

Anche io ho motivi in abbondanza per essere a pezzi. Però, guarda, a Londra, la sera stessa in cui mi sono accordata con Quique per vivere separati per un periodo, ho fatto un giro sulla riva del fiume. Mi sono detta: che faccio? Mi butto in acqua e ciao, o cerco una via d'uscita dal labirinto in cui mi trovo da molto, troppo tempo? E ho visto la corrente torbida, e i riflessi della città nell'acqua, e poi ho visto la gente, e ho sentito della musica da qualche posto lì vicino, avevo il vento sulla faccia e ho concluso: che cazzo, Nerea, solleva quella faccia, non rassegnarti, vivi, sì, vivi, ragazza, anche se sei a pezzi, muoviti, combatti, cerca.

Fernando Aramburu in Patria ha raccontato una parte della storia della Spagna che nei libri, almeno qui in Italia, non compare così spesso. Forse perché le azioni dell’ETA sono ancora così vivide nella memoria di chi le ha vissute, o forse perché le dinamiche sono troppo complesse per riuscirne a parlare. Questo libro lo fa magistralmente, fornendo il ritratto di un paese, di una comunità, ma soprattutto di vite umane che, da una parte e dall’altra, devono trovare un modo fare i conti con quanto successo e per andare avanti, o potersi finalmente lasciar andare.

Titolo: Patria
Autore: Fernando Aramburu
Traduttore: Bruno Arpaia
Pagine: 632
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Guanda
Prezzo di copertina: 19,00 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo:Patria
formato ebook: Patria

lunedì 12 febbraio 2018

LIZ CLIMO E IL SUO PICCOLO MONDO DI ANIMALETTI BUFFI

Un giorno l’anno scorso, mentre giravo in rete in cerca di illustrazioni buffe e originali da condividere, sono incappata per la prima volta nei disegni dell’illustratrice americana Liz Climo. Non ricordo esattamente quali parole magiche io abbia usato per far sì che Google mi portasse da lei, ma sono davvero felice che sia successo. Perché da quella prima tavola, mi si è aperto un vero e proprio mondo.

La prima tavola di Liz Climo che ho visto è stata questa

Un mondo piccolo, come recita il titolo di una delle sue raccolte di tavole, da poco pubblicata anche in Italia. Piccolo perché i suoi protagonisti sono tutti animali che, in ogni tavola, si ritrovano ad affrontare i piccoli e grandi problemi della vita, dall’amicizia, all’amore, alla famiglia, ma anche cose molto più pratiche, risolvendole a modo loro. Ma sempre con ironia, sarcasmo e tanta, tanta dolcezza, che arriva dritta al cuore.

Ovviamente a quella prima tavola ne sono seguite poi molte altre. Ogni tanto, in occasione di festività, ma anche semplicemente quando avevo voglia di vedere qualcosa di dolce e buffo che mi tirasse un po’ su di morale, andavo su internet a cercare qualche altro suo disegno. 
E così ho conosciuto il dinosauro Rory e il suo papà, elefanti distratti, orche che si travestono da panda, maialini giù di morale che vengono tirati su da camaleonti, serpenti fisicamente impossibilitati a fare pacchi regalo ma sempre disponibili a offrire una spalla su cui piangere e sfogarsi, dinosauri che soffrono di vertigini, tacchini intelligenti e orsi appassionati di biscotti e desiderosi di creare un mondo migliore.



Il tratto di Liz Climo è molto semplice, eppure molto efficace. Lo è per le semplici storie che racconta, in cui appunto l’amicizia di solito svolge un ruolo fondamentale (e molto spesso salvavita) ma anche per la bellezza dei disegni, che quasi sempre arrivano dritti al punto anche senza bisogno di parole.

In italiano per il momento sono state da pubblicate da Mondadori alcune raccolte dedicate al dinosauro Rory e il suo papà, e poi da Becco Giallo Il piccolo mondo di Liz Climo, con la traduzione di S.A. Cresti. Non ho visto come diventino queste strisce in italiano, perché le ho sempre lette in lingua originale. Sicuramente il traduttore deve aver fatto un lavoro di adattamento enorme perché, nella loro estrema semplicità, questi fumetti si basano spesso su giochi di parole e riferimenti quasi impossibili da mantenere in italiano. Però sono sicura che comunque meritino anche in traduzione.
In lingua originale, invece, esistono diverse raccolte. A Natale ne ho ricevute due: The little world of Liz Climo, appunto, e poi Lobster is the best medicine.



Il secondo, come recita il sottotitolo, è interamente legato al tema dell’amicizia e a quello che ogni giorno si fa e si è disposti a fare per le persone a cui vogliamo bene. Sono amicizie atipiche, tra animali che spesso nel mondo reale probabilmente si mangerebbero tra loro, ma che Liz Climo riesce a unire con un legame speciale, che spesso gioca anche su queste differenze, insegnando a rispettarsi e a volersi sempre e comunque bene.  Un messaggio semplicissimo, che spesso purtroppo dimentichiamo, ma che questi animali riescono invece a trasmettere con tutto il loro candore, facendoti sorridere e commuovere. (Io ho regalato una copia di questo libricino alla mia testimone di nozze e all’amica che ci ha fatto da fotografa al matrimonio, perché, in qualche modo, ci riconoscevo lì dentro).
Insomma, se avete bisogno di tirarvi un po’ su di morale molto velocemente, se volete sorridere e ridere e prendervi una boccata d’ossigeno dalle brutture del mondo, e, ovviamente, se amate gli animali buffi, le tavole di Liz Climo fanno sicuramente per voi. Una volta vista la prima, non ne potrete davvero più fare a meno.



Per farvi un'idea un po' più approfondita, potete seguire Liz Climo su Facebook: trovere molte delle sue tavole e del suo mondo di animaletti buffi.

martedì 6 febbraio 2018

UN RAGAZZO D'ORO - Eli Gottlieb

Volevo essere su quel treno. Ho sentito arrivare sulla faccia il mio sorriso speciale. Andava sempre più veloce. Sentivi il futuro che gradualmente premeva per entrare nel tuo corpo mentre il treno continuava ad accelerare lasciandosi alle spalle il tempo in cui tutto restava uguale. Volevo che il treno abbandonasse i binari e si lanciasse in quel futuro. Volevo che sconfiggesse la gravità e gradualmente diventasse senza peso mentre volava dritto verso il sole. Ho stretto fortissimo i pugni e ho piegato la testa sulle ginocchia. Magari sarebbe successo proprio stavolta. Magari potevo andare via e non tornare mai più.



Un ragazzo d’oro di Eli Gottlieb, uscito a gennaio per minimum fax con la traduzione di Assunta Martinese, è uno di quei libri di cui, per parlarvene al meglio e farvi capire quanto io lo abbia amato, sarebbe sufficiente riportare un paio delle tante belle citazioni che ho segnato durante la lettura. Frasi e pensieri apparentemente semplici, come si pensa lo siano quelli delle persone con un grave deficit cognitivo congenito come quello di Todd Aaron, il protagonista del romanzo.
Ha undici anni quando sua madre lo porta in una comunità di cura per bambini autistici. È una giornata di pioggia, lui ha paura ma al tempo stesso si fida di sua madre, sa che non gli farebbe mai del male e sa che presto ritornerà a casa.
La pioggia che cadde quel giorno adesso ha quarantun anni ma ogni volta che piove è come se un po' di quella pioggia stesse ancora cadendo, cade ancora.
Sono passati più di quarant'anni e Todd a casa non è mai tornato. I genitori sono morti, il fratello vive ancora dove vivevano da ragazzini, dall'altra parte del paese rispetto al Payton LivingCenter dove ora lui vive e, in qualche modo, si è fatto una sua vita. Legge l’enciclopedia britannica, ascolta la musica nelle cuffie, partecipa alla vita della comunità, svolge con attenzione tutti i lavoretti che gli vengono assegnati e tutte le mattine prende le pillole che nel corso degli anni gli sono state prescritte per aiutarlo ad affrontare le sue crisi, i suoi volt improvvisi. Todd a suo modo è felice e sereno, anche se il ricordo di sua madre è sempre presente in lui, così come la voglia di tornare a casa. Anche di suo padre si ricorda, e di tutte le botte e le violenze che gli ha inferto, incapace di accettare la sua diversità. Della sua famiglia è rimasto solo il fratello, che ogni tanto gli telefona, gli rinfaccia gli enormi sacrifici che sta facendo per lui e gli dice sempre che no, a casa non può tornare. Lui sembra essersi dimenticato di quello che faceva passare a Todd da bambino, forse convinto che Todd stesso non se ne ricordi.
L’equilibrio di Todd al Payton si spezza quando, quasi contemporaneamente, arrivano due nuove persone. Il primo è Mike Hilton, un nuovo operatore, che fin dalla prima volta che lo vede, lo terrorizza perché gli ricorda suo padre. La direzione del centro crede che sia fondamentale per i due andare d’accordo e quindi li mette a lavorare insieme. La seconda è Martine, una ragazza “ad alto funzionamento”, già cacciata da diversi istituti per la sua insubordinazione, verso cui Todd prova una forte attrazione, al punto da lasciarsi convincere a smettere di essere quel ragazzo d’oro che fin da bambino sua madre gli ha detto di essere.
Nel 1177 Lancillotto pensava che su Ginevra splendesse sempre il sole. Pensava che lei fosse pura come la neve. Pensava che fosse una persona perfetta. Pensava che forse non era mai esistito nessuno più perfetto di lei in tutta la storia del mondo.
Lancillotto ne era davvero convinto.
Quello era amore.
Un ragazzo d’oro è un libro sorprendente. Dolcissimo e terribile al tempo stesso, con un protagonista semplicemente indimenticabile. Ho amato Todd fin dalla prima pagina, per la sua tenerezza e la sua ingenuità, per la sua visione del mondo semplice eppure molto più profonda di quello che all'apparenza potrebbe sembrare, per i suoi ricordi, per la sua voglia di tornare a casa e per il suo amore per sua madre, mai messo in dubbio, nemmeno dopo quarant'anni e dopo un apparente abbandono.
Le cose finiscono, bimbo mio. Finiscono le persone e finiscono le case e finiscono le famiglie e finisce tutto tranne una cosa, che è l'amore. L'amore tra le persone e specialmente quello tra una madre e i suoi figli non finisce, non finisce mai. Mi hai capito? L'amore non finisce. Scorre come un fiume attraverso il mondo. Chiudi gli occhi e sentirai montare la piena.
Eli Gottlieb narra dell’autismo in prima persona, mettendone in evidenza ogni aspetto, senza edulcorazioni né pietismi, e raccontando le realtà di queste comunità, con tutte le difficoltà e il duro lavoro di chi questi luoghi li gestisce per dare un equilibrio a chi ci vive. Ma parla anche dei pericoli, delle cattiverie di chi pensa che, avendo queste persone dei problemi neurologici, sia possibile manipolare e usare a proprio piacimento, incuranti del dolore che si possa provocare.

Fin da quando ho letto per la prima volta la trama di questo romanzo sapevo che mi sarebbe piaciuto. Ma non immaginavo così tanto. Mi sono ritrovata a fare il tifo per Todd e per la sua serenità. A sperare che riuscisse davvero a tornare a casa, ma soprattutto che non gli succedesse mai più niente di male, che potesse essere sereno e felice tra le pagine della sua Enciclopedia Brittanica, in mezzo agli altri abitanti del centro e, soprattutto, ai suoi ricordi belli. Nonostante tutto.


Titolo: Un ragazzo d'oro
Autore: Eli Gottlieb
Traduttore: Assunta Martinese
Pagine: 274
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: minimum fax
Prezzo di copertina: 17,50 €
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formato cartaceo:Un ragazzo d'oro
formato ebook: Un ragazzo d'oro

venerdì 2 febbraio 2018

LA FATTORIA DEI GELSOMINI - Elizabeth Von Arnim

Seduto a braccia conserte sul muretto guardava l'acqua che scorreva silenziosa dandosi dello stupido; sì, perché non c'era uomo più stupido di lui, che insisteva ad amare senza essere ricambiato.

La fattoria dei gelsomini è il primo romanzo che leggo di Elizabeth von Arnim, un’autrice britannica nata in Australia che ha avuto una vita molto movimentata.  La conoscevo già di nome (anche se non sapevo che in realtà il suo fosse uno pseudonimo per Mary Annette Beauchamp), grazie al lavoro di ripubblicazione delle sue opere da poco iniziato da Fazi editore. I suoi romanzi erano già usciti in Italia qualche tempo fa per Bollati Boringhieri, ma non mi erano mai capitati sottomano. 
Fazi editore li sta a poco a poco riproponendo tutti, con una bellissima veste grafica e con una nuova traduzione a opera di Sabina Terziani.

Il romanzo inizia con la descrizione di un lungo, lunghissimo pranzo nella residenza di campagna di Lady Daisy e la figlia Terry. Lunghissimo perché fa caldo, perché Lady Daisy, di solito così partecipe, sembra quasi disinteressata e, soprattutto, perché è la quarta volta di fila che viene servito un dolce a base di uva spina. Sebbene gli inviti della donna siano sempre tenuti molto in considerazione e siano un vero motivo di vanto, la situazione sembra stare sfuggendo un po’ di mano a tutti gli ospiti: il reverendo sbotta; la giovane Rosie, invitata lì per la prima volta insieme al marito Andrew, si sente male; mentre Mr Tophman e lo stesso Andrew, decidono di rifugiarsi in una lunga partita a scacchi per isolarsi dal mondo. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quella partita avrebbe cambiato le sorti di tutti. Da un commento ambiguo rivolto da Terry a Andrew viene fuori uno scandalo, che getta Lady Daisy nello sconforto più totale. Ad alimentarlo è Mrs De Lacy, Mumsie per gli amici, ovvero la madre di Rosie pronta a tutto per vendicare l’onore apparentemente offeso della figlia.

La fattoria dei gelsomini è un romanzo molto inglese, sia nell'ambientazione (le campagne londinesi e la stessa Londra aristocratica, ma anche nella contrapposizione con la Provenza dove Lady Daisy si rifugia) sia soprattutto nello stile dell’autrice. È tutto molto pacato, tranquillo e invaso da un’ironia molto sottile, eppure allo stesso tempo molto potente. Elizabeth von Arnim mette alla berlina la società inglese, che è evidente conoscesse molto bene, raccontandone i controsensi e le assurdità. La scena iniziale del pranzo, per esempio, è una scena quasi apocalittica che, oltre a far passare la voglia di mangiare uva spina, descrive perfettamente tutte le ipocrisie di questi incontri. Così come l’enorme scandalo che suscita in Lady Daisy l’apparente tradimento della figlia, per lei un po’ troppo ingenua e un po’ troppo innamorata, per capire come ci si debba comportare davvero con un uomo.
La vera forza sono ovviamente i personaggi. Soprattutto Mumsie, questa donna esuberante e a volte un po’ inappropriata, disposta a tutto per il bene della figlia (e di se stessa), ma al tempo davvero incapace di fare del male agli altri e con una visione del mondo molto genuina, nonostante tutto.
Ridere è una cosa bella e non si dovrebbe mai ridere con l'intento di offendere.
Il romanzo mi è piaciuto, ma ho come l’impressione che se lo avessi letto in un’altra stagione (e magari all’aria aperta, proprio circondata dal profumo di gelsomini e di natura che rinasce) lo avrei apprezzato ancora di più, soprattutto nella prima parte, quella un po' più lenta (volutamente, direi, per rendere ancor più realistica l'esasperazione di quel benedetto fine settimana in campagna). Ciò non toglie, comunque, che La fattoria dei gelsomini sia un bel libro, in grado di far sentire il lettore insieme ai suoi protagonisti e, soprattutto, di farlo sorridere, offrendo un ritratto sincero, tagliente  e a tratti esilarante della società dell’epoca.


TITOLO: La fattoria dei gelsomini
AUTORE: Elizabeth Von Arnim
TRADUTTORE: Sabina Terziani
PAGINE: 352
ANNO: 2018
EDITORE: Fazi editore
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formato cartaceo: La fattoria dei gelsomini
formato ebook: La Fattoria dei Gelsomini