Iniziata e finita su un volo Parigi-Londra, questa vicenda si svolge ai giorni nostri nella capitale inglese (tra musei, supermarket, ristoranti esotici) e ci fa vivere ogni fase di un'esemplare e normale storia d'amore.
Che romanzo/manuale di autoaiuto/saggio bislacco. Il protagonista ci racconta la sua storia d'amore con questa ragazza, conosciuta per caso su un aereo, in una parabola che parte dall'idillio iniziale, tocca i momenti di massima passione, per poi passare all'abitudine, all'insofferenza, al tradimento e all'inevitabile fine. Il tutto condito di massime e metafore di grandi filosofi e scrittori del passato.
Di per sé l'idea non è malvagia. E' bello vedere come questi grandi pensieri si manifestino nella vita di tutti. Ed è anche molto bella (e moooooolto plausibile) la narrazione della storia d'amore tra i due, che non è la solita storia sdolcinata da romanzo, ma fa vedere anche gli aspetti negativi, le cose che infastidiscono, i piccoli e grandi compromessi che devono essere fatti per poter stare insieme a una persona. Così come racconta bene quel senso di impotenza che si percepisce di fronte al logoramento che molto spesso (ma non sempre!) subiscono le storie d'amore.
Ma è la parte finale che mi lascia perplessa. Il modo in cui il protagonista narratore vive la fine di questa storia, questa sua tendenza a moralizzare, al martirio (arriva a paragonarsi, sebbene in modo volutamente esasperato, a Gesù), al punto da pensare al suicidio (bello però quando si rende conto che morendo non potrà godere della soddisfazione di vedere gli altri che si sentono in colpa per lui).
Capisco che sia volutamente esasperato, che abbia narrato il caso estremo della fine di un amore (e posso assicurarvi per esperienza diretta che molto spesso ci si sente come lui descrive). Però boh, secondo me si lascia prendere troppo la mano, forse per poter utilizzare di più gli esempi e gli insegnamenti dei grandi pensatori del passato, rendendo però il finale un po' noioso.
Si può tranquillamente evitare.
Nota alla traduzione: "la Ketchup"...
Che romanzo/manuale di autoaiuto/saggio bislacco. Il protagonista ci racconta la sua storia d'amore con questa ragazza, conosciuta per caso su un aereo, in una parabola che parte dall'idillio iniziale, tocca i momenti di massima passione, per poi passare all'abitudine, all'insofferenza, al tradimento e all'inevitabile fine. Il tutto condito di massime e metafore di grandi filosofi e scrittori del passato.
Di per sé l'idea non è malvagia. E' bello vedere come questi grandi pensieri si manifestino nella vita di tutti. Ed è anche molto bella (e moooooolto plausibile) la narrazione della storia d'amore tra i due, che non è la solita storia sdolcinata da romanzo, ma fa vedere anche gli aspetti negativi, le cose che infastidiscono, i piccoli e grandi compromessi che devono essere fatti per poter stare insieme a una persona. Così come racconta bene quel senso di impotenza che si percepisce di fronte al logoramento che molto spesso (ma non sempre!) subiscono le storie d'amore.
Ma è la parte finale che mi lascia perplessa. Il modo in cui il protagonista narratore vive la fine di questa storia, questa sua tendenza a moralizzare, al martirio (arriva a paragonarsi, sebbene in modo volutamente esasperato, a Gesù), al punto da pensare al suicidio (bello però quando si rende conto che morendo non potrà godere della soddisfazione di vedere gli altri che si sentono in colpa per lui).
Capisco che sia volutamente esasperato, che abbia narrato il caso estremo della fine di un amore (e posso assicurarvi per esperienza diretta che molto spesso ci si sente come lui descrive). Però boh, secondo me si lascia prendere troppo la mano, forse per poter utilizzare di più gli esempi e gli insegnamenti dei grandi pensatori del passato, rendendo però il finale un po' noioso.
Si può tranquillamente evitare.
Nota alla traduzione: "la Ketchup"...
Nessun commento:
Posta un commento