Avrete sicuramente sentito tutti
parlare di Stoner di John Williams. Un libro ignorato per anni, sia negli Stati
Uniti sia all’estero, che ha rivissuto una sorta di seconda giovinezza nel
2013, quando è stato finalmente tradotto in diversi paesi, tra cui anche l’Italia grazie alla casa editrice Fazi. Un libro che ha per protagonista questo professore un po’ apatico, che lascia
che le cose gli succedano senza mai ribellarsi, facendole semplicemente
scorrere. Un gran romanzo di un grande scrittore.
Contestualmente a Stoner sono
arrivati anche gli altri romanzi dimenticati di John Williams. Nulla, solo la notte, la sua opera d’esordio,
e questo Butcher’s Crossing di cui vi
sto per parlare.
Butcher’s Crossing è un paese vicino alle montagne del Colorado ed
è qui che approda Will Andrews, un ragazzo che ha deciso di lasciare i suoi
studi ad Harvard per andare in cerca di se stesso. Con i molti soldi che ha a
disposizione, assolderà un gruppo per andare proprio su quelle montagne, a
caccia di buffali. È così che conosce Miller, un burbero cacciatore che si
dimostra ben entusiasta di accompagnarlo e che lo aiuta a recuperare tutto il
materiale e il personale necessario. Partono in quattro, a metà settembre, per
poter tornare prima che inizi l’inverno. Nonostante qualche iniziale
difficoltà, l’acqua che non si trova, i rapporti non proprio semplici tra i
vari membri della spedizione, l’inesperienza di Will, il gruppo arriva in una
radura circondata da montagne e, soprattutto, piena di bufali. La caccia si rivela
più semplice del previsto. Forse fin troppo, per un Miller che ha dei conti in
sospeso con il passato e non vuole risparmiare nessun animale. Finché non
succede l’irreparabile: l’inverno arriva e nessuno dei quattro sa se ce la
farà.
Si potrebbe definire Butcher’s Crossing un romanzo di
formazione: c’è il giovane e inesperto protagonista, Will Andrews, che cerca
di capire cosa vuole dalla vita e da se stesso, e che per farlo ha bisogno di provare emozioni forti, lontane da quelle a cui è abituato; c’è l’esperto
cacciatore Miller, invece, che si porta addosso un passato misterioso che cerca
in qualche modo di cancellare, di vendicarsi di qualcosa, ed è disposto a tutto
per farlo.
Nel corso della lettura si segue
l’evoluzione di Will e l’irrequietezza di Miller, che esplodono entrambe
nel finale, senza che si capisca poi così bene chi è che abbia imparato
qualcosa e chi no.
Devo ammettere però che qualcosa
di questo romanzo non mi ha convinta del tutto. Forse è l’ambientazione quasi
western e montana. Forse è che non sono una grande appassionata di questi
personaggi che mollano tutto e partono alla ricerca di se stessi (perché essere
se stessi in mezzo montagna è, per me, ben diverso che esserlo in mezzo agli
altri). Forse è che lo stile pacato e quasi rilassato di John Williams,
perfetto per romanzi come Stoner, mi risulta un po’ più ostico in un romanzo
che, almeno in parte, dovrebbe essere di avventura. E infatti, anche nei
momenti più concitati, non ho percepito quell'ansia, quell'agitazione che mi
sarei aspettata.
È sicuramente un libro scritto
molto bene, con dei personaggi ben caratterizzati di cui si nota perfettamente
l’evoluzione mano a mano che si procede
con la lettura.
Però, ecco, per apprezzarlo al
meglio, vi devono piacere le montagne, la solitudine, gli uomini in cerca di se
stessi e i bufali. Tanti bufali.
Titolo: Butcher's Crossing
Autore: John Williams
Traduttore: S. Tummolini
Pagine: 359
Editore italiano: Fazi editore
Acquista su Amazon:
formato brossura: Butcher's Crossing
formato ebook: Butcher's Crossing (Le strade)
Avevo pensato di leggerlo, per conoscere meglio Williams, ma poi mi sono resa conto che sarei partita col pregiudizio enorme dell'inarrivabilità e dell'irriproducibilità della perfezione di Stoner e ho investito i miei soldi in altri libri!
RispondiEliminaCapisco perfettamente la tua scelta. E in parte anche io pensavo di non leggere altro. Al tempo stesso però volevo capire se Williams era un autore da un solo capolavoro o da tanti libri belli. Al momento rimango sulla prima opzione però :)
Eliminanon leggo granchè di narrativa, per quel poco che leggo, ma a me è piaciuto. Forse perchè di Williams mi piace la scrittura senza "effetti speciali" (quello chenonnricordodove D. Foster Wallace definiva la scritura "guarda mamma! lo faccio senza mani!"); ma forse perchè tocca il rapporto uomo-natura; forse perchè un tizio americano, goudsblom, sostiene che le grandi pianure americane dove pascolavano gli oceani di bisondi, non erano per niente "naturali", ma il prodotto di una gigantesca operazione di incendio sistematico di foreste effettuato dagli indiani, per favorire i bisonti (e a scapito di forse non sapremo mai che altri ecosistemi).Stessa roba le savane africane (un altro tizio che si chiama o chiamava Isnard)
RispondiEliminaSe Williams fosse uno scrittore 'di genere' sarei d'accordo con quanto scrivi. Ma nel suo caso non é essenziale ricostruire il pathos legato all'epoca del West americano quanto piuttosto scandagliare l'animo dei personaggi, raccontando le loro paure, pulsioni e passioni. Senza spiegarne puntualmente le origini ma rappresentandole come archetipi della nostra identità culturale.
RispondiEliminaUn romanzo meraviglioso che io consiglierei di leggere a chiunque ami la letteratura americana. Una visione della natura e un approccio decisamente realistico dell'epopea della frontiera, senza mai tralasciare di farci percepire la magia della natura. La versione "continentale" e della terraferma della balena bianca. Davvero notevole.
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