sabato 29 dicembre 2018

Le mie letture del 2018

E così finalmente questo 2018 giunge al termine. È stato un anno difficile, forse il peggiore in assoluto da che io mi ricordi, e ammetto che, pur sapendo che in realtà tra il 31 dicembre e il 1 gennaio non cambia assolutamente nulla, sapere che finisca mi fa tirare un sospiro di sollievo.
Qualche gioia durante l’anno c’è stata, sia chiaro: un paio di lavori che mi hanno fatto esclamare “oddio, che figata! Ma sta succedendo proprio a me?” (uno di questi lo troverete in libreria nei primi mesi del 2019); la vita matrimoniale che procede a gonfie vele; qualche bel film; qualche bella gita (tante mostre, quest’anno!); qualche bel momento con amici e persino un musical (Mary Poppins, al Teatro Nazionale a Milano... meraviglioso!), a cui non assistevo da un bel po’. Ma il tutto è stato offuscato da un grande dolore che ha gettato una cappa nera sulla seconda metà dell’anno: piano piano si sta un po’ diradando, ma dubito che se ne andrà mai del tutto e devo ancora capire come fare a conviverci (però giuro che mi sto impegnando). Quindi ecco, meno male che stai finendo, stupido 2018.

Anche per quanto riguarda le letture, quest’anno non è stato al massimo del suo potenziale. O meglio, lo è stato, se si considerassero tutti i libri che ho letto per lavoro, a discapito di quelli per piacere. Le mie letture personali si fermano a quota 55: che non sono poche, ma nemmeno tantissime rispetto al mio solito. È che tra i mille lavori, le mille letture (a cui segue una scheda, o una correzione, o una traduzione... ) e la conseguente stanchezza, sempre più spesso ultimamente, a me, lettrice rampante incallita, è capito di non avere voglia di leggere. A farne le spese è stato anche il blog, ovviamente, sempre più abbandonato a se stesso nonostante i miei sporadici post di buoni propositi, in cui promettevo che avrei cercato di aggiornarlo di più. E chissà che con il nuovo anno non ci riesca davvero.

© Georgiana Chitac

Ma veniamo ai bilanci di lettura veri e propri. Cinquantacinque libri, dicevamo (di cui uno, Lettere a Theo di Vincent Van Gogh, ancora in lettura, ma conto di finirlo entro il 31 dicembre); e la cosa bella è che sono state praticamente tutte letture che meritavano. Non tutti capolavori, ovviamente, ma di libri che avrei potuto tranquillamente risparmiarmi non ce ne sono stati.
Certo, magari un 200 pagine di All’inizio del settimo giorno di Luc Lang me le sarei evitate volentieri; forse forse mi sarei evitata anche qualche pippa mentale di Théodore e Dorothee di Alexander Postel o qualche eccessiva riflessione poetica di L'amore di Maurizio Maggiani, per non parlare di alcune parti di Asimmetria di Lisa Halliday... però anche questi qualcosa mi hanno lasciato.  E quindi, urrà, un anno di letture azzeccate!

Per quanto riguarda i libri belli, invece, ne ho letti diversi che, per un motivo o per l’altro, mi sono rimasti nel cuore. I migliori in assoluto, quelli che proprio mi porterò con me per tanti anni a venire, sono nove, ma anche per tutti gli altri ne è valsa sicuramente la pena. Specifico che non si tratta esclusivamente di libri usciti nel 2018... insomma, fa fede la data di lettura e non quella di pubblicazione.


L'ordine come sempre è casuale. E, come sempre, cliccando sul titolo del libro verrete rimandati alla recensione. Eccoli qui:

IL CLUB DEL LIBRO E DELLA TORTA DI BUCCE DI PATATE DI GUERNSEY di Mary Ann Shaffer & Annie Barrows, tradotto da Giovanna Scocchera ed Eleonora Rinaldi per Astoria edizioni: uno dei primi libri letti quest'anno e che mi è rimasto nel cuore. Anche se ancora non ho provato a preparare la torta di bucce di patate. (Molto bello anche il film che ne è stato tratto, uscito su Netflix ad agosto).

UN RAGAZZO D'ORO di Eli Gottlieb, tradotto da Assunta Martinese per minimum fax: di libri che parlano di autismo ce ne sono tantissimi, ma belli come questo non credo di averne mai letti. Un romanzo dolcissimo e terribile al tempo stesso, con un protagonista, Todd, che è impossibile non amare.

PATRIA di Fernando Aramburu, tradotto da Bruno Arpaia per Guanda editore: semplicemente un capolavoro.

CLESSIDRA di Dani Shapiro, tradotto da Gaja Cenciarelli per Clichy: una grande scoperta di quest'anno, un memoir sulla vita di coppia che mi ha commossa, perché se si vuole ce la si fa sempre, nonostante tutto.

LO ZOABLATORE di Sergio Olivotti, pubblicato da Lavieri edizioni: un libro illustrato, per bambini ma anche per adulti, divertente e con dei disegni semplicemente fenomenali.

MANHATTAN BEACH di Jennifer Egan, tradotto da Giovanna Granato per Mondadori: il mio primo romanzo di Jennifer Egan, a quanto dicono diversissimo da tutti gli altri suoi. A me è piaciuto tantissimo, davvero un bel "romanzone"

IL MARE DOVE NON SI TOCCA di Fabio Genovesi, pubblicato da Mondadori: Genovesi  per me è sempre una garanzia, soprattutto nei momenti più bui e tristi, perché ti insegna che sì, la vita a volte è davvero terribile, ma in un modo o nell'altro si riesce sempre a sorridere.

IL DINER NEL DESERTO di James Anderson, tradotto da Chiara Baffa per NN editore: quanto mi piacerebbe salire sul camion di Ben e andare in giro con lui per il deserto dello Utah.

DESTINO di Raffaella Romagnolo, edito da Rizzoli: ho un legame affettivo molto stretto con i luoghi che fanno d'ambientazione a questo romanzo, e quindi almeno in parte questo ha influito sul mio giudizio. Ma, cavolo, Raffaella Romagnolo scrive davvero bene ed è in grado di raccontare l'umanità e le vite che si nascondono dietro a ogni avvenimento storico.


Questi sono i nove che mi sono piaciuti di più in assoluto, ma in realtà se ne potrebbero menzionare anche altri: Vincoli di Kent Haruf per esempio (di cui qui ancora non c'è la recensione, ma merita), oppure La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani... però una selezione va fatta e quindi mi fermo qui. Spero che anche voi abbiate letto tanti libri belli e, soprattutto, che con voi il 2018 abbia picchiato un po' meno forte. 

Sperando che il 2019 sia un po' meno doloroso e un po' più pieno di letture bellissime come queste (e di tempo per aggiornare il blog), vi auguro un buon anno nuovo, pieno di tutto ciò che più desiderate!

sabato 1 dicembre 2018

Il mio novembre, con Jeffrey Eugenides e Fabio Bartolomei (e tante altre cose)

Novembre è stato un mese molto pieno per me, e solo ora che si è concluso riesco finalmente a fermarmi un attimo e fare mente locale su tutto quello che è successo.
Un’occasione di lavoro inaspettata che ho colto al volo, perché le occasioni di provare a fare qualcosa che non sappiamo se ci possa piacere o no vanno colte sempre, ma che ha rivoluzionato drasticamente il mio tempo. Ritmi e incastri nuovi (perché sì, ho accettato questo lavoro nuovo ma senza lasciare nessuno di quelli vecchi, che sono e continueranno a essere sempre quello che davvero voglio fare nella vita), momenti di panico da “non ce la faccio”, serate in cui mi addormento sul divano senza neanche accorgermene... insomma, indovinate un po’ chi ha pagato lo scotto maggiore di questi nuovi ritmi non ancora ben ingranati? Il mio povero blog a pois, ovviamente, che se ne sta va qui tutto solo dal 5 novembre (remember remember), senza che io lo aggiornassi sulle mie nuove letture.

Non che ce ne siano state molte, in questo mese. I ritagli di tempo che usavo prima per leggere ora vengono impiegati per altro e quindi non sono riuscita a finire più di tre libri per piacere (se ci aggiungiamo quelli per lavoro però la cifra sale, ci tengo davvero a dirlo). Ma anche se sono state un po’ pochine, ci tengo comunque a parlare dei due romanzi, oltre a Destino di Raffaella Romagnolo di cui invece avevo già parlato, che ho letto in questo mese, perché sono state due belle letture.

La prima è Una cosa sull’amore di Jeffrey Eugenides, scrittore americano che avevo conosciuto con Middlesex prima e con La trama del matrimonio poi. In questo caso, però, siamo di fronte a una raccolta di dieci racconti, scritti tra il 1995 e oggi.



Dieci storie diverse tra loro, unite dal sottile filo conduttore dell’amore che si sviluppa in forme diverse: l’amore che unisce due amiche, nonostante le differenze d’età e di indole, e che sopravvive anche alla malattia, in quello che secondo me rimane il racconto più bello dell’intera raccolta, Le brontolone (piazzato proprio in apertura, per far subito capire l’eccezionale bravura dell’autore); l’amore un po’ egoistico che porta a scegliersi il padre del proprio figlio tra una selezione di tre e quello mai sopito che riflette su questa scelta; la passione e l’amore per la musica, che potrebbe sfasciare una famiglia ma che al tempo stesso la tiene insieme; i legami famigliari, che non si spezzano neanche di fronte alle decisioni più assurde; l’amore che finisce e il bisogno di accettarlo, nonostante il dolore (in Trova il cattivo, la seconda piccola perla di questa raccolta).

Quella prima notte, e ancor più nelle notti successive, era come se a letto lei si restringesse, oppure come se mi allargassi io, fino a diventare grandi uguali. E piano piano quel pareggiarsi continuò anche alla luce del sole. Facevamo ancora girare la gente per strada, ma ora sembrava che ci guardassero come se fossimo una sola creatura, e non due esseri di misura sbagliata agganciati al girovita. Noi. Insieme. All'epoca nessuno dei due scappava o inseguiva l'altro. Stavamo soltanto cercando, e ogni volta che uno di noi andava a controllare, l'altro era lì, in attesa di essere trovato. Ci siamo trovati a lungo, prima di perderci. Eccomi qua! dicevamo, dal profondo del cuore. Vieni a cercarmi. Facile come colorare l'arcobaleno.

E poi si parla di sessuologia e di vulve oracolari; di amicizie soffocanti e di notti d’amore mancate; di promesse mai mantenute e di vendette; per finire con Denuncia tempestiva, in cui si racconta forse un tentativo di violenza o forse uno di estorsione, in una storia geniale per il cambio di punto di vista, di prospettiva e per i mille dubbi che instilla nel lettore.

Ovviamente non tutti i racconti sono allo stesso livello, anche se i tre di cui ho citato il titolo sono sicuramente tra i racconti più belli che abbia mai letto. In ogni caso, Jeffrey Eugenides si dimostra bravo ed efficace anche nelle storie più brevi, che sono sempre incisive, in grado di coinvolgere a più livelli il lettore e che, soprattutto, non sembrano mai romanzi mancati (come spesso succede ai romanzieri che si prestano ai racconti, che pensano che si possano scrivere allo stesso modo).

Il secondo libro è L’ultima volta che siamo stati bambini di Fabio Bartolomei, uscito per e/o come tutte le sue opere precedenti.



Pur non conoscendolo personalmente, io a questo autore sento di voler un bene dell’anima e quindi, da quando l’ho scoperto tanti anni fa con La banda degli invisibili prima e con Giulia 1300 e altri miracoli poi, festeggio con entusiasmo l’uscita di ogni suo nuovo libro.

Protagonisti di L’ultima volta che siamo stati bambini sono Cosimo, Italo e Vanda.  Siamo nel 1943, la guerra e il fascismo hanno sfiancato il paese e mietuto già molte vittime. Loro hanno dieci anni, sono completamente diversi l’uno dall’altro eppure uniti da quei forti legami che si possono creare solo da bambini, quando si gioca insieme ogni giorno e si guarda al mondo e alle sue brutture senza capirle davvero. Quando il quattro membro del loro gruppo, Riccardo, viene portato via dai tedeschi insieme ai suoi genitori e ad altri ebrei, decidono di partire per andare a cercarlo: Vanda scappa così dall’orfanotrofio in cui vive, Cosimo lascia il nonno sapendo già che quando tornerà dovrà trascorrere molto tempo in punizione chiuso in cantina, Italo indossa la sua bella divisa da Balilla, sicuro che gli aprirà molte porte. Seguono i binari, perché è con il treno che Riccardo è stato portato via, quindi basta seguire le rotaie per arrivare dov’è andato lui, e si incamminano per un lungo viaggio che aprirà loro gli occhi su quanto sta succedendo davvero nel paese, segnando per sempre la fine della loro infanzia. A inseguirli, ci sono Suor Agnese, che ha sempre riversato su Vanda un enorme affetto, e Vittorio, il fratello di Italo che è ritornato dalla guerra con una ferita alla gamba e molti onori.

L’ultima volta che siamo stati bambini è un romanzo molto forte e commovente. E Fabio Bartolomei si dimostra ancora una volta molto bravo nel raccontare storie dal punto di vista dei bambini (se non l’avete ancora letto, leggete assolutamente il suo We are family, ne avrete conferma): è bravo a trasmetterne l’innocenza, il modo quasi disarmante di guardare il mondo,  il senso profondo di ingiustizia e il bisogno di ripararla, l’ingenuità che a poco a poco si trasforma in consapevolezza.

«Davvero pensavi di giocare con noi per tutta la vita?» Lo interrompe Vanda.
«Certo. Tu no?»
Lei ci riflette su, arrotola intorno al dito una ciocca di capelli.
«Sì, anche io a volte, però lo so che da grandi cambia tutto. Quando si cresce non si pensano le stesse cose di adesso».
«Allora dobbiamo promettere di diventare dei grandi diversi».

In alcuni punti, però, devo ammettere che ho avuto l'impressione che mancasse qualcosa, che l'autore non abbia spinto fin dove avrebbe potuto (forse per paura di diventare banale o ripetitivo?) nel racconto dell'avventura dei tre bambini, e ancor più dei loro inseguitori, perdendo così l'occasione di trasformare un bel libro in un vero e proprio capolavoro. In ogni caso, è davvero una lettura che merita.

Ho iniziato il mese di dicembre insieme a Jonathan Coe e al suo nuovo romanzo, Middle England, da poco uscito con Feltrinelli. Per me leggere Coe è sempre un po' come ritornare a casa e, anche se per il momento ho letto solo una sessantina di pagine, direi che la sensazione si sta riconfermando anche in questo caso. Spero solo di riuscire a parlarvene prima di gennaio. 


Titolo: Una cosa sull'amore
Autore: Jeffrey Eugenides
Traduttore: Katia Bagnoli
Pagine: 300
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Prezzo: 20€
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formato cartaceo: Una cosa sull'amore
formato ebook: Una cosa sull'amore


Titolo: L'ultima volta che siamo stati bambini
Autore: Fabio Bartolomei
Pagine: 208
Editore: edizioni e/o
Anno: 2018
Prezzo: 16€
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