mercoledì 30 novembre 2016

ESCHE VIVE - Fabio Genovesi

Ci sono cose che sono proprio giuste, cose che semplicemente devono succedere per quanto sono belle, anche se poi non succedono. Ma non c'è problema, perché magari succedono domani, o il giorno dopo domani o quando gli pare a loro.


Mi capita spesso di scoprire un autore dall’ultimo romanzo che ha pubblicato e poi da lì, pian piano, riscoprire tutti i suoi lavori precedenti. Ovviamente lo faccio solo se il romanzo mi è piaciuto, o mi ha in qualche modo dato lo stimolo per leggere altro.

Il primo romanzo che ho letto di Fabio Genovesi è stato Chi manda le onde, uscito nel 2015 per Mondadori e anche finalista al premio strega di quell’anno (vinto poi da Nicola Lagioia). Mi ci ero avvicinata incuriosita dalla copertina, senza neanche lontanamente immaginare quanto me ne sarei poi innamorata. 
Quel libro è stato per me una grandissima rivelazione: per la storia, per lo stile, per l’incredibile caratterizzazione dei personaggi (il piccolo Zot rimarrà per sempre nel mio cuore) e per tutte le sensazioni che mi ha lasciato una volta terminata la lettura. E quindi, capite anche voi perché volessi assolutamente leggere qualcos’altro di Fabio Genovesi.
Poi, l’altra sera, in un Libraccio (sì, a Milano c’è un Libraccio aperto fino a mezzanotte, una cosa bellissima, soprattutto quando fuori piove e tu ci arrivi sottobraccio a una persona speciale) ho trovato in condizioni eccellenti e a un prezzo incredibile Esche vive. L’ho comprato e, la mattina dopo, ho iniziato a dare un’occhiata alle prime pagine. Senza sapere bene come, mi sono ritrovata in Toscana, a Muglione, completamente coinvolta nella storia di Fiorenzo e del campioncino.

Loro due sono i protagonisti della storia raccontata da Fabio Genovesi. Fiorenzo era una giovane promessa del ciclismo su cui molti, tra cui il padre stesso che lo allenava, puntavano. Finché non decide insieme a due suoi amichetti di provare a stanare il mostro del fossato dove va a trascorrere i suoi pomeriggi estivi. Come? Fabbricando una specie di bomba fatta di petardi, che non solo non stanano il mostro, ma gli portano via anche una mano. Fine dei sogni di gloria per Fiorenzo e, soprattutto, per suo padre.
Da quel giorno sono passati alcuni anni, Fiorenzo ha imparato a vivere con una mano sola e sta per finire le scuole superiori, anche se al frequentare le lezioni preferisce andare a pescare o lavorare nel negozio di articoli per la pesca di suo padre. Suona in una band metal e non ha alcuna esperienza con le ragazze. Ma, soprattutto, si ritrova a fare i conti con un’altra grande tragedia: l’improvvisa perdita della madre, avvenuta l’anno precedente e di cui si sente in qualche modo responsabile.
A peggiorare il suo stato d’animo arriva Mirko, un ragazzino tanto forte e bravo in bicicletta quanto ingenuo, che il padre di Fiorenzo porta a vivere a casa sua per trasformarlo in un vero campione. Fiorenzo, ovviamente, lo odia. Ma proprio grazie ai suoi tentativi di boicottarlo conosce Tiziana, che dopo aver studiato all’estero, ha deciso di tornare a Muglione per provare a cambiare le cose, e che ora si ritrova incastrata in una vita fatta di disincanto e disperazione.

Le storie di Fiorenzo, Tiziana e Mirko si intrecciano per tutto il romanzo, dando vita a una storia l’apparenza potrebbe essere banale, ma che invece va in profondità e tratta temi importanti. L’amicizia e l’amore, sicuramente, ma anche il non arrendersi, il darsi seconde possibilità e il fare i conti con se stessi e con il proprio passato. Il tutto scritto con uno stile divertente, scanzonato e serio al tempo stesso.

Sono scoppiata a ridere più volte, mentre leggevo Esche vive. E più volte mi sono anche fermata anche a riflettere di quel che veniva raccontato, su quel senso di insoddisfazione e di immobilità che riguarda un po’ tutti quelli che vivono in paesini come Muglione (e ce ne sono davvero tanti).
Ho riso e un pochino mi sono anche commossa, perché Fabio Genovesi dà seconde possibilità a tutti, dà a tutti una speranza, anche quando sembra davvero impossibile.
Fiorenzo ha detto che il suo sogno era comprarsi una barca e girare i mari, tu gli hai ricordato che il suo sogno era diventare famoso con la sua band e lui ha detto che era vero, ma che nella vita è meglio avere tanti sogni perché funziona come con le cartelle della tombola: più ne hai e più è probabile che vinci.

Non so se mi sia piaciuto di più Esche vive o Chi manda le onde. Non lo so davvero. Però so che mi piace tantissimo il modo in cui Fabio Genovesi racconta le sue storie e il modo in cui mi sento una volta arrivata alla fine.
Insomma, che cosa state aspettando a leggere Fabio Genovesi? Sono sicura che non ve ne pentirete.


Titolo: Esche vive
Autore: Fabio Genovesi
Pagine: 388
Editore: Mondadori
Anno: 2013
Acquista su Amazon:
formato brossura:Esche vive

lunedì 28 novembre 2016

NON È IL MIO GENERE! E invece (forse) sì! - romanzi gialli e thriller

Sabato 26 novembre si è tenuto il primo appuntamento di NON È IL MIO GENERE! ...e invece (forse) sì!, il nuovo ciclo di incontri in libreria, organizzato da me, Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri e Stefania della Libreria Sulla Parola.

Sebbene fossero passati solo pochi mesi dalla conclusione dei nostri incontri precedenti (quelli di Una valigia di libri), devo ammettere che questi pomeriggi di chiacchiere, risate e condivisioni letterarie mi erano mancati un sacco.

E poi, grazie a un buon passaparola (e a un pr d'eccezione, che non posso non nominare... grazie Prof!), in questo primo incontro, dedicato ai romanzi gialli e thriller, eravamo davvero tanti.
E lo so che non dovrei, lo so che dovrei dire e dirvi che è normale che ai nostri incontri superfighi venga così tanta gente, però, ecco, io un pochino mi stupisco ogni volta del fatto che ci siano persone che decidono di passare un sabato pomeriggio a parlare di libri.

Grazie, quindi, a tutti coloro che hanno partecipato. A chi era già venuto nell'edizione passata e ha deciso di tornare. A chi è venuto per la prima volta e, spero, tornerà. A chi è intervenuto e ha fatto un po' di dibattito e a chi ha semplicemente ascoltato.
E, soprattutto, grazie a Claudia e Stefania per questa cosa bellissima che abbiamo creato.




Ma ora bando alle smancerie, passiamo ai libri consigliati!
Tra quelli arrivati sulla pagina dell'evento e quelli invece suggeriti dal vivo, i libri di cui si è parlato sono stati tantissimi. Come sempre, in quelli consigliati da blogger, trovate il link alla recensione.

Pista nera; La costola di Adamo; Non è stagione; Era di maggio; 7-7-2007 - Antonio Manzini (Sellerio)
Il ballo degli amanti perduti - Gianni Farinetti (Marsilio)
Favole di morte - Brigitte Aubert (Voland)
Un cinese a Buenos Aires - Ariel Magnus (gran vía edizioni)
Dieci piccoli indiani - Agatha Christie (Mondadori)
L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome; Scrivere è un mestiere pericoloso  - Alice Basso (Garzanti)
 Il segreto dei suoi occhi - Eduardo A. Sacberi  (BUR)
Più piccolo è il paese, più grandi sono i peccati - Davide Bacchilega (Las Vegas edizioni)
Il quarto protocollo - Fredrick Forsyth (Mondadori)
Level 26 - Anthony Zuiker (Sperling & Kupfer)
I tre evangelisi - Fred Vargas (Einaudi)
La progenie; Trilogia di Nocturna - Guillelmo del Toro  (Mondadori)
Tra i malvagi - Linda Castillo  (Time Crime)
Appennino di sangue - Macchiavelli & Guccini (Mondadori)
La figlia sbagliata - Jeffery Deaver (Rizzoli)
Scomparsa; Il passato di Sarah - Chevy Stevens (Fazi)
La pietà dell'acqua - Antonio Fusco (Giunti)
Di seta e di sangue - Qui Xiaolong - (Marsilio)
Il mio nome era Dora Suarez - Derek Raymond -  (Meridiano Zero Noir)
Mr Gwyn - Alessandro Baricco -(Feltrinelli)
La serie di Agatha Raisin di M. C. BEaton (Astoria)
Anime nere -Gioacchino Criaco (Rubettino)
Bambini, ragni e altri predatori - Eraldo Baldini

E poi, sono stati citati e consigliati i romanzi in generale di: Jo Nesbø, Carlos Ruiz Zafón, Camilla Lackberg, Simenon, Izzo, Massimo Carlotto, Angela Marsons, Faye Kellerman, Massimo Lugli, Robert Galbraith, Margherita Oggero.


Oltre ai consigli letterari, si è parlato poi dei libri gialli in generale e della loro tendenza a essere trasformati in prodotti cinematografici e televisivi (con risultati non sempre idilliaci); poi della loro specificità e delle loro caratteristiche in base allo nazione in cui sono scritti e ambientati; di traduzione e poi del caso di Io uccido di Giorgio Faletti (lo sapevate che pare non l'abbia scritto lui, ma che sia una traduzione di un giallo americano? Io questa diatriba me l'ero persa!).

Come vi dicevo all'inizio, è stato un incontro davvero bello, da cui sono emersi, oltre ai consigli, tanti spunti di riflessione.

Per il mese di dicembre, gli incontri prendono una pausa e si ripartirà sabato 14 gennaio, con l'appuntamento dedicato ai racconti.

martedì 22 novembre 2016

IL VECCHIO E IL GATTO - Nils Uddenberg


Ho avuto il mio primo gatto quando ero piccolina. Ne ho un ricordo molto vago: si chiamava Pepe, era grigio striato ed è arrivato da noi nato da poco. La sua mamma era la gatta dei nostri vicini di casa di allora e lui tornava spesso da lei, al punto che alla fine è sembrato meglio per tutti che lo tenessero loro. O almeno, io la storia me la ricordo così, può anche darsi che questo fosse stato il modo più soft che i miei genitori avessero trovato per dirmi che era successo qualcosa di brutto.

Il secondo gatto è arrivato invece a dicembre del 2001. Un gatto arancione, che è entrato in casa aggrappato al maglione di lana di mio padre in cui si mimetizzava ed era talmente tanto piccolo e spaventato che ha passato tutta la serata nascosto sotto un mobile. Poi, piano piano, nei giorni successivi ha preso confidenza. Veniva con me sul letto a giocare la sera prima di dormire, oppure guardava la tv con noi appoggiato sul ginocchio di mio padre. E, soprattutto, è stato la fonte di consolazione e distrazione quando, poche settimane dopo, ne abbiamo avuto più bisogno. Miciu, si chiamava, e da cucciolo era davvero un po’ tonto (per esempio, una volta è caduto dentro la vasca da bagno piena d’acqua e l’ho dovuto ripescare; un’altra volta è salito sul tetto e proprio non riusciva a capire come fare a venire giù). Crescendo poi è diventato un gatto impestato, anche perché non lo abbiamo mai fatto sterilizzare (“non fare al gatto quello che non vorresti venisse fatto a te” è stata la motivazione data da mio fratello) e vivevamo in campagna. Se n’è andato quattro o cinque anni dopo, lasciando un esercito di figli e l’idea, nella mia mente, che ora sia in Messico a spacciare erba gatta.

E adesso c’è Luna, che vedete qui in posa nella foto insieme a  Il vecchio e il gatto di Nils Uddenberg, il libro di cui vi dovrei parlare in questa recensione, che però sta un po’ divagando. Luna è la gatta del mio compagno Luca e ha accettato in modo un po’ buffo il mio arrivo qui. Se Luca è in casa, quasi non mi considera. Se lui non c’è, Luna mi segue e sta quasi sempre vicino a me. È una gatta bellissima, buffissima e molto lunatica, che mi ha rubato il cuore fin dalla prima volta in cui l’ho vista, ancor prima di trasferirmi qui.
Leggendo Il vecchio e il gatto, pubblicato in Italia da Corbaccio con la traduzione di Lucia Barni e le bellissime illustrazioni di Ane Gustavsson, ho rivissuto almeno in parte i primi tempi della convivenza con Luna e, soprattutto, ho rivisto il bellissimo rapporto tra lei e Luca.



In questo libricino Nils Uddenberg racconta del suo rapporto con Micia, una gattina piombata all'improvviso nella vita sua e di sua moglie. Se l’è ritrovata una mattina, addormentata nel capanno degli attrezzi. “Non ci affezioniamo, mi raccomando” ha continuato a ripetersi la coppia. Ma come fai a non affezionarti quando vedi un animaletto peloso così buffo e coccolone? E quindi ben presto Micia è entrata in casa, ha trovato il suo posto d’onore nella famiglia e portato con sé alcune questioni logistiche da affrontare. Tipo a chi lasciarla quando i due padroncini sono via da casa (qui da noi viene il papà di Luca, a cui, proprio come a Luca, Luna riuscirebbe a far fare qualsiasi cosa); come insegnarle a usare la gattaiola e andare fuori a fare i bisogni (altro momento molto divertente con Luna, che per i primi giorni usava la gattaiola come un punchball, prendendo a zampettate lo sportellino senza riuscire però a capire quando fosse il momento giusto per infilarsi. Poi ha imparato da sola, dopo pochissimo tempo, come era prevedibile facesse); come entusiasmarsi di fronte ai regalini, solitamente morti, che porta in casa (questo per fortuna ancora non è successo); oppure anche solo come capire se Micia ha tutto quello di cui ha bisogno e, soprattutto, se davvero si è stati accettati (e questa è una cosa che mi domando ogni giorno, in quell'alternanza tra coccole e strusciamenti e indifferenza più totale).

Il risultato è un libro dolcissimo, che racconta davvero quanto intenso possa essere il rapporto tra un uomo e il suo animale domestico… e anche quanto un gatto possa farci rincoglionire a suon di 
fusa, musetti morbidi e buffe posizioni per dormire o per giocare. 
Proprio una storia d’amore, come recita il sottotitolo, che prende spunto anche da alcuni grandi della letteratura e dal loro rapporto con i gatti, e che spiega, in modo molto semplificato, alcune delle caratteristiche proprie dei felini (come funzionano le fusa, per esempio, ma anche il concetto di territorialità o semplicemente le dinamiche dietro alla creazione di un legame con un essere umano).

Il vecchio e il gatto è sicuramente un libro un po’ infantile a livello di stile, ma che riesce davvero a raccontare com’è la vita con un gatto in casa. Forse chi convive effettivamente con un gatto lo apprezzerà di più, perché ci riconoscerà quello che ha vissuto e vive tutti i giorni, ma soprattutto il grande amore che si prova.
Ma va bene anche per chi gatti non ne ha,  per chi ne ha avuti e ora non ne ha più, per chi vorrebbe averne, per chi adora gli animali e per chi (come me, se non si era capito) si fa rincoglionire completamente da un musetto carino.
E ora vado a fare due carezze a Luna, ché Luca non è in casa e si lascerà sicuramente coccolare.


Titolo: Il vecchio e il gatto - una storia d'amore
Autore: Nils Uddenberg
Traduttore: Lucia  Barni
Illustrazioni di: Ane Gustavsson
Pagine: 152
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Corbaccio
Prezzo di copertina: 12 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Il vecchio e il gatto. Una storia d'amore

mercoledì 16 novembre 2016

OVERLOVE - Alessandra Minervini

I ricordi di lei erano farfalle che ronzano intorno alla lampadina - insistenti - e una volta raggiunta la luce si elettrizzano e muoiono. Ma muoiono felici e innamorate. Simili a bambini che non conoscono l'amore, non sanno di provarlo, fino a quando non diventano grandi, e lo perdono. La mancanza che nutre l'amore.

Overlove di Alessandra Minervini è un libro che parla d’amore. Di tanti amori, in realtà. Nessuno perfetto. Nessuno felice.

C’è l’amore tra Carmine e Anna, a fare da filo conduttore a tutto il romanzo. Un amore intenso, ricco di passione, fatto di continui tira e molla e sensi di colpa, perché Carmine è sposato, perché Anna lo ama troppo, perché a volte l’amore è mancanza.
C’è quello tra Carmine e la moglie, che amore non è e forse non è mai stato, e che va avanti come semplice condivisione di una casa, divisa a metà da una riga, e di una figlia, che l’uomo adora. 
C’è quello tra Anna e sua madre Carla, che, dal suicidio del marito, vive davanti alla tv in compagnia dell’investigatrice infermiera Margareth Mitchell, unica persona in grado di tener viva la sua attenzione (e questo è stato l’amore che mi ha commossa e colpita di più).

Carla, avvicinandosi allo schermo, aveva congiunto le mani come in segno di preghiera, stringendole così forte che parevano scoppiare una nell'altra. Ringraziava il dio catodico di essersi ripreso, di non essere muto. Margaret Mitchell era di nuovo lì, nello schermo davanti al quale madre e figlia trascorrevano del tempo insieme, ogni giorno, invece di giocare a carte, invece di preparare il ciambellone, invece di cambiare stagione negli armadi, invece di abbracciarsi e piangere.

E poi c'è quello tra Anna e il padre sostituto; tra Anna e Mario, una vecchia fiamma del passato che torna nel presente; e, soprattutto, quello tra Anna e se stessa, sui cui lei non sembra concentrarsi mai.

Overlove è un libro che parla d’amore, dicevamo. Di troppo amore (perché sì, esiste davvero anche l’amare troppo), e di dolore. E Alessandra Minervini sceglie di raccontare tutto questo, la storia di Anna e delle persone attorno a lei, con uno stile frammentario, che alterna la terza persona con la prima, inserendo poi, qua e là, alcune piccole riflessioni, su quello che l’amore è o non è, che a volte spezzano la lettura e altre volte la rendono ancor più completa.

All’inizio la lettura di Overlove può sembra un po’ difficoltosa, per lo stile dell’autrice, ma anche e soprattutto per questo concetto di troppo amore. Perché sì, il romanzo inizia con una donna che lascia un uomo perché si amano troppo. Ed è un concetto non poi così semplice da comprendere. Man mano che si va avanti, però, si entra nella vita di Anna, in quella di Carmine, nei loro problemi, nei loro dolori, nella loro apparente incapacità di essere felici. O almeno di esserlo insieme.
Dal dolore non c'è scampo, le aveva detto Carla la prima volta che era caduta dalla bicicletta, a sette anni. Sul ginocchio di Anna la cicatrice era incollata da allora. La felicità si fa desiderare e la maggior parte delle volte arriva solo per tradire. Il dolore è una forma di onestà. Chi soffre è onesto. Come chi muore.
Un esordio narrativo notevole, questo di Alessandra Minervini, che, dopo un po’ di titubanza iniziale, è riuscito a tenermi incollata alle sue pagine e a portarmi a riflettere sul concetto di amore e su quanto, a volte, sia difficile abbandonarcisi. Una lettura che merita.

Titolo: Overlove
Autore: Alessandra Minervini
Pagine: 200
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: LiberAria editrice
Prezzo di copertina: 12 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Overlove

giovedì 10 novembre 2016

ROCCO SCHIAVONE - LA SERIE - il mio parere spassionato sulla prima puntata

Ieri sera su Rai2 è andata in onda la prima puntata di Rocco Schiavone, la serie tv tratta dai romanzi di Antonio Manzini pubblicati da Sellerio, che hanno come protagonista l’omonimo vice questore.
Se mi seguite già da qualche tempo, saprete quanto io sia innamorata di Rocco Schiavone: questo vice questore romano, spedito in punizione in Valle d’Aosta, che proprio non riesce ad adattarsi a quel clima così diverso e si ostina, nonostante il freddo e le condizioni climatiche avverse, ad andare in giro solo con un loden e con le Clarks. È davvero un gran personaggio, quello inventato da Antonio Manzini: un poliziotto un po’ burbero, che adora farsi una canna non appena arriva in ufficio al mattino, che non sempre è così rispettoso della legge che dovrebbe difendere e che, soprattutto, ha un doloroso passato alle spalle, che nei romanzi si scopre pian piano.

Sono innamorata di Rocco Schiavone, vi dicevo, e quindi quando ho saputo che sarebbe andata in onda una serie tv, sono stata molto combattuta tra un incontenibile entusiasmo e la paura che rovinassero tutto (e il fatto che la serie sarebbe stata per la Rai alimentava parecchio questa paura). Poi s’è scoperto che l’avrebbe scritta Antonio Manzini stesso, insieme con Maurizio Careddu, che sarebbe stata girata da Michele Soavi e, soprattutto, che a interpretare Rocco sarebbe stato Marco Giallini. Che è esattamente come io mi ero immaginata Rocco Schiavone leggendo i libri.
E quindi ieri (ma anche i giorni precedenti, in realtà) ho passato la giornata aspettando che arrivassero le 21.10 e che la prima puntata, tratta dal primo romanzo (Pista Nera), incominciasse.
Io, sul divano, mentre aspetto che inizi la puntata (foto di Luca, tutto intento a trollarmi)

Poi, una volta finita, ho scritto qualche commentino veloce su Facebook, per poi aspettare che passasse una notte per schiarirmi bene le idee e parlarvene come si deve. Alcune impressioni, dormendoci su, sono rimaste esattamente le stesse. Qualcuno è peggiorata.

I PERSONAGGI
Come dicevo prima, Marco Giallini È Rocco Schiavone. Ed è di una bravura incredibile. È riuscito a interpretare bene tutte le caratteristiche tipiche di questo personaggio: la sua apparente antipatia e stronzaggine, il suo menefreghismo per le regole, la sua dolcezza in determinati momenti e situazioni.
Ma è Rocco Schiavone anche nel senso che, se non ci fosse lui, la serie sarebbe un disastro. Se li mangia tutti, gli altri personaggi, ridotti, forse per esigenze di copione, forse per inesperienza degli attori che li interpretano, a delle mere macchiette.
Italo Pierron nel libro è ben caratterizzato: un poliziotto un po’ timido ma che con Rocco instaura subito un grande rapporto, nonostante la soggezione iniziale. Nella serie tv, almeno nella puntata di ieri, sembra un po’ uno scemo. Come se non sapesse molto bene che cosa deve fare ( o provasse soggezione per la bravura di Marco Giallini).
E lo stesso si può dire più o meno di tutti gli altri personaggi. I due poliziotti scemi; la Rispoli (di cui lacaratteristica principale emersa ieri è solo ed esclusivamente il bel sedere); Nora, che compare per meno di cinque minuti, mentre nel libro aveva un ruolo notevole; e anche i protagonisti dell’omicidio.
Si salva Isabella Ragonese, bravissima anche lei a rendere davvero commoventi le scene tra Rocco e Marina (soprattutto se avete letto i libri).

Si può basare un’intera serie tv sulla bravura di uno solo dei suoi protagonisti? Secondo me, no. E infatti Marco Giallini mangia tutti gli altri.



LA FEDELTÀ AL LIBRO
Fedele è fedele. Quasi troppo, verrebbe da dire. Perché, per inserire dentro alla puntata tutte le cose che succedono nel libro, molte sono state solo accennate, abbozzate, rendendole a volte incomprensibili, a volte semplicemente inutili.
È ovvio che è impossibile far stare in una trasposizione televisiva di due ore tutto quello che c’è in un libro di 275 pagine. E quindi forse qualcosa avrebbe potuto essere sacrificato… o si fa bene o non si fa, insomma. (Per esempio, ha reso pochissimo la scena del tir che Rocco, Sebastiano e Italo fermano una sera per smerciare quello che ci dovrebbe essere dentro… e quella nel libro era una scena importante, anche per capire meglio il carattere di Rocco).
Anche lo svolgimento della trama principale (di cui non vi dico nulla, tranquilli, così se non avete visto la serie o letto il libro non avete problemi) è stato un po’ troppo frettoloso e, secondo me, non del tutto comprensibile. Ho capito cosa è successo, ho capito chi è stato, ma in tv viene reso talmente tanto in fretta che arrivi alla fine e pensi “aspetta, siamo già qui?”.
E poi, come dicevo prima, c’è il discorso personaggi. Anche loro solo abbozzati (con alcuni riferimenti incomprensibili o precisati solo con una frasetta in mezzo alle altre) e, in qualche modo, rovinati.

LA REGIA, I DETTAGLI E ALTRE COSE BUFFE
L’atmosfera valdostana del libro viene ricreata perfettamente anche nella serie. Il problema, però, è che ci sono molti dettagli e molte scene un pochino strane, e a volte anche ridicole.
Tipo il momento in cui Rocco, Italo e il maestro di sci sono sulla motoslitta, che si vede lontano un miglio essere finta (ma ci può stare, per carità) e, soprattutto, fatta male.
Oppure il fatto che Rocco in una scena abbia la barba e in quella immediatamente dopo non ce l’abbia più. E una cosa simile succede anche con le scarpe (scende dall’auto con gli scarponcini e sale sul tetto con le Clarks) e con la neve nei dintorni (vi assicuro che quando nevica in Valle d'Aosta come nelle prime scene della puntata, difficilmente dopo due giorni la neve è andata via tutta).
E poi, ma qui forse è colpa mia, a volte non riuscivo a capire che cosa dicessero i vari personaggi. (Per non parlare della questione accento valdostano, completamente ignorato).


IL MIO GIUDIZIO FINALE
Marco Giallini vale tutta la serie. Lui e le scene con Marina.
Senza di lui, temo che farebbe un pochino pena. Lui, con la sua eccezionale bravura, con il suo essere davvero Rocco Schiavone, riesce a salvare quasi sempre il tutto, anche se a volte la noia e il piattume prendono il sopravvento.
Non so se la percezione cambia se si ha letto il libro oppure no. Il mio compagno, seduto accanto a me per tutta la serata (quanta pazienza che hai, amore!), il libro non l’ha letto e la serie lo ha convinto ancora meno di quanto non abbia convinto me.
E quindi non lo so. Sicuramente guarderò anche le altre puntate (venerdì 11 c'è quella tratta da La costola di Adamo, uno dei miei preferiti della serie di Manzini), un po' perché magari migliorano, un po' perché rimane sempre Rocco Schiavone. E sicuramente da una fiction Rai non ci si poteva forse aspettare molto di più.

Però, ecco, i libri ancora una volta sono davvero un’altra cosa.

mercoledì 9 novembre 2016

LA SOGNATRICE DI OSTENDA - Eric-Emmanuel Schmitt

«Mi sto consolando piuttosto in fretta dal mio cruccio parigino. Ciò vuol dire che non ho poi perduto granché troncando quella storia. Ricorda cosa mi ha detto? Che è possibile rimettersi solo dalle cose poco importanti. E che da un amore totale non ci si riprende mai».
«Una volta ho visto un fulmine colpire un albero, e mi sono sentita molto vicina a quell'albero. Arriva un momento in cui bruciamo, ed è intenso, meraviglioso. Dopo, non resta che cenere».
Si girò verso il mare.
«Non si è mai visto un ceppo, anche vivo, ridare corpo a un albero intero».

Ogni volta che sento qualcuno dire “no, io non leggo i racconti, perché non mi coinvolgono tanto quanto i romanzi”, mi viene da pensare sempre che non abbiano mai letto i racconti giusti. Certo, poi è anche una questione di gusti, di percezione della lettura legata alla lunghezza del testo. Però, ecco, in generale, secondo me è perché non hanno mai letto un racconto ben fatto.

Come lo sono, per esempio, quelli dello scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, le cui opere, divise tra romanzi e raccolte di racconti, sono pubblicate in Italia da edizioni e/o. 
Ho scoperto questo autore quasi per caso, acquistando a scatola chiusa Concerto in memoria di un angelo. Me ne sono poi follemente innamorata leggendo Odette Toulemonde e ho mantenuto viva questa passione con L’amore invisibile. Tre raccolte di racconti, tra cui fatico a scegliere la mia preferita.

Anche perché adesso si è inserito anche La sognatrice di Ostenda. Di nuovo una raccolta di racconti, di nuovo cinque storie raccontate in non più di settanta pagine ciascuna (la più lunga, quella che dà il titolo alla raccolta, ma le altre molte meno) che sono riuscite, ancora una volta, a conquistarmi totalmente.

C’è questa donna, La sognatrice di Ostenda appunto, che, ormai anziana e su una sedia a rotelle, racconta a un visitatore il grande amore della sua vita, sebbene tutti, in famiglia, siano convinti che lei non abbia amato mai. 
Ce n’è un’altra, in Delitto perfetto, che decide di liberarsi del marito, perché convinta che l’enorme amore che lui riversa su di lei sia troppo grande, troppo bello per essere vero, ed è stanca di essere presa in giro.
Ce n’è una terza, in La guarigione, che di mestiere fa l’infermiera e che non è mai stata capace di amare se stessa e il suo aspetto. Finché non arriva un paziente, cieco e in fin di vita, che l’aiuta a capire quanto sia bella.
Poi si arriva al quarto racconto, Cattive letture, che in realtà io ho letto per primo, una sera prima di dormire mentre cercavo qualcosa di non troppo lungo da leggere. Qui il protagonista è uomo di lettere, che però legge solo saggi, perché i romanzi e le opere di fantasia non sono che una perdita di tempo. Finché si ritrova a leggerne uno e a lasciarsi coinvolgere talmente tanto da non distinguere più la realtà.
La raccolta si chiude con la storia di un’altra donna, La donna con il bouquet, che tutti i giorni, da quindici anni, va alla stazione con un mazzo di fiori per aspettare l’arrivo di qualcuno.

« Ti giuro che è vero. Ogni giorno, da tre lustri. Forse anche di più, visto che ognuno, prima di notare la sua presenza, impiega degli anni. Di conseguenza anche il primo... Tu, per esempio, sono tre anni che vieni a Zurigo e me ne parli solo oggi. Come niente, sta qui da venti o trent'anni... Qualcuno ha provato a chiederle cosa aspetti, ma lei non ha mai dato risposta».
«E ha fatto bene» osservai. «D'altronde, chi può rispondere a una domanda del genere?».

Di Eric-Emmanuel Schmitt adoro lo stile, la poesia che impiega nel narrare le storie che racconta, anche quelle più disparate o più macabre, ma, soprattutto, il modo in cui descrive e delinea i personaggi, con le loro fragilità, le loro debolezze, la loro incredibile umanità.
Per non parlare della facilità con cui questo autore riesce a passare dal parlare d'amore (soprattutto in La sognatrice di Ostenda, che è davvero un racconto molto dolce, ma anche in La donna del bouquet) agli omicidi... che è una cosa che pochissimi scrittori sono in grado di fare.

Insomma, se non avete mai letto racconti o ci avete provato e non vi sono piaciuti, vi suggerisco di ritentare con una delle raccolte di Eric-Emmanuel Schmitt. E La sognatrice di Ostenda è decisamente un buon punto di inizio, per imparare a conoscere questo scrittore francese, ma anche per iniziare ad amare i racconti.

Titolo: La sognatrice di Ostenda
Autore: Eric-Emmanuel Schmitt
Traduttore: Alberto Bracci Testasecca
Pagine: 209
Editore: e/o
Anno: 2008
Acquista su Amazon:
formato brossura: La sognatrice di Ostenda

lunedì 7 novembre 2016

LA VEDOVA VAN GOGH - Camilo Sánchez

Un’ombra pesante su ogni gradino della scala è stato l’annuncio: Theo Van Gogh entra con il fantasma della morte attaccato alle scarpe.
Johanna lo guarda. In tre giorni è invecchiato di dieci anni.
Quasi non fa caso alla moglie e a malapena saluta il bambino. Con una cautela estrema, sistema sotto il letto gli ultimi lavori del fratello, una serie di rotoli con tele dipinte di fresco. Quindi, nel bauletto di rovere delle lettere, ne deposita un’ultima, quella che Vincent Van Gogh aveva addosso quando si era sparato un colpo, e poi si era sdraiato per dormire.

(Questo mia recensione è stato pubblicata su Ultima pagina il 25 ottobre 2016)

Il 27 luglio 1890 Vincent Van Gogh si spara un colpo di rivoltella al petto. Muore alle prime ore del 29 luglio, dopo poco più di un giorno di agonia. Accanto lui c’è il fratello Theo, accorso al suo capezzale da Parigi non appena saputo del tentativo di suicidio, e rimasto accanto a lui fino alla fine.
Nemmeno a lui Vincent ha voluto dare spiegazioni del suo gesto, culmine di una vita fatta di disturbi mentali e inquietudini. E Theo, che al fratello è molto legato, da questo grande dolore non si riprende più. Dopo mesi di depressioni e malattie psicosomatiche, muore il 25 gennaio 1891, a soli sei mesi di distanza dal suicidio del fratello.
La vedova Van Gogh, romanzo dello scrittore argentino Camilo Sánchez, pubblicato da marcos y marcos con la traduzione di Francesca Conte, parte dal momento in cui Theo ritorna alla sua casa di Parigi, dalla moglie Johanna Van Gogh – Borger e dal figlioletto appena nato, chiamato Vincent in onore del fratello, dopo essere stato al capezzale del pittore morente.
Torna a casa, ma è come se non tornasse più, talmente forte è il dolore che prova e che, nei pochi mesi successivi, lo ucciderà.

La storia viene raccontata dal punto di vista di Johanna, che con il cognato Vincent non aveva poi chissà quale grande rapporto, ma che invece è profondamente innamorata del marito. Vorrebbe aiutarlo, nel suo tentativo di rendere il giusto onore all’opera del fratello, ma al tempo stesso prova rabbia nei suoi confronti, per il modo in cui si sta lasciando andare, per la scarsa attenzione che prova nei confronti del figlio e per quello stato di apatia che si è impossessato di lui e che sa lo porterà alla morte.
È così. Ora posso perfino scriverlo senza tristezza: il vero amore della vita di Theo è stato Van Gogh.
Né io né mio figlio siamo riusciti a cambiare il suo destino. Ma non mi si chieda di comprendere questo genere di amore incondizionato, che li ha trascinati alla morte.
Quando poi Theo effettivamente muore, Johanna dovrà prendere in mano la sua vita e quella di suo figlio e cercare di sopravvivere. Per farlo, le vengono in aiuto proprio i quadri del cognato, che inizierà a riscoprire e, soprattutto, a far scoprire agli altri: dapprima semplicemente appendendoli alle pareti di Villa Helma, la locanda che ha deciso di aprire per rifarsi una vita, poi, con il passare del tempo riuscendo a organizzare mostre, a vendere alcune delle opere e a far conoscere Vincent Van Gogh per il grande pittore che è.
Ho camminato in mezzo ai quadri.
Mi sono fermata solo davanti al mandorlo in fiore che ha dipinto per mio figlio.
E mi ha divertito come non mai la sensazione di vedermi come un’intrusa, una fra le tante spettatrici che sfilavano davanti alle immagini come a messa.
C’è chi parla di Van Gogh al presente, come se non fosse morto.
Ecco qua. D’ora innanzi,Vincent Van Gogh sarà il nome di un artista.
Camilo Sanchéz sceglie di narrare le vicende di La vedova Van Gogh attraverso tre espedienti narrativi: il primo, quello che dà la struttura al romanzo e tiene unito il tutto, è una narrazione quasi asettica, una mera cronaca degli eventi e dello scorrere del tempo, senza interventi personali dell’autore; poi, ci sono le pagine di diario che Johanna scrive e in cui racconta le sue preoccupazioni, le sue paure, il suo senso di impotenza di fronte a quello che sta succedendo al marito e alla sua vita, ma anche le gioie del veder crescere il figlio, per nulla intaccato dal dolore che ha pervaso tutta la famiglia. Infine, ci sono le lettere che Vincent Van Gogh ha scritto negli anni al fratello e che Johanna scopre insieme al lettore. Lettere realmente esistite (pubblicate in Italia da Guanda nel 2007 nel volume Lettere a Theo, curato da M. Cescon) e che mostrano l’abilità a scrivere del grande pittore e, soprattutto, il forte legame di affetto e protezione che ha sempre unito i due fratelli.

Ed è proprio a partire da queste lettere, di cui Johanna era depositaria insieme alle opere, che lo scrittore argentino ha deciso di scrivere il suo primo romanzo. Incuriosito dalla figura della donna, dal ruolo che ha avuto nel difendere e diffondere i quadri del cognato, ha raccontato la sua storia e permettere così di conoscere un aspetto, di cui probabilmente solo gli appassionati sono consapevoli, del grande pittore impressionista.
Il libro è una passeggiata tra le opere di Van Gogh che va oltre la semplice tela. Leggendo si scoprono alcuni dettagli, alcuni retroscena e, soprattutto, alcuni dei più grandi turbamenti del pittore olandese che poi si sono riversati nei suoi quadri, racconti da un punto di vista vicino ma al tempo stesso esterno, quello di una donna che sì, riconosce il valore di quelle opere e ama perdersi in quei colori, ma al tempo stesso vorrebbe più tranquillità per la sua famiglia e per se stessa.
Molti indizi dell’autunno sugli alberi che costeggiano il percorso. Quando siamo passati davanti alla chiesa di Auvers, mi sono ricordata del dipinto che la raffigura, attaccato con le puntine nel corridoio che porta in cucina, a Pigalle.Senza il luccichio giovanile del disegno, né il cielo sullo sfondo, drammatico e carico di presagi, la chiesa, davanti ai miei occhi, pareva aver perduto la vitalità del quadro.Il quadro di Van Gogh migliorava il paesaggio.Scrivo sul treno che mi riporta a casa, a Pigalle. Confusa come prima o anche di più.Il dottor Gachet non può o non vuole darmi una diagnosi precisa sulla salute di Theo?
Ad arricchire questa biografia in forma di romanzo ci sono le note finali dell’autore, integrate nella versione italiana dalla traduttrice Francesca Conte, che spiegano e approfondiscono alcune delle cose raccontate nel romanzo, così da fornire basi realmente solide alla parte romanzata della vicenda.

Il risultato è un romanzo biografico e autobiografico al tempo stesso, in grado di coinvolgere e appassionare sia gli esperti e gli amanti di Vincent Van Gogh, sia chi invece lo conosce poco e solo per i suoi quadri più famosi. Attraverso il racconto e le parole di una donna forte e coraggiosa come Johanna Van Gogh – Borger, Camilo Sanchéz  va oltre i quadri e la pittura di Vincent Van Gogh, mostrandone anche l’aspetto più fragile, più umano, che ha contribuito a renderlo un grande.


Titolo: La vedova Van Gogh
Autore: Camilo Sánchez
Traduttore: Francesca Conte
Pagine: 192
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 16,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura: La vedova Van Gogh

venerdì 4 novembre 2016

NON È IL MIO GENERE! E invece (forse) sì! – Le istruzioni per partecipare ai nostri nuovi incontri in libreria

Dopo il bellissimo viaggio che abbiamo fatto in giro per il mondo, attraverso 6 incontri che ci hanno portato a visitare ogni continente attraverso la sua letteratura, Claudia del Giro del mondo attraverso i libri, Stefania della Libreria Sulla parola e io abbiamo deciso di organizzare di nuovo degli incontri letterari in libreria.

Dopo scambi di messaggi a volte un po’ bislacchi (parliamo di libri noi, ma mica solo di quelli!) e un pomeriggio di chiacchiere e risate davanti a un caffè (il mio, ovviamente, pieno di panna) abbiamo deciso di mantenere la struttura già collaudata dei precedenti incontri: quindi non un gruppo di lettura, con l’obbligo di leggere un determinato libro, ma incontri di proposte, dove ognuno può parlare di quello che vuole, purché inerente al tema.

Sì, ma qual è il tema? Questo:



Per chi si fosse perso gli eventi dell’anno scorso, o semplicemente non si ricordasse come funzionano, ecco qui un breve riassunto delle istruzioni.

Che cos’è?

NON È IL MIO GENERE! ...e invece (forse) sì! è un ciclo di incontri legati dal filo conduttore dei generi letterari. Ogni incontro sarà dedicato a un genere (in alcuni casi due) e ogni partecipante dovrà portare un libro che ha letto e vuole consigliare agli altri, appartenente a quel genere. Lo stesso faremo Claudia, Stefania e io. Lo scopo, anche questa volta, è quello di far conoscere agli altri nuovi libri e nuovi autori, ma anche semplicemente raccontare qualcosa di un libro che si è amato e, di conseguenza, di se stessi.
Ovviamente, pur tenendosi in una libreria, tutti gli incontri sono a ingresso assolutamente gratuito e senza alcun obbligo d’acquisto.

Dove?

Tutti e sette gli incontri si terranno alla libreria Sulla parola di Stefania, che si trova a Caluso, in provincia di Torino. Il paese si trova a 10 km circa da Chivasso, e quindi dall’autostrada Torino – Milano; a circa 5 km dal casello di San Giorgio sulla autostrada Torino – Aosta, ed è in più provvisto di una stazione ferroviaria. Eventualmente, si può anche organizzare un servizio navetta, per recuperarvi se arrivate con il treno.

Quando?

NON È IL MIO GENERE! ...e invece (forse) sì!  si compone di 7 incontri. Uno al mese, da novembre fino a giugno, con una pausa solo nel mese di dicembre.
Gli incontri sono al sabato pomeriggio, alle 16, e durano un paio d’ore, in base anche alla partecipazione e al numero di libri presentati (e di chiacchiere che ne nasceranno).
Si inizia sabato 26 novembre con l’incontro sui romanzi GIALLI/THRILLER e poi si proseguirà così:

14 gennaio 2017 – Racconti
Febbraio 2017 – Romanzi rosa
Marzo 2017 – Poesia e teatro
Aprile 2017 – Biografie e autobiografie
Maggio 2017 – Romanzi storici
Giugno 2017 – Fantasy e fantascienza

Al momento abbiamo fissato le date solo dell’incontro di novembre e di quello di gennaio. Di volta in volta decideremo poi insieme ai partecipanti le date degli incontri successivi, in modo che siano il più possibile comode per tutti.

Che cosa dovete portare?

Voi stessi e uno (ma anche due o tre… senza esagerare però!) libro che avete letto del genere protagonista dell’incontro.
Poi, se volete, qualche amico e dei dolcetti.

E se siete troppo distanti e non potete venire?

Sappiamo che la distanza per molti può essere un problema, e che non tutti possono partire e venire fino in Canavese.
Per questo, proprio come nell’edizione passata, attiveremo per ogni incontro un evento in parallelo su Facebook e sui nostri blog. Nell’evento potrete scrivere di volta in volta i vostri suggerimenti, che noi riporteremo durante l’incontro fisico. E poi, qualche giorno dopo, troverete pubblicati online, su questo blog, su quello di Claudia e sulla pagina Facebook della libreria Sulla parola tutti i consigli pervenuti, dal vivo e online.

Ok, direi che vi ho detto tutto. In ogni caso, per qualunque chiarimento o informazione aggiuntiva ci trovate qui, sui nostri blog e sui facebook.

Ora non vi resta che partecipare!