venerdì 30 novembre 2012

EL TIEMPO MIENTRAS TANTO (La vita, intanto) - Carmen Amoraga



Molte donne sognano una vita da romanzo: c'è chi si sposa pur continuando a rimpiangere un grande amore di gioventù e vive nell'attesa di rincontrarlo, un giorno, girato l'angolo; c'è la bambina che cresce con la speranza che il vicino di casa prima o poi si accorga di lei; o la ragazza convinta che un innamorato da oltreoceano tornerà a riscattarla. Questo è il romanzo di Maria José, vittima di un grave incidente proprio quando aveva ripreso il controllo della sua vita. E il romanzo di sua madre, Pilar, così simile a lei, senza saperlo, e come lei schiava di un'illusione d'amore. Ma è anche la storia di un'amica e di un padre, di amanti e di mariti: persone unite da legami di varia natura, ma che l'incapacità di comunicare e l'abitudine hanno reso estranee le une alle altre. Ora, riunite intorno al letto d'ospedale in cui Maria José giace in coma, saranno costrette a rivedere i loro rapporti, e la vicinanza quotidiana con la morte le spingerà a ritrovare il senso della propria esistenza. Come se il sonno di Maria José le spronasse al risveglio. Come se il rischio di perderla le esortasse a riprendere in mano la vita. Un romanzo corale che parla di seconde chance e dell'amore in tutte le sue dimensioni; un romanzo sulla vita e, come la vita, dolceamaro, sofferto, intenso. Ma con quell'ironia che, sopra ogni cosa, può salvare.


Recensire questo romanzo mi mette un po' in difficoltà. No, non è di quei soliti romanzi su cui non si sa bene cosa dire, che non si riesce a capire se ci sono piaciuti o meno, o che sono troppo belli o troppo brutti per poterne parlare. Niente di tutto questo. Il problema è che non so come parlarne. Potrei limitarmi a recensirlo, scrivendo della trama, dei suoi protagonisti, della particolarità dello stile della donna e della sua bravura, e verrebbe fuori una recensione positiva, di un libro che si legge bene, che ti tiene incollato alle sue pagine e ti spinge a provare simpatia o antipatia per ognuno dei protagonisti.

La storia è quella di Maria José, costretta su un letto d'ospedale, in uno stato vegetativo da cui mai più si sveglierà, e di tutti i personaggi che ruotano attorno al suo letto, di cui viene raccontato un pezzo di vita. C'è la madre, Pilar, una donna dura, delusa dalla vita, che si trascina dietro da anni la profonda cicatrice di una delusione amorosa di quelle che non si riescono a dimenticare. Un'amarezza, la sua, che ha sfogato contro la figlia, contro il marito, contro chiunque volesse avvicinarla, tutto per colpa di Fermín, che è partito in cerca di fortuna e non è mai tornato a prenderla, se non quando ormai era troppo tardi. C'è il padre, Paco, che ha sempre saputo che sua moglie non lo amava ma che ha comunque cercato di darle tutto quello che poteva, rinunciando a vivere lui stesso, almeno fino a che non è nata la figlia, sua ragione di vite. C'è Marga, migliore amica di Maria José fin dai tempi dell'asilo, un'amicizia di quelle destinate a durare per sempre e che solo il destino, o un'auto che invade la corsia opposta, possono troncare. C'è Joaquín, l'ex marito, amante della bella vita e delle donne, che ha usato Maria José per non rimanere da solo e che non si è accorto di quanto l'amasse finché non l'ha persa. E poi ci sono le persone del presente, quelle conosciute nell'ospedale in cui la donna si sta a poco a poco spegnendo: l'infermiera cubana Cleopatra, che fa mille lavori con la speranza di poter portare in Spagna anche la figlia rimasta in patria e che si dispera per un amore da cui, anche lei, di nuovo, è rimasta fregata. C'è Goumba, un giovane senegalese, paralizzato dal collo in giù, che si trova lì, da solo, che vorrebbe tanto sua madre lo raggiungesse e che viene in qualche modo adottato dalla famiglia di Maria José. Tutti questi personaggi che ruotano intono a quel letto, raccontando la loro storia e le loro amarezze e riuscendo a poco a poco a riprendere coscienza di sé stessi e della propria vita.
Un libro intenso, che una volta iniziato non si riesce a mettere giù, scritto molto bene (e molto, molto, meno insulso di quello che la copertina italiana lascerebbe intendere!) che parla di un argomento di cui non è facile riuscire a scrivere senza cadere nella banalità.


Questo è quello che verrebbe fuori se mi limitassi a recensirlo, a parlare solo ed esclusivamente del libro, cercando di tener lontani tutti i pensieri e i ricordi che ha riportato a galla. Ricordi e pensieri che in realtà sono sempre lì, nella mia mente, e che non se ne andranno mai. Perché so cosa significa stare vicino a una persona che ormai c'è solo più fisicamente. So quanto ci si senta insulsi, impotenti, disperati nel vederlo così e non poter fare niente. So quale incredibile legame si crea con gli infermieri, ma soprattutto con gli altri famigliari delle persone in quello stato, sconosciuti che si ritrovano a convivere in una stanza d'ospedale e a condividere il proprio dolore, ma anche quei pochi, pochissimi momenti di speranza che ci possono essere lì dentro. Una smorfia che potrebbe anche essere un sorriso, una frase sussurrata che forse in realtà non è neanche stata detta ma che è la nostra mente che vorrebbe a tutti i costi sentire, quel silenzio di rispetto che si crea quando magari tu decidi di leggere qualcosa per quel qualcuno che lì, davanti a te, ma che in realtà non sai bene dove sia. 
E poi c'è quella speranza (che in realtà nel libro manca) che non ti abbandona mai, anche se sai che è assurda, anche quando non ne puoi più. E che nella maggior parte dei casi a un certo punto, dopo giorni, mesi, anni, si infrange. E ti senti triste anche se sapevi che sarebbe successo, e sollevato perché finisce una tortura, per te, ma anche e soprattutto per chi è su quel letto. E ti rendo poi conto, in quel momento, che davvero la vita intanto è andata avanti, anche se a te sembra di esserti fermato.

Forse avrei dovuto limitarmi a parlare del romanzo, ma non sarebbe stata la stessa cosa. E poi alla fine la lettura è anche questo, no? Anche il romanzo più insulso (non è questo il caso, sia chiaro), può scavare nella nostra vita, entrarci dentro e suscitare ogni volta un'emozione, triste o allegra, in base anche al nostro passato, facendoci piangere, facendoci ridere, facendoci ricordare ma aiutandoci anche ad andare avanti... e forse è per questo che la amo così tanto.


Titolo: El tiempo mientras tanto - La vita, intanto
Autore: Carmen Amoraga
Traduttore: G Calabrese
Pagine: 305
Anno di pubblicazione: in Spagna 2011, in Italia 2012
Editore: in Spagna Planeta Editorial, in Italia Piemme
ISBN italiano :978-8856622393
Prezzo di copertina: in Spagna 8,95€, in Italia 15,50 €
Acquista su Amazon:
In Italiano: formato brossura: La vita, intanto
formato kindle: La vita, intanto

mercoledì 28 novembre 2012

DUE TITOLI, UN SOLO LIBRO: ma perché? #11

Ed è di nuovo mercoledì e quindi si parla di nuovo di titoli originali e delle loro traduzioni. E anche questa volta  ho deciso un po' all'ultimo chi sarebbe stato il protagonista di questa puntata. Avevo in mente due o tre libri che avrei potuto confrontare e la decisione finale non è stata semplice.

Ma alla fine ho deciso. E di nuovo si tratta di un romanzo semplicemente stupendo, il cui titolo nel passaggio in italiano ha subito un cambiamento particolare, che faccio fatica a spiegarmi.

Sto parlando del romanzo dell'autore australiano Markus Zusak THE BOOK THIEF ovvero LA BAMBINA CHE SALVAVA I LIBRI


Uscito in lingua originale nel 2006, questo romanzo è stato tradotto in italiano da G.M. Giughese per la casa editrice Frassinelli l'anno successivo, nel 2007.

Il romanzo è ambientato ai tempi del nazismo e della seconda guerra mondiale e la protagonista Liesel, una bambina che viene affidata dalla madre a una famiglia di tedeschi sperando così che possa sfuggire alle persecuzioni. Una bambina che ama tantissimo i libri, al punto di rubarli al posto del cibo, e che riuscirà proprio grazie ad essi a sopravvivere agli orrori dell'epoca in cui vive. E poi, quando capirete chi è la voce narrante rimarrete davvero stupiti!

La traduzione letterale del titolo originale è "La ladra di libri" (perché la protagonista è femminile ovviamente), e come mai si sia scelto di cambiarlo in "La bambina che salvava i libri" è difficile da comprendere. La prima cosa che si nota è che nel titolo italiano c'è la solita struttura della frase che tanto va di moda ultimamente ("La bambina che...", "La ragazza che...", "La donna che..."), di cui forse però questo libro è stato precursore (ricordiamo che è uscito nel 2007 e che la moda dei titoli tutti identici è invece più recente). Quello che però mi aveva sorpreso di più quando l'avevo letto è stato il passaggio da "ladra" a "salvatrice" di libri... certo, siamo nell'epoca del nazismo e sappiamo bene che bruciare i libri era uno dei loro passatempi, ed effettivamente la protagonista stessa riesce a recuperarne uno da un rogo, ma altri li ruba davvero.  E soprattutto non riesco a capire perché non sia semplicemente stato tradotto l'originale: sarebbe suonato bene anche in italiano, avrebbe rispettato perfettamente il senso del libro e non sarebbe caduto in quell'odiosa struttura di cui sopra. 

Devo però ammettere che invece, per quanto riguarda la copertina, la scelta italiana è molto più poetica ed evocativa rispetto a quella originale.

Che dite?

lunedì 26 novembre 2012

LE CORREZIONI - Jonathan Franzen

Enid e Alfred Lambert, in una città del Midwest americano, trascinano le giornate accumulando oggetti, ricordi, delusioni e frustrazioni del loro matrimonio: l'uno in preda ai sintomi di un Parkinson che preferisce ignorare, l'altra con il desiderio, ormai diventato scopo di vita, di radunare per un «ultimo» Natale i tre figli allevati secondo le regole e i valori dell'America del dopoguerra, attenti a «correggere» ogni deviazione dal «giusto». Ma i figli se ne sono andati sulla costa: Gary, dirigente di banca, vittima di una depressione strisciante e di una moglie infantile; Chip che ha perso il posto all'università per «comportamento sessuale scorretto»; infine Denise, chef di successo che conduce una vita privata discutibile secondo i Lambert.

Ci sono dei libri a cui per qualche motivo hai paura di avvicinarti, che tieni lì, sul comodino, per mesi, aspettando che sia il momento giusto, senza sapere quando e se arriverà. Quei libri che appena ti decidi a leggere, ti senti un'idiota per aver aspettato tanto. Quei libri che ti tengono sveglia la notte. Quei libri da cui non riesce assolutamente a staccarti, che ti isolano completamente dal mondo, al punto che non ti accorgi più se fuori piove o c'è il sole, se il caffè sta salendo, se l'acqua sta bollendo o se sono due ore che il cellulare suona senza che tu risponda. 
"Le correzioni" di Jonathan Franzen è tutte queste cose messe insieme. L'ho comprato a luglio, l'ho lasciato lì a prendere polvere fino alla settimana scorsa, convinta che avrei avuto delle difficoltà a leggerlo e che se non fosse stato il momento perfetto non sarei riuscita a portarlo avanti e ad appassionarmi. Non so bene da cosa derivassero tutti questi timori, forse da qualche recensione letta in giro, forse dal fatto che in tanti mi parlassero di questo libro come qualcosa di incredibile e meraviglioso e questo mi incuteva parecchio timore. So solo che erano assolutamente infondati e che ho aspettato tanto, troppo, per leggere forse uno dei libri più belli di quest'anno.

Franzen ci porta all'interno di una famiglia americana che da fuori potrebbe sembrare quasi normale ma che in realtà nasconde al suo interno tanti problemi, tante difficoltà, che sono poi le difficoltà che tutti possono avere, sebbene si cerchi sempre di ignorarle.
Enid e Alfred sono sposati da tanti anni. Il loro è un matrimonio strano, in cui la donna è sempre stata succube del marito, ingegnere per le ferrovie statali che però non è mai riuscito a fare carriera, aggrappandosi a dei principi che lo hanno lasciato indietro rispetto a tutti gli altri. Ora l'uomo è malato, Parkinson e Alzheimer che gli hanno fatto perdere tutta l'autorità che aveva verso la moglie. E lei, Enid, fa finta nulla, si nasconde dietro alle apparenze, per non dare a vedere agli altri i problemi della sua famiglia modello. E poi ci sono i tre figli, ormai lontani da casa e che trovano insopportabile l'idea della madre di riunirsi tutti insieme per un ultimo Natale nella casa di famiglia. C'è Gary, il figlio più grande, sposato con tre figli e sull'orlo della depressione a causa di un matrimonio che è perfetto solo se non si parla dei suoi genitori. Lui è il fratello più pratico, quello che vorrebbe avere il controllo di tutto: vendere la casa dei genitori, trasferirli in una casa di riposo, ritornare alla sua vita senza problemi.
In mezzo c'è Chipper, ex insegnante di comunicazione visiva che è stato licenziato dalla scuola in cui lavorava per aver avuto una relazione con un'alunna, e che ora vive con i prestiti della sorella, sognando di sfondare nel mondo del cinema come sceneggiatore, finchè non si imbarca in un'avventura illegale in Lituania, facendo soldi ingannando gli investitori americani. E poi c'è la più piccola, Denise, cuoco di talento ma dalla vita sentimentale travagliata e discutibile secondo i canoni della madre. Dei tre è quella che sembra più sicura di sé, anche se ancora non ha capito chi è e cosa vuole da se stessa.
Tutti e tre cercano di tenersi il più lontano possibile dai genitori, con cui non riescono ad avere un rapporto onesto: la madre critica troppo la figlia ed è troppo ossessionata dalle apparenze e dai canoni dell'società americana, il padre sfrutta troppo la madre senza considerare mai le sue esigenze e non sopporta che gli dicano cosa deve fare anche se per il suo bene. Così ritrovarsi tutti sotto lo stesso tetto un ultima volta diventa una tortura, fatta di frasi non dette e di episodi rinfacciati, di urla e sgridate, fino a che tutto il velo di apparenze crolla inesorabilmente.

La trama va avanti alternando episodi del presente a ricordi del passato, inseriti nella narrazione per delineare al meglio la vita di questa famiglia e di ogni personaggio, per capire cosa li ha portati ad essere quello che sono adesso. E Franzen gestisce tutto questo in modo davvero impeccabile, con uno stile scorrevole e mai noioso, in grado di disegnare un ritratto preciso,a volte ironico, altre doloroso, di una famiglia vissuta secondo i canoni prestabiliti di una società, dietro a imposizioni e "correzioni" che la madre cerca in ogni modo di trasmettere sui figli.
E' un libro incredibile, che una volta iniziato non si riesce a smettere di leggere. Consigliatissimo!

Nota alla traduzione: ben fatta direi!

Titolo: Le Correzioni
Autore: Jonathan Franzen
Traduttore: Silvia Peraschi
Pagine: 604
Anno di pubblicazione: 2005
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806174491
Prezzo di copertina: 14,50 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Le correzioni

giovedì 22 novembre 2012

Libri usati sì, libri usati no, libri usati boh!

Qualche giorno fa sul quotidiano LaStampa è uscito un articolo in cui veniva fatta un'analisi sulla situazione del settore dei libri usati.
Visti la crisi economica che stiamo vivendo, e le leggi fatte per salvare i librai ma che penalizzano in qualche modo i lettori, credo sia abbastanza ovvio che il mercato del libro usato sia, se non in crescita, almeno in pari rispetto agli anni passati, a differenza di quello che invece sta succedendo nell'editoria. Si tratta infatti di libri in condizioni abbastanza buone (a volte sembrano addirittura nuovi) venduti con notevoli sconti e che quindi permettono un considerevole risparmio. L'articolo sottolinea però che questa tendenza riguarda principalmente i "grossi" venditori di usato, che sono in realtà molto pochi (ricordiamo ad esempio la catena Il Libraccio che, grazie all'accordo con IBS, vende anche online). Le bancarelle invece, quei luoghi poetici e romantici in cui si riesce a trovare di tutto, sia libri più rari sia quelli appena usciti, dai libri più vissuti a quelli come nuovi, proprio bene non se la stanno passando (che sia un riflesso di quello che succede nell'editoria tradizionale, con le librerie di catena che schiacciano le indipendenti?)
La situazione è, anche questa volta, abbastanza complessa da analizzare, anche perché si tratta di un mercato di cui è difficile tenere traccia delle vendite e, di conseguenza, è difficile fare statistiche precise.
E infatti il mio scopo non è quello di fare un confronto tra i due settori (non ne ho assolutamente le competenze), ma di usare questo articolo come punto di partenza per una riflessione del tutto personale sul mio rapporto con il mondo dei libri usati, da cui è scaturito uno scambio di opinioni e di esperienze con i fan della pagina Facebook del blog.

Il fatto è che io non compro mai libri usati. A parte qualche fumetto (quelli vecchi, che amo tanto) e qualche manuale ai tempi dell'Università, credo che tutti i libri che ho in casa siano nuovi. Non saprei spiegarmi bene il motivo: un po' forse è perché, io che nemmeno sottolineo e che viaggio con un quadernino per segnarmi ogni cosa, ho sempre paura di trovarmi di fronte a  libri scritti, pasticciati o rovinati (sì, lo so, basta controllare prima di acquistarli e soprattutto anche chi li vende fa già di suo una bella selezione), un po'  perché non riesco a separarmi dai miei libri, nemmeno quelli brutti, e mi sembra incredibile che qualcun altro ci riesca, e un po' è anche perché l'idea che qualcun altro abbia "vissuto" un libro prima di me mi mette parecchio in soggezione: magari chi l'ha letto prima di me ha colto qualcosa che io non riesco a cogliere, magari ha avuto un significato diverso, magari nella mensola in cui era prima si trovava meglio che sulla mia o aveva vicini con cui andava più d'accordo, magari chi se ne è liberato lo ha fatto perché non gli è piaciuto e ora sta cercando di "fregare" me (che poi, lo ammetto, sarebbe esattamente quello che farei io... liberarmi di quelli che non mi sono piaciuti). Fatto sta che i libri o li compro nuovi o me li faccio prestare da persone che conosco e so come  li trattano. Anche quelli della biblioteca, che comunque ogni tanto frequento (sia per i libri sia per i buffi incontri che faccio sempre là dentro), mi suscitano emozioni contrastanti... soprattutto quando sono pieni di scritte e di sottolineature.

Tuttavia, mi rendo perfettamente conto che ognuno ha un suo modo diverso di vedere e di rapportarsi con i libri, sia per quanto riguarda quelli usati sia per il riuscire a liberarsi di quelli che già possiede, e magari quello che infastidisce me per altri può essere affascinante.
E quindi, come vi dicevo, ho chiesto al mio campione statistico preferito, ovvero i fantastici fan della pagina Facebook della Lettrice Rampante, qual è il loro rapporto con i libri usati, e sono venute fuori diverse interessanti opinioni ed esperienze.

Sono molti, la maggior parte di quelli che hanno commentato, ad aver dichiarato di acquistare spesso, spessissimo, libri usati. C'è chi ormai viene riconosciuto dai proprietari delle bancarelle, chi si infila in ogni libreria dell'usato che incontra per strada e chi si affida a internet, tramite siti specializzati, come il già citato Libraccio, o tramite contatto diretto con privati che vendono i loro libri.
Alle obiezioni che ho citato prima rispondono dicendo che sottolineature, date, frasi e appunti contribuiscono a rendere il libro più affascinante e misterioso, come se oltre alla storia che contiene ne avesse anche un'altra da raccontare, quella di chi l'ha letto prima di noi. A molti piace questa idea dei libri che passano di mano in mano, che arrivano da posti e persone sconosciute che hanno vissuto situazioni diverse. Ed effettivamente mi rendo conto che tutto questo ha il suo fascino.
Certo, c'è chi giustamente fa notare che comunque questi libri non devono essere troppo scarabocchiati o rovinati e che se non c'è un buon rapporto tra condizione e prezzo evitano l'acquisto.Eh sì, ovviamente quello del prezzo è un altro punto a favore dell'acquisto di libri di seconda, terza, dodicesima mano: il risparmio economico c'è e a volte è anche notevole. Soprattutto se associato alla possibilità di trovare libri rari, edizioni pregiate od opere ormai fuori catalogo che altrimenti non si troverebbero.
E poi c'è anche chi dice che li compra e basta, senza badare troppo al loro stato "di salute", purché si riescano a leggere.

Dall'altro lato però ci sono anche diversi lettori che, come me, comprano solo libri nuovi. I motivi sono diversi: la volontà di avere un'opera senza legami affettivi precedenti, la paura delle condizioni in cui questi si possono trovare, la stessa incapacità che ho io di credere che qualcuno riesca a separarsi da un libro, o anche semplicemente problemi di reperibilità. La motivazione che però più mi ha fatto sorridere, e a cui ammetto di non aver mai pensato, è stata questa: "molti hanno l'abitudine di leggere in bagno... e se penso che il mio ipotetico libro usato è stato letto lì mentre io leggo prettamente a letto... mi fa senso!!!". Ammetto di capirla perfettamente... e pochi commenti dopo effettivamente anche una lettrice che invece ama i libri usati rivela che li legge solo quando è fuori casa e mai sotto le coperte.

Per quanto riguarda invece il processo contrario, ovvero il vendere i propri libri, sono pochi quelli che dicono di farlo. La motivazione principale e comune a tutti è che non riescono a liberarsene: poco importa se ormai hanno ogni angolo di casa invaso dai volumi, non si da' via niente!
Tra quelli che invece riescono in qualche modo a fare a meno di alcuni dei libri che possiedono c'è chi li vende e chi preferisce regalarli alle biblioteche. La motivazione anche in questo caso è sempre la stessa: permettere a un libro che non è piaciuto di avere una seconda, terza o innumerevoli altre opportunità.

Ovviamente ogni lettore ha le sue abitudini nel suo rapporto con i libri e questo post non ha nessuna pretesa statistica né vuole esprimere alcun giudizio su cosa sia meglio tra libri nuovi o libri usati (come dice una fan: "ognuno faccia un po' come gli pare!"). Ho provato solo a offrire un piccolo spaccato, lontano da numeri e statistiche ufficiali, delle abitudini di un gruppo di lettori.
(Non ho parlato del bookcrossing volutamente, in quanto penso che meriti un post a parte)

Poi, per quanto mi riguarda, nuovo o usato, immacolato o sottolineato, pieno di fiori e vecchi segnalibri o con le pagine ancora attaccate tra loro, l'importate è che i libri si leggano!

mercoledì 21 novembre 2012

DUE TITOLI, UN SOLO LIBRO: ma perché? #10

Ed eccoci arrivati alla puntata di questa settimana della rubrica sulla traduzione dei titoli (che noto con estremo piacere stare riscuotendo un certo successo). Sono stata indecisa fino all'ultimo sul protagonista di quest'oggi ma alla fine ho deciso di fare una puntata "monografica" su un unico autore, di cui ho letto tutti i romanzi e che amo tantissimo.

Mi riferisco a Brendan O'Carrol, scrittore, sceneggiatore e commediografo irlandese che deve la sua fama in Italia alla strepitosa saga di libri che ha come protagonista la mitica Agnes Browne, da cui è stato poi tratto anche un film.
Ho letto questi romanzi qualche tempo fa, contagiata dall'entusiasmo di una mia amica che me li ha passati tutti: quattro sono quelli che compongono la saga della donna, a cui se ne aggiunge un quinto che però non ha nulla a che vedere con Agnes Browne (e che ovviamente, viste le aspettative, è stata un po' una delusione).
In Italia tutti i romanzi sono editi dalla casa editrice Neri Pozza. Vediamo cosa succede con i titoli.

Il primo romanzo ad essere uscito è stato "The Mammy" ovvero "Agnes Browne Mamma":

Uscito in lingua originale nel 1999, ci sono voluti quasi dieci anni perché arrivasse anche in Italia, nel 2008, con la traduzione di Gaja Cenciarelli. La prima cosa che si nota è che la copertina italiana viene mantenuta uguale a quella originale, una scelta che non cambierà nemmeno con i romanzi successivi. Per quanto riguarda il titolo, l'originale si riferisce al modo in cui in Irlanda viene chiamata la mamma (una variazione dell'inglese "mum"). La scelta italiana di aggiungere il nome della protagonista davanti alla parola "mamma" è a mio avviso una scelta sensata e completamente giustificabile: usare la semplice traduzione letterale, che avrebbe anche perso il riferimento culturale all'Irlanda, non sarebbe stata efficace per descrivere il libro.

L'episodio successivo è "The Chisellers" ovvero "I marmocchi di Agnes":
Uscito in lingua originale nel 2000 e in italiano nel 2008, sempre con la traduzione di Gaja Cenciarelli, anche in questo caso si nota subito l'utilizzo della stessa foto, solo con colori in evidenza, per la copertina. Il titolo originale è un'altra espressione colloquiale tipica irlandese utilizzata per indicare i bambini. La scelta italiana è a mio avviso nuovamente azzeccata: anziché utilizzare l'espressione comune "bambini" si sceglie una parola un po' più colloquiale, seguita dal complemento di specificazione che fa si che il libro sia immediatamente ricollegato alla saga di Agnes Browne.

Poi i bambini crescono e la saga continua con "The Granny" ovvero "Agnes Browne Nonna"

Il libro in lingua originale è uscito a pochi mesi di distanza dal suo precedente, sempre nel 2000, mentre in Italiano è uscito un anno dopo, nel 2009, sempre con la stessa traduttrice e la stessa copertina. Per il titolo si è seguita la stessa logica del primo della serie: un semplice "La nonna" probabilmente non avrebbe avuto molto significato per il lettore e quindi si è aggiunto il nome della protagonista, proprio come era già successo con "Agnes Browne mamma".

L'ultimo libro della serie è "The Young Wam" ovvero "Agnes Browne Ragazza"

Sebbene sia uscito qualche anno dopo rispetto agli altri tre della serie, nel 2004 in lingua originale e nel 2009  in italiano con la traduzione questa volta di Massimiliano Morini, "The Young Wam" è in realtà una sorta di prequel, che racconta le vicende di Agnes prima che si sposasse. "Wan" è il termine colloquiale irlandese utilizzato per indicare una ragazza e la versione italiana segue nuovamente la logica dei precedenti con una traduzione letterale a cui aggiunge il nome della protagonista .

Qualche anno dopo è uscito in Italia un nuovo romanzo di Brendan O'Carrol che però non ha nulla a che fare con Agnes Browne e la sua storia. Le aspettative ovviamente erano altissime e hanno probabilmente penalizzato il  libro di fronte ai lettori che tanto avevano amato la saga precedente.
Il romanzo si intitola "Sparrow's Trap" ovvero "Birra e Cazzotti"
Questo romanzo era uscito in realtà in lingua inglese già nel 1997, quindi prima della saga di Agnes, con il titolo "Sparrow's Trap".  E' poi uscita una nuova edizione, nel 2011, con il nuovo titolo "The Scrapper" e con la copertina uguale alla versione italiana. Non è ben chiaro perché sia avvenuto questo cambiamento, anche se mi permetto di ipotizzare che potrebbe essere dovuto alla volontà di dare comunque un po' di continuità alla linea di titoli e copertine scelta per la saga di Agnes Browne. Il titolo "Sparrow's trap" , letteralmente "la trappola di Sparrow", si riferisce al nome del protagonista, che da un passato di promessa del pugilato, si ritrova anni dopo a vivere una vita frustrata e insoddisfacente, in mezzo a persone che non riescono a superare la sua disfatta di tanti anni prima. "The Scrapper" invece potrebbe essere tradotto letteralmente con il "combattente". Nella versione italiana, "Birra e Cazzotti" si nota subito una forte discrepanza con il titolo originale, che a mio avviso penalizza e non poco la percezione della trama. Una scelta azzardata e a mio avviso non molto giustificabile.

Come si è notato quindi, i libri della saga di Agnes Browne hanno subito solo dei piccoli cambiamenti rispetto al titolo originale, giustificati dalla necessità di dare una maggiore chiarezza al lettore. 
L'ultimo romanzo invece  (che in realtà, come si diceva, in originale è stato pubblicato per primo) subisce una trasformazione azzardata di cui non si riesce a comprendere molto il significato... se avessero voluto mantenere l'assonanza con la saga precedente, come la scelta della copertina lascerebbe intendere, forse avrebbero potuto scegliere un titolo tipo "Sparrow McCabe Pugile"... che, per quanto banale e non molto bello, avrebbe sicuramente avuto più senso di quello poi scelto.

In ogni caso, vi consiglio di leggere la saga di Agnes Browne, ve ne innamorerete sicuramente!

martedì 20 novembre 2012

SCRIVIMI D'AMORE - Tanya Gibson

II sedicesimo compleanno di Carley Wells si avvicina, e i suoi genitori decidono di farle un regalo molto speciale. Che li renderà ancora più chic nella piccola e ricca comunità di Long Island, e darà alla figlia qualcosa a cui appassionarsi: un libro scritto apposta per lei. Perché Carley è pigra, rotondetta, non le piace studiare e soprattutto non ama i libri. La sua unica ragione di vita è Hunter, il ragazzo di cui è disperatamente innamorata, il suo bellissimo amico, intelligente, brillante e grande lettore. Soprattutto di Francis Scott Fitzgerald, del quale comincia pericolosamente a seguire le orme. Mentre il suo romanzo prende forma, Carley intuisce per la prima volta la forza delle storie che leggiamo, in cui desideriamo credere, e soprattutto di quelle che ci raccontiamo su noi stessi. Storie tanto potenti da distruggere una persona. O da salvarla.

Se avessi abbandonato il libro tutte e tre le volte in cui ho pensato di farlo, questa recensione inizierebbe in modo molto ma molto più acido. Perché delle prime 200 pagine non si capisce assolutamente niente (e 200 pagine su un libro di 450 non sono poche).
Il titolo, ovviamente storpiato dall'originale per renderlo più accattivante (e completamente fuorviante), lasciava intendere un romanzetto rosa, di quelli leggeri che vanno bene per passare qualche ora completamente rilassati, che ammetto di acquistare ogni tanto (in questo caso il prezzo superscontato ha influito parecchio sulla decisione). Anche perché la trama sembrava piacevole: un libro che parla di libri e dell'amore per essi.

E poi però si inizia a leggere e ci si ritrova catapultati in un mondo fatto completamente di apparenze, dove l'importante non è quello che si è ma quello che gli altri pensano tu sia e dove i soldi possono comprare tutto. Gli abitanti di Fox Glen sono tutti così: fanno a gara a chi ha la casa più grande, a chi fa la festa più bella, a chi ha il figlio più bello, a chi ha più soldi. Tutti sono amici di tutti, anche se si odiano a morte. La famiglia Wells appartiene a questa comunità: il marito Frances è un imprenditore che si è arricchito con il business dei reggiseni, la moglie Gretchen ha lasciato tutto per seguirlo e ora, pur vivendo nel lusso, non passa giorno in cui non si vergogni del lavoro che fa. I due hanno una figlia, Carley: una ragazzina obesa con poca autostima, che odia studiare, non ha mai letto un libro in vita sua e passa le sue giornate a guardare reality e serie tv. La madre non sopporta l'aspetto della figlia: le nasconde il cibo e le lancia continui riferimenti sul peso e sull'aspetto, unica ragione secondo lei per cui la figlia  ha pochissimi amici e soprattutto motivo per cui presto perderà l'unico che ha, ovvero Hunter, ragazzo bellissimo e intelligente che tutti idolatrano.
Per il suo sedicesimo compleanno, i genitori di Carley decidono di farle un regalo speciale: comprare un autore che scriva un libro per suo conto. La scelta ricade su Bree McEnroy, una giovane autrice squattrinata, con all'attivo un solo romanzo, "Scilla e Odisseo" , e vincitrice di una borsa di studio sconosciuta, consigliata ai Wells da Justin Leighton, autore di successo che vive nell'ombra da quando una sua fan, durante la presentazione di un suo libro, ha sparato ferendolo gravemente e uccidendo altre due persone. Bree non sa che Justin viva a Fox Glen e, quando lo scopre, il primo impulso è quello di fuggire.
Carley e Bree stringeranno un rapporto strano durante la stesura del libro: la ragazzina a poco a poco si aprirà e prenderà consapevolezza di sé e, soprattutto, del suo rapporto con Hunter. Lei è innamorata, lui è sull'orlo del baratro in cui tutte le aspettative che gli altri hanno nei suoi confronti lo hanno trascinato: beve, cambia ragazza ogni sera ed è dipendete dal Vicodin. Ma ogni volta torna da lei, convinto che sia sufficiente chiederle scusa per poter riparare ogni cosa. Fino all'epilogo, in cui un fiore sboccia mentre un altro appassisce.

Come si può capire, la trama è davvero intricata e molto difficile da seguire, almeno finché non si riesce a capire dove voglia andare a parare l'autrice. E questo, come dicevo prima, succede intorno a pagina 200. Fino ad allora, ci si trova immersi in pagine dalla comprensione davvero difficile, in cui eventi della vita di Carley e Hunter si mescolano a quelli dei genitori e a quelli del passato di Bree e Justin. E' davvero difficile seguire la storia e la tentazione di abbandonarlo è stata molto forte.
 Poi però, all'improvviso, mi sono ritrovata completamente immersa nella lettura, ho iniziato a comprendere i personaggi e la loro storia, a simpatizzare per alcuni e odiarne altri e, soprattutto, a capire quale fosse il vero scopo del libro. L'amore per la lettura, che nella quarta di copertina sembra il punto nevralgico di tutto il libro, è in realtà un semplice espediente per parlare di una società triste, dove le aspettative sono più importanti della realtà e dove le apparenze nascondono l'evidenza. E non tutti sono in grado di sopravvivere in un mondo così. E a cedere sono sempre quelli ritenuti più forti.
Alla fine del libro ero in lacrime. Davvero, era un po' che non mi capitava di piangere leggendo e mai più avrei pensato che sarebbe stato questo libro a farmelo fare. Ero in lacrime per Carley, che nonostante l'odio della madre e i kg di troppo ce l'ha fatta, ero in lacrime per Bree, che finalmente è riuscita a trovare la sua strada, ed ero in lacrime per Hunter, un moderno Gatsby che nessuno è stato in grado di aiutare e di salvare da se stesso.

Non vi consiglio di correre a cercare questo libro e di leggerlo assolutamente, perché superare le prime duecento pagine richiede davvero uno sforzo sovraumano, che posso capire che uno non abbia voglia di compiere. Però, se per caso vi capita tra le mani, magari un'occhiata dategliela. Forse sapendo cosa vi aspetta troverete meno difficoltà di me e riuscirete ad apprezzarlo anche prima di arrivare a pagina 200.

Nota alla traduzione: ci sono diversi calchi, diversi errori e credo che parte della difficoltà della lettura sia dovuta a una traduzione zoppicante.
A parte è il discorso del titolo: l'originale era "How to buy a love of reading" ed è diventato "Scrivimi d'amore"... no comment.

Titolo: Scrivimi d'Amore
Autore: Tanya Gibson
Traduttore: Valeria Bastia
Pagine: 472
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: Frassinelli
ISBN: 978-8888320458
Prezzo di copertina: 19,50 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Scrivimi d'amore

domenica 18 novembre 2012

Libri che vorrei #4

E' passato quasi un mese dell'ultimo post di "Libri che vorrei" ed è inutile dire che la mia wish list si nuovamente allungata. Uno non fa in tempo a togliere qualcosa che subito deve mettere altro... Ma per fortuna tra poco è Natale e spero di riuscire a smaltirla di un bel po'!
I libri della puntata di oggi sono tutti abbastanza recenti, alcuni pubblicati da pochissimo, altri durante l'anno. Solo uno risale a qualche anno fa, e vi spiegherò perché. Iniziamo:


REGALO DI NOZZE,  Andrea Vitali (Garzanti 2012)
Trama: Ercole Correnti ha ventinove anni, tra qualche giorno si sposa, dopo cinque anni di fidanzamento. In una calda domenica d'agosto, mentre sta andando a pranzo dalla mamma, sul lungolago vede una Fiat 600 bianca. È uguale alla macchina sulla quale lui aveva fatto il primo viaggio della sua vita, vent'anni prima. Con mamma Assunta, papà Amedeo e soprattutto lo zio Pinuccio. Indimenticabile, quella gita, come lo zio Pinuccio. "Nato gagà", come diceva sua sorella Assunta. Ma anche insuperabile cacciaballe, raccontava di essere mediatore d'affari per i grandi produttori di seta del comasco. Grazie ai suoi mirabolanti racconti, era in grado di affascinare qualunque femmina gli capitasse a tiro. Ma anche un po' misteriosa, quella gita: Ercole ne riuscirà a scoprire i retroscena solo vent'anni dopo, in quell'afosa domenica di fine agosto.

Chi segue un po' questo blog sa già quanto mi piaccia questo autore italiano. Certo, va preso a piccole dosi: leggere tanti suoi romanzi uno in fila all'altro alla fine tende a renderlo un po' noioso e ripetitivo. Ma se si aspetta il giusto tempo, ogni suo libro riesce ad appassionare. E ora è effettivamente un po' che non leggo nulla di suo.


MILIONI DI MILIONI, Marco Malvaldi (Sellerio, 2012)
Trama: Nei gialli alla maniera di Malvaldi, in cui si ride della cinica ironia dei personaggi, i luoghi sono fondamentali per l'equilibrio tra umorismo e suspense. Montesodi Marittimo è un paesino toscano di una certa altitudine, nonostante il nome, per di più molto scosceso. Una persona su due porta un doppio patronimico, il secondo dei quali è sempre Palla. Eredità di un marchese Filopanti Palla, gran gaudente, pentitosi in punto di morte di lasciare tanti bambini senza un nome legittimo. Inoltre su Montesodi aleggia un mistero: è considerato "il paese più forte d'Europa". Per scoprirne la causa, vengono mandati dall'Università un genetista, Piergiorgio Pazzi, e una esperta di archivi, Margherita Castelli. Trascorsi i primi giorni, nel panorama umano che gli si offre, i due non trovano nulla di cui meravigliarsi, tranne la forza. È un mondo abitudinario, dominato da due gruppi familiari: il sindaco, l'onesto e schietto Armando Benvenuti, con la moglie Viola, e la maestra Annamaria Zerbi Palla, anziana vedova, con un figlio poco amato. La sorpresa arriva con una tremenda tempesta di neve che isola il paese per giorni. Piergiorgio, che alloggia nella casa della Zerbi, una mattina trova l'energica signora abbandonata in poltrona senza vita. Sembra, a prima vista, un attacco di cuore, ma Piergiorgio capisce che non si tratta di morte naturale e poiché il paese è isolato l'assassino non può essere andato via.

Marco Malvaldi è un altro di quegli autori italiani che ho scoperto da pochissimo e di cui mi sono innamorata. Certo, le trame dei suoi gialli non sono nulla di eccezionale, ma riesce a creare dei personaggi davvero incredibili, in grado di far ridere un sacco con le loro indagini strampalate. In questo caso manca il BarLume e forse la mia curiosità verso questo libro deriva proprio da questo: vedere se l'autore riesce a uscire dal suo solito schema.


LA FAVOLOSA VITA DI HENRY N. BROWN, ORSETTO CENTENARIO, Anne Helene Bubenzer (Sperling &Kupfer, 2012)
Trama: Bath, 1921. La guerra è finita da poco, e Alice Sheridan è una ragazza triste. Il suo grande amore, William, non ha più fatto ritorno dal fronte, e la sua vita non è più quella di prima. E per questo che un giorno, all'ora del tè, Alice decide di prendere ago e filo e mettere insieme i pezzi di un nuovo amico: due bottoni per gli occhi, un batuffolo di cotone per il naso, ed ecco Henry N. Brown, orsetto di peluche. Un orsacchiotto diverso dagli altri: perché Alice gli ha cucito dentro un segreto. Un minuscolo segreto di metallo che lei chiama amore. Comincia così la storia di Henry, che, da allora, di amore ne ha dato e ricevuto, durante i lunghi anni in cui è passato di mano in mano: la sua esistenza è stata ricca, curiosa, piena di incontri. Ovunque sia approdato, ha conquistato adulti e bambini con il suo sguardo tenero e sapiente e l'incrollabile capacità di ascoltare. Ha visto la guerra e il suo furore, ha conosciuto le grandi città d'Europa e ha avuto moltissimi amici: dal piccolo Robert con cui condivise una spericolata infanzia parigina, a Marlene che lo regalò al fidanzato in partenza per il fronte russo, a Nina, bambina ammalata nell'Ungheria sovietica. Senza mai dimenticare la sua prima amica, che gli fece il regalo più importante. E così, oggi, Henry ci racconta la sua storia. Che è soprattutto una storia d'amore: quello che gli è stato cucito dentro il primo giorno, il filo rosso della sua lunga vita.

Ho scoperto questo romanzo per puro caso, leggendo una recensione sulla rivista ArtIn Time e me ne sono innamorata. Sarà che ho ancora tutti i miei peluche di quando ero bambina sulla mensola sopra il letto, sarà che trovo la trama di questo libro estremamente poetica... non lo so, so solo che mi è venuta una voglia immediata di leggerlo.


MIELE, Ian McEwan (Einaudi 2012)
Trama: La prima voce narrante femminile di McEwan dall'epoca di "Espiazione", Serena Frome, è una figlia degli anni Sessanta senza slogan né rivoluzioni, una figlia borghese cresciuta dal padre vescovo entro i confini protetti di una cattedrale, lontana dalle inquietudini politiche e sociali che sferzano la Gran Bretagna dei primi anni Settanta. La sua iniziazione al mondo si compie attraverso un amante maturo, docente di storia e amico personale del ministro dell'Interno, che a Serena insegna ad accostare il giusto vino al giusto cibo e a contemperare la baldanzosa lettura di Solzenicyn con quella approfondita di Churchill, e che, prima di sparire misteriosamente dalla sua vita, le spezza il cuore e le regala un mestiere: un incarico all'MI5. Che cosa possono volere ai piani alti della prestigiosa agenzia d'intelligence britannica da una bionda ragazza di buona famiglia con una mediocre preparazione matematica faticosamente rimediata a Cambridge e una prodigiosa, ancorché superficiale, rapidità di lettura? Farne una pedina nella cosiddetta "guerra fredda culturale": Serena parteciperà all'operazione "Miele", con la quale l'agenzia intende finanziare occultamente scrittori ritenuti affini alla causa dell'Occidente trasformandoli in inconsapevoli agenti della propaganda anticomunista. Il candidato ideale è individuato in Tom Haley, promettente autore di alcuni apprezzati racconti e di qualche articolo critico nei confronti del blocco sovietico.

Io con McEwan ho un rapporto molto particolare. Ho amato tantissimo alcuni dei suoi romanzi ("Espiazione" e" Sabato") e odiato tantissimo altri ("Cortesie per gli ospiti" e "L'amore fatale"). Per cui ogni volta che esce un suono nuovo romanzo sono un po' combattuta se leggerlo o meno. Ad attrarmi di questo è l'idea che ci sia una protagonista femminile, proprio come in Espiazione, per me il suo capolavoro (anche se so che gli amanti di questo autore lo considerano più una parentesi dal suo solito stile). Io nel dubbio comunque lo metto in wish list.


SIMON'S CAT CONTRO TUTTI, Simon Tofield (TEA, 2012)
Trama: Il gatto più famoso del web è tornato con un nuovo, fantastico libro. Nuove avventure raccontate con quell'irresistibile ironia che ha reso Simon Tofield uno dei vignettisti più apprezzati al mondo. Un nuovo libro illustrato a colori.

Ormai dovreste saperlo, io amo questo gatto. Amo i suoi video su youtube e le sue avventure grafiche. Mi è appena arrivato la raccolta precedente a questa, Voglio la pappa e la voglio adesso, ed è fantastica (anche se un pochino troppo sottile...). E ora voglio anche questa! (e la voglio adesso!)


ADAM E EVELYN, Ingo Schulze (Feltrinelli, 2009)
Trama: Germania dell'Est, 1989. Le donne amano Adam perché confeziona loro abiti che le rendono belle e desiderabili. Adam ama le belle donne. Così, quando le donne indossano i suoi abiti, Adam le desidera tutte. A parte questo, Adam ama Evelyn. Quando lei, in un afoso giorno d'agosto, lo coglie in flagrante tradimento, lo pianta in asso e va in vacanza sul lago Balaton con un'amica e il cugino di lei. Adam li segue. Per Evelyn andrebbe in capo al mondo, e forse dovrà proprio farlo, visto che l'Ungheria vuole aprire il confine a ovest. All'improvviso il frutto proibito è lì, a portata di mano, e ognuno deve decidere se coglierlo o no. Nella situazione eccezionale di quella tarda estate dell'89, nel clima sospeso di un'improvvisa libertà di scelta, Ingo Schulze riscopre l'origine mitica dell'uomo, il divieto e la tentazione, l'amore e la conoscenza, e con essi l'anelito del paradiso. Dove si trova il paradiso? In un gioco di rimandi con il mito biblico di Adamo ed Eva, Ingo Schulze crea una leggiadra tragicommedia che offre una chiave di lettura di quella storica estate del 1989, quando il frutto proibito sembrava a portata di mano.

Qualche giorno fa, parlando sulla pagina facebook del blog con una mia amica che ha studiato tedesco all'università, mi sono resa conto di non conoscere per nulla a letteratura tedesca contemporanea e lei mi ha consigliato questo romanzo. Sono andata a leggerne la trama ed effettivamente mi sa proprio di un libro che potrebbe piacermi e appassionarmi. E iniziare magari a colmare un pochino le mie lacune in materia.

Che ne pensate? Voi li avete letti o pensate di farlo?
Alla prossima!!

venerdì 16 novembre 2012

IL PROFUMO DEL CAFFE' - Anthony Capella

Londra, 1896. Robert Wallis ha ventidue anni e conduce una pigra esistenza da esteta, tra oppio, vaghe aspirazioni letterarie, una raffinatezza ricercata e languidi incontri con donne di facili costumi. Vive in un limbo ozioso: non più studente, dopo l'espulsione da Oxford, non ha alcuna fretta di trovare lavoro, assistito com'è dalla benevola munificenza del padre. Il giovane bohémien ignora però di avere un dono prezioso: un palato molto sensibile e una "plume" precisa ed elegante, capace di tradurre in parole ogni sfumatura del gusto. Il caso vuole che un giorno capiti al Café Royal, la brasserie frequentata da Robert e da una nutrita schiera di eccentrici nullafacenti come lui, Samuel Pinker, un mercante di caffè basso come uno gnomo e dall'aria compunta e sobria come la sua finanziera senza fronzoli. Perspicace come pochi, Pinker assolda il giovane esteta per un progetto rivoluzionario: creare un cofanetto di aromi per dare al caffè un lessico universale. Il mercante ha una figlia, Emily, una ragazza dal viso espressivo e vivace, e dai capelli setosi e dorati raccolti in una crocchia severa. La razionalità e tenacia di Emily, allevata dal padre all'insegna del progresso e della modernità, compensano perfettamente la mollezza sensuale di Robert e, con grande disappunto di Pinker, tra i due nasce un amore condito da profumi e sapori afrodisiaci.

Mi ricordo che da bambina, ogni volta che mio padre prendeva il caffè lo obbligavo a lasciarmi il fondo: grazie allo zucchero si formava una specie di crema, una vera golosità per una bambinetta di sette-otto anni. Credo che la mia passione per il caffè sia iniziata proprio da lì. Per carità, non sono di quelle persone che deve bere venticinque tazzine al giorno per rimanere sveglia o che non esce di case senza averlo preso, né sono una grande esperta di miscele e di aromi... però il gusto mi piace davvero tanto.
E anche il profumo, effettivamente. Quindi è stato inevitabile per me sentirmi attratta da questo libro. Certo, il fatto che fosse un romanzo storico ha sicuramente aiutato (così come il fatto che fosse edito dalla Neri Pozza, per me una garanzia quando ho voglia di leggere un romanzo di questo genere), ma comunque avevo la certezza di trovarmi di fronte a un libro che mi sarebbe sicuramente piaciuto. Ed effettivamente così è stato.

Il romanzo è ambientato a Londra alla fine dell'800 inizio del '900 e racconta dell'arrivo e della diffusione del caffè nel paese. Protagonista è Robert Wallis, un giovane dandy che sogna di diventare poeta e vive nell'ozio più totale, scialacquando tutti i soldi che il padre gli da' in vestiti stravaganti e bordelli, sicuro che questo sia l'unico modo per risvegliare le muse che per il momento proprio non ne vogliono sapere di fargli visita. Una mattina incontra in una brasserie Samuel Pinker, un mercante di caffè che, colpito da un'affermazione fatta dal giovane sulla bevanda che stava gustando, gli chiede se vuole lavorare per lui per un progetto: la creazione di una guida universale per i vari gusti del caffè. Robert accetta e si ritrova a lavorare in questa azienda a conduzione famigliare. Il signor Pinker ha infatti tre figlie: c'è la più piccola, La Rana, che è ancora una bambina che si nasconde sotto i tavoli, c'è Ada, che lo guarda con estrema diffidenza, e poi c'è Emily, la più entusiasta e appassionata di tutte. I due si ritroveranno a lavorare ogni giorno fianco a fianco, bevendo caffè e assaporandone l'aroma, ed inevitabilmente inizieranno un processo di corteggiamento e innamoramento. Il signor Pinker però, un po' per mire espansionistiche, un po' per allontanare il ragazzo dalla figlia prima che compiano gesti irreparabili, spedisce Robert in Africa con la missione di dar vita a una nuova piantagione. Potrà tornare solo dopo quattro anni e allora, forse, sposare Emily. 
Durante il viaggio, Robert entrerà in contatto con realtà molto diverse, mettendo in dubbio il lavoro stesso di Pinker. Ma soprattutto incontrerà una schiava, dalla pelle nerissima, gli occhi chiarissimi e la pelle profumata di caffè  di cui si si innamorerà perdutamente. Decide di spedire una lettera ad Emily in cui le comunica di non volerla più sposare e si butta senza riflettere in questa nuova relazione. Qualcosa però va storto: la donna non era esattamente quello che sembrava e la piantagione di caffè, vuoi per inesperienza vuoi perché la natura spesso si ribella alle imposizioni dell'uomo, non riesce a crescere. Robert torna in Inghilterra, più solo e più povero di quando era partito. Trova una Londra cambiata, lontana dagli sfarzi bohémien del passato. E anche il caffè ormai sta diventando un prodotto per tutti: lo stesso Pinker ha abbandonato la qualità a vantaggio di una diffusione di massa.
Ma la più cambiata è Emily, costretta in un matrimonio con un uomo troppo ancorato alla visione della donna del passato e che quindi le impedisce di vivere come vorrebbe. Di nascosto dal marito diventerà una suffragista, prendendo parte attivamente al movimento per ottenere il suffragio femminile. Accanto a lei, c'è Robert, che la ama ancor più di prima ma che sa che non potrà mai averla.

E' un libro incredibile, di quelli che quasi si leggono da soli e che riescono ad appassionarti dall'inizio alla fine. Anthony Capella riesce grazie a questi personaggi, tutti ben caratterizzati e assolutamente credibili, a creare uno spaccato molto realistico della società inglese dell'epoca e di tutte le sue caratteristiche: i dandy, le suffragette, la diffusione di una cultura di massa tramite la pubblicità, il problema del colonialismo e dello sfruttamento dei paesi più poveri, la diffusione delle teorie di Freud sulla sessualità femminile e sulla visione delle donne, la borsa e la nascita degli speculatori. Il tutto accompagnato da una storia d'amore lunga, sofferta ma anche tanto, tanto appassionata, a cui il caffè e tutti i suoi aromi riescono a conferire un alone di magia e sensualità. Certo, forse il finale è un tantino prevedibile, ma credo si tratti anche dell'unico possibile.

Consigliatissimo (anche se non bevete mai caffè)!

"Ho imparato quello che deve imparare ogni uomo senza che nessuno glielo possa insegnare: che nonostante ciò che dicono i poeti, esistono diversi tipi d'amore.
Non intendo limitarmi ad affermare che ogni storia d'amore sia diversa dalle altre. Invece, l'amore stesso non è fatto di un'emozione sola, ma di molte. Proprio come un buon caffè odora, forse, di cuoio, tabacco e caprifoglio insieme, così l'amore è un misto di sentimenti diversi: infatuazione, idealismo,tenerezza, passione, bisogno di proteggere o di essere protetti, desiderio di possesso, cameratismo, amicizia, apprezzamento estetico e mille altri.
Non esiste un codice o un regolamento capace di guidarvi tra questi misteri. Alcuni si svelano solo andando in capo al mondo, si intuiscono nello sguardo di uno sconosciuto. Altri si ritrovano in camera da letto, altri ancora in una strada affollata. Alcuni vi bruceranno come una farfalla notturna, lambendovi con le loro fiamme, e altri vi avvolgeranno di un dolce tepore. Alcuni vi procureranno piacere, altri felicità, e altri ancora - se siete fortunati- vi faranno entrambe le cose.
La risata di una donna, il profumo di un bambino, la preparazione di un caffè sono tutti sapori diversi dell'amore."

Nota alla traduzione: direi tradotto bene! C'è qualche nota qua e là per spiegare qualche gioco di parole altrimenti intraducibile, ma non danno particolare fastidio nella lettura.

Titolo: Il profumo del caffè
Autore: Anthony Capella
Traduttore: Maddalena Togliani
Pagine: 526
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Neri Pozza
ISBN: 978-8854505797
Prezzo di copertina: 18,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Il profumo del caffè

giovedì 15 novembre 2012

PREMIO UNIA - 7 domande x 7 blog

Seppur mi faccia estremamente piacere ricevere i premi, solitamente non seguo le regole e non rispondo mai alle domande, ringraziando semplicemente chi me l'ha assegnato.
Questa volta però sì tratta di un premio, il Premio Unia, dedicato ai libri e alla lettura, con domande inerenti a questo tema. E quindi ho deciso di partecipare.
Innanzitutto ringrazio Daniela del blog Inchiostro Bianco per avermelo assegnato. Ricevere premi da lei è per me davvero un onore.
Ora veniamo alle 7 domande:

Qual è il primo libro che hai letto in assoluto?
Non sono del tutto sicura. Mi ricordo che i miei tentarono in tutti i modi di farmi leggere Pollyanna intorno ai 7 anni, senza alcun successo. Ricordo anche di aver letto e divorato invece il Giornalino di Gian Burrasca di Vamba e "Il detective Warton" di Erickson Russell... Ma non saprei dirvi in che ordine sono successe queste cose.

Hai mai fatto un sogno ispirato a un libro che hai letto? Se sì, racconta.
Mi sa di no, ma ho la tendenza a sognare e dimenticare presto quello che ho sognato. Però l'altro giorno, non so perché, ho sognato che consigliavo a qualcuno di leggere Lolita di Nabokov (anche se non so bene perché)

Qual è la prima cosa che ti colpisce in un libro? La copertina, la trama o il titolo?
Vista la tendenza attuale, i titoli mi attirano ma fino a un certo punto (tant'è che vado immediatamente a cercare all'interno l'originale per non farmi fregare). La copertina vuole la sua parte, certo. Ma la cosa principale per me è sicuramente la trama.

Ti è mai capitato di piangere per la morte di un personaggio?
Certo, ci sono tanti libri che mi han fatto piangere, vuoi per la morte di un personaggio, vuoi semplicemente perché si è creata un'empatia tale con i personaggi che la loro sofferenza è diventata la mia.

Qual è il tuo genere preferito?
Leggo praticamente di tutto, tranne fantasy (e tutte le sue sfaccettature: urban, paranormal, etc etc), horror e thriller (questi in realtà dipende da chi è l'autore)

Hai mai incontrato uno scrittore?
Sì! Il primo è stato Jonathan Coe, ad Alba due anni fa. Poi Calabresi e tutti quelli che capita di incrociare (e capita davvero!) al Salone del Libro di Torino

Posta un'immagine che rappresenta cosa significa per te le lettura:


Ora viene la parte difficile, ovvero assegnare il premio ad altri 7 blog meritevoli. Il problema è che tutti quelli a cui mi piacerebbe assegnarlo lo hanno già ricevuto (o almeno credo). Io li segnalo comunque, poi vedano loro che cosa fare:

La Leggivendola
Bibliomania
Appoggiato sul comodino
Vite di carta
Blog Novel: il romanzo
Life in technicolor
Il piacere di leggere

E ovviamente tra questi ci sarebbe anche Inchiostro Bianco, che ringrazio ancora tantissimo, sia per il premio, sia e soprattutto per quello che scrive!

mercoledì 14 novembre 2012

DUE TITOLI, UN SOLO LIBRO: ma perché? #9

Eccoci arrivati all'appuntamento settimanale con la rubrica "Due titoli, un solo libro: ma perché?". Oggi ho deciso di parlarvi di due romanzi abbastanza recenti, tradotti dal tedesco. Per la traduzione letterale dei titoli, non conoscendo io questa lingua, mi sono affidata, in un caso, alle competenze linguistiche di alcune mie amiche che lo hanno studiato e, nell'altro, a google traduttore (e quindi perdonatemi se la traduzione sarà un po' claudicante).

L'autore scelto è Nicolas Barreau, autore di madre tedesca e padre francese, i cui due romanzi, scritti nella lingua materna, sono usciti in Italia per la casa editrice Feltrinelli nel 2011 e nel 2012, entrambi con la traduzione di Monica Pesetti. Si tratta di romanzi essenzialmente d'amore ambientati, come le copertine lasciano facilmente intendere, a Parigi.

Il primo è stato Das Lächeln der Frauen ovvero Gli ingredienti segreti dell'amore:

La prima cosa che si nota è la copertina quasi identica: stessa foto, solo tagliata e colorata in modo diverso. Per quanto riguarda il titolo, è abbastanza evidente fin da subito, anche senza conoscere la lingua, che invece è successo qualcosa di alquanto bizzarro nel passaggio. Il titolo originale tradotto letteralmente sarebbe "Il sorriso delle donne". In italiano si è scelto invece di utilizzare qualcosa che non c'entra nulla (anche se effettivamente la protagonista gestisce un ristorante), forse a causa di quel processo di omologazione dei titoli che tanto è di moda negli ultimi anni: metti qualcosa che parla di cucina,  aggiungici un  sostantivo, seguito da un aggettivo, seguito da un complemento di specificazione e voilà, ottieni il titolo perfetto (vedi "Il linguaggio segreto dei fiori", per intenderci).
Onestamente, avendo letto il libro (che, perdonatemi, ho trovato terribile) non riesco nemmeno troppo bene a comprendere il legame tra la trama e il titolo originale, ma almeno non seguiva strane logiche di mercato ed era comunque quello scelto dall'autore.

Quest'anno, visto comunque l'incredibile successo de "Gli ingredienti segreti dell'amore", è poi uscito il nuovo romanzo di Nicolas Barreau, Du findest mich am ende der welt ovvero Con te fino alla fine del mondo

Rispetto al primo romanzo, qui si notano due cose. La prima è che la copertina è stata cambiata: c'è sempre la Tour Eiffel sullo sfondo ma la foto è diversa e ricompare prepotente il colore rosso, forse per dare continuità con la copertina del primo romanzo.
 La seconda è invece nel titolo: la traduzione letterale dal tedesco significa "Mi puoi trovare alla fine del mondo" (se google non ha preso una grande cantonata), e quindi si vede come questa volta la differenza nella versione italiana è davvero minima.  

Onestamente, non riesco a comprendere molto né il primo caso, ovvero un cambio veramente drastico nel titolo, né il secondo, una differenza davvero minima che forse risulta essere ancor più ingiustificata rispetto alla scelta di un titolo totalmente differente.

lunedì 12 novembre 2012

I libri carta igienica

Qualche giorno fa, sul sito della BBC è apparsa una notizia (poi rilanciata da diversi blog italiani, tra cui il bellissimo Giramenti) secondo cui una casa per donne vittime di abusi in Inghilterra sta usando il best seller di quest'estate, le Cinquanta Sfumature, come carta igienica. Sebbene il gesto di queste donne sia sicuramente critico e provocatorio, devo ammettere che l'idea mi ha fatto davvero sorridere: un po' per il mio odio profondo verso questa trilogia, un po' perché comunque tutti, almeno una volta, ci siamo imbattuti in un libro che, per la sua eccelsa qualità letteraria, avremmo volentieri usato al posto del rotolo in bagno.

Ho quindi deciso di lanciare un minisondaggio sulla pagina Facebook del blog, per permettere a chiunque volesse di indicare il suo "libro carta igienica". 
Ovviamente si tratta di opinioni personali, che a volte vanno contro ai giudizi di critica o pubblico (ammetto che su alcuni titoli che sono venuti fuori, io stessa non mi trovi d'accordo), e quindi se qualche autore o qualche lettore si sentisse in qualche modo offeso, non se la prenda troppo. Il mondo è bello proprio perché è vario ed è normale che un libro possa suscitare emozioni contrastanti.

Sebbene abbia cercato di evitare che venissero indicati i soliti noti, ovvero quegli autori che noi lettori appassionati (qualcuno ci definirebbe snob) tendiamo a non considerare nemmeno scrittori, capisco la difficoltà di chi ha partecipato al sondaggio nel non scrivere nomi quali Fabio Volo o Federico Moccia. E accanto a loro, si collocano inevitabilmente quelli di Bruno Vespa, di Gianpaolo Pansa e di tutti i vari calciatori.

Un po' meno scontati sono stati però gli altri nomi. Il primo ad essere indicato, e su cui devo ammettere essere totalmente d'accordo, è "Il mercante di libri maledetti" di Marcello Simoni. Uno dei pochi libri che non sono riuscita a finire. Immediatamente dopo è stato il turno de "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano (indicazione che si è beccata tre "pollici" di apprezzamento"): un libro particolare, che aveva suscitato tante opinioni contrastanti e che io non ero riuscita a decidere se mi fosse piaciuto o meno.
Poi tocca a un libro che appartiene alla collana di romanzi rosa a basso costo lanciata dalla casa editrice Newtown Compton l'anno passato: "Il profumo del té e dell'amore", che la lettrice che lo ha segnalato ha interrotto a metà perché improponibile.
Un'altra lettrice segnala invece il romanzo di Alethea Black, "Un giorno uno sconosciuto mi diede una chiave". Il titolo sembrerebbe anche molto interessante, ma basta leggere la trama o qualche commento in giro per capire che tira aria di fregatura. Accanto a questo compare "La casa per bambini speciali di Miss Peregrine" di Ransom Riggs (che porca miseria a me ispirava tantissimo).
Un simpaticone ha poi indicato "La guida del telefono"... effettivamente di pagine lì ce ne sono tante.

Il primo titolo per me un pochino inaspettato (ma ricordiamoci, i gusti sono gusti!) è "Firmino" di Sam Savage, di cui viene detto che "l'idea è anche carina, ma poi ci si ricorda solo che è volgare". Di questo libro in realtà non ho grandissimi ricordi, né in un senso né nell'altro, se non quello di avermi fatto scoprire quello che alla fine del post vi rivelerò essere il mio "libro carta igienica".
E' poi il momento del best seller di un autore italiano, un libro che credo davvero quasi tutti abbiano letto: sto parlando di "Io uccido" di Giorgio Faletti. A me personalmente fino a un certo punto era anche piaciuto, ma nel finale si è rovinato completamente.
Ed ecco che arriva un'altra autrice molto controversa, di cui si parla molto e con la quale io personalmente ho un rapporto difficile, ovvero Margaret Mazzantini. Sono ben due persone a segnalarla entrambe con due motivazioni molto interessanti: "mi fa venire il nervoso" (e posso capirla) e "si parla addosso e si piace molto".
Vengono poi citati anche "Quattrocento" di Susana Fortes (che ho letto ed effettivamente non mi ha lasciato assolutamente nulla), "Va dove ti porta il cuore" di Susanna Tamaro ("illeggibile") e "La piccola Dorrit" di Charles Dickens.
Un altro autore citato più di una volta è poi Dan Brown, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi romanzi: "tranne il primo che era una novità gli altri li userei anche per i bisogni del cane"...
Compare ancora l'ultimo di Cooper (segnalato da un'amante di questo autore e di questo genere... quindi non oso davvero immaginare come possa essere questo libro) e tutta la produzione di Magdi Cristiano Allam, che un lettore ci segnala così: "una volta nei bagni dei bar di paese(e dai barbieri),si usavano le schedine del totocalcio per l'uso proprio.Ci fossero ancora tali luoghi,proporrei di sostituire le suddette con la produzione "letteraria"di Magdi Cristiano Allam..."
E arriviamo poi alla fine, con una segnalazione che non condivido assolutamente, ma che comunque è giusto segnalare perché ogni lettore è libero di esprimere la sua opinione (sono un blog democratico): ovvero "Fai bei sogni" di Massimo Gramellini. A me è piaciuto davvero molto, anche se forse potrei riuscire a immaginarmi i motivi per cui possa fare un po' storcere il naso.

E concludo questa carrellata di autori carta igienica con il mio. Non ho nemmeno dovuto pensarci molto, è bastato che qualcuno nominasse "Firmino" di Sam Savage perché me ne ricordassi. Quando è uscito questo romanzo infatti, un autore italiano ha accusato questo libro e il suo autore di plagio, perché l'idea di un animaletto che amava così tanto i libri da divorarli l'aveva avuta lui. Sto parlando di "La vera storia di Marta la Tarma" di Claudio Ciccarone. Credo il libro più brutto che io abbia mai letto.



Si tratta ovviamente di un gioco, che non vuole in nessun modo offendere gli autori di questi libri né i loro fan.  Come dicevo all'inizio, credo che ogni lettore abbia il suo libro carta igienica, un libro che proprio non è riuscito a finire o che ha odiato a tal punto da maledirsi per aver perso tempo a leggerlo (o soldi a comprarlo).
Ovviamente grazie a tutti quelli che hanno commentato!

E ora, via libera ai commenti!