domenica 29 marzo 2015

PURGATORIO - Tomás Eloy Martínez

La grande tragedia dei desaparecidos argentini è un argomento di cui, nel nostro paese ma anche nel mondo in generale, si è sempre parlato troppo poco. Un po’ forse perché viene percepita come una cosa lontana, lontanissima da noi. Un po’ forse anche perché è una di quelle tragedie impossibili da quantificare: i numeri precisi hanno una maggiore risonanza nel generare indignazione e vergogna, creano maggiore scalpore, rispetto a questa entità imprecisa e incalcolabile di scomparsi. Eppure è una tragedia immensa nella storia moderna, una tragedia a cui bisognerebbe dare più voce, visto che c’è qualcuno, la madri e le nonne di Plaza de Mayo, ad esempio, che ancora non si è arreso, che ancora chiede giustizia e, soprattutto, che ancora spera.

Tomás Eloy Martínez in Purgatorio, pubblicato in originale nel 2008 e arrivato a noi solo quest’anno, grazie al lavoro di riscoperta della letteratura sudamericana svolto dalla casa editrice Sur, fa proprio questo. Dà voce a quella speranza, urla quel bisogno di giustizia.
Purgatorio, un luogo di passaggio, di transizione, di attesa speranzosa di qualcosa che non sei nemmeno sicuro che arriverà. Ed è in questo Purgatorio che vive Emilia, figlia di un alto rappresentante della dittatura argentina, che ancora giovane e innamorata si vede portare via il suo Simón. Vengono arrestati insieme, forse per errore. Lei però viene rilasciata. Di lui, invece, non si sa più nulla. C’è chi dice che è libero, chi che è stato torturato e ucciso, chi è scappato. Forse è morto, forse è vivo. Scomparso, insomma. Desaparecido. Da quel momento la vita di Emilia si trasforma in attesa, trascorsa ad accudire la madre malata che il padre ormai ha rinnegato e ad accompagnare proprio l’uomo nei suoi incontri ufficiali. E poi, all'improvviso, l’attesa si trasforma in ricerca, in viaggi sulle tracce, labili, labilissime, che Simón pare aver lasciato in giro, sulle mappe che loro, per lavoro, disegnavano. Finché un giorno di tanti anni dopo, Simón, come forse era scomparso, forse ricompare.

Come già aveva fatto in Santa Evita, Tomás Eloy Martínez è bravo nel mischiare realtà e finzione, trasmettendo nel lettore il dubbio su cosa sia vero e cosa no. Ed è bravo nel voce a questa attesa, incosciente forse, perché arriva il momento in cui ti rassegni a perdere per sempre quello che hai già perduto, ma del tutto comprensibile, di un amore che non vuole arrendersi di fronte a nulla, nemmeno alla follia di queste sparizioni.
Al tempo stesso, lo scrittore ci offre una panoramica di un periodo storico, quello post Perón, che ha segnato e forse ancora oggi segna l’Argentina e di cui, proprio come per i desaparecidos, qui da noi si è parlato davvero troppo poco.
Il lettore si ritrova quindi  a leggere un romanzo, una storia d’amore forte e potente, ma anche una cronaca storica, una denuncia, altrettanto forte e altrettanto potente, delle follie che il potere non solo giustifica ma addirittura compie direttamente.

Mi mancava un po’ la letteratura sudamericana. Mi mancava quel mix tra realtà e finzione, tra poesia e crudeltà, tra amore e dolore, che laggiù sanno scrivere così bene. E spero davvero che arrivino presto in Italia anche gli altri libri di Tomás Eloy Martínez, questo grande, grandissimo autore, che insieme ad altri (uno tra tutti Manuel Puig, che vi consiglio davvero caldamente di leggere) è riuscito a dare voce a persone e a una parte di storia che troppo a lungo sono state messe a tacere.

Un libro bellissimo, da leggere.

Titolo: Purgatorio
Autore: Tomás Eloy Martínez
A cura di: Francesca Lazzarato
Pagine: 283
Editore: Sur
Acquista su Amazon:
formato brossura:Purgatorio
formato ebook: Purgatorio

venerdì 27 marzo 2015

"Ciao mamma, io vado in tv"... La Lettrice Rampante ospite alla trasmissione Siamo Noi, su TV2000

Da quando ho aperto questo blog, circa cinque anni e mezzo fa, mi sono successe un po’ di cose che non avrei mai immaginato.
Innanzitutto, che dopo tutti questi anni sia ancora aperto e ancor più vivo e attivo, è una grande, grandissima soddisfazione personale questa. Poi, mi ha permesso di incontrare virtualmente altri appassionati lettori che, in questo blog e nei vari social in cui è presente, hanno deciso di condividere insieme a me la loro passione. E anche questa, alla faccia di chi dice che ormai i lettori sono una razza in estinzione, è una grande soddisfazione. Poi, beh, sono arrivate anche altre cose. Sono finita in radio e sul sito di RaiLetteratura. Ho iniziato a scrivere su un giornale e a lavorare come editor. Mi sono ritrovata su una sedia di cartone a presentare un libro al Salone del Libro e su uno sgabello in un bar. Ho conosciuto scrittori ed editori dalla passione smisurata per il loro lavoro (ed altri un po' più antipatici).

E poi sì, ieri sono finita in tv. Qui sul blog non ne ho parlato prima (ma ho assillato tutti i lettori di Facebook per più e più giorni), proprio perché volevo aspettare oggi, il day after, per fare mente locale delle mie emozioni dell’ultima settimana e raccontarvi come è andata.

Giovedì scorso mi è arrivata questa mail da Goffredo, uno dei redattori di TV2000, che voleva invitarmi alla puntata di giovedì 26 marzo (ieri) di Siamo Noi. Una puntata a tema libri e avevano bisogno di un lettore. Ora, perché non pescarne uno a caso dalla strada anziché chiamare me che abito a 600 km di distanza è stata la prima domanda che mi sono posta. Ma, mi ha poi gentilmente spiegato Goffredo in una bella (e forse per lui un po’ lunga, che quando parlo di libri divento un po’ invasata) telefonata volevano qualcuno che sapesse anche qualcosa di tutto quello che c’è dietro l’oggetto libro. E quindi, visto che conosceva e seguiva il mio blog, ha pensato di chiamare me.

Ammetto che sono stata un po’ titubante all'inizio. Soprattutto quando ho visto che TV2000 è la tv episcopale italiana. Temevo che sarei rimasta strafulminata non appena ci avrei messo piede. Però poi ho guardato il programma e ho riflettuto sulla puntata a cui avrei dovuto partecipare. Si parlava di libri, gente. E sarei stata davvero sciocca a non partecipare.  (Poi dai, mica mi hanno invitato da Barbara D’Urso!)

Dal momento in cui mi sono decisa sono poi iniziate tutte le questioni tecniche (che cavolo mi metto? Ma mi truccano loro? E se svengo in diretta? E se dico una parolaccia in diretta tv?), che il buon lettore rampante è riuscito a sopportare stoicamente (un monumento, bisognerebbe fargli).

E quindi niente, ieri mattina mi ha accompagnata a Porta Susa a Torino, sono salita sul Frecciarossa e via, alla conquista di Roma! 
Il viaggio è stato piacevole, ma io amo viaggiare sui treni ad alta velocità. Ho letto un sacco (ho iniziato Purgatorio di Tomás Eloy Martínez, che si sta rivelando bellissimo), ho assistito al dramma familiare di una signora che al telefono all'improvviso si è messa a urlare “prendi subito l’Imodium!” e ho ammirato il panorama, cercando di rilassarmi il più possibile. 
Poi metro, bus ed eccomi arrivata agli studi di Tele2000, pronta per la mia prima diretta tv.

Questa qui, per intenderci:

Non voglio farvi il riassunto della puntata, se avete tempo e voglia riguardatevela. Vi lascio però un piccolo elenco delle cose che ho adorato e di quelle che mi sono piaciute un po’ meno.



Cose che ho adorato:
  • Roma, ovviamente, anche se non avevo la più pallida idea di dove fossi
  • Il momento del trucco e parrucco, con la truccatrice che appena mi vede entrare mi dice “Tu non ti trucchi mai, mi sa” (e ho pensato alla suocera rampante, che me lo dice sempre)
  • Essere microfonata. Che è una boiata, ma è una cosa che sognavo di fare da una vita (anche se credo che il tecnico mi abbia odiata a morte, che sto microfono era sempre lì lì per cadere)
  • Lo studio televisivo, davvero molto, molto bello.
  • I libri che c’erano sul tavolo (con lo scambio dell’ultimo minuto tra Baricco e Carver, “perché so che Baricco non ti piace”)
  • Il mio “confronto” con Paolo di Paolo per la mia recensione negativa al suo libro (ma poi, mica sono stata l’unica a parlarne male, dai?)
  • Il fatto di non essere svenuta e non aver detto parolacce
  • L’aver conosciuto iniziative sui libri che conoscevo poco: Tw letteratura e LiberaLibri, soprattutto.
  • Il ritorno in taxi, con un tassista in vena di chiacchiere che mi ha raccontato la storia di Roma
  • Leggere tutti i commenti che alcune mie amiche si scambiavano in diretta, in una chat comune che poi ho letto dopo  e che mi hanno fatta ridere per mezz'ora
  • Il sostegno dei fan del blog, dei conoscenti, dei parenti che hanno speso il loro tempo a guardarmi e a cui sono davvero, davvero grata (e che ha compensato alla stragrande il non sostegno di persone da cui me lo sarei aspettato ma che invece non è arrivato).
  • Il cameriere gentile sul treno del ritorno che è corso a prendermi il panino che volevo.
  • Il lettore rampante, ad aspettarmi alla stazione.


Cose che mi sono piaciute un po’ meno
  • La puntata poteva essere forse strutturata un po’ meglio. C’erano troppi collegamenti, troppe esperienze, troppa carne al fuoco, che avrebbe meritato molto più spazio di quella che ha avuto (sì, lo so, i tempi televisivi sono quelli, ma si potevano fare più puntate… redattori di TV2000 , se state leggendo, mi offro volontaria anche per la prossima!)
  • I libri buttati per terra. Esigenze sceniche, sì, ma poveri libri!
  • Il non aver potuto dire la mia su alcuni argomenti che sono stati trattati: #ioleggoperché, ma anche il ruolo degli store online nella chiusura delle librerie indipendenti e l’importanza dei social media.
  • Il fatto che, avendo stroncato il libro di Di Paolo, poi mi si chiedesse conferma su ogni cosa che diceva (o almeno ditemelo prima, che se volevate la rissa ero ben pronta! Bastava chiederci di Elena Ferrante…)
  • Il minuscolo panino del bar, alla modica cifra di 4.20€
  • Il viaggio in treno nel buio, perché si capisce mai dove sei.


Non so, onestamente, se la puntata abbia trasmesso un po’ di curiosità e, soprattutto, voglia di leggere in chi l’ha guardata. Però, nonostante tutte le imperfezioni riscontrate, nonostante le 9 ore di treno in un giorno siano un po’ troppe anche per chi ama viaggiare, è stata davvero una bella esperienza, che spero di poter rifare presto. 

martedì 24 marzo 2015

Ma allora non esistono solo faccioni... quando la grafica e le belle copertine influenzano il lettore (cioè, io)

Oggi parliamo di copertine di libri. Ma di quelle belle, per una volta. Perché, se è più che giusto criticare certi orrori che vengono piazzati in bella vista da certe case editrici su certi libri (cosa che, per inciso, non mi stancherò mai di fare), è altrettanto giusto esaltare il merito di chi ce l’ha.

Ci pensavo già da un po’, in  realtà, a scrivere questo post. Per decidermi però è dovuto capitarmi tra le mani, quasi per caso (che ultimamente i libri sembrano arrivare sempre al momento giusto nella mia vita), Fare i libri – Dieci anni di grafica in casa editrice, un bel tomo a cura di Riccardo Falcinelli che racconta come sono nate e come si sono evolute negli anni le copertine delle collane minimumfax, una delle case editrici per cui Falcinelli lavora. Il volume è esteticamente molto bello, perché riprende lo stesso stile dei tascabili di David Foster Wallace da loro pubblicati. Ed è bello anche quello che racconta, di una casa editrice che ragiona molto sulle sue pubblicazioni e sullo stile grafico da attribuirgli. E anche se la casa editrice in questo periodo sta cambiando un po’ le sue dinamiche interne, sono sicura che questo stile non si perderà, perché fa parte, almeno secondo me, della sua forza.

Le copertine minimumfax mi piacciono molto, soprattutto quelle dei tascabili. Mi piace che guardandoli di dorso abbiano un loro segno ben distintivo e ricco di colore. Mi piacciono le illustrazioni di copertina e la loro composizione grafica, ma anche il modo in cui su è distribuito il testo. Potessi, li comprerei tutti, non fosse altro per vederli lì sulla libreria.
Ma ci sono anche molte, moltissime altre case editrici che puntano molto sull’aspetto grafico. Ho una passione, ad esempio, per i coloratissimi marcos y marcos, che spesso mi ritrovo a comprare anche senza conoscere l’autore o il libro in questione perché sono esteticamente belli. Mi piacciono le immagini sulla copertina, che spesso sono ritagli di foto piazzati su uno sfondo colorato e che, come per magia, sembrano trasformarsi in disegni (a volte devo guardarli attentamente, per capire che sono fotografie). Sono libri belli da sfogliare, da tenere in mano e, di nuovo, da guardare impilati sugli scaffali.


Così come adoro la semplicità e l’eleganza dei Sellerio, quei libricini blu in cui cambia solo il colore delle scritte e l’immagine centrale. Fanno davvero un bell’effetto.  Ma anche gli Adelphi, soprattutto i tascabili che i non tascabili sono un tantino troppo grossi per i miei gusti, sono un bellissimo “oggetto libro”.  E ci aggiungo anche la Fazi, che avevo conosciuto in passato per Twilight ma che ora ha preso una piega, per quanto riguarda le pubblicazioni ma anche la grafica, molto positiva; la e/o per i tascabili (che le nuove uscite non sempre gli riescono così bene, a mio gusto) e, sempre per i tascabili, pure la BEAT, che ha delle copertine molto, molto belle.

Per non parlare poi di alcuni piccoli editori. Per loro, più che per le grandi case editrici (che infatti qui al momento non ho citato), avere un’immagine e uno stile chiaro e ben definito è, secondo me, fondamentale. Per arrivare ai lettori bisogna sicuramente passare anche da questo: belle copertine, identificabili e soprattutto che parlino dell’editore che le pubblica. Mi vengono in mente le copertine della collana narrativa di Tunué, semplicissime eppure molto efficaci. Oppure quelle della Gorilla Sapiens (di cui, lo ammetto, amo tantissimo il logo), della Astoria, con quel bel rosso accesso che le rende inconfondibili, della Spartaco, che si avvale anche lei di Riccardo Falcinelli e si vede, o della Casa Sirio. E sono sicura che ne esistono molte, moltissime altre, che oltre al contenuto curano tantissimo il modo in cui questo viene presentato.

E le grandi case editrici? Personalmente, nei loro confronti, sono un tantino più critica. Seguono sì anche loro una linea grafica precisa, che permette di identificare le varie collane. Però, ecco, rispetto alle piccolo, tendono a cambiare troppo spesso questi formati e spesso viene a mancare l’uniformità. Le mensole Einaudi e Mondadori sono quelle più disordinate nella mia libreria. Volumi alti, volumi bassi, collane che dovrebbero essere le stesse ma hanno colori e impostazioni diverse, libri di dimensioni abnormi (la Mondadori e la Rizzoli ultimamente sono così… sarà un caso?). Non che le immagini di copertina siano brutte, anzi, spesso rielaborano foto e immagini in modo incredibile rendendole perfette. Però, ecco, non mi ci affezioni mai come a quelle citate in precedenza. Ed è più probabile che io compri un libro di questi editori per il titolo e l’autore, e non perché attirata dalla copertina.


Di Feltrinelli, invece, adoro le copertine degli economici, rimaste immutate nello stile da anni e non per questo antiquate, mentre ho qualche remora nei confronti delle nuove uscite. Sicuramente copertine di pregio, ma a volte un po’ troppo banali (mi viene in mente tutta la produzione di Nicholas Barreau, per dirne una).

Ora, mi rendo conto che come analisi la mia è molto imperfetta, che bisognerebbe fare uno studio su ogni singola collana di ogni singolo editore per capire davvero quale identità ha voluto sviluppare, se ci è riuscito o meno e perché tale identità a me piace o meno. Così su due piedi, potrei affermare che amo le copertine e i dorsi colorati, che preferisco le immagini e le illustrazioni (e in qualche caso le foto rielaborate) alle foto vere e proprie piazzate in copertina, che non amo i faccioni (ok, questo qui non l’avevo ancora detto, ma credo si sappia) e che apprezzo quelle piccole e medie case editrici che curano tantissimo sia il contenuto sia la forma con cui questo contenuto viene presentato.


Voi che mi dite? Quali solo gli editori che graficamente e visivamente vi piacciono di più?

lunedì 23 marzo 2015

VERGOGNA - J.M. Coetzee

Ho rimandato a lungo la lettura di Vergogna di J.M. Coetzee. Un po’ perché non avevo in casa il libro, sicuramente. Un po’ perché sapevo che sarebbe stata una di quelle letture che ti colpiscono e ti fanno male, e per i libri così bisogna essere preparati. Alla fine però me lo sono ritrovata quasi in mano, forse per un segno del destino, e non ho potuto fare altro che comprarlo e, immediatamente dopo, iniziare a leggerlo.

Vergogna è un romanzo ambientato in Sud Africa, il Sud Africa post apartheid in cui bianchi e neri stanno imparando a poco a poco a convivere di nuovo pacificamente. Protagonista è David Laurie, professore universitario che, a seguito di una relazione con una studentessa e il conseguente scandalo una volta venuta alla luce, viene licenziato e decide di raggiungere per un periodo la figlia Lucy nella sua sperduta fattoria. Qui dovrà abituarsi a una vita completamente diversa dalla sua, fatta di orti da zappare, campi da arare e fiori da recidere per venderli al mercato settimanale. E dovrà riabituarsi a convivere sotto lo stesso tetto con la figlia Lucy, una donna forte ed emancipata, ma anche sola in un posto pericoloso. Finché un giorno, i due non vengono aggrediti proprio all'interno della fattoria. Steve viene ferito in modo scenografico ma per fortuna non troppo grave, Lucy abusata e uccisa dentro. Dopo la violenza, il conflitto tra padre e figlia diventerà ancora più forte: come lei non era riuscita a capire la scelta del padre di non ribellarsi al licenziamento, così David non riuscirà a comprendere il silenzio e l’arrendevolezza della figlia.

Il libro, come il titolo molto efficace annuncia chiaramente, ruota attorno alla vergogna. Quella che dovrebbe provare Steve e non prova. Quella che non dovrebbe provare Lucy e invece prova. Vergogna quindi, ma anche arrendevolezza, incapacità di reagire, di ribellarsi, e decisione di accettare le cose così come vengono. E questo, devo dire, mi ha fatta arrabbiare. Molto arrabbiare. Avrei voluto scuotere entrambi i protagonisti, David nella sua spavalderia e Lucy nella sua fragilità. Avrei voluto urlare loro contro, nella speranza di provocare una qualche reazione. E credo questo effetto, che sono sicura buona parte dei lettori abbiano provato con questo libro, sia voluto da Coetzee, che ci presenta la storia con un stile diretto, asciutto e molto, molto efficace.
Eppure, seppur a malincuore, devo ammettere che c’è stata anche un po’ di delusione. Piccola, rispetto all'innegabile bellezza del libro, eppure ben presente una volta arrivata alla fine. C’è che mi sarei aspettata qualcosina in più. Il romanzo finisce troppo in fretta, certi aspetti rimangono come sospesi (forse volutamente?) e si chiude il libro con la sensazione che gli manchi qualcosa per essere perfetto.

Vergogna è un romanzo che fa pensare. Che fa arrabbiare. Che colpisce e che, a volte, fa anche un po’ male. Però, ecco, forse non così tanto come avrei voluto da un romanzo con questa trama, questo titolo e questo stile. È uno di quei libri “belli, però”, se capite cosa intendo.

In ogni caso è una lettura che mi sento vivamente di consigliare e che, con il senno di poi, avrei dovuto affrontare molto tempo prima.

Titolo: Vergogna
Autore: J. M. Coetzee
Traduttore: G. Bona
Pagine: 234
Editore: Einaudi
Acquista su Amazon:
formato brossura: Vergogna

giovedì 19 marzo 2015

TI SCRIVERO' PRIMA DEL CONFINE - Diego Barbera

Sarò sincera. Quando ho letto per la prima volta la trama di Ti scriverò prima del confine di Diego Barbera, il libro non mi aveva attirata più di tanto. Forse perché non era il momento giusto per un libro così, forse semplicemente perché la mia mente era già presa da altro e non ero riuscita a cogliere a pieno quale fosse l’argomento del libro. Per cui, lo ammetto, quando la casa editrice mi ha presentato il suo catalogo da cui scegliere una qualche lettura, l’ho bellamente ignorato.
Poi è passato del tempo, e il titolo di questo libro continuava a ronzarmi nella mente. Un ronzio che si è amplificato quando ho letto la recensione pubblicata da La Leggivendola, che mi ha spinta a fare una cosa che non faccio mai: scrivere all’editore per chiedere, molto sfacciatamente, se potevano inviarmelo. Credo di avervi già parlato di quanto mi sia piaciuta la CasaSirio editore quando ho recensito Come una foglia alvento. Cocaine Blues di Claudio Metallo. Mi piace il modo che hanno di parlare di libri sul loro sito, mi piace la grafica delle loro copertine e,  a questo punto lo posso dire, perché un libro bello poteva essere un caso ma due sono statisticamente più attendibili, mi piacciono un sacco le opere che pubblicano.

Ma veniamo a Ti scriverò prima del confine, un titolo bellissimo, per un libro, del tutto all'altezza del titolo, che racconta una storia un po’ particolare. M***o è ricoverato in una clinica a seguito di un episodio violento, Il fatto come lo definisce lui, da cui si è salvato per miracolo e che lo ha trasformato, per la stampa e la nazione intera, in un eroe. I giornalisti lo cercano in continuazione, ha un suo responsabile stampa e un gorilla che lo segue in ogni momento per tenere lontane le persone indesiderate. Eppure, M****o è solo un ragazzo, che non ricorda quasi nulla di quello che è successo, che non vuole assolutamente parlare con lo psicologo della clinica e che, soprattutto, nella clinica si annoia a morte. Finché non incontra la stanza 27, nel reparto pediatria, e la sua ospite Giulia. Una ragazza non ancora maggiorenne che, un bel giorno, ha deciso di smettere di parlare e comunica con il mondo circostante tramite il linguaggio dei segni. M****o, che conosce la lingua dei segni, inizia a chiacchierare con lei e a raccontargli, poco a poco, episodi della sua vita e di cosa lo abbia portato a compiere quel gesto che lo ha portato lì. La ragazza di sé, invece,  non racconta nulla direttamente, ma lascia al ragazzo delle lettere e dei disegni che lo aiutano a conoscerla e a scoprire qualcosa di più. Il legame tra i due diventa sempre più forte, e porterà M****o a riscoprire se stesso e a mettere in discussione il suo futuro.

La prima impressione che se ne potrebbe avere è quella di un romanzo quasi adolescenziale. Un ragazzo che fa un atto di eroismo (o forse, una cazzata?) finisce in una clinica e qui si innamora di una ragazzina più giovane e più fragile, che gli ruberà il cuore. Ed è effettivamente è così. Ci sono un ragazzo di venticinque anni e una ragazza di diciassette, emotivamente fragili, che si conoscono e, a loro modo, si amano. Però in questo Ti scriverò prima del confine c’è anche molto, molto di più. C’è l’interrogarsi continuo sulla paura e sul perché si compiono certi gesti. C’è la critica alla società moderna che crea e disfa eroi a proprio piacimento. C’è la sofferenza, la malattia e il dolore. C’è il racconto dei legami che si creano tra i degenti in una clinica e tra pazienti e infermieri (ho trovato bellissimo il telefono senza fili dalla finestra e il rapporto con l’Infermiere dell’Est). E poi beh, c’è tanto, tantissimo amore, sebbene vere e proprie parole d’amore si ritrovino solo nel finale, negli ultimi, incredibili, capitoli.
Ti sognerò anche se sarai al mio fianco. Ti accompagnerò, ma ti lascerò scoprire sentieri nuovi da sola. E, nel caso, lascerò che tu ti perda.
Diego Barbera sa scrivere molto, molto bene. E oltre alla trama e ai personaggi, mi è piaciuta moltissimo la scelta di non chiamare nessuno direttamente per nome, di nascondersi dietro a quegli ****, all'inizio un po’ destabilizzanti, per lasciare l’onore di veder comparire come se stessa solo Giulia.

Vi confesso che non sono molti i romanzi che alla fine mi fanno piangere. Commuovere sì, emozionarmi pure, però ecco, le lacrime le verso poche volte. Qui, invece, alla fine del romanzo qualche lacrimuccia è caduta. Perché di fronte a certe cose, non si può essere degli eroi nemmeno se si volesse. E perché, comunque vada, l’amore resterà sempre.
Davvero una bella lettura e una bella scoperta.


Titolo: Ti scriverò prima del confine
Autore: Diego Barbera
Pagine: 272
Editore: CasaSirio
Anno: 2015
Acquista su amazon:

martedì 17 marzo 2015

PRENDILA COSI' - Joan Didion

Non conoscevo Joan Didion fino a che non ho letto un articolo che parlava del suo essere diventata, a ottant'anni suonati, la nuova testimonial degli occhiali da sole Céline. Mi rendo conto che ammetterlo non mi fa questo grande onore, ma non è nemmeno colpa mia se questa autrice, molto prolifica e, soprattutto, molto elogiata negli Stati Uniti, sia stata a lungo bistrattata nel nostro paese. Fortuna, ancora una volta, che ci sono le piccole case editrici che si preoccupano di farci arrivare autori e libri meritevoli, più di quanto non lo facciano le grandi. Nel caso della Didion il merito va alla casa editrice Il saggiatore e alla e/o, che ne stanno pubblicando a poco a poco tutte le opere.

Ma veniamo a noi. Poco tempo dopo aver letto la notizia di cui vi parlavo sopra, su uno store online c’era il suo Prendila così in offerta e non ho saputo resistere: una donna che viene scelta a ottant'anni come testimonial deve essere per forza una gran donna.  E così è stato.

Prendila così racconta di un periodo della vita di Maria – che si pronuncia Mar-ai-a tanto per chiarire le cose fin dal principio. Maria ha trentun anni, alle spalle un matrimonio e un divorzio, una figlia con problemi mentali e una carriera nel cinema che avrebbe potuto decollare, se solo non.  Ora è anche lei rinchiusa da qualche parte e qualcuno, per terapia, le ha suggerito di raccontare la sua storia. Una storia frammentata, difficile, fatta di gioie e di dolori, di speranze e delusioni, di battaglie contro cui a un certo punto la donna ha smesso di lottare. Troppo forte il mondo per le persone fragili. Meglio adattarsi, prenderla così, come viene, perché tanto per persone come lei non c’è soluzione. Nessuno capisce le sue angosce, nel giro di attori, registi e personaggi dello spettacolo che, volente o nolente, frequenta. Nessuno comprende perché non riesca ad accettare che la figlia viva in un istituto da cui lei vorrebbe tirarla fuori. Nessuno comprende non riesca ad innamorarsi, ad essere felice, né perché sia sempre ubriaca o sempre chiusa in casa, a letto, o si diverta a salire in auto e guidare, guidare, guidare, su e giù per l’autostrada o fino al deserto. E forse nemmeno la stessa Maria lo comprende. Così non si pone nemmeno troppe domande quando succede qualcosa di grave proprio accanto a lei. E forse se se lo fosse chiesto, ora non sarebbe qui a raccontare la sua storia.

Prendila così è un libro dalla lettura non sempre semplice. Capitoli brevi e quasi frammentati si alternano ad altri più costruiti. Alla voce di Maria si altera quella di chi le sta attorno, che ne enfatizza la precaria situazione psicofisica. Eppure, nonostante o forse proprio grazie a questo stile non sempre scorrevole, Prendila così è un libro bellissimo, molto intenso e sentito, che riesce a rendere perfettamente lo stato d’animo della sua protagonista. Ne rende la tristezza, la delusione, la fragilità, l’incapacità di sopravvivere in un mondo per lei forse un po’ troppo duro, che la porta a compiere scelte che spesso nemmeno vorrebbe prendere.

Mi è piaciuto molto lo stile asciutto e diretto di Joan Didion. Mi è piaciuto il modo in cui, attraverso un personaggio e le sue interazioni, ha raccontato una parte d’America, ma soprattutto una parte di vita che potrebbe riguardare un po’ tutti. Mi piace il modo in cui ha trattato certi argomenti, senza fare sconti a nessuno.
Come dicevo già prima, per quanto breve, Prendila così non è un libro di facile lettura. Però, ecco, non tutti i libri devono essere facili e scorrevoli. Anzi. A volte sono proprio quelli  più ostici a lasciarci di più.

In questo momento davanti a me ho una copia di un Vanity Fair di qualche settimana fa aperto proprio sulla pubblicità di Céline che ha Joan Didion come protagonista. Ed è proprio una gran figa, passatemi il temine. E lo penso ancor di più ora che so quanto maledettamente brava sia a scrivere.

Titolo: Prendila così
Autore: Joan Didion
Traduttore: A. Dell'Orto
Pagine: 172
Editore: Il saggiatore
Acquista su Amazon:
formato brossura:Prendila così

domenica 15 marzo 2015

Piccolo elogio dei mercatini dell'usato

Devo fare ammenda. Un’ammenda un po’ tardiva, forse, visto che ormai sono anni che la mia diffidenza nei confronti dei libri usati si è trasformata in amore puro. Ma meglio tardi che mai e, dopo gli affari che ho fatto durante la mia ultima visita a un Mercatino, non posso che scrivere questo post.

Devo fare ammenda perché a me, una volta, i libri usati non piacevano. Non mi piaceva l’idea che qualcuno li avesse aperti  e letti prima di me. L’idea che avessero già tenuto compagnia a qualcun altro, che con lui o lei avessero viaggiato su un treno, in una borsa, o semplicemente nel tragitto tra bagno, soggiorno e camera da letto. E che a letto con qualcuno ci fossero già andati.

In parte era una questione affettiva, che un libro quando entra in casa mia diventa mio e ne divento molto gelosa,  in parte (la più ampia) una questione igienica, inutile negarlo. Cioè magari il vecchio proprietario del libro è uno di quelli che “trovo tempo per leggere solo quando sono sulla tazza”, oppure che “leggo in ogni momento, anche mentre sto mangiando o facendo giardinaggio”. Eh sì, i libri come portatori di microbi sono una cosa che mi ha sempre un po’ inquietata. E non è nemmeno da dire che io sia una di quelle ossessionate con l’igiene e la pulizia maniacale, tutt'altro. Però, ecco, il pensiero di dove possa essere stato un libro prima che arrivi a me, un tantino mi inquieta (un po’ anche con quelli nuovi, in realtà… però ho l’illusione che siano stoccati lontano da fonti di odore). Poi però qualcuno mi ha insegnato qual è la giusta dose di disinfettante che si può utilizzare per pulire il libro senza squagliarlo.
Da quel momento, mi si è aperto un mondo. Basta turbe igieniche. Basta immagini raccapriccianti di libri seduti su un wc.  È diventato sufficiente controllare che fossero in buono stato (che l’Amuchina può ma fino a un certo punto) e, dopo una fugace occhiata al prezzo (“oddio, ma costa solo 3 euro!”), via, caro libro, tu puoi venire a casa con me.

Nei mercatini dell’usato riesci davvero a fare dei grandi affari. Certo, non devi partire con una wish list precisa e devi adeguarti un po’ alla scelta che ti ritrovi davanti. Però questo fa anche parte del loro fascino: non sai bene che cosa vuoi, ma stai pur tranquillo che da lì con qualcosa uscirai. E molte volte, con qualcosa di davvero bello che hai pagato quasi niente.
È in un mercatino dell’usato che ho trovato Ho paura torero di Pedro Lemembel, per esempio. Un autore e un libro che non avevo mai sentito nominare, che ho acquistato sulla fiducia (i marcos y marcos li compro sempre quando li trovo nei mercatini, a prescindere dal titolo… e grazie a questa mia “regola” ho letto anche Il nazista e il barbiere di Edgar Hilsenrath) e che poi è diventata una delle letture più belle del mio 2014 (e forse anche della vita). Grazie a un mercatino dell’usato ho conosciuto la profia Camilla Baudino di Margherita Oggero e anche quel gran fico dell’avvocato Guerrieri di Carofiglio.

A differenza dei libri nuovi, che posso comprare ovunque, in libreria od online, i libri usati devo comprarli dal vivo. Un po’ perché, come dicevo prima, non so mai bene cosa vado cercando tra i libri usati e quindi ho bisogno dell’ispirazione del momento, di vedere la copertina dal vivo. Un po’ per poterne valutare le condizioni fisicamente. So che Il libraccio ad esempio non accetta libri troppo rovinati, però ecco, magari al loro interno c’è una scritta, una frase, una pagina strappata, che all'addetto che li cataloga e poi li piazza online comprensibilmente sfugge. Certo, il non riuscire ad acquistarli online è una bella seccatura, che qui nella mia zona di Libraccio fisici non ce ne sono. Però proprio non riesco a superare questo scoglio.

Una delle cose belle dei libri usati è che all'interno possono rivelare grandi sorprese. All'interno di uno dei miei ultimi acquisti, ad esempio, ho trovato un bellissimo segnalibro a forma di coccodrillo. Sì, di segnalibri ne ho già migliaia, ma a forma di coccodrillo non ne avevo nessuno. Oppure trovi delle dediche bellissime, molto sentite… talmente sentite che non puoi fare a meno di pensare che chi abbia deciso di liberarsi di quel libro un po’ stronzo deve esserlo . Lo so, lo so… magari il libro era talmente brutto che nemmeno una bella dedica è riuscita a renderlo accettabile, oppure è un libro ereditato da qualche parte e portato direttamente a vendere senza nemmeno sfogliarlo. Però ecco, a me spiace sempre trovare una dedica bella in un libro di seconda mano. Mi spiace, ma mi diverte anche, perché inizio a ricamarci su un’altra storia, su chi l’ha scritta, su quale legame c’era tra il donatore e il ricevente, su cosa abbia spinto quest’ultimo a darlo via.
I libri usati raccontano tante storie, basta avere la fantasia necessaria per inventarsele.
E la cosa, come dicevo prima, può piacere o meno, però fa sicuramente parte del loro fascino.

E poi, vabbè, forse non serve nemmeno che lo dica, c’è il discorso economico. Libri quasi nuovi, tenuti benissimo, e acquistabili a metà (se non meno!) del prezzo originale. Una manna per i lettori forti (e per quelli un po’ tirchi).

Pensandoci, però, non so se porterei mai un mio libro a un mercatino dell’usato. Sarà che ho ancora ben impressa l’espressione della bibliotecaria del mio paesello, quando le ho portato una borsa piena di libri di cui volevo liberarmi (“Sono brutt… ehm… ho dei seri problemi di spazio, a casa”), ma preferisco regalarli, a qualcuno che conosco o in biblioteca appunto, che non provare a venderli (c’è anche da dire che è difficile che io compri libri che costino più di 15€, quindi il mio guadagno anche se li vendessi non sarebbe poi così tanto elevato).


Quindi, viva i libri usati, viva le dediche strappalacrime, viva i mercatini e il Libraccio e viva l’Amuchina!

venerdì 13 marzo 2015

LA COSTOLA DI ADAMO - Antonio Manzini

Bene, mi sono innamorata di Rocco Schiavone. Sì, lo so che ero già innamorata di Guido Guerrieri e un po’ di anche di Massimo del BarLume, però il bello dei libri è che ti puoi innamorare di tutti i personaggi che vuoi senza che nessuno di loro si ingelosisca.
La scintilla con Rocco Schiavone si era già accesa con Pista Nera, il primo romanzo della serie scritta da Antonio Manzini. Già lì si era dimostrato un duro con un cuore, uno stronzo ma con un’etica (ok, sempre un po’ sul confine tra legale e illegale), oltre che un bravo investigatore. E ora, con La costola di Adamo, la scintilla si è trasformata in fuoco vivo.

Rocco, che continua a indossare le Clarks e il loden sebbene ormai abbia capito che ad Aosta fa freddo, si ritrova a indagare su uno strano suicidio. C’è una casa in disordine e una donna appesa a un lampadario in una stanza buia. Che qualcosa non torni se ne accorgerà quasi subito. Come si fa ad impiccarsi al buio? A disturbare le indagini, che lo porteranno a conoscere piccoli delinquenti locali, mariti apparentemente devoti, una libraia d’eccezione e un prete insospettabilmente manesco, inaspettatamente ricompare il passato di Rocco, quello che lo ha portato da Roma in esilio in Val d’Aosta e che ora richiede di nuovo un suo intervento. Perché qualcuno che fermi la violenza sulle donne, che sia al nord, al centro o al sud, che sia compiuta da persone insospettabili, ci va. E poi c’è Marina, la sua amata Marina, che richiede la sua attenzione.

Al di là della mia passione per Rocco Schiavone, che qui sembra un po’ meno burbero e un po’ più simpatico (la scena del video mi ha fatta ridere davvero di gusto), più umano rispetto al primo romanzo,  in questo libro c’è un messaggio forte e chiaro verso i femminicidi e la violenza sulle donne, una piaga sociale, come ricorda anche lo stesso Manzini nei ringraziamenti, che finché esisterà non permetterà a nessun paese di definirsi civile. Un messaggio che colpisce e fa anche un po' male.

Oltre a questo, Manzini fa poi molto leva sul passato di Rocco, sulla sua storia con la moglie e sul forte amore che lui prova e proverà sempre per lei, nonostante quello che è successo. Una strizzatina d’occhio più al mondo femminile, forse, ma che non va comunque ad intaccare né il personaggio né lo svolgimento della trama.

La costola di Adamo è sicuramente un romanzo di  puro intrattenimento, che si legge in poche ore e non richiede troppo impegno mentale  al lettore. Però è anche qualcosa di più, perché non è vero che questi romanzi, che io stessa definirei da spiaggia (o forse più da giornata di relax montagna, se si tiene conto dell’ambientazione Valdostana), non debbano lasciare nel lettore qualcosa su cui riflettere riguardo al nostro mondo, che a volte sa essere proprio brutto.

E quindi bravo a quel gran fico di Rocco Schiavone, ma soprattutto bravo a Manzini per aver creato questo personaggio e questa grande storia.

Titolo: La costola di Adamo
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 285
Editore: Sellerio
Anno: 2014
Acquista su Amazon:
formato brossura: La costola di Adamo

mercoledì 11 marzo 2015

NOVE RACCONTI - J.D. Salinger

Ho dovuto riflettere molto prima di scrivere questo post. Non che normalmente io scriva post senza pensarci, però ecco i pensieri dopo aver terminato Nove racconti di J.D. Salinger sono stati molti e riuscire a decidere quali valga la pena di condividere è stato abbastanza complesso.

Che io ami i racconti credo si sappia già. Raymond Carver, Alice Munro, Agota Kristof, il nostrano Paolo Cognetti e la mia ultima lettura Eric-Emmanuel Schmitt, solo per citarne qualcuno (e ci aggiungerei anche Verga, da cui forse questa mia passione per i racconti inconsciamente è partita parecchi anni fa). Eppure non avevo mai letto dei racconti di Salinger, sebbene sia considerato uno dei capisaldi del genere da chi questo genere lo scrive. Non so dirvi perché, onestamente. Forse il fatto che questo autore viene citato quasi sempre solo per Il giovane Holden, libro che ho letto, sì, che mi è piaciuto, sì, ma che non mi è entrato nel cuore. Forse semplicemente perché nessuno mi aveva mai consigliato tanto caldamente di leggerli.
Poi è arrivato A pesca nellepozze più profonde di Paolo Cognetti, in cui racconta la sua scrittura tramite le opere di chi in qualche modo l’ha formato. Tra i vari racconti da lui citati, ricorreva spesso Per Esmé: con amore e squallore, un titolo che conoscevo solo “di fama” (e che trovo bellissimo). Cognetti è riuscito a incuriosirmi, a farmi venire voglia di leggere questo racconto ed è così che sono arrivata a Nove racconti, la raccolta che tra gli altri contiene appunto Esmé.

L’impatto iniziale con i racconti di Salinger, devo ammettere, non è stato dei migliori. Ho dovuto leggerli tutti due volte, prima di riuscire a comprenderne il (o parte del) senso. Un po’ è sicuramente colpa della traduzione di Carlo Fruttero, che poteva essere una grande traduzione quando è uscita ma che ora è decisamente troppo invecchiata. Una traduzione così, fatta da un grande tra l’altro, può far parte del fascino del libro, certo, ma nel mio caso ha reso la lettura davvero faticosa. Un po’ è che forse, per qualche inspiegabile motivo, la mia mente non era concentrata abbastanza sulla lettura (che avevo già rimandato una volta, dopo poche pagine) e quindi si è incagliata in punti in cui normalmente non l’avrebbe fatto.  Ci sono poi le aspettative, che erano molto alte,  e quasi sicuramente limite mio (che non posso negare) che mi ha impedito di apprezzare tutti questi racconti tanto quanto avrei voluto.

Sì, ho adorato il racconto in apertura, Un giorno ideale per i pescibanana. Mi sono piaciuti Alla vigilia della guerra contro gli Esquimesi, Il periodo blu di De Daumier-Smith e il dialogo finale di Teddy, oltre ovviamente allo stupendo Per Esmé: con amore e squallore, che era il vero obiettivo di questa lettura.  Però, ecco, ho l’impressione di essermi persa qualcosa. Di non aver capito qualcosa che avrebbe dovuto essermi chiaro. Di non aver colto l’intensità delle storie e, in alcuni casi, come dicevo anche prima, il loro reale significato.
E questa cosa mi fa arrabbiare, perché ero convinta che mi sarei innamorata di Salinger e dei suoi racconti, ma anche pensare al fatto che come lettrice ho (e avrò sempre) dei limiti che scoprirò nei momenti più impensabili.

Mi rendo conto che questa non è una recensione. Non può esserlo, perché per parlare bene o male di un libro del genere bisogna essere pienamente sicuri di sé, di quello che si è capito, di quello che è rimasto. E io, lo dico con tutta la sincerità del mondo, non sono sicura di nessuna di queste cose.

Continueranno a piacermi i racconti? Certo. Darò un’altra possibilità a Salinger? Ma sì, ovvio, che magari è solo una questione di momenti giusti. Vi consiglio i suoi Nove racconti? E di nuovo sì, ma preparatevi alla possibilità (magari remota, nel vostro caso) di scoprire che avete anche voi qualche limite.

Titolo: Nove racconti
Autore: J.D. Salinger
Traduttore: Carlo Fruttero
Pagine: 230
Editore: Einaudi
Acquista su Amazon:
formato brossura: Nove racconti

domenica 8 marzo 2015

ODETTE TOULEMONDE - Eric-Emmanuel Schmitt

Per una coincidenza fortuita ma molto appropriata, mi ritrovo oggi, 8 Marzo e Festa della Donna, a parlarvi di un libro che fa delle donne le sue protagoniste. E sono davvero felice di potervi consigliare un libro così per la giornata di oggi, che troppo spesso, almeno dal punto di vista letterario, scade in letture banali e a volte addirittura avvilenti per il sesso femminile.

Odette Toulemonde di Eric-Emmanuel Schmitt fa un omaggio a tutte le donne e alle loro contraddizioni, ai loro turbamenti, alle loro passioni e dolori. Lo fa con otto racconti che presentano otto donne completamente diverse tra loro, eppure alla fine tutte così simili.
Si inizia con Wanda Winnipeg che ha passato la sua vita a cercare di farsi un nome attraverso gli uomini con cui ha vissuto, per cercare di riscattare il suo triste passato. Si passa poi a Hélène, completamente incapace di godere delle piccole gioie della vita a causa della sua continua ricerca di ogni imperfezione, finché qualcuno non le insegnerà che una giornata di pioggia può essere bella. Si entra in casa di Odile Versini e si condivide la sua paura, il suo senso di smarrimento e incomprensione, la sua angoscia e il suo dolore che potrebbero, purtroppo, colpire tutti, indipendentemente da quanto brillante sia stata in passato la propria mente. Comprendiamo la rabbia e il cinismo di Aimée Favart, dopo che scopre che l’uomo di cui è stata amante per tutta la vita l’ha sempre imbrogliata, nei sentimenti ma anche nelle cose pratiche, e ora vuole vendicarsi con chi queste pene non le ha mai vissute. Seguiamo passo passo la moglie di Samuel, da quando va per la prima volta a rifarsi i capelli al momento finale in cui scopre la verità sulla sua vita e su quello che può essere l’amore. Conosciamo Fabio e il suo passato da attore mancato, a causa della sua eccessiva bellezza priva di ogni talenti, che ritorna in un paesino in cerca di una delle poche donne che una volta lo aveva amato. E poi arriviamo a lei, alla grande, grandissima Odette Toulemonde che dà il titolo a tutta la raccolta, appassionata di uno scrittore che con le sue parole la colpisce al cuore e pronta quindi a difenderlo anche quando la critica si rivela nei suoi confronti impietosa. E finiamo con le prigioniere siberiane e la loro voglia di comunicare con i parenti e le figlie a casa, ma poi indecise su cosa scrivere per far capire alle persone a cui vogliono bene quanto stiano pensando a loro.

Nove racconti, quindi, con nove donne che riescono a incarnare tutte le sfaccettature dell’universo femminile: gioia, amore, passione, dolore, felicità, tristezza, paura… Donne sofisticate e donne semplici, donne ricche e donne povere, che si ritrovano ad affrontare la vita, senza che queste differenze facciano poi alcuna distinzione.

Ho adorato soprattutto Odette, che (mi) ha dato una bella lezione riguardo alla passione per certi libri e certe letture, ma anche un grande esempio di semplicità e amore vero. Ma anche Hélène e la sua difficoltà a cogliere la bellezza di un giorno di pioggia. Mi ha turbato e intristito Odile con la sua malattia, mentre avrei preso volentieri a schiaffoni Aimée per la sua ingenuità e conseguente cattiveria. E se in un ipotetico futuro, da qualche sperduta prigione del nord, dovessi scrivere a mia figlia, probabilmente le manderei la ricetta della torta alle pesche.

Dopo averlo già fatto con Concerto in memoria di un angelo, mio primo approccio a questo scrittore, Eric-Emmanuel Schmit è riuscito ancora una volta a colpirmi con il suo stile, le sue trame e la sua scrittura. Per quanto possa sembrare uno stereotipo, parlare di donne e farlo bene non è una cosa semplice, perché oltre alla conoscenza, ci va secondo me una forma di ammirazione e di rispetto che non tutti sempre hanno. Eric- Emmanuel Schmitt, secondo me, ce l’ha eccome e ha creato davvero un piccolo gioiello.

Tutti, uomini e donne, oggi che è l’8 marzo ma anche ogni altro giorno dell’anno, dovrebbero leggere questi racconti e di queste loro protagoniste. Non dico che arriverete a comprendere meglio l'universo femminile, perché alla fine, uomini e donne, siamo tutti esseri umani con la nostra buona dose di contraddizioni e incomprensioni che forse nemmeno noi capiamo, però sicuramente leggerete delle belle storie che vi faranno un po' ridere, un po' commuovere, un po' riflettere e un nel po' emozionare.

Titolo: Odette Toulemonde
Autore: Eric-Emmanuel Schmitt
Traduttore: Alberto Bracci Testasecca
Pagine: 191
Editore: e/o
Anno: 2006
Acquista su Amazon:
formato brossura:Odette Toulemonde

giovedì 5 marzo 2015

UNA PICCOLA BESTIA FERITA - Margherita Oggero

Sì, lo so, le mie recensioni dei romanzi di Margherita Oggero sono sempre un po’ tutte uguali, al punto che forse avrei potuto leggere la serie completa con protagonista la profia Camilla Baudino, visto che sicuramente la leggerò tutta, e farne poi un bel commento cumulativo. Ma per prima cosa quando ho iniziato con La collega tatuata non sapevo ancora che mi sarei affezionata così tanto a questa professoressa e a tutta la sua famiglia e cerchia di amici, e quindi l’ho recensito come un libro a se stante. Per seconda cosa, e forse direi anche soprattutto, credo che i libri che mi divertono e mi appassionano così tanto, anche se dei semplici gialli di puro e semplice intrattenimento, si meritino una recensione tutta per loro.

E così, eccomi qui a parlarvi di Una piccola bestia ferita,  secondo romanzo in ordine cronologico e terzo nel mio personalissimo (e mai una volta che segua l’originale) ordine di lettura della serie di Camilla Baudino. Che qui si ritrova a indagare sullo strano sequestro della giovane e antipatica figlia di una famiglia che vive nel suo stesso palazzo. Eh sì, perché anche se è sparita e non si dovrebbe tanto dire, è una ragazzina viziata e arrogante, che maltratta il goffo fratello Christian e i ricchi genitori un po’ troppo permissivi. Quella che sembra una sparizione volontaria ben presto si rivela infatti qualcosa di più grave, dentro cui la profia Camilla si ritrova invischiata suo malgrado, da quando ha sentito in ascensore l’odore di infelicità di Christian e poi, subito dopo, ha iniziato a dargli ripetizioni. E sarà proprio grazie al suo impicciarsi e al legame creato con il fratello della rapita, che la faccenda riuscirà fortunatamente a chiarirsi e a risolversi.

Accanto alla profia, ritroviamo i personaggi di sempre: il bel poliziotto Gaetano, con quel loro strano rapporto sempre in bilico tra amicizia  e attrazione, la fantastica figlia Livietta (mamma mia quanto ho riso per le “poppette”), il burbero ma adorabile marito Renzo e Potti, il super bassotto. E ritroviamo anche ovviamente lo stile di Margherita Oggero, ricco di quell’ironia e di quella piemontesità che tanto mi fanno adorare questa scrittrice.

A differenza degli altri due romanzi che ho letto, in questo c’è un finale un po’ più inaspettato a livello stilistico, con il passato e il presente, con le indagini della polizia e le paure di Karin, che si mischiano sulla pagina dando un ritmo devo dire abbastanza angosciante.

Se vi piacciono i gialli ma anche i romanzi d’amore, i personaggi profondi ma anche un po’ (ok, tanto) bislacchi, vi consiglio caldamente di leggere i libri di Margherita Oggero. Ci metterete poche ore (perché un giallo ben riuscito, secondo me, è quello che non ti distrae da qualche altra cosa tu debba fare in quel momento per tenerti lì tra le sue pagine) e, sono abbastanza convinta, ne rimarrete entusiasti.

Titolo: Una piccola bestia ferita
Autore: Margherita Oggero
Pagine: 246
Editore: Mondadori
Acquista su Amazon:
formato brossura: Una piccola bestia ferita

mercoledì 4 marzo 2015

Incontrando... Marco Missiroli

Era da un po’ di tempo che mi sarebbe piaciuto assistere a un incontro con Marco Missiroli. Da quando ho letto e adorato il suo Il senso dell’elefante, da quando mi sono un po’ scontrata con Il buio addosso e da quando mi è arrivata la sua mail in risposta alla mia proposta di intervista, dopo poche ore che gliela avevo inviata. Mi piace vedere dal vivo, almeno una volta, le persone che con le loro parole scritte hanno saputo emozionarmi, anche se potrebbe rivelarsi una delusione.

Quindi, quando mi è arrivata la newsletter del Circolo dei Lettori di Torino in cui veniva annunciata la presentazione, di lì a una settimana, di Atti osceni in luogo privato, il nuovo romanzo di Marco Missiroli, sono corsa nella libreria in cui lo avevo prenotato per ritirarlo. Lo avrei fatto comunque, perché attendevo un nuovo libro quasi con ansia, ma volevo averlo subito tra le mani per poter arrivare alla presentazione preparata (ed è per questo che questo post è immediatamente successivo alla presentazione, per quanto possa effettivamente sembrare un po’ stalkeristico)

Per cui ieri, insieme a Thais di Solo libri belli, sono andata a questo incontro al Circolo dei lettori. Che, forse ve l’avevo già detto, è un posto fichissimo, pieno di eventi e di persone, di libri e di attività, al punto che, per chi lo frequenta poco come me, mette un po’ in soggezione. Però è stato bello, mentre gironzolavo tra le sale (ok, cercavo il bagno in realtà), sentire due persone dire “è bello venire qui, soprattutto per chi a casa è da solo. Ci sono i libri e c’è la compagnia”.

Sono andata alla presentazione, vi dicevo, di Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli, che aveva accanto a lui Luca Beatrice, nuovo presidente del Circolo, in una sala gremita anche di un pubblico giovane (cosa un po’ inusuale, se devo dire la verità).


Inizio con il dire che Marco Missiroli è un timido, che ha esordito dicendo di non preoccuparsi se nel corso di questa chiacchierata lo avremmo visto diventare tutto rosso. E già lì mi è stato simpatico. Perché essere uno bravo scrittore e saper parlare in pubblico sono cose molto diverse, ovviamente. Un atto privato, privatissimo, contro uno invece pubblico che non tutti (io per prima) sono in grado di sostenere.
La presentazione è partita dalla copertina, ovviamente. Quella benedetta copertina, "Holy Cross (in hoc signo vince)" di Erwin Blumenfeld, che continuo a trovare inquietante sebbene sia, come Luca Beatrice sottolinea subito, “un passapartout per la storia”. Ed effettivamente è di fronte a quell'opera che Libero, il protagonista del libro, ha la sua prima vera rivelazione sul sesso e sul suo modo di viverlo, e c’è quindi il passaggio tra il mero consumo del corpo, lo scopare, e un coinvolgimento più forte, il fare l’amore. Missiroli racconta di aver discusso a lungo con l’editore su questa scelta. E’ un’immagine forte, le persone si sentirebbero a disagio a tenerlo in mano sui mezzi pubblici e qualcuno è arrivato persino a foderarlo (io ho messo la fascetta, per dire). Però è una parte talmente tanto importante all'interno del libro che non poteva non essere in copertina. Anche il titolo ha dato di che riflettere. L’idea iniziale era quella di intitolarlo semplicemente Libero, ma poi, al Festival della mente di Sarzana, durante la presentazione di Peter Cameron, è stato messo ai voti e Atti osceni in luogo privato ha stravinto.

Missiroli ha poi raccontato la nascita del romanzo. Era sotto un ombrellone in un bagno riminese, sua città natale, che stava cercando di scrivere un romanzo sugli organi. Organi che escono da un corpo e vanno in altri corpi e di cui l’autore segue la storia. Tuttavia, mentre scriveva, si è reso conto che aveva voglia di raccontare qualcosa che lo rendesse libero davvero. “Quando uno non ha tante libertà, le mette in un libro”. Per farlo ha attinto al suo passato, alla sua storia erotica che è poi la storia erotica di tutti i timidi. A Rimini si perde la verginità in media intorno ai 14 anni, perché ci sono i turisti e ci sono le tedesche. Missiroli l’ha persa a venti e quei sei anni di distacco tra lui e i suoi amici, oltre a essergli costati diverse prese in giro, lo hanno trasformato in un resiliente amoroso. Quindi la storia di Libero, protagonista del libro, è in parte la sua storia.

Da lì si è passati all'ambientazione del libro, che non viene mai esplicitata apertamente nel corso del romanzo, ma ci sono evidenti segnali che permettono di collocarlo. La storia parte dal 1963 e arriva fino al 2001. Missiroli, che è nato nel 1981, ha scelto di far nascere prima di lui il suo protagonista perché è una persona anacronistica. Gioca a bocce, non va in discoteca se non per tenere le giacche degli amici e, se potesse scegliere, gli sarebbe piaciuto nascere nel 1932. “Se nasco nel 1932 e passo la guerra, vuol dire che scrivo negli anni ’60 e che ce l’ho fatta. Come Moravia”. A questa nascita in epoca ritardata fatica un po’ ad adattarsi.

Si è poi parlato del concetto di romanzo erotico che, visti anche certi best seller da classifica ultimamente, pare sia una cosa da donne. Marco Missiroli sottolinea che lui non aveva intenzione di scrivere un romanzo erotico e che, effettivamente, Atti osceni in luogo privato non è un romanzo erotico perché non ci sono volgarità, cose troppo esplicite, e consapevolmente. Lui non voleva andare al centro ma stare attorno, alla questione, scrivendo un romanzo sul voler essere qualcuno, sul diventare se stessi, processo che passa inevitabilmente attraverso l’erotismo e la scoperta del corpo, ma che in un persona timida, come il protagonista e come l’autore stesso, è molto complesso.
Scrivendo, ha immaginato di avere su una spalla sua madre che lo intimava di continuare romanzi simili ai precedenti, e sull'altra la sua professoressa del liceo, che gli faceva i complimenti per non aver inserito volgarità nel testo. Alla fine, però, la prima stesura l’ha fatta leggere al padre che, raccontano, è uscito dallo studio in cui l’ha letto con le orecchie rosse e i capelli gonfi, dicendo che un libro così non poteva essere pubblicato. Dopo averci lavorato un po’, a seguito anche del commento del padre, Missiroli è riuscito a cambiare identità e a emanciparsi attraverso queste pagine.

Un ruolo fondamentale, e bellissimo, all'interno del romanzo è poi svolto dai libri, quelli che Marie, uno dei personaggi principali per lo sviluppo erotico del protagonista, gli passa.
Se uno non riesce a vivere nel mondo, può vivere nella letteratura. Se uno vive tanto nel mondo e legge, vive ancora di più nel mondo
Tre sono i romanzi principali che vengono citati, tutti con un ruolo ben preciso: c’è Mentre morivo di Faulkner, Il deserto dei Tartari di Buzzati e Lo straniero di Camus.
Per Missiroli sono state tutte letture tardive, perché ha iniziato a leggere intorno ai diciannove anni. Il suo primo romanzo è stato Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti. Poi, racconta, sua madre ha avuto la pessima idea di dargli L’alchimista di Paolo Coelho e lui si è di nuovo scoraggiato. Per fortuna è arrivato suo padre che, per aiutarlo a superare la noia, gli ha consigliato di leggere Il deserto dei Tartari. Dal due palle iniziale è passato a pensare “Io non farò quella fine lì, io devo vendicare Giovanni Drogo”
Questi tre libri sono così importanti per Libero, e probabilmente anche per Missiroli, perché si rende conto che Giovanni Drogo, Mentre morivo e Lo straniero sono in realtà delle evasioni da delle carceri esistenziali e allora inizia a correre.

Si è poi parlato dei protagonisti, soprattutto dei personaggi femminili presenti nel libro: Marie, Lunette, Frida, Anna e la madre stessa, che ha dato un po’ origine a tutti i turbamenti di Libero da bambino. Tanti personaggi diversi tra loro, e tutti ben caratterizzati, che hanno un po’ vendicato l’assenza di personaggio femminili nei romanzi precedenti. Il più difficile da scrivere, su cui ha lavorato di più, è stata Frida, che voleva caratterizzare bene senza farla diventare una macchietta. E, mi permetto di dire, forse insieme a Marie, è quella che meglio gli è riuscita.

La presentazione si è poi piano piano conclusa, con qualche accenno alla differenza tra scrivere di Parigi e scrivere di Milano, i due luogo in cui il romanzo è ambientato, con ancora qualche aneddoto sulla vita di Missiroli (“quando a vent’anni ho perso la verginità ero a Bologna, ho avvisato gli amici di Rimini e hanno messo i manifesti in discoteca") e con un intervento dal pubblico di una signora che mi ha fatto sorridere, perché si è commossa per un personaggio che aveva fatto commuovere tanto anche a me (anche se non so se l’effetto sarebbe stato lo stesso se anziché chiamarlo Palmiro Togliatti lo avesse chiamato Giulio Andreotti).

Mi sono poi avvicinata per l’autografo e ho trovato il coraggio per dirgli chi ero (ecco, io vado sempre nel panico al momento degli autografi, sudo, divento tutta rossa e mi agito... è una cosa scema, ma non ci posso fare niente). E non finirò mai di stupirmi ogni volta che uno scritto, quando dico “Ciao, io sono la lettrice rampante”, da’ evidenti segni di avermi riconosciuto (di solito sono un “Ooooohh, ma dai, finalmente!”).


Sono uscita dalla presentazione di Marco Missiroli entusiasta e contenta di aver finalmente conosciuto dal vivo quello che reputo un grande scrittore e, soprattutto, una bella persona. Certo, alla fine mi sono anche sentita molto ignorante, perché ha una conoscenza incredibile della letteratura italiana, pur essendo arrivato tardi alla lettura. 
In ogni caso, assistere a una sua presentazione merita tanto quanto leggere un suo libro.

lunedì 2 marzo 2015

ATTI OSCENI IN LUOGO PRIVATO - Marco Missiroli

Sto rimandando di ora in ora la scrittura della recensione di Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli. E lo sto facendo consapevolmente, per due motivi ben precisi: il primo è che non voglio che i mille pensieri scaturiti nella mia testa da quando ho chiuso il libro prendano chiarezza. Sembra assurdo, ma per me scrivere la recensione di un libro che ho letto ne sancisce un piccolo distacco, che in questo caso, visto quanto l’ho amato, non so se sono ancora pronta ad accettare. Il secondo motivo, invece, è che non sono sicura di riuscire a scrivere qualcosa all'altezza di quello che ho letto. Mi succede sempre, quando devo parlare di un romanzo che ho trovato incredibile e bellissimo. Per cui inizierò con il dire che questa sarà una brutta recensione di un libro stupendo, che le mie parole non renderanno il giusto onore a quelle di Marco Missiroli e che l’unica cosa che potete davvero fare per capire quello che cercherò di dire è leggerlo.

Ammetto che la copertina di questo Atti osceni in luogo privato mi disturba un po’. Mi disturbava quando l’ho vista per la prima volta in libreria, poi quando l’ho portato a casa e appoggiato sul comodino. Ha continuato a farlo anche mentre lo leggevo e persino quando all'interno del testo si è palesato il suo significato. E’ una copertina perfetta, perché segna un momento del libro. Però allo stesso tempo è una copertina che, se non si fosse tratta di un romanzo che aspettavo da tempo, più che attrarmi mi avrebbe respinto. E così pure il libro, devo ammettere, mi faceva un po’ paura.

Racconta la storia di Libero Marsell, che all'inizio della storia ha dodici anni, si è da poco trasferito a Parigi e ha appena scoperto, in modo forse un po’ traumatico, quanto il sesso faccia parte della vita e quanto la sua vita da esso sarà influenzata. Il lettore vede Libero crescere, provare i primi turbamenti sessuali, affrontare la separazione dei genitori e poi un grave lutto, i primi interessi verso il mondo femminile, con i primi amori non corrisposti e l’inevitabile modo con cui sfogarli. E poi vede Libero cambiare e diventare grande, con l’aiuto dei libri giusti che sembrano arrivargli sempre nel momento giusto e di Marie, una provocante bibliotecaria che avrà sempre un ruolo speciale nella sua vita. Vede Libero innamorarsi, lasciarsi travolgere dalla passione, dall'amore, dal sesso, ma anche dalla gelosia e dalla tristezza. Vede Libero fuggire e perdersi, usare il sesso come sfogo e anche un po’ come catarsi.  E infine lo accompagna nell'affrontare una nuova perdita e, ancora una volta, un grande, travolgente amore.

Avevo paura, vi dicevo, perché temevo che di sesso ce ne fosse davvero troppo e saperne scrivere senza generare nel lettore (un po’ pudico forse) imbarazzo o fastidio non è una cosa semplice.
Marco Missiroli ci riesce alla grande, perché in questo libro c’è sì tanto sesso, ma c’è anche tanta poesia, tanto amore, tanta tristezza e tanto dolore, (pianse di colpo, e piansi anche io. Non per nostalgia, non per desiderio, ma perché le cose finiscono), toccando tutti i principali aspetti e situazioni che ci possono capitare nell'arco della vita, l'amore e l'odio, la gioia e il dolore, la malattia, la morte, ma anche la guarigione e la nascita.
E poi c’è, soprattutto, un grande, grandissimo personaggio, Libero Marsell, Le Grand Libero, un personaggio che ha bisogno di capirsi e di capire, di  trovare un senso alla sua vita, senza preconcetti né limiti, e di trovare un posto nel mondo in cui stare.

Ho amato moltissimo il ruolo che i libri hanno svolto nella sua vita (I libri spostavano la mia gravità, e attuavano una legge: avevano iniziato a mettermi al mondo). Ho amato moltissimo il personaggio del padre, che non lo abbandona mai pur non essendoci più. Ho amato i suoi amici e il piccolo Palmiro Togliatti, ho amato il suo rapporto con Marie e l’ambientazione parigina e milanese negli anni ’80. Ho amato la scrittura di Missiroli, che già conoscevo e già amavo, ma che qui mi ha dato ancora di più la conferma della sua incredibile bravura nel raccontare storie e nel lasciare qualcosa al lettore con ogni pagina.

Come vi avevo anticipato, questa è una recensione brutta di un libro bellissimo. Un libro che so per certo che non mi abbandonerà per un bel pezzo. Un libro che, secondo me, dovreste assolutamente leggere.

Titolo: Atti osceni in luogo privato
Autore: Marco Missiroli
Pagine: 249
Editore: Feltrinelli
Anno: 2015
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