giovedì 31 gennaio 2013

44 SCOTLAND STREET - Alexander McCall Smith

Quando spinge il portone del 44 di Scotland Street, nel centro di Edimburgo, Pat non vede l'ora di cominciare tutto daccapo. È al suo secondo anno sabbatico e una casa e un lavoro nuovi sono quello che ci vuole per ripartire. Da lì in poi dividerà l'appartamento con l'insopportabile Bruce, agente immobiliare bello e vanitoso; troverà lavoro nella galleria d'arte di Matthew, un giovane delicato ma inconcludente che di arte non capisce nulla; trascorrerà piacevoli serate con l'eccentrica vicina di casa Domenica, un'anziana antropologa dispensatrice di storie esotiche e saggi consigli sugli uomini. Intanto al piano di sotto Bertie, inquieto bambino prodigio, cerca di far capire alla madre, Irene, che preferirebbe rugby e trenini elettrici ai corsi di yoga, sassofono e italiano. A unire tutti un misterioso tentativo di furto e la caccia a un quadro che potrebbe essere una crosta o valere una fortuna...

Dopo aver letto l'intera saga di  Isabelle Dalhousie e del suo club di filosofi dilettanti, e un paio di quella di Preciuos Ramotswe e della sua agenzia investigativa in Botswana, mi sono presa una pausa dai romanzi di McCall Smith. Perché sono belli eh, però alla lunga tendono ad annoiare, soprattutto se letti a distanza molto ravvicinata l'uno dall'altro. Perché sostanzialmente nei suoi romanzi non succede niente, o almeno niente di eclatante: i suoi gialli non sono veri gialli, le sue storie d'amore non sono passionali e travolgenti e i drammi familiari si limitano a ribellioni adolescenziali e a matrimoni non del tutto soddisfacenti. Eppure,c'è qualcosa in queste storie che, se lette nel momento giusto e alla giusta distanza, le rende piacevoli e in qualche modo appassionanti.

Anche nel caso di 44 Scotland Street, primo romanzo di una nuova saga ambientata in un condominio di Edimburgo, non succede poi molto. Il libro inizia con Pat che, al suo secondo anno sabbatico e indecisa su cosa fare del suo futuro, si trasferisce in questa palazzina, in un appartamento che condividerà con altri inquilini. Al momento è presente solo Bruce, un giovane adone narcisista, irritante e antipatico, che lavora come perito immobiliare e per cui Pat prenderà una cotta spaventosa. Ad accogliere la ragazza c'è poi l'inquilina dell'appartamento accanto al loro, un'antropologa sessantenne dal passato molto avventuroso, che la coccola e la consiglia. Al piano sotto abita Irene con il marito e il figlio prodigio Bertie, cresciuto secondo i dettami di una nuova psicologia infantile: non ha una camera ma un "suo spazio", non può giocare con i trenini perché deve suonare il sassofono e imparare l'italiano, e all'asilo viene isolato perché troppo intelligente. Finché un giorno non si ribella e da' fuoco al "Guardian" del padre.
Attorno a questi personaggi (che immagino siano solo una parte degli abitanti del palazzo, gli altri verranno presentati più avanti), ne ruotano altri di contorno: Matthew, giovane in cerca del suo futuro, "capo" di Pat nella galleria d'arte che il padre ha acquistato per lui e in cui la ragazza ha iniziato a lavorare. La barista intellettuale Big Lou, che si è avvicinata alla lettura perché prima al posto del suo locale c'era una libreria. C'è il pittore Angus Lordie con il suo cagnolino ammiccante Ceryl. Ci sono gli amici di Matthew e il capo di Bruce con la famiglia. E tanti altri personaggi di contorno.

Non c'è una trama vera e propria, ma tanti piccoli episodi che riguardano i singoli protagonisti e le loro relazioni. Sì, forse la storia a cui viene dato maggior risalto è quella di Pat e di Matthew che tentano di scoprire il valore di un quadro presente in galleria. Ma anche questa è solo un pretesto per raccontare di persone e di relazioni umane.

Ho letto non so più dove (e mi dispiace davvero non ricordarmelo) una definizione secondo me perfetta dello stile di McCall Smith: garbato. E infatti questo autore scrive e descrive senza grandi slanci, senza esagerazioni, senza colpi di scena eccessivi o storie al cardiopalma. Lui prendere persone e situazioni più o meno normali e più o meno comuni e le analizza, mostrandone aspetti che magari non sempre si potrebbero notare, con sempre una certa poesia di sottofondo.
Come dicevo prima, forse è proprio questa assenza di azione che rende la lettura continuata di questi libri un po' noiosa, perché a un certo punto si sente proprio il bisogno che succeda qualcosa. Il problema però, che a volte rende difficile aspettare il giusto tempo prima di leggerne un altro, è che molte cose vengono lasciate un po' in sospeso, come se mancasse qualcosa: in questo caso, mi piacerebbe sapere ad esempio cosa succede al povero Bertie, o come evolverà la relazione tra Pat e Matthew... per non parlare del finale, in cui è evidente che qualcosa non quadra ma che non ci viene spiegato.

Insomma, si tratta di una lettura sicuramente piacevole, che riesce anche a stupire con alcune frasi ad effetto davvero notevoli.
Poi, non so a voi, ma a me le storie ambientate nei condomini e nei palazzi piacciono tantissimo, perché riuniscono in un unico luogo tante storie e tanti personaggi... che un bravo autore sa sicuramente come gestire e far interagire.

"abbiamo tutti dei momenti proustiani, ma finche' non leggiamo Proust non lo sappiamo"
Nota alla traduzione: a parte le "d" eufoniche, a volte presenti a volte no, e la scelta di non tradurre certe parole, direi nulla da segnalare.

Titolo: 44 Scotland Street
Autore: Alexander McCall Smith
Traduttore: Elisa Banfi
Pagine: 336
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: TEA
ISBN: 978-8860886316
Prezzo di copertina: 8,60€
Acquista su Amazon:
formato brossura: 44 Scotland Street

mercoledì 30 gennaio 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #19

Ed eccoci arrivati a un'altra puntata della rubrica di confronto tra titolo originale e titolo tradotto. Quest'oggi verranno analizzati tutti i romanzi finora pubblicati in italiano di un autore americano che ho scoperto l'anno scorso grazie alla lettura di quello che, per me, è il suo capolavoro. Il libro in questione è "Il vangelo secondo Biff" e l'autore è Christopher Moore.

La pubblicazione dei suoi libri in italiano ha subito percorsi singolari. Attualmente è edito dalla casa editrice Eliott, ma in realtà il suo arrivo nel nostro paese è da attribuire alla Sonzogno che, nel lontano 1992, ha pubblicato il primo romanzo. Nel corso degli anni, poi, questo autore è stato pubblicato anche dalla Sperling & Kupfer ma a poco a poco la Elliot sta provvedendo a nuove edizioni a suo nome.

In questo post parlerò ovviamente solo dei libri tradotti in italiano, per analizzare al meglio cosa è successo negli anni ai vari titoli, soprattutto nel momento di cambio di editore.
E il caso più clamoroso è forse proprio quello del primo romanzo, pubblicato negli USA nel 1992 e tradotto lo stesso anno da Luca Funari per, come si è già detto prima, Sonzogno e poi ripubblicato dalla Elliot nel 2011.
Sto parlando di PRACTICAL DEMONKEEPER ovvero LA COMMEDIA DEGLI ORRORI ovvero DEMONI. ISTRUZIONI PER L'USO


In questo caso infatti non abbiamo due ma tre titoli per un solo libro! Ovviamente, vista la grande differenza tra i due titoli italiani (pubblicati a quasi vent'anni di distanza) il rischio di confondersi se non ci si informa o non si ha l'abitudine di leggere l'originale nelle prime pagine è davvero molto alto. Però bisogna ammette che la scelta della Elliot di cambiare, sebbene molto azzardata e rischiosa se un libro è già stato diffuso con un altro titolo, in realtà rappresenta un tentativo di maggiore fedeltà all'originale. La traduzione letterale sarebbe qualcosa tipo "Tenere a bada i mostri - guida pratica". Sebbene ci sia una differenza anche nella nuova soluzione, almeno viene mantenuta l'idea di manuale, così come il riferimento ai mostri, totalmente assente invece nella prima versione. La Elliot sceglie poi di mantenere la copertina abbastanza simile alla prima edizione, adattandola semplicemente al loro stile di pubblicazione.


Nel 1993 esce, sia in lingua originale sia in italiano, un altro libro di questo autore, sempre per la casa editrice Sonzogno, con la traduzione di Andrea Di Gregorio: COYOTE BLUE ovvero IL RITORNO DEL DIO COYOTE.


In questo caso, la scelta del titolo italiano, lievemente discostato dall'originale, è però fedele alla trama. Nella pacifica quotidianità di Samuel, giovane agente assicurativo in carriera, irrompe Vecchio Coyote, un dio indiano dato per scomparso, seduttore e imbroglione, giocatore d´azzardo e grande trasformista che sconvolgerà la vita del protagonista. La scelta del titolo italiano è quindi a mio avviso decisamente accettabile... e credo che se uscirà una ristampa della Elliot possa mantenersi molto simile.


Nel 1999 esce negli USA un nuovo romanzo, tradotto in italiano solo nel 2010 da Luca Fusari, direttamente per la casa editrice Elliot.
Sto parlando di THE LUST LIZARD OF MELANCHOLY COVE ovvero SESSO E LUCERTOLE A MELANCHOLY COVE


Anche in questo caso, la differenza tra titolo originale e titolo italiano è davvero minima. La traduzione letterale sarebbe "la lussuriosa lucertola di Melancholy Cove", che alla fine non si discosta poi molto da "Sesso e Lucertole a Melancholy Cove": il senso che trasmette è abbastanza simile, senza quella stonatura che l'accostamento di "lussuriosa" e "lucertola" avrebbe potuto provocare.


Nel 2002 esce, finalmente aggiungerei io, quello che per me è il capolavoro dell'autore, anche se per avere la traduzione, a opera di Chiara Brovelli per Elliot, bisognerà attendere il 2008. Sto parlando di LAMB: THE GOSPEL ACCORDING TO BIFF, CHRIST'S CHILDHOOD PAL ovvero IL VANGELO SECONDO  BIFF, AMICO D'INFANZIA DI GESU'


In questo caso titolo originale e titolo italiano sono praticamente uguali, eccetto una sottile differenza che comunque è bene far notare. Come si può vedere il titolo originale inizia con un LAMB ovvero agnello, che si riferisce all'idea di Gesù come Agnello di Dio, ma anche a una persona docile e remissiva. Nella versione italiana si è scelto di togliere questa parola, perché effettivamente il titolo "AGNELLO: IL VANGELO SECONDO BIFF" (o una delle possibili varianti, "Agnello di Dio: il vangelo secondo Biff" o "Gesù: il vangelo secondo Biff) sarebbe suonato decisamente strano per il lettore. Rimane invece invariato il sottotitolo, eccetto per la scelta di tradurre Christ con Gesù e non con Cristo.


Nel 2004 Moore pubblica poi un altro romanzo, che esce in Italia lo stesso anno per la casa editrice Sperling & Kupfer, con la traduzione di Giulia Balducci, e poi riproposto nel 2012, con la stessa traduzione dalla Elliot. Mi riferisco a  "THE STUPIDEST ANGEL- A HEARTWARMING TALE OF CHRISTMAS TERROR ovvero TUTTA COLPA DELL'ANGELO- UN ALLEGRA FAVOLA DI NATALE ovvero UNO STUPIDO ANGELO- STORIA COMMOVENTE DI UN NATALE DI TERRORE



Anche in questo caso, siamo di fronte a tre titoli per un solo libro, sebbene siano tutti molto simili. La traduzione letterale dell'originale sarebbe "L'angelo più stupido- una storia scaldacuore di un Natale di terrore". Nella prima edizione della Sperling & Kupfer, titolo e sottotitolo vengono modificati, senza alcun motivo apparente. Certo, se si da' tutta la colpa all'angelo, è evidente che proprio furbo non deve essere. Però nel sottotitolo si perde il riferimento al terrore e al commuovente. La Elliot ripristina invece il senso originale, traducendo letteralmente il sottotitolo e passando a "Uno stupido angelo"... che non è ancora proprio letterale, ma ci si avvicina molto.


Negli altri romanzi di Christopher Moore tradotti finora, tutti pubblicati sempre dalla casa editrice Elliot non si trovano grandi differenze nei titoli che vengono solitamente tradotti letteralmente (ad esempio, A DIRTY JOB diventa UN LAVORO SPORCO) oppure lasciati in lingua originale (è il caso ad esempio di FOOL o di SACRE' BLEU)

Le principali differenze tra titolo originale e titolo tradotto si ritrovano quindi solo quando uno stesso romanzo è stato pubblicato da due case editrici differenti, e la tendenza dell'editore che ripubblica è quella di utilizzare una traduzione il più possibile vicina all'originale.

Vorrei poi far notare che le copertine, in qualunque lingua e in qualunque versione, sono davvero bellissime!

Alla prossima settimana!

lunedì 28 gennaio 2013

Blog letterari e scrittori emergenti: come la vedo io.

Oggi vi voglio parlare di un argomento non proprio semplice da trattare ma che credo interessi la maggior parte dei blog letterari "amatoriali", ormai diffusissimi nella rete. Mi riferisco al rapporto tra i blogger e gli scrittori emergenti.
Un argomento un po' spinoso, su cui ognuno ha un'opinione diversa e un modo diverso di agire. E ho deciso di scrivere questo post per spiegare il mio umilissimo punto di vista, alla luce anche di una discussione che ho letto su un altro blog che seguo, a seguito di una recensione non troppo lusinghiera che l'autrice ha preso come un'offesa personale.

Penso che anche chi non ha un blog possa immaginare quanto spesso capiti di trovare nelle caselle di posta  richieste di recensioni da parte di autori emergenti o di piccole case editrici che cercano tramite questo canale (che, checché se ne dica, ha un potere immenso) un po' di visibilità e pubblicità.
Io stessa ne ricevo diverse a settimana (il flusso in realtà è un po' calato da quando ho specificato che non leggo fantasy e simili): alcune sono molto gentili, altre un po' troppo pretenziose, altre ancora richieste quasi disperate... tendenzialmente comunque leggo tutto quelli che mi viene inviato (con le mie tempistiche, ovviamente) e devo ammettere che in più di un caso mi sono trovata di fronte a piacevoli scoperte.

Il problema, almeno nel mio caso, sorge di fronte a quelle richieste (che solitamente arrivano direttamente dall'autore) che per me sono davvero fastidiose. Io, ad esempio, non segnalo un libro se non l'ho letto, perché mi sembra scorretto nei confronti dei lettori del blog, che mi seguono in cerca di consigli e suggerimenti. Se non so di cosa parla, perché dovrei pubblicizzarlo e quindi, indirettamente, consigliarlo?
E' una politica mia e non vuole assolutamente essere una critica nei confronti di chi invece segnala, sia chiaro. Però trovo che le segnalazioni non forniscano poi chissà quale grande pubblicità, perché si limitano al riportare la sinossi e la copertina, tutte informazioni che si possono trovare anche su internet. 
Quello che però mi fa arrabbiare è che spesso quando alla richiesta di una segnalazione faccio presente questa mia politica, dichiarandomi anche disponibile alla lettura del libro, la maggior parte delle volte non ottengo più risposta. Come se fossi stata maleducata o scortese ad esprimere questo mio punto di vista.

Quando invece mi vengono inviati i testi per una lettura, attuo una politica diversa, di nuovo totalmente discutibile. Ovvero: degli emergenti recensisco solo i libri che mi sono piaciuti e che meritano. Perché una recensione negativa offre comunque una visibilità non del tutto meritata, che porta via tempo a me per scriverla e al lettore per leggerla (il "bene o male purché se ne parli" ha un potere da molti sottovalutato).  Quindi se un libro mi è piaciuto, comparirà qui la recensione (in cui, sia chiaro, evidenzio comunque tutto quello che non va e le cose che non mi hanno convinta, come farei con qualunque altra recensione), in caso contrario scrivo all'autore, cercando di spiegare cosa non mi ha convinto, cosa secondo me non ha funzionato e provando insieme a capire dove e cosa si può migliorale.
E anche in questo caso, le volte in cui ho ricevuto risposta sono state pochissime (ci sono state eh). 

Io posso capire che una cattiva recensione proprio piacere non faccia e che spesso, soprattutto in certi autori dall'ego smisurato, il primo impulso è quello di dire o pensare "sì ma tanto tu non sei nessuno". Però nel momento stesso in cui tu mi chiedi un'opinione ne devi accettare le conseguenze.  E' ovvio che ci sarà sicuramente qualcuno a cui il tuo libro piace e qualcun altro che invece lo detesta. Siamo esseri umani e di fronte a qualunque cosa proviamo emozioni diverse.

La cosa che più mi fa riflettere è che la maggior parte delle volte queste reazioni arrivino da autori che si sono autopubblicati. Non voglio fare di tutta l'erba un fascio né soprattutto portare avanti una critica spietata contro l'editoria a pagamento.  Perché comunque se gli editori a pagamento esistono è perché c'è qualcuno a cui servono, qualcuno che preferisce pagare ed essere sicuro che il suo libro venga pubblicato piuttosto che sottoporsi a un giudizio che potrebbe essere (o forse è già stato) non troppo lusinghiero. Il fatto è che ultimamente si è diffusa l'idea che tutti possono e devono scrivere un libro. Persone che magari non ne hanno mai letto uno in vita loro, che scrivono "perché" con l'accento sbagliato o mettono le virgole a caso. In ogni caso, se vogliono pagare per questo loro momento di gloria, non sta a me giudicare. E sono anche convinta che non siano loro a rovinare il mercato editoriale attuale, perché sul mercato vero di questi autori ne arrivano ben pochi.
Tornando a noi, come vi dicevo, solitamente le risposte scortesi o le critiche e gli attacchi di fronte a recensioni negative arrivano proprio da questi autori (che poi sono gli stessi che spammano sulle bacheche delle pagine facebook). E non riesco a spiegarmi bene il perché.

Io ho letto anche autopubblicati, alcuni anche piacevoli, cercando di mettere sempre da parte il più possibile qualunque pregiudizio che, devo ammettere, queste pratiche un po' mi provocano. Eppure quando cerco di far notare perché un libro non mi è piaciuto, mi trovo di fronte a commenti come "non capisci niente", "a persone più autorevoli di te è piaciuto", "hai offeso la mia persona" (devo ammettere che questo una volta mi è successo anche con un'autrice non emergente, pubblicata da una casa editrice famosa). 

Io sono, prima di tutto, una lettrice e tu, autore, teoricamente stai scrivendo per me (o almeno, ANCHE per me). Può darsi che io non capisca il tuo modo di scrivere, può darsi che la punteggiatura sbagliata sia una scelta stilistica e che sia io scema a non condividerla... fatto sta che tu devi prendere e accettare il mio giudizio,  se è ben argomentato ovvio, senza offenderti od offendermi. E dovresti farlo anche se fossi un autore già conosciuto o con alle spalle una casa editrice che ti sostiene di più (il contatto con autori famosi è molto meno diretto, ma è ovvio che si tratta di una "regola" che deve valere per tutti)... perché alla fine scrivi per chi ti legge. 
E il mio giudizio è altrettanto valido e dignitoso di quello di chiunque altro si sia preso la briga di leggere e di parlare del tuo libro.

sabato 26 gennaio 2013

MANCARSI - Diego De Silva

Diego De Silva fa un passo a lato, si allontana dalle irresistibili vicende di Vincenzo Malinconico e ci regala una semplice storia d'amore. Semplice per modo di dire, perché la scommessa è tutta qui: nel nascondere la profondità in superficie, nel tratteggiare desideri e dolori, speranze e rovine, con poche parole essenziali, dritte e soprattutto vere. Perché, come diceva Fanny Ardant ne La signora della porta accanto, solo i racconti scarni e le canzoni dicono la verità sull'amore: quanto fa male, quanto fa bene. Solo lì si cela l'assoluto. Cosi De Silva prende i suoi due personaggi e li osserva con pazienza, li pedina, chiedendoci di seguirlo - e di seguirli - senza fare domande. Irene vuole essere felice, e quando il suo matrimonio inizia a zoppicare se ne va. Nicola è solo, confusamente addolorato dalla morte di una donna che aveva smesso di amare da tempo. Anche lui, come Irene, è mosso da un'assoluta urgenza di felicità. Anche lui vuole un amore e sa esattamente come vuole che sia fatto. Sarebbero destinati a una grande storia, se solo s'incontrassero una volta nel bistrot che frequentano entrambi. Ma il caso vuole che ogni volta che Nicola arriva, Irene sia appena andata via. Se le vite di Nicola e Irene non s'incontrano fino alla fine, le loro teste invece s'incontrano nelle pagine di questo libro: i pensieri, le derive, il sentire si richiamano di continuo, sono ponti gettati verso il nulla o verso l'altro. Forse, verso l'attimo imprevisto in cui la felicità finalmente abbocca.

Io amo Diego De Silva. Davvero. Amo il suo modo di scrivere, il suo modo di riuscire ad esprimere a parole sentimenti ed emozioni che, per quanto banali e semplici, sono sempre difficili da descrivere. Amo il modo in cui, con il suo stile e le sue frasi, riesce a portarti dentro a una storia, una storia con cui magari non avresti nulla da condividere, e a farti dire comunque "cavolo, è proprio così". Amo le sue storie, amo i suoi personaggi. Sì, insomma, amo tutto quello che esce dalla sua testa.

Avevo già avuto prova della sua bravura con le avventure dell'avvocato Malinconico, "Non avevo capito niente" e "Mia suocera beve", e sebbene la sua ultima opera, "Sono contrario alle emozioni", non mi avesse fatto impazzire, sapevo che questo libricino non mi avrebbe delusa. Sarà che già l'idea che sta alla base di tutto la storia mi accompagna da sempre: cosa sarebbe successo se non ci fossimo visti, se ci fossimo sempre sfiorati e persi per un soffio, se io non fossi stata lì nello stesso momento in cui c'eri tu. 
Irene e Nicola, i due protagonisti vivono la loro vita separati, ignorando l'esistenza l'uno dell'altra. L'unica caratteristica che li accomuna è frequentare lo stesso bistrot: Irene da sola, dopo che ha divorziato dal marito che non amava più. Nicola prima con la moglie, da cui vorrebbe un figlio ma che lei si rifiuta di dargli. E poi da solo, dopo che la donna è morta investita.

I due si siedono sempre allo stesso tavolo, proprio di fronte al poster sbiadito di Buster Keaton, eppure mai lo stesso giorno. Ed è un peccato, perché se si conoscessero, si amerebbero sicuramente. De Silva ci racconta le loro vite, la difficoltà di troncare una relazione anche quando in essa non si crede più, così come quella di trovare qualcuno di nuovo da amare e da cui farsi amare. E ci racconta di come sopravvivere dopo un grave lutto, anche quando la persona che abbiamo perso in realtà non ci stava più facendo nessun bene. Ci racconta come sia difficile trovare la persona giusta, anche quando questa è così tanto vicino a te, al punto che si siede al tuo stesso posto...

Incontrarsi, scontrarsi, allontanarsi, mancarsi... basterebbero queste parole per descrivere questo piccolo gioiello. Un libricino che si legge in un soffio (ammetto che alla fine avrei voluto saperne di più), ma che fa risvegliare tante, tantissime emozioni.
-Mia nonna, quando il nonno morì, si mise a dormire al suo posto. Diceva che in quel modo non sentiva il vuoto accanto.
Pavel inarca le sopracciglia incuriosito
-Così,- continua Nicola,- quando di notte si svegliava, guardava il posto vuoto vicino al suo e pensava: «Ma vedi, non ci sono»
Titolo: Mancarsi
Autore: Diego De Silva
Pagine: 98
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806215262
Prezzo di copertina: 10,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Mancarsi

venerdì 25 gennaio 2013

Di letture e riletture

L'altro giorno stavo guardando preoccupata la mia libreria. Preoccupata perché ormai non so più dove mettere i libri, che hanno a poco a poco invaso tutto lo spazio circostante, in pile sempre più disordinate.  E considerando che il mio letto è proprio sotto le mensole più piene, se mai crollassero probabilmente ci metterebbero dei giorni per trovarmi e tirarmi fuori da là sotto.
Guardavo preoccupata la mia libreria, dicevo, e mi sono stupita di quanti libri ci siano che probabilmente non aprirò mai più. Libri che mi sono pentita di aver acquistato e di cui ammetto che vorrei liberarmi. Li osservavo e mi dicevo: "devo risparmiare ai miei figli la tortura di leggere questa roba" (nella mia testa i miei futuri figli sono ovviamente accaniti lettori come me). 
Perché dovrei riaprire e rileggere un libro che già alla prima lettura non mi ha convinta? Perché dovrei rileggere qualcosa che ho già letto quando ci sono ancora tantissimi volumi per me inesplorati?

Ed effettivamente mi sono resa conto che è una vita che non rileggo più. In passato l'ho fatto spesso, spessissimo... 1984 di Orwell credo di averlo letto almeno sei volte, in ogni lingua da me conosciuta. e lo stesso si può dire di "Cent'anni di solitudine" di Marquez (forse i miei due libri preferiti in assoluto). Ho riletto un paio di volte "Chocolat" della Harris, "Scende la notte tropicale" di Manuel Puig, "Il grande Gatsby" di Fitzgerald e "D'amore e ombra" della Allende. "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore" di Sepulveda e "Il postino di Neruda" di Skarmeta. E poi, uhm... credo basta.
Direi che sono una di quelle lettrici che rilegge poco, pochissimo e solo libri che davvero meritano di occupare il mio tempo più di una volta. Non so onestamente spiegarmi il perché, né so dire se sia una scelta consapevole. Ho sempre un libro "nuovo" sul comodino e quindi, quando mi trovo a iniziare una nuova lettura, non mi viene mai nemmeno in mente di rileggere.

Ho quindi deciso di porre la questione al mio solito campione statistico preferito in fatti di gusti e abitudini letterarie, ovvero i fan della pagina Facebook di questo blog, ponendo loro una semplice domanda secca: "voi rileggete libri che avete già letto?"
Ovviamente le risposte non sono tardate ad arrivare e, oltre a semplici "si" e "no", ci sono state anche risposte più articolate che meritano una certa analisi.

I "no" sono di solito molto categorici e portano come motivazione la stessa che ho evidenziato anche io in precedenza: manca il tempo. Ci sono tanti, troppi libri ancora da leggere per la prima volta che non si può impiegare il tempo con delle riletture. Anche perché, come fa notare una lettrice, "se me lo sono gustato, mi è piaciuto, non lo scorderò mai, quindi non lo rileggo. Se non mi è piaciuto la prima, figuriamoci la seconda, preferisco leggerne di  nuovi!"

Per quanto riguarda i sì, invece, ciò che emerge (in modo abbastanza prevedibile forse) è che solo determinati libri vengono riletti, solo quelli che "meritano", quelli che "sono diventati miei", quelli "più significativi che non stancano mai", "i libri della vita che di tanto in tanto ci viene voglia di riaprire, anche solo per leggerne alcuni spezzoni".
Un altro dei principali motivi di chi rilegge è anche la voglia di scoprire nuovi particolari, nuove chiavi di lettura che, sicuramente, alla prima lettura ci erano sfuggiti. "Leggere lo stesso libro a distanza di anni può quasi essere come leggerlo per la prima volta: io sono cambiata, e lo è anche il modo di vedere le cose", fa notare una lettrice. "E' bello vedere come cose che ti hanno emozionato a 15 anni a 30 ti lasciano indifferente e viceversa", evidenzia un'altra.
C'è poi chi rilegge i capitoli precedenti delle saghe, ogni volta che esce una puntata nuova, e chi rilegge solo parti di determinati libri, quelle di cui hanno bisogno in quel determinato momento.
Insomma chi rilegge, rilegge i libri che più ha amato, arrivando anche a saperli quasi a memoria oppure rilegge i libri che ha letto tempo fa, che magari ha dimenticato e ha voglia di riscoprire o di rivedere con occhi diversi. 

Insomma da questo sondaggio non emerge una posizione predominante, ma tante piccole abitudini, a volte simili a volte diametralmente opposte.
Sicuramente se avessi più tempo, leggerei e rileggerei molto di più, anche se credo che farei un'attenta selezione delle mie riletture. Perché ci sono libri che, davvero, non si meritano nemmeno la prima lettura.

Non so bene come concludere questo mio sproloquio e quindi prendo in prestito le parole di una fan, di quelle che vorrebbe rileggere tante cose ma che non ha purtroppo il tempo per farlo. Ho trovato le sue parole molto belle e la sua similitudine davvero azzeccata:
 Secondo me rifiutarsi di rileggerli è come non voler rivedere gli amici solo perché al mondo ci sono tante altre persone da conoscere: ovvio che uno continua a frequentare solo quelli che valgono la pena, ma perché escludere tutti quelli che hai già conosciuto?
Insomma, certi libri si perdono di vista senza che questo ci cambi la vita. Altri sono lì sempre e anche se magari non li frequentiamo tutti i giorni sappiamo che ogni volta che ci viene voglia di vederli, loro sono sempre disponibili e riescono sempre a farci sentire a casa.

mercoledì 23 gennaio 2013

MEMORIE DI UN SOGNATORE ABUSIVO - Paolo Pasi

Io sogno troppo e, in una Comunità dove i sogni sono tassati, questo significa essere nei guai. Lavoro per quattro soldi e neanche mezza sicurezza, eppure sono un grande contribuente. Nessun modo di fregare il fisco. Ti devi sistemare le ventose prima di addormentarti, e se non lo fai il microchip sottocutaneo segnala alla polizia onirica lo stato di sonno non connesso. Il resto lo fa la macchina collegata, giunta alla sua diciannovesima versione, e quindi ribattezzata x-19. Rivela numero e qualità dei sogni, li trasmette alla Centrale onirica, e ce li restituisce sotto forma di imponibile. Questa notte, per esempio, ho fatto due sogni di categoria A e tre di categoria B. Sono le aliquote più alte". L'anno è il 2035: il governo impone una tassa sui sogni dei cittadini. L'ivo (Imposta sul Valore Onirico) colpisce i sogni dei poveri per esentare l'insonnia dei ricchi. Ma c'è chi si ribella. E se cambiare il mondo finisce per essere la vera illusione, l'anelito alla libertà riesce a sopravvivere solo grazie al sogno che alimenta la speranza.

Sognare è una delle poche cose che ci accomuna tutti, senza distinzione di razza, età, sesso, aspetto, soldi. Certo, sono diverse le cose che si sognano, così come lo è la probabilità che queste si avverino. Però insomma, chi più chi meno, chi con vergogna chi con passione, chi con speranza chi con rassegnazione, sogniamo tutti.
E questa uguaglianza vale anche per quando si dorme, anche se non tutti al mattino si ricordano di averlo fatto e  soprattutto, anche se quello che sogniamo quando siamo a letto non sempre ha una logica o un senso.

Non è quindi per niente difficile immaginare come riesca a sopravvivere e a prosperare un Comunità in cui sono state abolite tutte le tasse tranne una: quella sui sogni. Siamo nel 2035, anno in cui le macchine hanno poco a poco preso il sopravvento in ogni aspetto della vita e in cui le persone hanno un microchip impiantato sotto pelle, che controlla ogni tuo movimento: ti tiene lontano dai cibi che non ti piacciono o ti potrebbero far male, ti apre la porta di casa quando arrivi e soprattutto si assicura che la sera, prima di metterti a letto, ti sia sistemato le ventose sulla fronte, così che i tuoi sogni possano essere monitorati, classificati e tassati attraverso un complesso macchinario che fa capo alla Centrale onirica.
Facile ritrovarsi in debito e perseguitati dal fisco se, come il protagonista, si è un sognatore incallito. Il suo misero lavoro come dipendente al "Chi paga, rompe", dove la gente va a rompere le cose vecchie o desuete per trarne soddisfazione, non gli consente di far fronte alle tasse arretrate che deve pagare e ha persino dovuto separarsi dalla moglie perché, insieme, sognavano troppo. Lei adesso si è risposata  e conducono una vita da amanti clandestini
Nessuna pillola per dormire, nessuna bevanda rilassante riesce a distrarlo e a fargli smettere di sognale. La sua unica speranza è riuscire a mettersi in contatto con Il Fronte di Liberazione Onirica, un gruppo di ribelli, che ha progettato una macchina che riesce a ingannare quella del governo e che concede sogni senza che vengano conteggiati. E ben presto riusciranno a prendere il sopravvento e a sconfiggere il governo e il Presidente in carica, andando però a creare una nuova realtà forse ancora peggiore della prima. Dove i sogni, ancora una volta, vengono usati nel modo sbagliato.

Credo di aver già detto diverse volte che ho una passione smodata per i romanzi utopici. Romanzi ambientati  in un futuro, non poi così lontano in questo caso, che effettivamente potrebbe davvero realizzarsi. Non per niente 1984 di Orwell è uno dei miei romanzi preferiti. E qui l'eco di questo grande autore è piuttosto evidente, senza che però arrivi a disturbare più di tanto la lettura. D'altronde credo sia impossibile scrivere un romanzo come questo senza fare riferimenti e senza lasciarsi un po' ispirare.
Il mondo che ha creato Paolo Pasi è assolutamente credibile e angosciante al punto giusto. Certo, forse il protagonista è un po' troppo passivo, non compie mai gesti eclatanti di ribellione se non nel finale, anzi, quasi si lascia trascinare dentro a qualcosa in cui lui stesso sa di non credere veramente. Però credo che anche questa sua passività sia voluta, sia frutto della stanchezza, della difficoltà nel dover controllare i sogni e di come questi, che dovrebbero essere cioè che ci fa andare avanti ogni giorno, possono diventare un ostacolo non indifferente.
E poi, c'è quel colpo di scena finale, che un pochino mi aspettavo ma che mi ha comunque lasciata senza parole, per la sua genialità (ma non ve ne posso parlare, o vi svelo tutto).

Insomma, si tratta sicuramente di un buon romanzo, ben costruito e con tanti spunti di riflessione interessanti. Grazie anche all'utilizzo di capitoli brevi che scorrono veloci uno dietro l'altro, riesce a tenerti incollato alle sue pagine senza mai stufarti (direi che quasi ti toglie il sonno... ma non vorrei offendere il protagonista).

Decisamente una bella scoperta!

Ettore ha ragione. Ognuno è libero di sognare ciò che vuole. Suonare come Mozart, incontrare i grandi del passato, volare su Marte, scoparsi la star del momento, rivedere affetti scomparsi, gettarsi in un'impresa disperata e avvincente. Ci sono sogni per bambini, per coppie in crisi, sogni di gruppo, sogni sadici o estatici. [...] La rivoluzione ha vinto. La gente corre ad acquistare le proprie catene. Paghiamo per dormire tante vite parallele, ma viviamo sedati. Temiamo le cattive sorprese dell'inconscio. La trama imprevedibile e sminuzzata di una notte senza connessioni ci inquieta. Preferiamo consumare la massima libertà di scelta.
Ma i sogni, quelli veri, chi li insegue più?


Titolo: Memorie di un sognatore abusivo
Autore: Paolo Pasi
Pagine: 214
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: Edizioni Spartaco
ISBN: 978-8896350072
Prezzo di copertina: 14,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Memorie di un sognatore abusivo

Due titoli, un solo libro: ma perché? #18

Per la puntata di questa settimana della rubrica sui titoli devo ringraziare una mia carissima amica, che mi è corsa in aiuto quando le ho detto che non avevo assolutamente idea di che libro parlare. 
Lo so, ci sono tantissimi libri i cui titoli sono stati tradotti in modo bizzarro nella nostra lingua, e sarebbe forse bastata una ricerca neanche troppo approfondita per arrivare a un protagonista. Ma se il compito mi viene facilitato, perché non approfittarne?

Vi parlo quindi di un libro di cui ho sentito parlare, senza che però suscitasse più di tanto la mia curiosità o la mia voglia di leggerlo. Non conoscevo nemmeno la trama, finché non ho fatto qualche ricerca per poterne parlare oggi, dopo che mi è stato segnalato
So solo che non è stato tradotto da un singolo traduttore ma si tratta di una traduzione di gruppo, svolta come stage dai partecipati alla scuola di specializzazione per traduttori editoriali dell'agenzia formativa Tuttoeuropa di Torino un paio di anni fa, per la casa editrice Salani che l'ha pubblicato nel 2011.

Sto parlando di MY SISTER LIVE ON THE MANTELPIECE ovvero UNA STELLA TRA I RAMI DEL MELO di Annabel Pitcher



Il romanzo ha come protagonista un bambino, Jamie, che ha perso la sorella Rose in un'attentato e la cui famiglia stenta a riprendersi da questa grande tragedia: la madre se n'è andata con un altro uomo, il padre è un alcolizzato e la gemella di Rose sta passando una fase di ribellione per nascondere il suo dolore. Jamie sembra l'unico a capire e soprattutto a tentare di salvarsi e per farlo decide di partecipare a un programma televisivo dedicato a giovani talenti.

Nell'edizione italiana è evidente fin da subito che c'è qualcosa che non va. Come mai sulla copertina originale c'è un maschio mentre su quella italiana c'è una femmina? Domanda più che legittima, soprattutto considerando che il protagonista è, come si è detto, un bambinO. 
Per quanto riguarda il titolo, poi, letteralmente l'originale significa "Mia sorella vive sulla mensola sopra il camino". E' lì, infatti, che i genitori hanno riposto l'urna con le ceneri di Rose. Forse si è pensato che in italiano non avrebbe avuto lo stesso effetto o comunque non avrebbe attirato i lettori, e quindi si è deciso di cambiarlo. Con qualcosa che non c'entra praticamente nulla. Come avevamo già visto con "Cose da salvare in caso d'incendio" (in originale "Vaclav e Lena") anche in questo caso si fa riferimento a un episodio abbastanza insignificante all'interno del libro e lo si è elevato a rango di titolo. A un certo punto, infatti, Jamie è affacciato alla finestra insieme alla sorella Jasmine e guardano il cielo e le stelle attraverso i rami dell'albero che hanno davanti.
E' sicuramente molto poetica come immagine, così come lo è la copertina (molto simile ad altre già viste di recente). Ma cosa c'entra con il libro?

Bene, ringrazio Thais per avermi dato questo punto e invito tutti voi, se ne avete voglia, a inviarmi segnalazioni di titoli e copertine italiane che nulla hanno a che vedere con l'originale.
Alla prossima settimana!

martedì 22 gennaio 2013

LIBRI CHE VORREI #5

La rubrica "Libri che vorrei" è quella che aggiorno meno spesso. Non perché mi dimentichi di averla creata, ci mancherebbe... però le entrate e le uscite nella mia wish list sono talmente tanto rapide che io stessa fatico a starci dietro. Vedo un libro su uno scaffale, mi segno il titolo e poi, vuoi perché abbia perso dove me l'ero segnato, vuoi perché abbia letto trama o recensioni, alla fine si perde in mezzo ad altri titoli che hanno subito lo stesso destino.
Forse sono una lettrice un po' strana, non acquisto libri in modo compulsivo né corro a comprare le nuove uscite, anche se magari erano mesi che le aspettavo. Ho bisogno di pensarci, di rifletterci, di lasciare passare il momento di entusiasmo e assicurarmi che DAVVERO voglio leggere quel libro (sono diventata molto esigente e odio perdere tempo con libri che non meritano).
In ogni caso, di tutti i libri che sono entrati nella mia wish list nell'ultimo mese e mezzo, ce ne sono quattro che  sono sicura che prima o poi leggerò (al punto che controllo ogni giorno se sono in offerta oppure no):

MANCARSI , Diego De Silva, Einaudi, 2013
Trama: Diego De Silva ci regala una semplice storia d'amore. Semplice per modo di dire, perché la scommessa è tutta qui: nel nascondere la profondità in superficie, nel tratteggiare desideri e dolori, speranze e rovine, con poche parole essenziali, dritte e soprattutto vere. Perché, come diceva Fanny Ardant ne La signora della porta accanto, solo i racconti scarni e le canzoni dicono la verità sull'amore: quanto fa male, quanto fa bene. Solo lì si cela l'assoluto. Cosi De Silva prende i suoi due personaggi e li osserva con pazienza, li pedina, chiedendoci di seguirlo - e di seguirli - senza fare domande. Irene vuole essere felice, e quando il suo matrimonio inizia a zoppicare se ne va. Nicola è solo, confusamente addolorato dalla morte di una donna che aveva smesso di amare da tempo. Anche lui, come Irene, è mosso da un'assoluta urgenza di felicità. Anche lui vuole un amore e sa esattamente come vuole che sia fatto. Sarebbero destinati a una grande storia, se solo s'incontrassero una volta nel bistrot che frequentano entrambi. Ma il caso vuole che ogni volta che Nicola arriva, Irene sia appena andata via. Se le vite di Nicola e Irene non s'incontrano fino alla fine, le loro teste invece s'incontrano nelle pagine di questo libro: i pensieri, le derive, il sentire si richiamano di continuo, sono ponti gettati verso il nulla o verso l'altro. Forse, verso l'attimo imprevisto in cui la felicità finalmente abbocca.

Ho amato tantissimo il De Silva e il suo avvocato Malinconico in "Non avevo capito niente" e "Mia suocera beve" e sebbene l'ultimo della serie, "Sono contrario alle emozioni", sia stato una delusione pazzesca, nutro nei confronti di questo autore una stima infinita. Questo libro mi ispira tantissimo. Mi piace molto l'idea di base della trama, quel "cosa sarebbe successo se"... perché alla fine la vita è fatta davvero così, di attimi, di coincidenze, di incontri azzeccati e di incontri mancati. E sono proprio curiosa di vedere come questo autore riesce a raccontare tutto questo.

L'ARTE DI ASCOLTARE I BATTITI DEL CUORE, Jan-Philipp Sendker, Beat, 2011
Trama:  Kalaw, una tranquilla città annidata tra le montagne birmane, vi è una piccola casa da tè dall'aspetto modesto, che un ricco viaggiatore occidentale non esiterebbe a giudicare miserabile. Il caldo poi è soffocante, così come gli sguardi degli avventori che scrutano ogni volto a loro poco familiare con fare indagatorio. Julia Win, giovane newyorchese appena sbarcata a Kalaw, se ne tornerebbe volentieri in America, se un compito ineludibile non la trattenesse lì, in quella piccola sala da tè birmana. Suo padre è scomparso. La polizia ha fatto le sue indagini e tratto le sue conclusioni. Tin Win, arrivato negli Stati Uniti dalla Birmania con un visto concesso per motivi di studio nel 1942, diventato cittadino americano nel 1959 e poi avvocato newyorchese di grido... un uomo sicuramente dalla doppia vita se le sue tracce si perdono nella capitale del vizio, a Bangkok. L'atroce sospetto che una simile ricostruzione della vita di suo padre potesse in qualche modo corrispondere al vero si è fatto strada nella mente e nel cuore di Julia fino al giorno in cui sua madre, riordinando la soffitta, non ha trovato una lettera di suo padre. La lettera era indirizzata a una certa Mi Mi residente a Kalaw, in Birmania, e cominciava con queste struggenti parole: "Mia amata Mi Mi, sono passati cinquemilaottocentosessantaquattro giorni da quando ho sentito battere il tuo cuore per l'ultima volta".

Questo è uno di quei casi in cui comprerei il libro solo ed esclusivamente per il titolo, anche se la trama non mi attirasse per niente. Lo so che non si dovrebbe fare, viste tutte le delusioni in cui sono incappata, però, porca miseria se è bello questo titolo! 
Devo ammettere che comunque anche la trama non mi dispiace, sebbene di solito i romanzi ambientati in oriente non riescono mai a convincermi del tutto.


L'ULTIMA FUGGITIVA, Tracy Chevalier, Neri Pozza, 2013
Trama: È il 1850 quando Honor e Grace Bright si imbarcano sull'Adventurer, un grande veliero in partenza dal porto inglese di Bristol per l'America. L'aria smarrita di chi non è avvezza ai viaggi, il bel volto offuscato dal mal di mare, Honor Bright sa che non rivedrà mai più Bridport, il paese in cui è nata, nell'istante in cui la nave si allontana dalle verdi colline del Dorset. Troppo grande è il mare e troppo lontano è Faithwell, il villaggio dell'Ohio in cui Adam Cox, un uomo anziano e piuttosto noioso, attende sua sorella per prenderla in sposa. L'irrequieta Grace ha allacciato una corrispondenza epistolare con lui, culminata poi con la proposta di matrimonio, con l'intento di lasciarsi alle spalle l'angusta vita della piccola comunità di quaccheri in cui è cresciuta e abbracciare così nuove avventure. Honor Bright non condivide lo spirito temerario di Grace, ma Samuel, il suo promesso sposo, ha rotto il fidanzamento e la prospettiva di vivere in mezzo all'altrui compassione l'ha spinta a seguire la sorella al di là del mare. Una volta giunte in Ohio, tuttavia, a un passo da Faithwell, Grace si ammala di febbre gialla e, tra le misere mura di un albergo, muore. Honor Bright si ritrova così sola in una nazione enorme ed estranea, divisa da un immenso oceano dall'amato Dorset. Non le resta perciò che Adam Cox come unica ancora di salvezza. A Faithwell, tuttavia, viene accolta con freddezza dall'uomo e dalla cognata vedova.

Io amo Tracy Chevalier. Ho letto tutti i suoi romanzi (in realtà a parte "La donna con l'orecchino di perla", li ho letti tutti in lingua originale). Amo il suo modo di raccontare le storie e la bravura nel descrivere il contesto storico e culturale in cui si sviluppano. E amo tantissimo le sue protagoniste femminili, fragili e forti allo stesso tempo. Poi ho una passione per le storie ambientate nell'America di quel periodo (in realtà anche negli anni precedenti, dall'arrivo della Mayflower insomma)... e sono proprio curiosa di vedere come questa autrice sia riuscita a rappresentare quell'epoca.

GLI INNAMORAMENTI, Javier Marías, Einaudi, 2012
Trama: Luisa e Miguel sono la coppia perfetta: María Dolz, che lavora in una casa editrice di Madrid, da anni li osserva ogni mattina al caffè e dal quel rapporto fatto di sincera tenerezza e profondo affetto trae la forza per affrontare la propria assai meno perfetta vita privata e sentimentale, ma anche la insopportabile vanità dei suoi autori. Un giorno la donna scopre però che Miguel Desvern è stato ucciso, brutalmente accoltellato dal custode di un parcheggio, un balordo che vive in un'automobile. Dopo qualche tempo, Maria avvia una storia con Javier Diaz-Varela, il migliore amico del defunto, ma intuisce subito che questi è perdutamente innamorato della vedova: la morte di Miguel Desvern, all'apparenza casuale e inutile, le si presenta cosi sotto una nuova luce. La protagonista capisce via via ciò che il lettore di questo noir metafisico comprende da subito: che la storia è molto più complicata di quanto possa apparire. Dov'è la verità se di un avvenimento vengono proposte versioni sempre diverse, se appaiono inafferrabili persino i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le no-stre passioni? Cos'è l'amore se non la giustificazione per qualsiasi nostro atto, dal più nobile e altruistico al più scandaloso e deprecabile? Interrogativi e dubbi che in ultima analisi non troveranno soluzione perché raramente la lingua umana è in grado di agire in funzione della realtà e il più delle volte è solo strumento di continue, ulteriori mistificazioni.

Di questo autore ho letto solo "Domani nella battaglia pensa a me" e ne sono rimasta sconvolta e stupita. Marías scrive benissimo, crea situazioni incredibili e l'idea che si sia cimentato in un romanzo d'amore così complesso non fa che attirarmi. Anche perché credo tanto, tantissimo nell'amore e di come questo possa condizionare il nostro agire e il nostro essere, portandoci anche a compiere gesti che normalmente non faremmo.


Bene, questi sono i libri che voglio di più tra tutti quelli che vorrei. Aspetterò offerte, regali, prestiti o edizioni economiche per leggerli, perché, come già ho più e più volte ribadito, oltre che rampante sono anche un po' tirchia (o forse sono i libri che sono un po' troppo cari?)
Voi li avete letti? Li consigliate o sconsigliate?

lunedì 21 gennaio 2013

IL TUTTOMIO - Andrea Camilleri

Arianna ha trentatré anni, ma il suo temperamento è deliziosamente infantile. Quando Giulio la incontra è conquistato da questa creatura smarrita, selvatica come una bimba abbandonata eppure bellissima e sensuale. Arianna entra nella sua vita con una naturalezza che lo strega e dal giorno in cui la sposa Giulio cerca di restituirle la luce che lei gli ha portato offrendole tutto ciò che potrebbe desiderare: anche quello che lui, a causa di un grave incidente, non può più darle. Così nella loro routine entrano a far parte gli appuntamenti del giovedì, organizzati da Giulio in persona: in un pied-à-terre o in una cabina sulla spiaggia gli uomini destinati a incontrare Arianna sono tenuti a rispettare poche regole inviolabili. Nella vita di questa coppia non ci sono segreti. Ogni tanto però Giulio è colto dalla consapevolezza che qualcosa gli sfugge: "Tu non mi hai detto tutto di te" le sussurra mentre non riesce a fare a meno di viziarla. Di segreti Arianna ne ha molti, e brucianti, ma quello che custodisce più gelosamente è il "tuttomio": una tana tutta sua, ricavata in un angolo del solaio. I giochi di Arianna e Giulio sono troppo torbidi e coinvolgenti per non farsi, con il passare del tempo, pericolosi... Ispirato alla vicenda dei marchesi Casati Stampa, ecco un gioco raffinato e colmo di ironia, che trascina i lettori attraverso il labirinto dell'eros, al cuore dell'amore e della perdizione, là dove - come nel mito di Arianna - il Minotauro vive nutrendosi dei desideri più oscuri e inconfessabili.


"Tieni, ti presto l'ultimo di Camilleri"
"Ma no dai, lo sai che Camilleri non lo leggo!"
"Lo so, ma questo è diverso, questo lo capisci"

E' così che mi sono lasciata incastrare con questo libro. Io che di solito evito Camilleri in ogni modo, non perché non lo stimi come autore o perché creda che i suoi romanzi siano brutti ma semplicemente perché, davvero, quando scrive in semi-siciliano non lo capisco, mi sono ritrovata tra le mani questa sua ultima fatica (se così si può chiamare un libro di 140 pagine scritto a carattere 14 e due centimetri di margini per lato), scritto in "italiano" e campione di vendite delle ultime settimane. Avrei dovuto seguire il mio istinto e lasciare perdere: il titolo non mi attirava per niente, la copertina nemmeno... Ma ci sono persone a cui non riesco a dire di no quando mi vogliono prestare un libro (anche se alla mia domanda su com'è, mi è stato risposto "tu lo leggi in mezz'ora"... un po' come dire "brutto, ma non ti ruba troppo tempo"). Fatto sta che l'ho letto ed ora eccoci qui.

Che posso dire? Che non ho capito nemmeno questo. Mi rendo conto che ora come ora scrivere un romanzo erotico è garanzia di vendite stratosferiche, soprattutto se sulla copertina c'è il nome Andrea Camilleri. Perché c'è la curiosità, il gusto per il proibito e tutte queste cose che hanno permesso alle Sfumature di diventare un caso editoriale internazionale, unite al fatto che a scriverlo non è esattamente una casalinga disperata ma un autore affermato e di indiscussa bravura. Però la trama dovrebbe avere anche un senso. Dovrebbe entusiasmare. E, soprattutto, dovrebbe capirsi. Nel mio caso, con questo romanzo, i verbi sono rimasti tutti al condizionale, al punto che quando l'ho chiuso la prima domanda che mi è sorta in testa è stata: "perché?"

Perché scrivere un romanzo così? Un romanzo in cui non si capisce quale sia il vero problema della protagonista, Arianna, una bambina di trentatré anni, sposata con un eunuco che, per evitare che la moglie lo tradisca a sua insaputa, le commissiona appuntamenti sessuali a cui lui stesso assiste. Di questa donna si sa poco o nulla, solo che il sesso in tutte le sue forme è sempre stata una parte importante della sua vita, sebbene non sempre in modo volontario. I flashback sul passato della donna non aiutano a far luce sulla sua complessità e sulle sue turbe (parecchio evidenti fin dalla prima pagina) né a renderle comunque interessanti per il lettore. Mancano le spiegazioni, manca a mio avviso un approfondimento sulla psicologia dei protagonisti, del loro rapporto con gli altri e tra loro. Arianna avrebbe potuto essere un grande personaggio, ma è stato liquidato in poche pagine, che servono solo a renderla antipatica e incomprensibile.

Se lo scopo dell'autore era quello di stupire e scandalizzare, forse in parte ci è riuscito. Non tanto per l'argomento sesso, trattato anche in modo abbastanza banale, che non aggiunge nulla di più a certi romanzetti harmony o a scene e situazioni già viste da altre parti (incontri a due con pubblico, incontri con adolescenti, etc etc), quanto per la sensazione di ansia e turbamento che questa protagonista così inspiegabile lascia. Possibile che nessuno si accorga di quello che fa e di quello che è? Possibile che nessuno la aiuti?

La lettura di questo libro è stata una delusione, quasi un fastidio, di cui non ho apprezzato nulla. Se non, appunto, il fatto che si legga in mezz'ora.

Titolo: Il tuttomio
Autore: Andrea Camilleri
Pagine: 147
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Mondadori
ISBN: 978-8804624554
Prezzo di copertina: 16,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Il tuttomio

sabato 19 gennaio 2013

LIMONOV - Emmanuel Carrère

Limonov non è un personaggio inventato. Esiste davvero: "è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio" si legge nelle prime pagine di questo libro. E se Carrère ha deciso di scriverlo è perché ha pensato "che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale". La vita di Eduard Limonov, però, è innanzitutto un romanzo di avventure: al tempo stesso avvincente, nero, scandaloso, scapigliato, amaro, sorprendente, e irresistibile. Perché Carrère riesce a fare di lui un personaggio a volte commovente, a volte ripugnante - a volte perfino accattivante. Ma mai, assolutamente mai, mediocre. Che si trascini gonfio di alcol sui marciapiedi di New York dopo essere stato piantato dall'amatissima moglie o si lasci invischiare nei più grotteschi salotti parigini, che vada ad arruolarsi nelle milizie filoserbe o approfitti della reclusione in un campo di lavoro per temprare il "duro metallo di cui è fatta la sua anima", Limonov vive ciascuna di queste esperienze fino in fondo.

Il primo pensiero che mi assale quando chiudo romanzi come questo è quello di essere molto più ignorante di quanto pensassi. Certo, non si può sapere tutto di tutto e, per natura, ogni essere umano tende a interessarsi e a informarsi solo su cose che lo interessano e in qualche modo lo appassionano. Per rendersi poi conto, d'improvviso, tramite una notizia, un articolo letto per caso, un film, una conversazione o un libro che a volte questa visione è davvero troppo limitata.
Fino a che non ho acquistato questo libro non avevo la più pallida idea di chi fosse Limonov. Lo avrò forse sentito nominare qualche volta, rimuovendolo però immediatamente dalla mia mente. E non avevo mai nemmeno letto nulla di Emmanuel Carrère. Certo, lo conoscevo di fama, ma per un motivo o per l'altro non avevo mai aperto un suo libro.
E quindi eccomi qua, con un solo libro, a scoprire due personaggi incredibili. Uno scrittore, che con il suo stile riesce a renderti interessanti e chiare anche le cose più complesse, e un personaggio, anch'egli scrittore, ma anche politico, intellettuale, dissidente, nonché un grandissimo bastardo, dalla vita semplicemente affascinante.

E Carrère ci accompagna proprio attraverso questa vita, ci aiuta a scoprirla, mostrandoci anche, oltre all'aspetto storico, i suoi dubbi e le sue paure riguardo alla stesura di questa autobiografia. Perché Eduard Veniaminovich Savenko, in arte Limonov, è un personaggio davvero complesso, difficile, ambiguo, che ha vissuto e operato all'interno della storia e della politica dell'Unione Sovietica e di tutto quello che ne è stato dopo, una storia altrettanto ambigua e difficile da comprendere. Il sogno di Limonov è quello di essere un eroe per la sua patria, uno di quegli idoli dannati, dalla vita avventurosa, perché non c'è nulla di peggio che adagiarsi e conformarsi, accettare quello che viene imposto dall'alto senza ribellarsi, senza combattere. E questa voglia di fare, di vivere, di lottare lo porterà in giro per il mondo: si ritroverà a fare il barbone prima e il maggiordomo poi a New York, arriverà a Parigi come scrittore di successo, grazie ai racconti crudi, diretti e senza sconti della sua vita, per poi tornare in patria, in Russia, esattamente da dov'era partito, e trovarsi di fronte una situazione politica instabile, confusionaria, con un popolo incapace di reagire di fronte alla caduta del comunismo e in balia di politici che fanno solo i loro interessi (la storia della messa al potere di Putin mi ha lasciata senza parole), una situazione a cui lui proverà a ribellarsi in tutti i modi, non solo scrivendo ma anche partecipando attivamente, fondando un partito e finendo alla fine, come tutti i dissidenti, in galera.

La trama in sé non si può certo riassumere, non si può fare il riassunto di una vita nelle poche righe di un post. Soprattutto se la vita è quella di un personaggio come questo. Un personaggio difficile da inquadrare e davvero, davvero difficile da giudicare. E' sicuramente uno stronzo, ha sicuramente avuto delle idee politiche poco chiare, spesso impossibili da condividere. E' sicuramente un uomo schietto, duro, quasi insensibile. Ma è anche un uomo che ha sofferto per amore per ben tre volte. E soprattutto, è un uomo che non si è mai arreso, neanche quando ha toccato il fondo. Si è sempre rialzato, si è sempre reinventato, non ha mai lasciato che fossero gli altri a decidere per lui e per la sua vita. Si è ribellato, anche quando era solo a farlo. 

Carrère ci racconta tutto questo, inserendo anche aspetti e aneddoti della sua vita. Anche lui a volte ha sofferto per amore, anche lui ha patito quando i suoi primi lavori non venivano pubblicati, anche lui in modo più o meno diretto ha vissuto gli anni del comunismo e di tutto quello che c'è stato dopo nell'Unione Sovietica.

Ma mi fermo qua. Perché rischierei davvero di dire delle stupidaggini su di un argomento di cui so poco o nulla. Un argomento che pensavo non mi interessasse, ma che invece questo grande autore e questo grande personaggio (che, al colmo delle coincidenze, è stato arrestato nuovamente lo stesso giorno in cui ho acquistato il libro) sono riusciti a farmi interessare, appassionare, arrabbiare.
Leggetelo, perché merita davvero.

Nota alla traduzione: direi ben fatta, anche se il mancato uso delle d eufoniche quando servono mi irrita un pochino...

Titolo: Limonov
Autore: Emmanuel Carrère
Traduttore: Francesco Bergamasco
Pagine: 356
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845927331
Prezzo di copertina: 19,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Limonov
formato kindle:Limonov (Fabula)

giovedì 17 gennaio 2013

Le mie più sentite scuse...

Chiedere scusa secondo me è una delle cose più difficili da fare per un essere umano. Chiedere scusa sul serio, intendo. Perché solitamente implica aver sbagliato in qualche modo, aver fatto qualcosa, più o meno volontariamente, che può aver offeso, ferito o anche solo infastidito qualcun altro.
E quindi utilizzo questo spazio, questo blog che può essere visto e letto da tutti, per fare mea culpa e porgere le mie più sincere scuse.

Scusami, caro e-reader, per aver sempre parlato male di te senza conoscerti. Scusami per aver sempre dato per scontato che il tuo gemello cartaceo sia sempre e comunque migliore di te, e non aver ascoltato chi cercava in ogni modo di farmi capire che dei vantaggi e delle qualità non indifferenti li hai anche tu.
Certo, non profumi. Le tue copertine in bianco e nero sono davvero tristissime e la progressione di lettura in percentuale anziché in numero di pagine mi irrita non poco. E non sei nemmeno così bello, lì appoggiato sulla mensola, perché quasi non ti si vede e di sicuro non fai arredamento.

Però, per alcune cose sei comodo. Porca miseria se sei comodo. Ti basta essere nel campo di un wi-fi e in pochi secondi puoi riempirti di tutti i libri del mondo (le nuove uscite, quelle no... la differenza di prezzo tra cartaceo e virtuale è talmente tanto misera che non ci penso proprio a scegliere te) (in realtà finché non escono in economica, non sono in offerta o qualcuno non me li regala, non compro nemmeno gli altri). E poi sei leggero da trasportare, leggerissimo: un vero vantaggio, soprattutto nel caso dei libri molto spessi, quelli che se li leggi nel letto o ti porti in borsa ti slogano la spalla. Per non parlare del fatto che leggi qualunque formato (ok, ogni tanto hai bisogno dell'aiuto di un convertitore), così non divento più cieca a leggere pdf e .doc sullo schermo del computer.
E le offerte? Vogliamo parlare delle offerte? Libri  più o meno recenti che ogni tanto vengono venduti a prezzi bassissimi (i classici si trovano addirittura a gratis), che diminuiscono un po' quel senso di colpa da "costa troppo", "spendo troppo", "ne ho già comprati sei questo mese", "non ho più soldi", etc etc, che accomuna un po' tutti i lettori (oltre al fatto che se un libro è brutto, averlo pagato meno e, soprattutto, non trovarselo sempre davanti agli occhi ti fa sentire meno scemo).

Sì, insomma, non sei poi così male, caro e-reader. E mi dispiace davvero tanto aver parlato male di te in ogni modo e momento possibile. Credo sia stata colpa della paura: paura di quel che non si conosce, paura che a causa tua posti bellissimi come biblioteche e librerie possano piano piano sparire (come se la colpa della crisi economica e culturale potesse essere tua...)
Certo,non rinuncerò mai ai libri cartacei. Anche volendo non ci riuscirei. Sono troppo belli da vedere, sfogliare, annusare, regalare, dedicare... sarebbe impossibile per me stare senza di loro (e sono convinta che, sotto sotto, sai benissimo anche tu che non potrai mai prendere il loro posto).

Però possiamo e potete sicuramente convivere. Ci saranno dei periodi in cui ci vedremo di più, altri di meno... ma se potrai perdonare i miei precedenti maltrattamenti e i miei pregiudizi, non vedo perché non potremmo essere amici.

mercoledì 16 gennaio 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #17

Voglio dedicare la puntata di oggi a un libro che amo molto, scritto da un autore che probabilmente, se non avessi frequentato l'università e incontrato lungo il mio cammino due professori così appassionati, non avrei mai scoperto. Ce ne sono, di docenti così. Di quelli che trasmettono talmente tanta passione in quello che insegnano che è impossibile non rimanere contagiati.
L'autore in questione è Manuel Puig, scrittore argentino morto nel 1990 e forse ora un po' dimenticato, ma che negli anni '70 e '80 è stato protagonista del boom della letteratura sudamericana. Da uno dei suoi libri, forse il più famoso, ovvero "Il bacio della donna ragno", uscito nel 1976, è stato poi tratto anche un film nel 1985 con la regia di Hector Babenco e con William Hurt nel cast.

Quello di cui vi voglio parlare oggi però è un altro, uscito in Argentina nel 1969 e arrivato in Italia nel 1971.
Sto parlando di BOQUITAS PINTADAS ovvero UNA FRASE, UN RIGO APPENA

Il libro è una sorta di grande soap opera popolare in cui gli eventi della vita quotidiana di un gruppo di persone semplicissime, gli abitanti di Coronel Vallejos, uno sperduto paese della pampa argentina, diventano protagonisti di un romanzo di forti sentimenti, passioni, dolore e morte. Il punto forte del libro sono gli espedienti narrativi utilizzati da Puig: ritagli di giornale, verbali, certificati di nascita e di morte, struggenti flussi di coscienza, diari e lettere d'amore, riviste femminili e radio-romanzi  (non per niente il libro non è diviso in capitoli ma in puntate) vengono utilizzati per portare avanti la trama e delineare i rapporti tra i vari protagonisti.

Di questo romanzo esistono due traduzioni. La prima è stata fatta nel 1971, per Feltrinelli, da Enrico Cicogna. Poi, il romanzo è stato ritradotto per Sellerio da Angelo Morino. Non sto qui a spiegarvi le differenze tra le due traduzioni... le scoprirete da soli se deciderete di leggere il romanzo, in quanto al fondo si trova una nota di Morino in cui spiega somiglianze e divergenze. 
Mi limiterò, come tipico di questa rubrica, ad analizzare il titolo.
Il titolo originale rinvia al verso di un fox trot, Rubias en Nueva York, interpretato dal grande Carlos Gardel, che viene citato all'inizio della terza "puntata" del romanzo: "Deliciosas criaturas profumadas /quiero el beso de sus boquitas pintadas". La traduzione letterale sarebbe "Boccucce dipinte". 
E' evidente che un titolo del genere per il lettore italiano non avrebbe significato nulla. Si era quindi cercato un titolo tra i testi delle canzoni italiane dello stesso periodo di quella di Gardel. La scelta è ricaduta sul tango "Scrivimi", il cui testo è stato scritto da Enrico Frati e musicato da Giovanni Raimondo. L'inizio del ritornello di questo tango recita: "Amore scrivimi, non lasciarmi più in pena, una frase un rigo appena calmeranno il mio dolor". 
Oltre al titolo in copertina sono ovviamente cambiati anche i titoli delle "puntate" in cui il romanzo si divide, che si riferivano anch'essi a canzoni argentine del periodo. Quindi "Boquitas pintadas de rojo carmensí" (Boccucce dipinte di rosso carminio) diventa "una frase scritta con elegante calligrafia", mentre "Boquitas azules, violaceas, negras (Boccucce azzurre, violacee, nere) diventa "Un rigo sbiadito, scarabocchiato, cancellato".

Io, personalmente, la trovo una scelta perfetta, perché, oltre ad avere un forte potere evocativo, rende al meglio il senso di tutto il romanzo. Un folletín, un dramma melenso e banale che i protagonisti vivono con trasporto e passione.

Vi consiglio di leggere questo romanzo, così come il già citato "Il bacio della donna ragno" e "Scende la notte tropicale". Sono tre piccoli capolavori, molto diversi l'uno dell'altro, che meriterebbero di essere molto più conosciuti di così.

lunedì 14 gennaio 2013

BIANCA COME IL LATTE ROSSA COME IL SANGUE - Alessandro D'Avenia

Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori "una specie protetta che speri si estingua definitivamente". Così, quando arriva un nuovo supplente di storia e filosofia, lui si prepara ad accoglierlo con cinismo e palline inzuppate di saliva. Ma questo giovane insegnante è diverso: una luce gli brilla negli occhi quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno. Leo sente in sé la forza di un leone, ma c'è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è l'assenza, tutto ciò che nella sua vita riguarda la privazione e la perdita è bianco. Il rosso invece è il colore dell'amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice. Perché un sogno Leo ce l'ha e si chiama Beatrice, anche se lei ancora non lo sa. Leo ha anche una realtà, più vicina, e, come tutte le presenze vicine, più difficile da vedere: Silvia è la sua realtà affidabile e serena. Quando scopre che Beatrice è ammalata e che la malattia ha a che fare con quel bianco che tanto lo spaventa, Leo dovrà scavare a fondo dentro di sé, sanguinare e rinascere, per capire che i sogni non possono morire e trovare il coraggio di credere in qualcosa di più grande.

Pensavo peggio.
Sì, lo so, mi rendo conto che non sia proprio il massimo come incipit di una recensione ma è l'unico efficace per esprimere in breve il mio pensiero. Perché davvero pensavo molto peggio. 
Mi sono tenuta lontana il più possibile da questo libro, sia perché non amo molto leggere i libri nel momento in cui tutti li leggono, sia e soprattutto per i commenti tanto discordanti che ha generato (c'è chi lo ha amato, chi ha visto in D'Avenia un nuovo Moccia). Poi una mia amica me l'ha prestato, dicendomi "tienilo lì e se ti viene voglia leggilo". Ho aspettato un po' prima di decidermi ma alla fine l'idea che per giudicare bisogna innanzitutto sapere di che cosa si sta parlando ha preso il sopravvento.

Per quanto riguarda i pareri contrastanti, mi colloco nel mezzo. Un libro senza infamia e senza lode, che a volte cade nel banale e nello stereotipato, mentre altre riesce comunque a creare qualcosa di originale.
La storia è quella di Leo, un sedicenne, alle prese con il suo primo vero innamoramento. La prescelta è Beatrice, una bellissima ragazza dai capelli rossi, con cui Leo instaura una storia d'amore platonico, perché, almeno per il momento non ha il coraggio di rivelare i suoi sentimenti. Accanto a lei ci sono gli amici, le partite di calcetto, la playstation e la chitarra elettrica e Silvia, la sua migliore amica. 
L'amore per Beatrice si trasforma in dolore quando si scopre che la ragazza è malata di leucemia. Una malattia terribile, che a poco a poco se la sta divorando e portando via. Leo riuscirà ad avvicinarsi alla ragazza, prima donando per lei il sangue, poi trovando il coraggio, grazie a Silvia, di andare a trovarla a casa.  Il ragazzo si ritrova così a starle accanto fino alla fine, affrontando qualcosa più grande di lui e di entrambi che, se da un lato lo lascerà sconvolto e a pezzi, dall'altro gli farà acquistare maggiore consapevolezza della vita e della morte.

Il finale è ovviamente molto prevedibile. Fin dalla prima presentazione dei personaggi si sa già chi alla fine si metterà con chi e cosa succederà ad ognuno dei protagonisti. E forse la pecca più grande di questo romanzo è proprio questa: la sua prevedibilità, l'uso di personaggi abbastanza stereotipati che non risultano sempre del tutto credibili. Abbiamo Leo e il suo rapporto di forte amicizia con Silvia, che ovviamente è innamorata di lui da sempre e che si accontenta del ruolo che ha pur di stargli vicina. Abbiamo il professore "Sognatore", supplente di storia e filosofia nella classe di Leo per circa un anno, che più che insegnare cerca di fare da mentore ai ragazzi, spiegando loro che dovrebbero sempre seguire i propri sogni (avete presente "L'Attimo Fuggente"? Ecco.). Così come i genitori di tutti i vari ragazzi, tutti perfetti, tutti consapevoli di fare la scelta giusta.

Certo, bisogna ammettere che penso che questa ingenuità in parte sia voluta, per descrivere al meglio il punto di vista di questi sedicenni. Lo stesso narratore, con il suo linguaggio a tratti fastidioso e ricco di banali citazioni pseudo filosofiche (ammetto di aver pensato di lanciare il libro dalla finestra dopo le prime 30 pagine), è comunque un adolescente che si trova ad affrontare tutti i problemi tipici di quell'età, più quello della morte. 

Quindi direi un senza infamia e senza lode. L'autore deve sicuramente maturare (il fatto che sia un romanzo d'esordio è evidente in ogni pagina) ma un po' di potenziale direi che ce l'ha.

Titolo: Bianca come il latte rossa come il sangue
Autore: Alessandro D'Avenia
Pagine: 254
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Mondadori
ISBN: 978-8866210054
Prezzo di copertina: 13,00 €
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formato brossura: Bianca come il latte, rossa come il sangue