lunedì 25 giugno 2012

LA BRISCOLA IN CINQUE- Marco Malvaldi

La rivalsa dei pensionati. Da un cassonetto dell'immondizia in un parcheggio periferico, sporge il cadavere di una ragazza giovanissima. Siamo in un paese della costa intorno a Livorno, l'immaginaria Pineta, "diventata località balneare di moda a tutti gli effetti, e quindi la Pro Loco sta inesorabilmente estinguendo le categorie dei vecchietti rivoltandogli contro l'architettura del paese: dove c'era il bar con le bocce hanno messo un discopub all'aperto, in pineta al posto del parco giochi per i nipoti si è materializzata una palestra da body-building all'aperto, e non si trova più una panchina, solo rastrelliere per le moto". L'omicidio ha l'ovvio aspetto di un brutto affare tra droga e sesso, anche a causa della licenziosa condotta che teneva la vittima, viziata figlia di buona famiglia. E i sospetti cadono su due amici della ragazzina nel giro delle discoteche. Ma caso vuole che, per amor di maldicenza e per ammazzare il tempo, sul delitto cominci a chiacchierare, discutere, contendere, litigare e infine indagare il gruppo dei vecchietti del BarLume e il suo barista. In realtà è quest'ultimo il vero svogliato investigatore. I pensionati fanno da apparato all'indagine, la discutono, la spogliano, la raffinano, passandola a un comico setaccio di irriverenze. Sicché, sotto all'intrigo giallo, spunta la vita di una provincia ricca, civile, dai modi spicci e dallo spirito iperbolico, che sopravvive testarda alla devastazione del consumismo turistico modellato dalla televisione. 

Ho acquistato questo romanzo memore di quanto mi fosse piaciuto "La carta più alta", il mio primo Malvaldi.
Vi avevo detto che amo molto la Toscana, soprattutto per il cibo, il mare, i paesini medievali e il dialetto. Così come amo molto i gialli vecchio stile, in cui investigatori più o meno professionisti si ritrovano ad indagare su omicidi apparentemente irrisolvibili e che, grazie a una serie di indizi e a un forte intuito, riescono alla fine ad arrivare alla verità.
E Massimo, "barrista" nonché proprietario del BarLume (che nome fantastico!) di Pineta, paesino toscano in riva al mare, rientra proprio in questa categoria. Si ritrova infatti coinvolto suo malgrado nelle indagini di un omicidio, quello di una ragazza trovata morta in un cassonnetto, e altrettanto suo malgrado incomincerà ad indagare e a scoprire la verità. A fargli da spalla ci sono quattro fantastici vecchini, che praticamente vivono al bar, giocando a carte e seguendo tutto quello che succede in paese, alimentando voci e pettegolezzi.

Qualcosa però, almeno per quanto mi riguarda, questa volta non ha funzionato. Per carità, il romanzo è scorrevolissimo e godibilissimo, si legge in una manciata di ore, Massimo è un buon investigatore e i vecchini sono veramente esilaranti. Eppure, non ho addosso lo stesso entusiasmo che avevo quando ho chiuso "La carta più alta", né leggendolo ho provato la stessa curiosità e la stessa voglia di sapere come andasse a finire. E credo che il motivo principale sia la trama, davvero troppo banale: a metà libro già avevo un mezzo sospetto sull'assassino, sospetto che si è rivelato fondato e che, per quanto mi lusinghi sapere che potrei essere una buona investigatrice (sì, certo...), non mi ha permesso di godermi a pieno l'evolversi della vicenda e delle indagini, a tratti troppo sbrigative e semplicistiche. 
Si sarebbe potuti arrivare alla stessa conclusione con un po' più di indagini, un po' più di investigazione e un po' più di ragionamento, senza fare solo affidamento alle illuminazioni del protagonista, e con un po' di colpi di scena. Provate ad esempio a leggere "L'assassinio di Roger Ackroid" di Agatha Christie (ovviamente indiscussa maestra del genere) e capirete immediatamente che cosa intendo.

Certo, la forza di Malvaldi sta sicuramente più nei personaggi e nell'ambientazione che non nella trama. Però mi aspettavo comunque qualcosina in più.
Ma ritenterò!

Titolo: La briscola in cinque
Autore: Marco Malvaldi
Pagine:163
Prezzo di copertina: 12 €
Editore: Sellerio
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venerdì 22 giugno 2012

IL VANGELO SECONDO BIFF- Christopher Moore

Tutti sanno come è nato e come è morto Gesù. La stella cometa, la mangiatoia, i Re Magi; e poi la passione, la crocifissione. Ma che cosa ha combinato dall'infanzia ai trent'anni? Su richiesta del Messia, a duemila anni dalla sua morte, un angelo fa resuscitare il suo migliore amico, Levi detto Biff, a cui spetta il compito di scrivere un nuovo Vangelo che racconti finalmente la vera storia di Gesù di Nazaret. E quella di Biff è un'epopea ricca di miracoli, viaggi, scoperte, per non parlare di demoni, morti viventi, kung fu, folli monaci tibetani e pupe da sballo. Forse nemmeno l'astuzia e la devozione del migliore amico riusciranno a risparmiare al Salvatore il suo tragico destino, ma Biff non permetterà che si sacrifichi e ascenda al cielo senza aver lottato per impedirlo!


Scrivere la recensione di romanzi come questo è veramente difficile, perché è difficile esprimere a parole la genialità di Christopher Moore e della storia che narra. La domanda costante che mi sono posta durante tutta la lettura, davanti ad ogni passo che mi ha lasciata con le lacrime agli occhi dal ridere è: ma come diavolo gli è venuto in mente?
Ammetto di essermi avvicinata a questo romanzo con dei sentimenti un pochino contrastanti: da un lato c'erano gli innumerevoli commenti entusiastici di chi lo aveva già letto, dall'altro avevo veramente paura si trattasse di qualcosa di demenziale in stile Monty Phyton (qualche tempo fa hanno provato a farmi guardare "Brian di Nazareth" e non sono riuscita a resistere più di dieci minuti, tanto lo trovavo irritante). Per fortuna, questo romanzo non gli si avvicina nemmeno lontanamente e le battute, seppur a volte davvero cretine, nascondono una certa intelligenza che lo rende un libro che tutti, credenti e non credenti, praticanti e non praticanti, ebrei e buddisti, stolti e intelligenti dovrebbero leggere.

Il romanzo inizia con il dialogo tra due angeli. A uno dei due, Raziel, viene affidato il compito di riportare in vita Biff per far si che scriva il suo vangelo, per raccontare appunto quegli anni della vita di Gesù, dalla sua nascita fino ai giorni in cui inizia a far miracoli e proseliti, che non sono mai stati trattati in nessun altro vangelo. Chi meglio del migliore amico di Gesù potrebbe infatti svolgere questo compito? Perché Biff e Gesù si conoscono da quando sono bambini e la loro amicizia è uguale a tutte le amicizie che nascono tra chi cresce insieme, quelle amicizie che rimarranno con te tutta la vita, che insieme vivranno mille avventure e che si conforteranno e si appoggeranno nei momenti più difficili. Certo, essere il migliore amico del Messia, del figlio di Dio, del portatore dello Spirito Santo sulla terra, etc etc... non è sicuramente un compito facile, soprattutto se di carattere non si è molto portati alla meditazione e se si ha una passione per le donne. Ma Biff svolgerà il suo ruolo in modo incredibile, accompagnando Gesù alla scoperta di sé stesso, attraverso il mondo e del ruolo che Dio ha riservato per lui, in un pellegrinaggio che li terrà per tanti anni lontani da casa e li porterà a vivere situazioni incredibili da cui entrambi però riusciranno a imparare qualcosa.

Biff è un personaggio semplicemente incredibile: ironico, sarcastico, un po' sboccato, molto pragmatico e con una passione per commettere atti impuri. Esattamente il contrario di Gesù, che sta cercando di trovare sé stesso e di capire come fare a diventare il Messia. Certo, non sarà per niente immune al carattere dell'amico e spesso si ritroveranno insieme in situazioni goliardiche e divertentissime, che offrono un'immagine diversa del figlio di Dio da quella che ci è sempre stata insegnata, un'immagine più realistica (nei limiti del personaggio, ovviamente) che lo rende più umano e non poi così tanto diverso dagli altri esseri umani (basta sorvolare sul fatto che possa guarire e risuscitare la gente, camminare sulle acque, trasformare l'acqua in vino e ubriacarsi, e tutti gli altri miracoli che fa.)
Altrettanto forti e geniali sono gli altri personaggi che ruotano intorno a Gesù e a Biff: i suoi primi discepoli, Maddalena detta Maddi, di cui entrambi sono innamorati, i Re Magi un po' zen un po' buddisti, l'abominevole uomo delle nevi che forse proprio uomo non è, l'elefante che fa Yoga e quei pazzi dei romani.

Ho riso praticamente ad ogni pagina e la forza di Moore a mio avviso è che non cade mai nel blasfemo, o almeno non così tanto da non permettere persino ai cattolici più convinti di apprezzarlo. Ci offre semplicemente un ritratto plausibile di un ragazzo dai dieci ai ventincinque e del suo rapporto, che anche i vangeli ufficiali confermano non essere sempre stato facile, con il suo destino di salvatore del mondo, mostrandoci la difficoltà ad attuare certe rinunce, la paura di non essere all'altezza e l'importanza di avere accanto persone che ci aiutano a superare tutto.
 Molto toccante è stato poi il finale, la lotta di Biff per salvare l'amico e l'incapacità di accettare il triste destino di una persona a cui vuole bene.

Forse non sono riuscita a far si che la mia recensione sia all'altezza del libro. Ed è una delle mie maggiori paure quando mi ritrovo a recensire dei romanzi incredibili come questo, ovvero il non riuscire a trasmettere davvero quanto un romanzo mi sia piaciuto.
Quindi, vi prego, leggetelo!

Nota alla traduzione: direi ben fatta!

Ma quando finalmente scese sulla costa, la moltitudine lo stava ancora seguendo, e lui continuò a camminare sulla superficie dell'acqua, fino a noi. La folla si fermò sulla riva e lo acclamò. Persino noi rimanemmo stupefatti davanti a quel nuovo miracolo e, seduti sul fondo della barca, lo guardammo avvicinarsi a bocca aperta.
"Che c'è?" chiese lui. "Cosa?"
"Maestro, tu stai camminando sull'acqua" disse Pietro.
"Ho appena mangiato" rispose il Messia. "Bisogna aspettare un'ora prima di entrare. Potrebbero venirmi i crampi. Che c'è, nessuno di voi ha una madre?"


Titolo: Il Vangelo secondo Biff
Autore: Christopher Moore
Traduttore: C. Brovelli
Pagine: 574
Prezzo di copertina: 12,90€
Editore: LIT- Libri in Tasca
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lunedì 18 giugno 2012

IL RIFUGIO DEI CUORI SOLITARI - Lucy Dillon

Seduta di fronte all'antica scrivania di rovere, Rachel ascolta a malapena il borbottio dell'anziano notaio che sta sbrigando le ultime formalità testamentarie. Il suo sguardo è fisso sulla sua eredità: un muso piegato di lato e pieno di comprensione, due enormi occhi color ghiaccio, un orecchio nero floscio e l'altro bianco e dritto. Gem non è un cane come tutti gli altri, è il border collie dell'eccentrica zia Dot che, morendo, ha deciso di lasciare alla nipote una grande tenuta in campagna, un rifugio per cani abbandonati e soprattutto Gem, l'amico prediletto. Rachel non è certo un tipo da cani e la sua sofisticata e mondana vita a Londra non l'ha preparata al faticoso lavoro in campagna. Ma tutta la sua vecchia esistenza è appena andata a rotoli. Non tutto però è perduto e Rachel scopre, proprio grazie a Gem, di avere un sesto senso nel trovare i padroni più adatti a prendersi cura dei trovatelli del rifugio. Natalie e Johnny sono una coppia senza figli e solo le corte zampette di Bertie, un tenero basset hound, possono far tornare il sorriso sulle loro labbra. Zoe crede che la piccola labrador Toffee sia uno scomodo regalo dell'ex marito ai suoi figli. E Bill, un incallito cuore solitario, non sa resistere ai dolci occhi neri della barboncina Lulu, che lo guardano adoranti da sotto i ciuffi di pelo. A tutti loro Rachel dona una nuova opportunità per una vita migliore, ma dovrà essere forte abbastanza da dare una seconda occasione anche al suo cuore spezzato... 

Da bambina avevo una paura folle dei cani. Appena ne vedevo uno avvicinarsi, grande o piccolo che fosse, scappavo o mi nascondevo dietro a qualcuno che era lì con me ("meglio che morda lui/lei, piuttosto che me"). Poi, quando facevo seconda o terza media, il cane di un mio vicino di casa mi è saltato addosso per farsi fare le feste, mi ha dato un morso su una gamba e da allora ho smesso di avere paura. Non so bene cosa sia scattato nella mia testa, forse ho pensato che quello poteva essere il peggio che un cane potesse farmi e che tutto sommato non era niente di così tragico (ok, il cane che mi ha morso era un cagnolino abbastanza tontolone, di sicuro non una belva) e da allora io e questi animali andiamo parecchio d'accordo. Ho un rapporto bellissimo, ad esempio, con Billy, il cane del mio ragazzo, che piange se vede che sono al cancello e nessuno mi apre e che mi corre incontro ogni volta che metto piede in casa sua. Così come adoro Lilly, il golden retriever aziendale, che viene sempre a cercare un pat pat o qualcosa da mangiare appena ti vede.

E i veri protagonisti di questo romanzo sono proprio loro, i cani. Gli umani ci sono, sì, fanno andare avanti la storia, ma se non ci fossero questi animaletti pelosi la trama sarebbe quella di una semplice storia d'amore. Ed è abbastanza evidente che anche per l'autrice i personaggi adulti siano solo un pretesto per trasmettere il suo immenso amore per i cani.
Rachel, una donna in carriera da anni amante di un uomo sposato, ha appena perso tutto: quello che credeva l'amore della sua vita, il suo lavoro, dal momento che si tratta del suo capo,e l'appartamento in cui vive, sempre dell'amante. Ha però invece guadagnato una villa e un rifugio per cani in una cittadina di provincia, lascito di sua zia Dot, che l'ha nominata sua unica erede. Forse perché sapeva che lei e Rachel erano molto più simili di quanto si potesse pensare. Oltre alla villa, la donna ha ereditato anche Gem, il cane della zia che è stato con lei fino alla fine, una cifra da capogiro da pagare di spese di successione e a una schiera di suoi amici e di animali in cerca di una casa che deve aiutare.
Alla storia di Rachel, di questo suo disintossicarsi dalla città e riscoprire sé stessa, del suo rapporto prima scettico e poi piano piano più fiducioso con gli animali e le persone che incontrerà grazie al rifugio, si mischiano nella trama altre storie: c'è quella di Zoe, divorziata da poco, che deve occuparsi dei due figli piccoli e di Toffee, il cucciolo di labrador che il padre ha deciso di regalare ai bambini per comprarsi il loro affetto e mettere in discussione l'autorità della donna che si era sempre dichiarata contraria e che ora deve affrontare ogni giorno le difficoltà di una madre single con due figli che stanno soffrendo. C'è quella di Natalie e Johnny, una giovane coppia innamorata che sta cercando senza esito di avere dei figli e che prende in affidamento Bertie, un adorabile basset hound goloso di panini al bacon (ma anche di bottoni, biscotti e qualunque altra cosa masticabile), che si ritroverà in qualche modo a salvare la famiglia. C'è quella del medico Bill, quarantenne eterno scapolo che non riesce a trovare la donna giusta, e che adotterà la barboncina Lulù. 
E poi c'è il passato di Dot, un passato ben lontano dalla vita di campagna che ha condotto negli ultimi anni segnato da un segreto che ha comportato il suo allontanamento dalla famiglia e dalla sorella, madre di Rachel.

Come già aveva fatto con "Lezioni di Ballo", il suo primo romanzo, anche in questo caso Lucy Dillon ci racconta tante storie  e tante vite diverse legandole insieme con un espendiente: il corso di ballo nel primo caso, il rifugio per cani abbandonati e i cani in generale in questo, elevandoli, come dicevo prima, a veri e propri motori dell'azione.
E' impossibile leggere questo romanzo senza provare tenerezza e simpatia: ho adorato il basset hound Bertie dalla sua prima comparsa in scena (sarà che adoro questa buffa razza di cani) e mi sono commossa leggendo le storie degli abitanti del canile, tutti abbandonati e tutti bisognosi di coccole e attenzioni (ok, è anche immaginato quanto fascino potrebbe avere il bel medico Bill mentre coccola la sua barboncina).
 La trama "amorosa", così come il segreto di Dot, sono forse un po' scontati e banali e l'autrice avrebbe magari potuto pensare a qualcosina di meglio, anche solo di meno macchinoso. Ma è comunque riuscita a tenermi incollata alle sue pagine e a creare in me, una volta terminato, una leggera crisi di astinenza. E credo che questo faccia de "Il rifugio dei cuori solitari" un romanzo assolutamente ben riuscito. 

Certo, non è un capolavoro della letteratura, ma è perfetto se si vuole leggere qualcosa di leggero e di dolce, che sappia però suscitare anche delle emozioni e che trasmetta un po' di sano buonismo che ogni tanto male non fa. 
Consigliatissimo se adorate i cani, ma anche (o soprattutto) se ne diffidate un po'. Sono creature adorabili!
E ora vorrei proprio un basset hound!

Nota alla traduzione: ho un'unica, gigantesca, perplessità. A un certo punto, la protagonista si ritrova da sola in camera della zia per svuotare un armadio. E compare questa frase qui:" si sedette appoggiando la schiena al petto" (pag 316). Ma come diavolo fa?!? Vi giuro che ci ho anche provato, ma non riesco proprio a capire come si possa appoggiare la propria schiena al proprio petto... quindi immagino sia un errore, traduttivo o dell'autrice stessa, che mi ha lasciata veramente ma veramente sbalordita.

Titolo: Il rifugio dei cuori solitari
Autore: Lucy Dillon
Traduttore: Sara Caraffini
Pagine:488
Prezzo di copertina: 9,90€
Editore: Garzanti
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venerdì 15 giugno 2012

SUNSET PARK -Paul Auster

Miles Heller ha ventotto anni e vive in Florida. Ha poco, eppure ha tutto: l'amore di un'adorabile ragazza di origini cubane, la passione trasmessagli dal padre per il baseball con le sue storie fatte di destino e casualità, e i libri, "una malattia da cui non vuole essere curato". Il lavoro non è un granché, d'accordo, ma lui sembra farlo come se in quell'attività intuisse un misterioso legame con la sua esistenza: affinché le banche possano rimetterle in vendita, deve entrare nelle abitazioni abbandonate e fotografare gli oggetti che gli inquilini vi hanno lasciato. Ma Miles ha una vita precedente da cui negli ultimi sette anni è fuggito. E continuerebbe a farlo se il destino (o il caso) non si mettesse in mezzo: Pilar, la sua ragazza, è orfana e vive con le sorelle maggiori. Ed è minorenne. Così quando decide di trasferirsi da Miles, lui deve avere il loro consenso che ottiene corrompendo la più grande. Ma dopo qualche mese, Angela Sanchez inizia a ricattarlo. A Miles non resta che cambiare aria per un po': in fondo Pilar sarà presto maggiorenne e nulla potrà separarli. Si rivolge all'unico amico con cui è rimasto in contatto, Bing, che insieme ad altri tre ragazzi vive a Brooklyn, in una casa occupata in una zona chiamata Sunset Park. Tornare a New York, la sua città natale, significa fare i conti con i motivi che l'hanno spinto ad andarsene di casa, significa chiarire definitivamente i motivi che hanno determinato la morte del fratello Bobby. 

Tra tutti gli autori americani contemporanei di un certo spessore che ho letto, Paul Auster è sicuramente quello che mi piace di più. Per carità, McCarthy con "La Strada" o Raymond Carver con "Cattedrale" hanno lasciato una traccia indelebile dentro di me e meritano davvero di essere letti (con DeLillo ho invece qualche problema, lo trovo troppo difficile da capire... o forse sono io troppo poco intelligente), però Paul Auster è quello con cui simpatizzo di più, quello di cui segno sempre almeno una citazione e che riesce sempre a trasmettermi qualcosa, anche quando magari un suo romanzo non mi è del tutto piaciuto. Credo che buona parte di questa mia simpatia derivi dal fatto che nei suoi libri ci sono sempre libri. A volte svolgono un ruolo fondamentale, come in "Follie di Brooklyn", a mio avviso un capolavoro imprescindibile, altre sono presenti sullo sfondo in modo quasi silenzioso ma che comunque influenza anche la trama, come in Moon Palace (bellissima la prima parte, noiosa e difficile la seconda) e come, appunto, in questo suo ultimo lavoro Sunset Park.

Una presenza quella dei libri che compare già dalle prime pagine, quando, descrivendo il protagonista Miles Heller, viene detta questa frase: "... ma alla fine i libri non sono tanto un lusso quanto una necessità, e leggere è una malattia da cui non vuole essere curato...". Basterebbe già solo questo per farmi amare un libro. E ovviamente qui, non c'è solo questo.
Il protagonista è un ventottenne in fuga dal passato e dai sensi di colpa, dopo che il fratellastro è morto investito da un'auto, sotto la quale è finito dopo una sua spinta. Da quel momento Miles Heller perde se stesso, perde il suo scopo nella vita e trova nella fuga, un perigrinare da uno stato all'altro degli USA, la sua unica salvezza. Taglia i ponti con la sua famiglia, la madre attrice che lo ha abbandonato da piccolo e il padre, editore, in crisi con la moglie, madre del ragazzo investito. Miles rimane in contatto solo con Bing Nathan, suo compagno dell'Università, che ora vive da squatter in una casa di Sunset Park a New York insieme ad altre due ragazze. 
E sarà proprio lì che Miles andrà a vivere, dopo che è costretto a lasciare la Florida e l'amore della sua vita, la giovane Pilar, perché lei ancora minorenne. Una volta tornato a New York, oltre a sviluppare i suoi rapporti con i suoi coinquilini, l'insicura Ellen, la studiosa Alice e appunto il suo amico Bing, deciderà che è giunta l'ora di riallacciare i contatti con il passato e di prendersi quelle responsabilità da cui è fuggito per anni. Fino all'inesorabile finale.

"Sunset Park" è un libro molto intenso, scritto con uno stile freddo e asciutto, e che analizza i diversi rapporti umani che possono crearsi nella vita: le coppie in crisi che rimandano il più possibile la resa dei conti, il bisogno di sicurezza e stabilità e come questo sia troppe volte difficile da trovare, soprattutto se il passato è troppo pesante da sopportare, la necessità di scoprire sé stessi perché il senso di smarrimento che si prova a un certo punto non ti fa più vivere, il dover prendersi le proprie responsabilità anche quando si vorrebbe solo fuggire, la forza dell'amore nonostante l'età e l'inesorabilità del nostro destino. E lo fa grazie a tanti fantastici personaggi, ognuno ben caratterizzato e ognuno con una sua particolarità, un tratto peculiare della personalità in cui chiunque potrebbe specchiarsi.
Molto bello, anche se non me ne intendo assolutamente, è il filo conduttore del baseball, un legame indissolubile tra padre e figlio che nemmeno sette anni di lontananza potrà spezzare. Così come ho apprezzato molto l'apparizione quasi casuale nella vita di tutti, in momenti e situazioni diverse, del film "I migliori anni della nostra vita", un altro piccolo legame tra questi personaggi tanto diversi tra loro.

Certo, almeno per quanto mi riguarda, non è all'altezza di "Follie di Brooklyn", che come dicevo già prima, considero un grandissimo capolavoro (da cui è tratta anche la frase che fa da sottotitolo a questo blog). Ma è comunque un romanzo molto bello e molto intenso, che ti conquista e che ti fa anche riflettere.
Consigliatissimo!

Nota alla traduzione: si trova spesso qualche termine un po' particolare, non di uso comune, ma credo siano scelte dello stesso Auster. Nulla da dire quindi!


Titolo: Sunset Park
Autore: Paul Auster
Traduttore: Massimo Bocchiola
Pagine: 222
Prezzo di copertina: 12 euro
Editore: Einaudi

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lunedì 11 giugno 2012

LA RAGAZZA DI CHARLOTTE STREET - Danny Wallace

Londra, Charlotte Street. Jason Priestley - ex insegnante, ex fidanzato cronico, aspirante giornalista ed eroe riluttante - ha appena incontrato la sua Cenerentola. Cercava di salire su un taxi tenendo in equilibrio un'incredibile montagna di sacchetti, borse e pacchi, senza riuscirci. Jason è intervenuto in suo aiuto, e i loro sguardi si sono incrociati per un magico istante pieno di promesse. Un attimo dopo, lei se ne è andata. Ma a Jason è rimasto per sbaglio qualcosa in mano, una macchina fotografica usa e getta piena di foto già scattate... Ora si trova di fronte a un dilemma: deve rintracciare la ragazza o rispettare la sua privacy? Cercarla significherebbe seguire il consiglio di Dev, il vulcanico amico con il quale Jason condivide casa, bevute e (dis)avventure. Insieme, dovrebbero imbarcarsi in una rocambolesca caccia al tesoro seguendo gli unici indizi che hanno, ancora gelosamente custoditi nella macchina fotografica. Tra tentennamenti, errori e complicazioni di ogni genere, Jason imparerà una lezione importante, ovvero che, nel tempo di un clic, le cose si possono sviluppare in modo del tutto inaspettato...

Ammetto che quando ho preso in mano questo libro mi aspettavo qualcosa di completamente diverso. Dalla quarta di copertina (e dalla copertina stessa), mi ero immaginata si trattasse di una semplice storia d'amore, magari con una trama un po' più originale del solito e con protagonista anche Londra. Insomma, lui si scontra con lei e ne rimane folgorato, la cerca in ogni modo, alla fine la trova e vissero per sempre felici e contenti.

Non ero assolutamente preparata a tutte le emozioni che questo romanzo mi ha invece trasmesso. Sì, l'amore c'è e svolge un ruolo chiave nella vicenda, ma quest'opera parla anche e soprattutto di amicizia, di paura del futuro, di sogni e ambizioni che troppe volte non si realizzano se non ci crediamo veramente o se non ci proviamo abbastanza. Parla della difficoltà di crescere e andare avanti quando le cose finiscono, della difficoltà di cambiare e di muoversi nel mondo che ci circonda. E lo fa in modo assolutamente divertente e irriverente, fin dalla prima pagina del primo capitolo, sebbene il prologo lasciasse presagire tutt'altro.

Il protagonista è Jason Priestley. No, non QUEL Jason Priestley di cui da adolescenti avevamo il poster in camera (ammetto che io preferissi di gran lunga Dylan a Brandon). Jason Priestley è un uomo sulla trentina, che scrive recensioni per uno di quei giornaletti gratuiti che si prendono nelle stazioni dopo aver lasciato la carriera di insegnante a causa di un trauma, con alle spalle una lunga storia d'amore finita nell'indolenza e nella noia, che divide l'appartamento con Dev, un amico nerd appassionato di videogiochi e suo compagno di avventure.
Un giorno si scontra con una ragazza in Charlotte Street: uno sguardo fugace mentre la aiuta a raccogliere quello che le è caduto e Jason è innamorato cotto.
 Di questa ragazza non sa nulla, gli è rimasto nulla, se non una macchina fotografica usa e getta. La rivedrà ancora una volta, il giorno successivo, e si convincerà quindi, complice il suo amico Dev, che è un segno del destino e che l'unico modo per saperne di più è far sviluppare le foto. Da lì seguiranno altre coincidezze che porteranno il protagonista, in modo più o meno consapevole, ha iniziare una ricerca sul filo dello stalking per arrivare a lei.

La trama amorosa però, come dicevo prima, è in realtà solo un pretesto che porterà il protagonista a prendere coscienza di sé e della sua vita, a crescere e a cambiare. Si ritroverà ad esempio a fare i conti con la sua storia d'amore malamente conclusa con Sarah, a sforzarsi di essere felice per lei e per la sua nuova relazione, sebbene stia male ogni volta che vede una foto o legge un suo stato su Facebook (altra cosa tipica della nostra generazione e che credo tutti almeno una volta abbiamo vissuto). Affronterà anche un cambiamento nella sua amicizia con Dev, un punto fermo della sua vita che sta passando un periodo difficile di cui lui nemmeno si è accorto. Conoscerà altre persone, altri giovani, dalla pazza Abbey a un suo vecchio alunno, con cui condividerà momenti esilaranti (la scena della festa di fidanziamento di Sarah ad esempi) e altri molto molto profondi.
La storia d'amore quindi sì, c'è, così come c'è il tanto agognato lieto fine (una sorpresa, anche quello), ma c'è anche molto molto di più. E' un romanzo intelligente, che richiama un po' l'Hornby dei tempi migliori, per cinisimo, personaggi bislacchi e indimenticabili, situazioni esilaranti e grandi verità rivelate nel modo più buffo, naturale e impensabile possibile. 
E poi c'è Londra...

Insomma, un libro che mi è piaciuto un sacco e che consiglio caldamente! 

Perché è veramente dura quando una persona volta pagina così in fretta e all'altra persona non resta niente se non un pugno di "come eravamo" e "come sarebbe stato se"

Nota alla traduzione: i titoli dei capitoli sono lasciati in lingua originale. E' una scelta che a me è piaciuta molto, anche se mi rendo conto che per chi non conosce l'inglese alcuni potrebbero non essere così immediati. E poi non sono sicura che la rivista "Grazia", più volte citata nel romanzo, sia venduta in Gran Bretagna... ma a parte questo, ben fatta!


Titolo: La ragazza di Charlotte Street
Autore: Danny Wallace
Traduttore: S. Viciani
Pagine: 429
Prezzo di copertina: 17 euro
Editore: Feltrinelli

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domenica 10 giugno 2012

Sul Comodino 2

Ieri, con la scusa di dover comprare un libro da regalare a una mia amica per il compleanno, sono di nuovo finita in libreria (ok, in realtà finisco in libreria o nel reparto libri dei supermercati praticamente ogni volta che esco, è inutile che mi inventi scuse).
Non stavo cercando nulla in particolare, avevo solo voglia di curiosare un po'. E poi però mi sono imbattuta in questo:


Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì, di Katherine Pancol
Voi non immaginate neanche da quanto tempo stessi aspettando la versione tascabile di questo romanzo! Avevo anche scritto alla casa editrice per sapere quando sarebbe uscita ma non erano stati in grado di dirmelo. Possiedo già i primi due della serie, "Gli occhi gialli dei coccodrilli" e "Il valzer lento delle tartarughe", in versione non rilegata appunto e odio avere i romanzi di una stessa serie in edizioni diverse.
Avevo adorato i primi due libri della Pancol, per il suo stile particolare e per le trame piacevoli che, sebbene tendano a volte a dilungarsi un po', sono sempre belle da leggere. E poi i titoli! Ma quanto sono belli questi titoli ??!! (non rovinati nè cambiati da nessuna traduzione bislacca per fortuna).

 E poi, il fatto che avesse lo sconto al 25% mi ha riempito ancor più di gioia! (E probabilmente se non lo avessi scoperto solo al momento di pagare, mi sarei comprata anche qualcosa d'altro)

mercoledì 6 giugno 2012

CAINO - José Saramago

A vent'anni dal "Vangelo secondo Gesù Cristo", José Saramago torna a occuparsi di religione. Se in passato il premio Nobel portoghese ci aveva dato la sua versione del Nuovo Testamento, ora si cimenta con l'Antico. E sceglie il personaggio più negativo, la personificazione biblica del male, colui che uccide suo fratello: Caino. Capovolgendo la prospettiva tradizionale, Saramago ne fa un essere umano né migliore né peggiore degli altri. Il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. È un dio che rifiuta, apparentemente solo per capriccio e indifferenza l'offerta di Caino, provocando così l'assassinio di Abele. Il destino di Caino è quello di un picaro che viaggia a cavallo di una mula attraverso lo spazio e il tempo, in una landa desolata agli albori dell'umanità. Ora da protagonista, ora da semplice spettatore, questo avventuriero un po' mascalzone attraversa tutti gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall'Eden, le avventure con l'insaziabile Lilith, il sacrificio di Isacco, la costruzione della Torre di Babele, la distruzione di Sodoma, l'episodio del vitello d'oro, le prove inflitte a Giobbe, e infine la vicenda dell'arca di Noè. Riscrittura ironica e personale della Bibbia, invenzione letteraria di uno scrittore nel pieno della maturità, compone un'allegoria che mette in scena l'assurdo di un dio che appare più crudele del peggiore degli uomini. 


Leggere un romanzo di José Saramago richiede sempre un notevole sforzo mentale. Non è facile entrare in sintonia con il suo stile, seguire le sue frasi complesse e le sue trame spesso intricate. Provo questa sensazione con ogni suo romanzo: "L'Uomo Duplicato", "Cecità", "Il vangelo secondo Gesù Cristo", "L'anno della morte di Ricardo Reis". Tutti libri non semplici da leggere. Ma tutti grandi capolavori.
Perché appena ci si abitua allo stile di questo grande autore, è impossibile non rimanere affascinati dalla sua bravura e da quello che racconta. Dei capolavori di genialità.

"Caino" rientra in questo gruppo di romanzi: difficile da leggere ma semplicemente fantastico. Saramago aveva già proposto un'incredibile lettura delle Sacre Scritture con "Il Vangelo secondo Gesù Cristo", reinterpretando la vita di Gesù dalla nascita alla morte e proponendoci un aspetto più realistico di quest'uomo, con le sue ansie, le sue paure, le sue debolezze di uomo. Questa volta invece l'autore si cimenta con l'Antico Testamento, prendendo Caino come protagonista e muovendolo attraverso diversi episodi famosi che ci vengono narrati nelle Scritture. La storia di Caino più o meno la sappiamo tutti: per gelosia ha ammazzato il fratello Abele, colpevole di essere il favorito da Dio. Caino non nega le sue colpe ma ne attribuisce altrettante anche a Dio: è stato lui a scegliere il fratello come preferito, è stato lui a non scegliere di fermarlo. E Dio in parte riconosce questa sua colpa e condanna Caino a sopravvivere ma errando senza pace per deserti e città. 
L'uomo si troverà a compiere un viaggio particolare, tra passato e presente, per i vari episodi dell'Antico Testamento: incontrerà Abramo e Isacco giusto in tempo per evitare il sacrificio. Assisterà alla distruzione di Sodoma e Gomorra, dove a morire sono più innocenti che peccatori. Vedrà la separazione delle lingue e la distruzione della Torre di Babele, e via dicendo fino al finale sull'Arca di Noè.
E di tutti questi episodi, Caino non farà a meno di notare l'incongruenza e la cattiveria di questo Dio che tutto vede e tutto può: sacrificherà innocenti, scenderà a patti con satana con cui farà anche scommesse, accetterà incesti e ucciderà per suo capriccio tutte le genti del mondo.

Saramago ha un modo semplicemente incredibile di raccontare: buffo e ironico nel descrivere certi aspetti della vita di allora e certi ragionamenti (e ammetto di aver letto il libro canticchiando praticamente sempre nella mia testa "La Genesi" di Guccini) e schietto, crudele e agghiacciante nell'evidenziare le assurdità che si commettono in nome di Dio e da Dio stesso.

Come mi era già successo con "Il vangelo secondo Gesù Cristo", non posso fare a meno di chiedermi che sentimenti ha suscitato o susciterebbe un libro del genere nell'ambiente ecclesiastico o anche solo in un cattolico praticante. Per me, che forse in qualcosa credo ma di sicuro non nella chiesa in quanto istituzione che troppe volte predica bene e razzola malissimo, che vive ancora chiusa in delle idee del medioevo senza la capacità (o la voglia o l'interesse) di adeguarsi al presente, è veramente un libro geniale.
Consigliatissimo!

Nota alla traduzione: non deve essere stato facile tradurre questo romanzo e la traduttrice ha fatto un buon lavoro.

Titolo: Caino
Autore: José Saramago
Traduttore: Rita Desti
Pagine: 142
Prezzo di copertina: 8 euro
Editore: Feltrinelli

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domenica 3 giugno 2012

AUT AUT -Gabriele Santoni

Matteo, fresco di laurea e militante in un partito politico trova lavoro in un call-center, ormai emblema di una generazione intera. Poco dopo riesce a inserirsi in un centro di accoglienza per immigrati e come ogni giovane idealista, sente di aver trovato il suo posto in una società che spera di cambiare dall’interno. Ma il lavoro si rivela presto dequalificante ed è chiaro che si tratta di un impiego precario. Finalmente un amico d’infanzia, Enrico, gli prospetta un significativo salto di qualità introducendolo in una grande azienda che si occupa di energie alternative e con un ruolo di primo piano, ma il prezzo è chiudere un occhio sui compromessi e le illecità in cui l’azienda è coinvolta. Matteo si trova davanti alla decisione più difficile della sua vita, tradire le proprie idee e dimenticare le speranze in nome di quelle regole del profitto contro le quali ha manifestato per tutta la vita. A guardarlo, senza poter dire niente, Sànyi, immigrato ungherese che ha come unica eredità una storia di silenzio e ingiustizie.
Con una scrittura asciutta e consapevole, Gabriele Santoni esordisce con un romanzo tonante e attualissimo
.

Ci sono dei libri che per un motivo o per l’altro sono difficili da leggere. E questa difficoltà non nasce necessariamente dallo stile troppo elevato dell’autore o dall’argomento impegnativo che viene trattato. La maggior parte delle volte in cui mi ritrovo in difficoltà nella lettura (e quindi nel commento) di un libro è quando ciò di cui mi parla mi tocca davvero da vicino, al punto che quasi mi sembra di stare leggendo di me e della mia vita, scritta dalla mano di qualcuno che nemmeno mi conosce.
E la sensazione che mi ha lasciato “Aut Aut” non appena l’ho terminato è proprio questa: un senso di smarrimento, quello smarrimenti che si prova quando di colpo ti rendi conto che qualcosa nella tua vita non sta funzionando, e che purtroppo non dipende più di tanto da te, e soprattutto che sono molti, troppi, i giovani che si ritrovano nella tua stessa condizione, al punto da essere diventati argomento letterario.
Un libro attuale, quello di Gabriele Santoni, un libro che parla di giovani e del loro ingresso nel mondo del lavoro, parla di scelte e di ideali che troppo spesso devono essere traditi, parla di compromessi difficili da raggiungere e della triste consapevolezza di non avere altre scelte.

Matteo, il protagonista del romanzo, è un giovane e brillante laureato, militante di Rifondazione, che ha perso da poco il padre, e che lavora come portiere in un centro di accoglienza per immigrati. Un lavoro al di sotto delle sue capacità, di quello che aveva sempre sognato di diventare e soprattutto di quello che tutti gli altri si aspettavano da lui. Il suo amico Enrico, suo coetaneo, sì che è riuscito a realizzarsi: ha messo da parte parecchi suoi ideali e anche un po’ di morale per entrare in comune e farsi un nome, al punto che ora può persino permettersi di raccomandare il suo amico per un lavoro di molto migliore, con la consapevolezza della sua influenza. Ma dalla sua ha sempre avuto la capacità di saper convincere gli altri,  di saper smuovere e portare le persone a fare quello che vuole lui. E Matteo lo sa e lo ha sempre saputo.
Così come Elisa sa dell’influenza che l’amica Silvia ha su di lei e sugli altri. Una cosa che non sopporta nella loro amicizia ma a cui non riesce a ribellarsi. E’ troppo insicura per farlo. Nemmeno la sua bravura come parrucchiera, un sogno che è riuscita a realizzare, riesce a fare sparire questa sua timidezza e questa sua paura.  
Elisa e Matteo si scontrano prima e si incontrano poi quasi per caso e tra loro nasce qualcosa, qualcosa che va oltre la semplice avventura di una serata. Qualcosa di cui Matteo ha paura, una paura dettata dalla sua storia, dalla sua insicurezza e dalla precarietà che dal mondo del lavoro si sposta necessariamente alla vita di tutti i giorni, alle cose in cui ha sempre creduto e per le quali ha sempre combattuto, al punto da arrivare a stare male per quel senso di oppressione che questa precarietà necessariamente genera.
E’ impossibile per me non provare empatia per il protagonista. Sono anche io laureata con lode da pochi anni e costretta a scendere a patti con un lavoro che non è il mio, con un contratto a progetto che doveva durare sei mesi e che ormai va avanti da due anni e mezzo. Ho perso anche io da pochi anni mio padre, un punto di riferimento a cui non ci si può più rivolgere quando se ne avrebbe bisogno e che ha lasciato, proprio come in Matteo, un vuoto difficile da colmare e delle responsabilità aggiuntive con cui fare i conti. 
E come me, molti altri giovani sono nella stessa situazione che questo giovane autore tanto bene descrive in questo romanzo. Sfumature diverse, certo, ma tutti vittime di un sistema in cui essere bravi non sempre basta.

Lo stile di Gabriele Santoni è semplice e lineare, perfetto per parlare e descrivere di giovani, anche se forse a volte sembrerebbe un po’ più adatto a  un racconto che non a un romanzo lungo. Ma trovo che sia comunque  stato bravo nell’intervallare i ricordi del passato con la vita del presente e, soprattutto, a dare voce alle inquietudini e ai pensieri di Matteo e di tutti i giovani che si trovano nella stessa situazione.
E poi, era da parecchio che non mi capitava di leggere un primo capitolo tanto intenso come quello che apre “Aut aut”. Mi ha lasciato semplicemente senza parole.
Forse certi temi potevano essere approfonditi un pochino di più, il rapporto tra Matteo ed Elisa ad esempio, così come la storia di Enrico e del contrasto che c’è tra lui e il protagonista, un contrasto che però non degenera mai perché entrambi sanno di avere torto e ragione. Ma si tratta di un romanzo d’esordio e queste piccole mancanze sono a mio avviso più che giustificabili.

Un romanzo che consiglierei a tutti i giovani che si trovano in questa situazione, che sanno dove vorrebbero andare ma che, almeno per ora, non riescono ad arrivarci in nessun modo e  si sentono in colpa a lasciarsi andare a compromessi, quando a volte non se può proprio fare a meno.

Titolo: Aut Aut
Autore: Gabriele Santoni
Pagine: 175
Prezzo di copertina: 12 euro
Editore: Perrone Editore

Acquista su Amazon: Aut-aut

Sul comodino

Ho deciso di aprire una rubrica in questo blog, dal titolo "Sul comodino" (ok, in realtà in camera mia non ho un comodino e impilo tutti i libri nuovi sulla sedia che ne svolge le funzioni) in cui presentare i miei nuovi acquisti , cercando anche di spiegare in qualche modo perché la mia scelta è ricaduta proprio su quel libro.
La cadenza sarà ovviamente casuale, con un post più o meno ogni volta in cui comprerò qualcosa di nuovo (di solito compro in blocco, quindi non sommergerò il blog di post)

Iniziamo quindi con gli acquisti di ieri, effettuati un po' alla Fnac di via Roma a Torino e un po' all'Auchan sempre di Torino (che è veramente ma veramente ben fornito!). Due mi sono stati regalati, due li ho comprati perché mi andava e uno in realtà non è mio, ma lo infilo comunque in questa lista perché tanto prima o poi lo leggerò di sicuro.
Eccoli:


"Il rifugio dei cuori solitari" di Lucy Dillon
Certo, non sarà sicuramente una scrittrice da premio Nobel, ma avevo letto con una certa passione il primo romanzo di Lucy Dillon "The ballroom class" (in italiano è "Lezioni di Ballo"), dopo che un mio amico me lo aveva regalato in lingua originale per il compleanno. Mi era piaciuto molto, rimanendo ovviamente nei limiti di un romanzo rosa. E quindi era già da un po' che puntavo "Il rifugio dei cuori solitari". La presenza di un coccolosissimo cane in copertina e la trama (oltre agli sconti Garzanti, validi per tutto il mese di giugno) hanno fatto il resto.

"Sunset Park" di Paul Auster
Era un po' che avevo voglia di leggere un altro libro dell'autore di quel capolavoro che è "Follie di Brooklyn" (romanzo da cui è tratto anche il "sottotitolo" di questo blog).
Tra i vari titoli che c'erano a disposizione in libreria ieri, questo è quello che mi ha ispirato di più... probabilmente per quella frase in quarta di copertina che dice: "i libri, «una malattia da cui non vuole essere curato»".

"La ragazza di Charlotte Street" di Danny Wallace
Questo me lo ha regalato il mio ragazzo, che ne aveva sentito parlare in radio il giorno prima e ha pensato a me. La copertina aveva effettivamente già attirato la mia attenzione, così come la trama che sembra essere  carina e divertente (va bene, ho un debole per le storie d'amore quando sono raccontate con un minimo di intelligenza).
E poi c'è Londra tra i protagonisti, una città che è difficile non amare e in cui si tornerebbe sempre volentieri.

"La briscola in cinque" di Marco Malvaldi
Altro regalo del mio ragazzo, stavolta però scelto da me. Ho scoperto da poco questo autore e mi è piaciuto molto. I suoi gialli sono magari un po' deboli ma hanno come punto di forza i buffi protagonisti e la vita in Toscana. E ho proprio voglia di rileggere qualcosa di suo.

"Educazione siberiana" di Nicolai Lilin
Questo non è mio ma del mio ragazzo. Ed effettivamente la trama è molto nel suo stile. Però credo che prima o poi lo leggerò sicuramente anche io (d'altronde è per colpa sua se ho iniziato a leggere Palahniuck), perché credo sia uno di quei libri forti e brutali che ti apre gli occhi su qualcosa che fino ad ora hai sempre ignorato.


E qui si chiude la prima puntata della rubrica "Sul comodino". Alla prossima puntata!