venerdì 29 novembre 2013

PAMPA BLUES - Rolf Lappert

Ho una passione per i pulmini Volkswagen. I Bulli, avete presente? Quelli degli hippy, rossi, verdi o blu. C'è stato un periodo in cui con il mio ragazzo ci eravamo messi addirittura a guardare i prezzi, fantasticando di comprarne uno e partire. Verso dove, bene non lo so.

Credo che sia per questo che, qualche giorno fa, in libreria, l'occhio di entrambi sia caduto sulla copertina di questo libro, Pampa Blues. C'è un ragazzo seduto sopra a uno di questi pulmini (non il modello che piace a noi, in realtà). Leggendo poi la quarta, si scopre che il sogno di questo ragazzo è proprio quello di aggiustare un vecchio Bulli e andare in Africa. E quindi abbiamo comprato il libro.

Solo una volta arrivata a casa mi sono accorta che appartiene alla collana Feltrinelli Kids. Un libro per ragazzi, quindi. Una classificazione da cui mi sono sempre tenuta lontana, un po' per pregiudizio forse (che io a quindici anni leggevo già i libri "da grandi") un po' per paura di ritrovarmi di fronte a storie troppo semplici e banali.

Però sta copertina continuava a chiamarmi, a guardarmi dal comodino mandandomi strani segnali: "leggimi, leggimi, leggimi". E non si può resistere a un segnale così.

Protagonista di questo Pampa Blues è Ben, un ragazzo di sedici anni quasi diciassette, che vive a Wingroden, un paesino sperduto in mezzo all'Europa popolato da non più di venti persone. Abita con il nonno Karl, che accudisce in tutto e per tutto da quando è stato colpito da una grave forma di demenza. Il padre è morto quando lui era bambino e la madre è in giro per l'Europa con il suo gruppo jazz. Ben non va a scuola, svolge una sorta di apprendistato come giardiniere sotto la guida del nonno e ha una grande passione per i motori. Il suo sogno è appunto quello di aggiustare un vecchio pulmino Volkswagen e andare in Africa, luogo in cui è morto suo padre. A tenerlo d'occhio ci sono gli altri abitanti del paese: Maslow, proprietario della locanda nonché finanziatore di tutto il paese, che passa il suo tempo a cercare un sistema per riportarlo alla ribalta e non farlo sprofondare definitivamente nell'oblio; Anna, parrucchiera di cui tutti sono un po' innamorati sposata con un uomo dal passato difficile; Jojo, innamorato perso di Anna; e pochi altri personaggi. La quiete e la monotonia del paese viene sconvolta dall'arrivo di un UFO. Finto, ovviamente. L'ennesimo piano di Maslow per far arrivare i giornalisti e far si che si parli ancora di Wingroden. Ed effettivamente, a un certo punto, arriva Lena...

Il romanzo è effettivamente un romanzo per ragazzi. E' narrato in prima persona da Ben, questo sedicenne che si sente in trappola in un paesino che non ha più nulla da offrire, ma che ha paura di andarsene. Ha un rapporto di odio e amore con il nonno (un personaggio bellissimo e molto poetico, a mio avviso),che è costretto ad accudire, beve troppa birra per la sua età e non vuole ammettere con la madre di sentirsi terribilmente solo. La storia raccontata è una favola, alla fine, di quelle che fanno sorridere e scaldano un po' il cuore.
Eppure, non riesco a smettere di pensare che manchi qualcosa. Che ci sia un'idea di base molto bella, ma che sia stata sviluppata poco, o male, dall'autore. Aveva tra le mani la possibilità di creare un libro meraviglioso e l'ha un po' buttata via, fermandosi al minimo indispensabile perché ne uscisse qualcosa di carino e di godibile da leggere.
Non so se questo perché aveva già in mente di scrivere un romanzo per ragazzi e quindi ha cercato (sottovalutando forse i suoi lettori) di creare una storia non troppo articolata, o se davvero non si è reso conto di quello che potesse creare.

Non sto dicendo che sia un libro brutto, assolutamente. Si legge bene, fa appassionare alle vicende dei personaggi, alla vita di questo paese, e ti tiene molta compagnia, oltre ad avere alcuni passaggi e momenti estremamente poetici. E probabilmente se mi chiedeste cosa regalare a un lettore dai dieci ai vent'anni, vi direi questo titolo senza esitazione. Però, ecco, manca qualcosa. Qualcosa che lo avrebbe reso un libro per ragazzi con qualcosa da insegnare anche agli adulti.

Titolo: Pampa Blues
Autore: Rolf Lappert
Traduttore: A. Peroni
Pagine: 224
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Feltrinelli
ISBN: 978-8807922176
Prezzo di copertina: 14€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Pampa blues

mercoledì 27 novembre 2013

CURARSI CON I LIBRI - Ella Berthoud e Susan Elderkin

«Buongiorno».
«Buongiorno, come posso aiutarla?»
«Guardi, credo di essermi presa l'influenza. Sono giorni che starnutisco a intervalli regolari di due minuti, non ci sento da un orecchio, ho mal di gola e le ossa doloranti. E poi sono anche un po' triste, se devo essere sincera, non so se per sindrome premestruale o per lo stress del lavoro. Ha qualcosa da darmi?»
«Ecco».
«Un libro? Cioè io vengo in farmacia in questo stato pietoso e lei come rimedio mi dà un libro?»
«Si fidi di me. Prenda questo libro, vada a casa, si metta il pigiama, prepari la sua tisana preferita e si infili sotto il piumone. Vedrà che tempo qualche giorno, dipende anche dalla sua velocità di lettura, starà meglio».
«Va bene, se lo dice lei. Però poi se tra qualche giorno non mi è passato, torno qui e l'aspirina non me la fa pagare eh».



Bah, un libro per curare il raffreddore. Non avevo mai sentito una cosa del genere. Per quanto io creda fermamente nella libroterapia per risolvere o almeno per attenuare un po' i sintomi di malattie o tormenti, fisici o mentali, mai avrei pensato che qualcuno ne avrebbe fatto un libro per raccoglierli tutti e poi si sarebbe messo a venderlo in farmacia. Dovevano arrivare queste due donne inglesi, Ella Berthoud e Susan Elderkin, per pensarci, chissà con quale casa farmaceutica alle spalle. Ah, qui dice che anche Fabio Stassi in qualche punto ci ha messo lo zampino, per mettere qualche riferimento più adatto ai lettori italiani. Vabbè, tentare non mi costa nulla.

Tisana, pronta. Pigiama, messo. Piumone caldo e pronto ad accogliermi. Iniziamo questo Curarsi con i libri, va.
Si inizia con l'abbandono (ed effettivamente, qui tutta ammalata un po' sola mi sento) e come soluzione il libro Canto della pianura di Kent Harulf. Mai sentito, devo ammettere, ma sembra interessante. E poi si prosegue, con tutti i malanni dalla A alla Z, a cui sono associati uno o più consigli di lettura e il motivo per cui leggere quel particolare romanzo potrebbe aiutare. Tipo, che libro leggereste voi se andaste a sbattere con l'alluce contro qualcosa? E se foste un arrampicatore sociale? O se non vi riuscisse mai di cogliere l'attimo o soffriste di flatulenza? O se moriste, letteralmente direi a questo punto, dalla voglia di venire imbalsamati ?

Ebbene sì, esiste un romanzo adatto per ognuna di queste cose. Incredibile. 

Così come è incredibile la quantità di libri che hanno letto queste due donne e la loro capacità di associare ad ogni disturbo o tormento il romanzo adatto. 
Certo, bisogna ammettere che alcuni consigli sono un tantino banali (tipo Il Barone Rampante se si ha paura di arrampicarsi sugli alberi), che a volte c'è un po' di spoiler non necessario che un pochino rovina un'eventuale futura lettura, e anche che qualche malattia è trattata in modo  forse un po' superficiale (seppure loro stesse ribadiscano più e più volte che per certe patologie è ovvio che un libro, per quanto sarebbe bello da credere, non possa bastare come cura). Però nella maggior parte dei casi invece i suggerimenti sono piacevoli, divertenti, azzeccati anche direi, e, soprattutto, ti consentono di scoprire libri che prima non conoscevi. E' che belline le liste dei 10 migliori romanzi... (per adolescenti, per tirarsi su, da leggere al gabinetto, da leggere dopo un incubo, da leggere durante un viaggio in aereo... solo per citarne qualcuno).
E poi, per i malati di libri, come me, ci sono anche diversi consigli per risolvere alcuni dei disturbi della lettura più comuni (la tendenza all'accumulo, il vizio di interrompere i libri a metà, la paura di arrivare alla fine o l'essere troppo occupati per leggere, ad esempio).

Certo che non è stato molto corretto da parte del farmacista tenermi nascosto quel grave, gravissimo effetto collaterale:  la voglia di comprare altri romanzi dopo aver letto questo. Io ne ho segnati almeno quindici (anche per patologie che non ho e, spero, non avere mai). Glielo farò notare sicuramente. 

Qualche giorno dopo...
«Buongiorno!»
«Oh, buongiorno signorina, è tornata! Come sta?»
«Meglio direi, decisamente meglio. Cioè, starnutire un po' starnutisco ancora, e dall'orecchio ancora bene non ci sento. Però, cavolo, il suo rimedio ha decisamente funzionato! O almeno, mi ha tenuto parecchio compagnia, mi ha divertito ed è riuscito a distrarmi... non mi sono nemmeno accorta dei giorni che passavano».
«Sono contento».
«A questo punto l'aspirina non la voglio nemmeno».
«Anche perché non avrei potuto dargliela. L'altro giorno non le ho detto niente, perché non volevo offenderla o farla preoccupare. La farmacia è alla porta accanto. Questa è una libreria. Ma, come ha visto anche lei, i mali li curiamo anche noi, o almeno diamo una mano a renderli più sopportabili e a sentirsi meno soli».

Titolo: Curarsi con i libri - Rimedi letterari contro ogni malanno
Autore: Ella Berthoud e Susan Elderkin
Curatore: Fabio Stassi
Traduttore: R. Serrai
Pagine: 673
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838931130
Prezzo di copertina: 18€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno

Due titoli, un solo libro: ma perché? #59

Protagonista della puntata di questa settimana del confronto tra titolo originale e titolo tradotto è un romanzo che ho letto non troppo tempo fa e che mi è ricapitato sott'occhio in questi giorni.
Già durante la lettura avevo notato il cambiamento di titolo, senza però riuscire a stabilire se mi convincesse o meno.

Sto parlando di BUON COMPLEANNO MALCOM di David Whitehouse:

Pubblicato dalla casa editrice ISBN nel 2011 con la traduzione di Valentina Zaffagnini, il romanzo racconta la storia di Malcolm, un ragazzo dotato, intelligente, un po' sulle sue che, il giorno del suo venticinquesimo compleanno, decide di non alzarsi più dal letto. Una scelta che ha un forte impatto su tutta la sua famiglia: sulla madre che lo accudisce in tutto e per tutto, sul padre che si chiude ancora più in se stesso e sul fratello, che prova nei suoi confronti un misto di invidia, di pietà e di rabbia. E' un romanzo davvero incredibile, che mi era piaciuto parecchio (forse tra le letture più belle del 2013).

Il romanzo è uscito in lingua originale nel 2011 con il titolo BED:


La traduzione letterale del titolo è, molto semplicemente, "letto". E il letto è un elemento importante, fondamentale, del romanzo, perché è lì che Malcolm si rifugia e decide di trascorrere più di vent'anni della sua vita. Mi rendo però anche conto che intitolare un libro "letto", in italiano, sarebbe stato un po' strano (anche se penso che sia altrettanto strano anche in inglese). Si è scelto quindi di cambiarlo, facendo riferimento al giorno in cui il protagonista ha deciso di rintanarsi per sempre sotto le coperte: da qui "Buon compleanno Malcolm".

Ancora non riesco a decidere se questo cambiamento mi convince o meno, se avrei preferito l'originale oppure no. Così come non riesco a decidere quale delle due maglie del pigiama mi piaccia di più.

Voi che dite?

lunedì 25 novembre 2013

Interviste rampanti: ALESSIO TORINO

E' di nuovo lunedì, giornata di interviste rampanti! Protagonista di questa settimana è Alessio Torino.
Nato a Urbino nel 1975, Alessio Torino ha esordito come scrittore nel 2010 con il romanzo Undici decimi, pubblicato con la casa editrice Italic/Pequod. L'anno successivo è uscito per la casa editrice minimumfax il suo secondo romanzo, Tetano, e, da poche settimane, è in libreria anche il suo ultimo lavoro, Urbino, Nebraska.
Io ho conosciuto Alessio Torino quasi per caso, partecipando a una conferenza in cui era presente insieme a Fabio Stassi e Paolo Cognetti. Incuriosita, ho acquistato e poi divorato Tetano, un romanzo davvero molto bello che racconta di un gruppo di bambini in un paesino di provincia. Ve lo consiglio caldamente. E da qualche giorno è approdato sul mio comodino anche Urbino,Nebraska.

Ringrazio ovviamente Alessio per la disponibilità e per aver risposto alle mie domande.


Da bambino dicevi “da grande farò lo scrittore”?
No. Per fortuna mi attiravano altri lavori. Tempo fa ho ritrovato in un cassetto un paio di vecchi disegni. In uno c’è un palombaro con lo scafandro, nell'altro un alpinista, tutto bardato e con tanto di casco, che scala una montagna. Non sono autoritratti, ma un po’ è come se lo fossero, perché sono proiezioni. In quei disegni mi hanno colpito due cose: che i soggetti sono impegnati in gesta coraggiose e che in entrambi i casi la faccia è nascosta. Basta un Freud di quarta mano per sospettare che lo scrittore covava…

Tu sei nato a Urbino e nelle Marche hai ambientato tutti i tuoi romanzi: Undici decimi, Tetano e anche il fresco di pubblicazione Urbino, Nebraska. Quanto è importante per te e per la tua scrittura il legame con il territorio? Riusciresti a scrivere un libro non ambientato nelle Marche?
Undici decimi e Tetano sono ambientati in un paesino immaginario dell’Appennino Umbro-Marchigiano, Urbino, Nebraska in una cittadina universitaria, dove si respira un’atmosfera del tutto diversa rispetto al paese con il corso di sampietrini, dove c’è un solo forno e dove tutti conoscono tutti. Al di là dei pochi chilometri in linea d’aria che li potrebbero in teoria separare, sono due mondi molto lontani. Che siano entrambi geograficamente riconducibili alle Marche è un caso, almeno per come la vedo io. Uno deve scrivere di quello che sente di dover scrivere, senza farsi tante domande, senza porsi il dilemma se ambientare il prossimo romanzo a Urbino o a New York.

Come sei stato scoperto (o come sei riuscito a farti scoprire) dalle case editrici che ti hanno pubblicato?
Il mio romanzo d’esordio è stato pubblicato da Italic/Pequod, dopo molti anni di illusioni e disillusioni. L’attesa era stata così lunga che successivamente ci ho messo quasi un anno a provare soddisfazione per aver vinto il premio Bagutta Opera Prima. Dopo l’uscita di Undici decimi, ho deciso di rivolgermi a chi si rapporta di mestiere con gli editori: dal 2010 mi segue Stefano Tettamanti della Grandi & Associati ed è lui che mi ha portato in Minimum fax, casa editrice che mi ha accolto come meglio non si potrebbe chiedere.  

Qual è il tuo rapporto con i critici professionisti e con i book blog?
Da lettore, se un critico letterario di lungo corso o un blogger consigliano un libro che poi conferma anche a me le loro opinioni, continuo a seguirli. Provo un piacere in più a leggere un libro consigliato da altri, non so perché. 

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
La cosa più bella è stata sapere che uno psicoterapeuta di XXX consigliava Tetano ai suoi pazienti, immagino per il discorso di fondo che c’è nel romanzo sull'accettazione dei propri limiti. L’idea che un tuo libro possa contribuire, per quanto in minima parte, ad aiutare qualcuno, va ben al di là delle solite aspettative dello scrittore. La più brutta, sempre su Tetano, me l’ha detta un conoscente in un bar, in mezzo al chiasso. Essendomi stata detta in privato non la ripeto, ma posso dire che mi ha fatto capire fino a che punto i romanzi che scrivi, una volta pubblicati, non sono più tuoi, e chiunque può leggerci qualsiasi cosa, anche stravolgerli.

Hai qualche mania come scrittore?  Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
Cambio font a secondo del romanzo che scrivo. 

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai avuto voce in capitolo nella scelta di quella dei tuoi libri?
Le copertine mi sono sempre state sottoposte per un parere e ne sono sempre stato entusiasta. In particolare, la copertina di Urbino, Nebraska disegnata da Alessandro Gottardo è un capolavoro nel suo genere. Lo posso dire perché io non ho alcun merito.

Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore?
La cosa più banale: di leggere la narrativa contemporanea, perché è assurdo snobbare o ignorare quel mondo di cui si vorrebbe fare parte, cosa che invece capita spesso.

Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione?
Dell’editoria a pagamento – parlo della narrativa – penso tutto il male possibile. Nel lungo periodo di tempo in cui sono rimasto sommerso, mi sono sempre detto che avrei fatto più bella figura con me stesso ad accettare di aver fallito in qualcosa, più che riuscirci pagando. 

Ebook o cartacei?
C’è una marea di libri che invecchia così velocemente – manuali, certa pseudosaggistica – che mi fa pensare che se riusciamo a risparmiare qualche albero, è una cosa buona e giusta. 

Qual è il libro, non tuo, a cui sei più legato?
Ce ne sono davvero tanti… Con i libri è consentita la poligamia!

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Sarebbe bello se Einaudi ristampasse La Strada per Roma di Paolo Volponi, così da poterlo consigliare a chi non lo abbia ancora letto. 

Hai letto le Cinquanta Sfumature?
Per ora no.

Qual è il tuo colore preferito?
Potrei dirtene uno diverso ogni giorno. Però ti dico che mi ha sempre colpito un colore che non sono mai riuscito a definire. È quello di un cardo che cresce sui monti dell’Appennino. Il nome scientifico è Eryngium campestre, ma i mulari lo chiamano ‘gli spini dei somari’ perché ha dei petali così rigidi che infilzano. Non si capisce se sia blu o viola. Mi fa pensare alla musica dei Cure, spero non sia troppo grave. Scelgo questo, oggi almeno.

domenica 24 novembre 2013

Incontrando... Stefania Bertola

Non avrei mai pensato di andare alla presentazione di un libro di domenica mattina. Giorno e orario insoliti e non proprio comodi, soprattutto se si viene da fuori e si viaggia in coppia con un ritardatario cronico.
Però era da parecchio tempo che volevo incontrare Stefania Bertola, conoscere di persona la mente dietro agli unici romanzi rosa che riesco a leggere senza reazioni allergiche da troppo zucchero. E quindi ci siamo alzati presto, abbiam preso l'auto e in poco meno di un'ora (grazie al traffico ridotto della domenica mattina) siamo arrivati al Circolo dei Lettori.

La sala era già abbastanza piena e i posti si sono a poco a poco riempiti tutti. Stefania Bertola è arrivata puntuale, un po' irruenta, regalando "buongiorni" a destra e a manca. La prima cosa strana, oltre al già citato orario, è stata che si è presentata da sola. Ad accompagnarla c'era un attore, Michele di Mauro, a cui ha affidato alcune letture e che le ha fatto in qualche modo da spalla. Il risultato è stata un'ora divertente, intensa, che mi ha fatto capire ancora una volta come mai io adori tanto questa donna e il suo modo di scrivere.

Oggetto della presentazione era il libro nuovo, Ragazze mancine, che ho acquistato il giorno prima e ancora non ho letto. Ed effettivamente temevo anche un po' che durante la presentazione avrebbe potuto svelare qualcosa, anche involontariamente, e rovinarmelo. Invece è successo proprio il contrario, sono uscita di lì con una voglia matta di iniziarlo.
La prima cosa che si può dire di Stefania Bertola è che è torinese. E' torinese di origine, di accento (se uno non sapesse chi sta parlando e non la vedesse in faccia, la scambierebbe per la Littizzetto) e nei modi. E poi ama quello che fa, ama scrivere, ama le storie che scrive. E questo amore traspare, oltre che da ogni romanzo ovviamente, da ogni parola che dice. Sentirla parlare è davvero un piacere. 

Durante la presentazione ha parlato un po' della nascita di questo Ragazze mancine, un titolo nato parecchi anni fa insieme a un romanzo che era stato rifiutato da una trentina di editori (come già aveva raccontato nell'intervista rampante qui sul blog). Era un libro troppo strano, le avevano detto. Un libro che non avrebbe venduto. Lei lo ha messo da parte, ha ripreso la sua vita normale e iniziato a scrivere altro, Ne parliamo a cena, Aspirapolvere di stelle, A neve ferma, Biscotti e sospetti e tutti gli altri. Poi, due anni fa, quando ha firmato il contratto per un nuovo romanzo, le è ritornato alla mente quel titolo. Ha riscritto la storia, salvando solo un personaggio, e finalmente l'ha pubblicato.
Per scrivere il libro ha preso spunto da alcuni episodi che veramente le sono successi: il commercialista che l'ha imbrogliata e quasi ridotta sul lastrico, un braccialetto trovato per caso su una spiaggia a Mentone, la sua passione per gli autogrill e in particolare per quello di Novara, quello "a ponte" (che fa impazzire anche me). 

La chiacchierata è proseguita, con qualche lettura d'intermezzo, con la Bertola che ha spiegato il suo rapporto con Torino e la sua voglia di staccarsi un po' da questa città (e dal pubblico hanno suggerito di ambientarne uno a Ciriè), ma anche la sua abitudine di inserire sempre un piccolo mistero nei suoi romanzi e di far riapparire, per un attimo, un protagonista delle sue opere passate. Ha parlato poi della scelta dei nomi dei suoi protagonisti, nomi spesso bislacchi che nascono per caso, perché le piace cercare nomi non proprio comuni, poco diffusi e che facciano sorridere (tra l'altro ho scoperto una cosa che non sapevo: anche Andrea Vitali nei suoi romanzi inserisce sempre nomi particolari... e va a cercarli nei cimiteri!) oppure omaggiare altri personaggi (in questo caso c'è Jezebel, in omaggio al film La figlia del vento con Bette Davis ed Henry Fonda... in Ne parliamo a cena c'era ad esempio Sailor Maria, immaginando come le bambine cresciute con il cartone Sailor Moon avrebbero potuto chiamare le loro figlie).

L'ora è passata molto in fretta e dopo le domande di rito (tra cui una su "Romanzo rosa" e le sue differenze rispetto a tutte le altre sue opere precedenti) è arrivato il momento del firma copie. 


Insomma, davvero una bella (auto)presentazione. Se vi capita, andatela a sentire, merita davvero! Ma soprattutto, merita davvero leggere i suoi meravigliosi romanzi (sperando ovviamente che Ragazze mancine sia all'altezza degli altri... ma i primi due capitoli promettono bene!)

sabato 23 novembre 2013

MISS JULIA DICE LA SUA - Ann B. Ross

"Tieni, ti ho portato un libro. A me è piaciuto molto e secondo me potrebbe piacere anche a te".
Quante volte vi siete sentiti rivolgere questa frase e, dentro di voi, avete pensato "Oh cavolo, e se poi non mi piace?". A me succede molto spesso. Ma poi ho guardato in faccia la persona che me l'ha prestato, ho guardato la copertina, letto la trama e cercato il libro sul sito della casa editrice. Le prime parole che compaiono nella sua scheda sono queste:

Per gli amanti di Pomodori verdi fritti di Fannie Flagg, di Una banda di idioti di John Kennedy Toole, della Ladies Detective Agency di Alexander McCall Smith e di Agatha Raisin di M.C. Beaton. 

Ok, ci siamo. Io ho amato tutti i libri citati, quindi posso smetterla di farmi paranoie e iniziare a leggere.

Soprattutto perché Miss Julia dice la sua è un libro meraviglioso. Un libro leggero leggero, non troppo impegnativo, che ti tiene compagnia per due giorni, facendoti ridere e un po' anche commuovere. E Miss Julia è un personaggio meraviglioso. Una donna, da poco vedova, che ha sempre vissuto nell'ombra del noioso marito Wesley Lloyd, sottomessa al suo volere e ai dettami religiosi della sua comunità. Ma ora il marito è morto e Miss Julia si ritrova ricca sfondata e completamente libera di iniziare a comportarsi come vuole. Due eventi turbano però la sua nuova vita da vedova: il pastore della sua chiesa, che vorrebbe che donasse tutto il patrimonio ereditato per la costruzione di un nuovo luogo di culto e, soprattutto, l'arrivo inaspettato di una donna e di un bambino. Un bambino che è il figlio illegittimo di suo marito. Per Miss Julia è uno shock, anche perché si ritrova catapultata in una situazione bizzarra, surreale e pericolosa che la farà andare contro a tutti gli insegnamenti che ha ricevuto finora. Scoprendo che forse non erano poi così giusti.

La forza del libro sta sicuramente nei personaggi. In Miss Julia, prima di tutto, ma anche in Lilian, la sua governante di colore che pensa che la soluzione a qualunque problema sia il cibo e non le manda a dire a nessuno. In Sam, suo esecutore testamentario nonché unico uomo di cui si fida ciecamente e che non la abbandonerà mai. Nell'agente Bates, suo pensionante, e in Bixie, giovane avvocatessa molto sicura di sé. Nel piccolo Lloyd e nella madre un po' svampita e in tutti gli abitanti della città.

Quello che Ann B. Ross fa è un ritratto estremamente fedele di una comunità, una critica spassosa e nemmeno poi così velata dei dettami della chiesa e della vita di una cittadina, in cui tutti sanno tutto ma in faccia non dice niente nessuno. 

Sono contenta che questo sia solo il primo libro di una lunga serie (dovrebbero essere, ad oggi, quattordici), perché, se anche gli altri si mantengono su questo livello, Miss Julia diventerà davvero un personaggio indimenticabile.
Assolutamente consigliato!
(E viva le piccole case editrici che pubblicano libri così belli! E anche, ovviamente, viva chi me li fa conoscere!)

Titolo: Miss Julia dice la sua
Autore: Ann B. Rosso
Traduttore: Valentina Ricci
Pagine: 288
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Astoria
ISBN: 978-88-96919-59-0
Prezzo di copertina: 17€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Miss Julia dice la sua
formato ebook: Miss Julia dice la sua

giovedì 21 novembre 2013

CACCIATORI DI FRODO - Alessandro Cinquegrani

Se assecondassi l'impulso di recensire un libro dopo pochi minuti dall'averlo finito, impulso che mi prende ogni volta e contro cui cerco di combattere da sempre, probabilmente nel testo di questa recensione ci sarebbe solo un grandissimo MAH. Maiuscolo, in carattere 85.

Ovviamente però ho aspettato, ci ho dormito su e ora spero di essere in grado di scrivere qualcosa di un po' più articolato su questi Cacciatori di frodo
Iniziamo con il dire che è un libro difficile. Non solo per i contenuti che tratta, proprio difficile da leggere. Si va avanti a un capitolo per volta, da leggere a distanza di almeno mezz'ora l'uno dall'altro, perché altrimenti si rischia di perdersi tra le parole, tra i pensieri, tra i ragionamenti del protagonista, che narra la vicenda con una sorta di flusso di pensieri, intricato, troppo ripetitivo a volte, che ti fa venire mal di testa.

Una volta compreso come leggere questo libro, si riesce a gustarselo un po' di più, a cogliere le sfumature, la genialità che sta dietro a questa narrazione confusa. 
Il protagonista è Augusto, che tutte le mattine si alza e percorre 12 km di un binario morto, per recuperare la moglie Elisa che, tutte le mattine, si alza e raggiunge la prima curva che fanno le rotaie per tentare di suicidarsi. Un'immagine che ho trovato molto forte, quella di una donna che vuole suicidarsi tutte le mattine, su un binario morto. E il perché lo si scopre man mano leggendo, tra i pensieri di Augusto che racconta il suo passato, con un padre padrone militante di destra e un gemello di sinistra, sparito nel nulla a un certo punto della loro vita e ricomparso di nuovo all'improvviso. Racconta di Elisa e della sua malattia, di loro figlio e del loro rapporto, sgretolatosi negli anni.
Una storia triste, dolorosa, violenta anche, che si svolge sulla riva di quel Piave che mormorava calmo e placido al passaggio che sembra volersi portare via tutto.

Come vi dicevo è stato un libro difficile da leggere, da digerire. Non sono riuscita a entrare molto in sintonia con lo stile dell'autore. Uno stile che riconosco essere geniale, con tante ripetizioni, tanti pensieri che si mescolano a canzoni che si mescolano a ricordi e che nell'insieme riescono a rendere perfettamente tutto quello che è successo e che sta succedendo. A trasmettere il senso di angoscia e d'impotenza del protagonista, così come il dolore di Elisa e tutta l'atmosfera che li circonda.
Però ho fatto davvero troppa fatica. Guardavo il libro e, nonostante sia molto sottile, pensavo sempre "non ce la posso fare". Mi immergevo nei suoi capitoli con un misto di ansia e paura, sicura che ne sarei uscita connfusa e con un forte mal di testa. Un effetto probabilmente voluto dall'autore e in qualche modo funzionale alla storia che racconta, ma che non mi ha convinta del tutto.

Uno stile geniale, come dicevo prima, ma che non è per tutti. O almeno, che non è per me.

Titolo: Cacciatori di frodo
Autore: Alessandro Cinquegrani
Pagine: 112
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Miraggi edizioni
ISBN: 978-8896910238
Prezzo di copertina: 12,50
Acquista su Amazon:
formato brossura:Cacciatori di frodo

mercoledì 20 novembre 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché?#58

Mi sono accorta che è da un po' di puntate che non faccio un confronto contrario, ovvero che non prendo un titolo italiano e analizzo cosa gli è successo nella traduzione in altre lingue.
E casualmente mi è capitato sott'occhio proprio in questi giorni un romanzo italiano i cui cambiamenti di titolo fanno proprio al caso di questa rubrica.

L'autore del romanzo è una mia scoperta recente, di cui vi ho già parlato più e più volte e che è stato anche protagonista di un'intervista rampante. Sto parlando di Fabio Bartolomei, autore di tre bellissimi romanzi. Di questi però, al momento, a quanto mi risulta, solo uno è stato tradotto in altri lingue: GIULIA 1300 E ALTRI MIRACOLI, pubblicato nel 2011 dalla casa editrice e/o:

Per sapere cosa ne penso del libro, vi rimando alla mia recensione. Qui soffermiamoci solo sul titolo. La Giulia 1300, come la copertina lascia intendere, è un modello di automobile, fabbricato dall'Alfa Romeo, lanciato con questa cilindrata nel 1964 e poi tolto dal listino nel 1971.
Quest'auto svolge un ruolo fondamentale nella trama, donandole una certa poeticità che non vi voglio però svelare.

Il romanzo è stato tradotto in inglese nel 2012 da Antony Shugaar, per la casa editrice Europaeditions, con il titolo ALFA ROMEO 1300 AND OTHER MIRACLES:

Il titolo della versione inglese è molto simile, l'unica differenza è la scelta di togliere il nome dell'auto e lasciare un generico Alfa Romeo 1300. Questo perché probabilmente quel modello di auto all'estero era conosciuto con un nome diverso o con il nome della casa automobilistica che lo produceva o magari anche con lo stesso nome che però non era abbastanza diffuso e conosciuto. Un cambiamento quindi necessario e comprensibile.

Il libro è stato tradotto anche in tedesco, nel 2013, da Gabriela Schönberger  per la casa editrice Goldmann Verlag, con il titolo RADIO MIRACOLI UND ANDERE ITALIENISCHE WUNDER:

Pur non conoscendo il tedesco, è evidente fin da subito che in questa versione del titolo sparisce il riferimento all'Alfa Romeo e alla Giulia. La traduzione letterale sarebbe "Radio Miracoli e altre meraviglie italiane".
Sebbene questo particolare modello di auto sia uscito anche in Germania, nella versione tedesca del libro si è scelto di togliere il riferimento dal titolo e dalla copertina (in cui compaiono altri elementi, alcuni non del tutto giustificati). Peccato che, come vi dicevo già prima, la Giulia fosse un elemento fondamentale della storia e la scelta di ignorarlo a mio avviso non è per niente azzeccata.

Che ne dite?

lunedì 18 novembre 2013

IL TANGO DELLA VECCHIA GUARDIA - Arturo Pérez-Reverte

Mi piacerebbe tantissimo imparare a ballare il tango. Così come mi piacerebbe tantissimo anche andare in Argentina o saper giocare a scacchi.
Tra le cose che invece non mi piacciono per niente ci sono i romanzi troppo d'amore e i romanzi troppo d'avventura. Tendono ad annoiarmi, sia l'uno sia l'altro genere, a meno che non siano in qualche modo molto originali.

Leggendo questo libro ho avuto l'impressione che Arturo Pérez-Reverte sapesse tutte queste cose di me. Della mia passione mai manifestata per il tango e per l'Argentina. Di me che da bambina giocavo a scacchi con mio fratello muovendo puramente a caso i vari pezzi sulla scacchiera. Di me che non sopporto le storie d'amore troppo melense né quelle troppo avventurose. Sapeva tutto questo e mi ha messo davanti questo suo ultimo romanzo. 
Che è un romanzo d'amore, ma anche di avventura. Che parla di tango ed è ambientato in Argentina. Ma anche di scacchi e a Sorrento, passando un po' per la Francia e un po' per il mare.

Protagonista è Max, che ci viene presentato come una sorta di ballerino gigolò che, durante una traversata dall'Europa al Sud America sulla nave per cui lavora, conosce Mecha Inzunza, un'affascinante e bellissima dama spagnola, e suo marito Armando de Troeye, grande compositore che sogna, per scommessa, di comporre il tango perfetto. Mecha balla con Max un tango appassionante e tra i due si crea così uno strano legame, intrigante e ambiguo, sotto gli occhi di Armando, che sembra orgoglioso di questo feeling. Forse perché ha un piano ben preciso, forse perché è attratto da storie un po' torbide e ha trascinato in questa sua passione la moglie. Max ne rimane completamente invischiato.
Poi passano gli anni, i due si perdono di vista per ritrovarsi, durante la Guerra Civile Spagnola, a Nizza. Rifugiata politica lei, sempre furfante e sempre gigolò lui. Si ritrovano, continuano ad attrarsi e poi, di nuovo, si perdono. 
Gli anni passano ancora. Max è invecchiato, non fa più la vita dissoluta di un tempo e lavora come autista a Sorrento, città al momento in trepidazione perché sta per ospitare un'importante sfida di scacchi. E lì, Mecha, inaspettatamente riappare. E chiede a Max un enorme favore.

Il termine che ho visto più volte utilizzato per descrivere questo romanzo è feuilleton. Un romanzo d'appendice insomma, un melodramma con l'amore e la passione a fare da sfondo.
Ed effettivamente Il tango della Vecchia Guardia lo è: c'è amore, c'è passione, c'è gelosia, c'è sesso, c'è avventura e il lettore non può fare a meno di leggere, di chiedersi cosa succederà dopo, cosa separerà di nuovo i due innamorati e, soprattutto, se tra guerre, furti, omicidi, allontanamenti e anni che passano, i due alla fine riusciranno a coronare il loro amore.

Lo so, forse raccontato così potrebbe sembrare un libro un po' banale, un po' scontato. Qualcosa di già letto e già sentito. Ma vi assicuro che non lo è. Arturo Pérez-Reverte è bravo a raccontare, a creare quella giusta dose di mistero e di ambiguità, a mischiare amore e avventura, tango e scacchi, passione e disincanto, ma anche a offrire un ritratto della società nei vari periodi in cui il romanzo è ambientato. La sua scrittura è particolare, mi verrebbe da definirla elegante, garbata, anche se non so se si riesca a capire cosa intendo.
Non è sicuramente un capolavoro, non è sicuramente alta letteratura, ma si legge che è un piacere, ci si appassiona e si arriva a immaginarsi là, su quella pista da ballo, a sognare di ballare con Max il Tango de la Guardia Vieja e lasciarsi trasportare.

Consigliato!

Titolo: Il tango della Vecchia Guardia
Autore: Arturo Pérez-Reverte
Traduttore: Bruno Arpaia
Pagine: 492
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Rizzoli
ISBN: 978-88-17-06613-6
Prezzo di copertina: 18
Acquista su Amazon:

Interviste rampanti: FABIO STASSI

Protagonista dell'intervista rampante di questa settimana è Fabio Stassi. 
Scrittore di origini siciliane, classe 1962, Fabio Stassi vive a Viterbo e lavora a Roma in una biblioteca universitaria. Ha esordito nel 2006 con il romanzo Fumisteria, pubblicato da GBM, con il quale ha vinto il premio Vittorini Opera Prima 2007. Ha poi pubblicato con minimum fax: È finito il nostro carnevale (2007), La rivincita di Capablanca (2008) e Holden, Lolita, Živago e gli altri (2010). Nel 2012 ha pubblicato con la casa editrice Sellerio L’ultimo ballo di Charlot, con il quale è stato finalista al premio Campiello. 
Io ho conosciuto questo autore proprio grazie all'ultimo romanzo, che rientra tra i libri più belli che abbia letto quest'anno. 
Ringrazio Fabio per aver accettato l'intervista e la casa editrice minimumfax per avermi aiutata a mettermi in contatto con lui.


Da bambino dicevi “da grande farò lo scrittore”?
Una volta, la maestra elementare ci chiese cosa volevamo fare da grandi. Il mio compagno di banco rispose “Il papa, io voglio fare il Papa”. Tutta la classe rise. Io pensai invece cosa c’era di più grande e di più difficile che fare il Papa. Risposi “lo scrittore”. Avevo sette anni, e sono ancora convinto che diventare uno scrittore sia un’impresa impossibile. Sono anche d’accordo con Steinbeck che diceva che  “La professione di scrivere libri fa apparire le corse dei cavalli un'attività solida, stabile.”

Fare una sola domanda sul tuo L’ultimo ballo di Charlot è un’impresa, francamente, impossibile. Per cui ho deciso di porti quella forse più banale in assoluto, ma che credo stia alla base di tutto il libro. Perché hai scelto proprio Charlie Chaplin come personaggio del tuo ultimo, bellissimo, romanzo? 
Grazie. Non voglio risponderti con le solite capriole, ma in realtà è stato lui a imporsi. All’inizio era assente da questa storia. Io avevo montato su il tendone e fatto entrare i personaggi. Quasi come nel cinema. Gli avevo fatto un provino, volevo vederli muovere sulla pista di un circo. Chaplin è arrivato per ultimo, con il suo passo da pinguino, saltellante e irresistibile. Come nei suoi film. Ma appena è entrato, ogni cosa è andata al suo posto. E’ stata una bella sensazione.  Veniva da un pozzo profondo della mia memoria e della mia idea di mondo e di umanità. Lo avevo amato da bambino e da adulto. Ritengo Luci della città un film perfetto. A casa mia, Chaplin era considerato la bandiera di tutti gli emarginati, gli emigranti e gli umili della terra.

Come sei stato scoperto (o come sei riuscito a farti scoprire) dalle case editrici che ti hanno pubblicato?
C’è voluto molto tempo. Ma è stato un tempo necessario. Scrivo da sempre, e ogni tanto spedivo le mie cose. Conservo una cartellina piena di rifiuti. Avrei potuto esordire prima, molto prima, ci sono andato vicino più volte, ma non me ne sono mai fatto una malattia. Scrivere è un lavoro lento, per migliorare, anche di poco, solitamente ci vogliono anni. Poi, improvvisamente, quando quasi non ci credevo più, ho ricevuto tre risposte positive da parte di tre case editrici. È stato come un sortilegio che svaniva. O forse, più semplicemente, ogni cosa ha davvero il suo tempo.

Qual è il tuo rapporto con i critici professionisti e con i book blog?
Ne ho conosciuto qualcuno, in questi anni, di critici. Cerco di leggerli. Ci sono alcuni critici dello scorso secolo che mi sono stati utili quanto alcuni scrittori. Giacomo Debenedetti, per esempio, è stato per me fondamentale e lo considero un grande autore del Novecento. La critica letteraria mi appassiona come una partita di calcio. Sarebbe bello se il dibattito culturale muovesse lo stesso entusiasmo. Anche i book blog ogni tanto  li leggo. Credo sia importante parlare di libri.

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
Spesso mi hanno detto che non sembro uno scrittore italiano, e questo l’ho ritenuto un complimento, almeno nelle intenzioni. Ho letto molto di altre letterature, ma soprattutto considero il romanzo un fatto sovranazionale e credo nell’identità multipla di cui parla Aamin Maalouf, nell’utopia di una letteratura libera e cosmopolita.
Di cose brutte, a lungo mi sono portato dietro l’osservazione di un direttore editoriale che mi disse che avevo uno stile “inamidato”. Ma mi è servita. Una che invece mi ferì: non riguardava un romanzo ma un pezzo che avevo scritto per un altro scrittore. Su un blog fu definito “perbenista e compiacente”. Ci rimasi male.

Hai qualche mania come scrittore?  Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
La mia ossessione è il pendolarismo, ma non è una mania. Sono un pendolare – questa parola, sì, la posso accettare – da quasi vent'anni. Secondo i miei calcoli ho fatto almeno venticinque volte il giro del mondo sommando i chilometri di strada ferrata che ho percorso e ho passato sui treni dai tre ai quattro anni completi.  Il treno è il mio laboratorio, il mio studio, la scomodità che mi aiuta anche a scrivere e a non allontanarmi dalle cose che sono vere.

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai avuto voce in capitolo nella scelta di quella dei tuoi libri?
Solitamente, sono le case editrici a decidere. È il loro mestiere. Ma spesso ne discutiamo insieme. E’ molto entusiasmante, il momento della copertina.

Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore ?
Difficile dare consigli. Non mi piace. E’ appena uscito un bel libro di Giuseppe Culicchia, E così vorresti fare lo scrittore. Ecco, consiglierei di leggerlo. Illustra molto realisticamente tutti i lati di quest’attività e può essere un antidoto salutare e salvifico.

Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione?
Ne penso male. Questo sì, posso consigliarlo, di non pagare mai per pubblicare. Ci sono banditi che hanno costruito fortune sulle ambizioni sbagliate della gente. L’autopubblicazione è invece una cosa privata. Ognuno può stampare, anche con la propria stampante, un dattiloscritto, magari solo per farlo leggere agli amici. Ma è un’altra cosa. Nell’epoca delle foto digitali, come dice Busi, si fanno migliaia di scatti e non ce n’è uno che si salvi. Allo stesso modo, non si dovrebbero scrivere romanzi con la stessa facilità. Ma avere più attenzione, più pudore, più cura. La letteratura è un antidoto all'egocentrismo, una dichiarazione di guerra all’autocompiacenza. Una volta, una scrittrice cilena mi ha detto che si scrive per il proprio disonore, non per il proprio onore.

Ebook o cartacei?
Io non li vedo in alternativa, e non ho paure che il libro scompaia. Ho paura che si smetta di leggere, semmai.  Sono i lettori che devono esistere sempre. Senza lettore non c’è libro, di nessuna forma. Aggiungerei anche gli audiolibri, per i quali ho un debole. Ne sento uno ogni volta che devo fare un viaggio in macchina e non posso aprire un libro di carta.

Qual è il libro, non tuo, a cui sei più legato?
Sono molto legato alla Lingua salvata di Elias Canetti. Il primo suo libro autobiografico. Per tutto il discorso sulle lingue che fa, e anche per l’amore per la letteratura. E poi anche a Conversazione in Sicilia di Vittorini, il mio primo libro adulto.

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Stimo molto Andrea Bajani. Se consideri le colpe ve l’avranno già consigliato.

Hai letto le Cinquanta Sfumature?
No.

Qual è Il tuo colore preferito?
Il verde.

venerdì 15 novembre 2013

I libri possono far male.

Ieri sera (più notte, in realtà) stavo leggendo a letto. Pancia in su, braccia tese in alto e libro alzato sopra la testa. Non so se mi sono per un momento appisolata o se una delle due braccia ha ceduto, fatto sta che il libro mi è finito dritto in faccia e mi ha quasi rotto il naso. 

Questo non sarebbe mai successo con un libro in formato tascabile, non cartonato e dalle dimensioni normali. Ma per sfortuna mia e del mio naso, sto leggendo un romanzo appena uscito, Il tango della Vecchia Guardia di Arturo Pérez-Réverte per essere precisi, edito dalla Rizzoli in un formato dalle dimensioni imbarazzanti.

E' alto circa venticinque centimetri, spesso cinque e largo quindici. E, per aumentare un po' il peso se già così non fosse abbastanza, è rilegato e cartonato.
Lo stesso libro, due giorni fa, mi ha fatto optare per una borsa più grossa (che non c'entrava assolutamente niente con i colori degli abiti che avevo addosso... non che sia importante, per carità, ma un po' mi irrita andare in giro spaiata) perché quella che avevo in previsione di utilizzare quel giorno non riusciva a contenerlo: avrei dovuto posare l'agenda, il portafogli e le chiavi di casa.
E non oso immaginare cosa succederà quando cercherò di posizionarlo su una delle mie mensole (già tutte abbastanza cariche e pericolanti)!

Ovviamente non ce l'ho solo con il libro della Rizzoli che sto leggendo in questo momento. La mia avversione per i libri in formato cartonato ha origini storiche, anche se non so bene a quando farle risalire, che si sono man mano consolidate e radicate in me. 
I libri rilegati pesano. Sono scomodi da portarsi in giro. Scomodi da tirare fuori dalla borsa quando si è in ambienti angusti e affollati. Scomodi da leggere nel letto, in spiaggia o in tutte quelle situazioni in cui non possiamo appoggiarci da nessuna parte.Occupano spazio sui comodini, sulle mensole (ogni libro rilegato occupa il posto di almeno due libri in brossura). Hanno quella sovracoperta che scivola sempre e si sgualcisce sempre sui bordi (dovrei toglierla, lo so, ma mi piace vedere la copertina di quello che sto leggendo). E soprattutto fanno molto più male se ti cadono su un piede o, come a me ieri sera, sul naso.
L'apice della mia irritazione nei confronti dei rilegati viene raggiunto quando, aprendoli, ci si accorge che sono scritti con carattere 18, interlinea 2 e 4 cm di margine per lato. Lì, mi arrabbio davvero.

©Min
Sono sempre stata fan delle copertine morbide, sia nei tascabili sia nelle nuove uscite. Le trovo più pratiche, più maneggevoli e adattabili a ogni contesto di lettura. Sono più semplici da trasportare (e per chi sposta libri a pile credo sia un grandissimo vantaggio). Stanno in quasi tutte le borse, senza che ti sloghino le spalle a portarli in giro. Trovo che stiano anche meglio nelle librerie, sono più discreti, meno appariscenti (a meno che, ovviamente, non si comprino sempre e solo esclusivamente libri cartonati proprio perché invece si vuole che si notino nelle librerie, così che tutti sappiano cosa hai comprato... una volta conoscevo una persona che acquistava solo quelli e che mi guardava quasi schifata al mio scegliere sempre la morbida) e, per chi legge sempre, ovunque e anche quando non dovrebbe, sono più facili da nascondere sotto la scrivania o dietro a qualche rivista/brochure/catalogo aziendale.
Non so, trovo che siano proprio più semplici da leggere. Almeno io mi sono resa conto di aprirli più volentieri, di lasciarmi conquistare di più dalla trama, forse perché non devo pensare ai rischi esterni che corro leggendoli.
Se andate in libreria ora vi accorgerete che alcune case editrici hanno preso il vizio di pubblicare in formato cartonato anche i libri economici. Dimensioni un pochino più piccole delle novità, questo sì, ma stessi identici difetti. Perché lo fate? Che vi hanno fatto di male i tanto cari, leggeri e adorabili tascabili con la copertina morbida? 

Ok, non so bene dove volessi andare a parare con questo post, forse semplicemente condividere con voi e, soprattutto, lamentarmi del mio dolore al naso. 

Voi quale formato preferite? Rilegato da 25kg o copertina morbida, altrettanto elegante ma molto più leggera?

giovedì 14 novembre 2013

Incontrando... Gianrico Carofiglio

Le presentazioni dei libri e degli autori possono essere influenzate, positivamente ma anche negativamente, da chi viene chiamato a presentarli. Sì, lo so, sto dicendo un'ovvietà e ne avevo avuto prova anche in passato. Mi spiace però averne avuto conferma ieri sera, durante la presentazione di un autore che aspettavo da una vita di poter conoscere dal vivo e sentir parlare.
Purtroppo, infatti, per quanto bravo, Gianrico Carofiglio non ha potuto fare molto di fronte a una presentatrice che magari è una donna piena di cultura, brava a organizzare e a gestire eventi, ma che messa su un palco accanto a uno scrittore non è in grado di portare avanti la conversazione.

Sono arrivata al Circolo dei Lettori di Torino con un'oretta di anticipo, dopo una lauta cena in compagnia di un'amica. L'incontro era riservato ai possessori delle tessere del circolo e, anche così, ci è stato consigliato di arrivare molto in anticipo perché buona parte dei posti sono stati riservati (da quelli con la tessera più cara della mia). In mia compagnia, Elisa, una ragazza che ho conosciuto qui sul blog e che mi ha fatto un piacere immenso vedere per la seconda volta dal vivo.

Il lampadario della sala Grande del Circolo dei Lettori
 (mille lampadine, ma tutte a risparmio energetico)
Due terzi della sala erano effettivamente riservati. Ci siam sedute in fondo e abbiamo atteso le nove, ora d'inizio della presentazione.
Carofiglio è arrivato puntuale, si è seduto e la sua presentatrice ha preso la parola per presentarlo. Ed è stato evidente fin da subito che qualcosa non avrebbe funzionato.
Un po' civettuola (per carità, Carofiglio è un bell'uomo), un po' confusa, ci sono voluti almeno dieci minuti prima che lasciasse effettivamente parlare lo scrittore.


Carofiglio ha parlato di un sacco di argomenti interessanti, non limitandosi esclusivamente alla presentazione e alla promozione di Il bordo vertiginoso delle cose, libro da poco pubblicato dalla Rizzoli. Ha parlato del suo modo di scrivere e del suo modo di vedere la scrittura. Un argomento molto interessante che da solo avrebbe potuto tener viva una conversazione per ore. 
"Diffidate dagli scrittori che dicono di scrivere per se stessi, perché se così fosse non proverebbero nemmeno a pubblicare" ... avrei voluto salire sul palco e abbracciarlo, perché se uno vuole scrivere solo per se stesso, terrebbe un diario chiuso a chiave in un cassetto, non darebbe un testo in pasto a editori e, soprattutto, ai lettori.
"Diffidate dagli scrittori che dicono al lettore come dovrebbe leggere un loro libro. Il lettore ha sempre ragione, se motiva la sua interpretazione. L'autore può essere in disaccordo con lui, certo, ma non può dire che ha sbagliato". Mettersi a litigare con un lettore è una delle cose peggiori, a mio avviso, che un autore possa fare. Certo, dipende da come il lettore si pone, ma uno scrittore non può dirgli "non hai capito niente", può dirgli "io non volevo intendere quello" (e di nuovo, avrei voluto salire sul palco e abbracciarlo).
"C'è una differenza tra narcisismo dello scrittore (tutti gli scrittori sono narcisisti e hanno un loro ego) e narcisismo della scrittura". E qui si riferiva a  quei libri volutamente criptici, scritti per dimostrare di saper scrivere.
E oltre a queste frasi ne ha dette anche altre, su cui, come vi dicevo, si sarebbe potuto dibattere per ore e che invece si sono concluse con la presentatrice che dice: "Molto belle le parole che hai detto. Andiamo avanti" (e qui, volevo salire sul palco e menarla).

Ha poi parlato della situazione politica del passato, quella raccontata nel suo libro ("ma davvero credevano di fare la rivoluzione ammazzando persone che non c'entravano niente?"... frase più o meno condivisibile, ma che comunque racchiude il senso delle sue parole e della sua opinione), ma anche di quella del presente con il suo ruolo da deputato per il PD conclusosi da poco ("Ho dichiarato apertamente il mio dissenso nei confronti delle primarie dei parlamentari... e non sono più stato richiamato a fare il parlamentare").

Ha letto due passi del libro, ha provato a fare battute (il racconto della telefonata al suo editor per annunciargli che avrebbe scritto parte del libro nuovo in seconda persona è stato bellissimo) e risposto a qualche domanda del pubblico ("Perché ha lasciato la magistratura?"- "Perché il lavoro di scrittore per me ha preso il sopravvento e non sarei più riuscito a mettere il lavoro di magistrato in primo piano"- "Quindi è prigioniero dei suoi personaggi?" "Non mi sembra di aver detto questo, scrivo perché mi piace e perché mi va di farlo").

Un momento molto bello è stata la consegna all'autore di una copia di Testimone Inconsapevole tradotto in Swahili. Un progetto voluto da Mohamed Aden Sheikh per portare la cultura italiana negli ospedali somali.

E poi, ovviamente, alla fine c'è stato il firmacopie. Avrei voluto fargli autografare un paio di libri ma non ho osato, c'era troppa coda e la presentatrice era ancora lì sul palco insieme a lui con sguardo arcigno. Quindi, gli ho dato solo Testimone inconsapevole, dicendogli che il libro nuovo l'ho letto ma in ebook e farlo autografare sarebbe stato un problema. Lui mi ha risposto che una volta qualcuno gliene ha fatto firmare uno, ma che effettivamente è un bel problema.



Anche a distanza di ore dalla conclusione della presentazione, dopo averci dormito su (e dopo un imbarazzante episodio che mi è successo nel parcheggio), non riesco a togliermi di dosso una sensazione di delusione. Avevo tantissime aspettative per questa presentazione (se seguite il blog, sapete quanto io ami Gianrico Carofiglio), ero curiosa di sentirlo parlare e di sentirlo interagire e mi sono ritrovata di fronte a una presentazione piatta, a tratti quasi noiosa (non che l'autore fosse noioso, sia chiaro, ma senza qualcuno a farti "da spalla" difficilmente si può parlare di certi argomenti senza, alla lunga, annoiare un po'), ravvivata solo dai suoi tentativi di rivolgersi direttamente al pubblico e ignorare, seppur in modo molto elegante, la presentatrice (che ha chiamato Guerrieri "ispettore". Senza parole.)
Peccato, davvero.

mercoledì 13 novembre 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #57

Da quando ho aperto questa rubrica ho preso un'abitudine che il lettore rampante non riesce tanto a sopportare. Ogni volta che andiamo nel reparto libri di un supermercato o entriamo in una libreria di catena (quelle in cui non dai tanto nell'occhio, per intenderci), curiosando tra i libri, spesso mi ritrovo a prenderne in mano alcuni che so già non essere il mio genere, solo per guardare qual è il titolo originale. Ormai ho un sesto senso, non poi così difficile da sviluppare viste le mode del momento, che mi fa subito capire se il titolo italiano di un libro è stato completamente stravolto rispetto all'originale. 
Ma nonostante le sgridate della mia dolce metà e qualche occhiata di rimprovero che mi è capitata di ricevere, non riesco proprio a impedirmi di farlo... bisognerà pur alimentare questa rubrica in qualche modo, no?

Nel nostro giretto di domenica pomeriggio per centri commerciali e librerie, ad aver attirato maggiormente la mia attenzione è stato un libro che non avevo mai sentito nominare prima, ma il cui titolo richiama palesemente quello di un capolavoro della letteratura.
Sto parlando di L'AMORE AI TEMPI DELLA NEVE di Simon Montefiore

Pubblicato dalla casa editrice Corbaccio nel 2013, con la traduzione di Silvia Bigliolo, il romanzo è ambientato nella Russia del secondo dopoguerra. Due ragazzi, appartenenti a due delle famiglie più influenti della città, vengono trovati morti vicino a un ponte. Non è chiaro se si tratti di omicidio o suicidio e le indagini saranno seguite dallo stesso Stalin, che teme una qualche cospirazione contro lo Stato.

Il titolo originale del romanzo in realtà è ONE NIGHT IN WINTER

Letteralmente il titolo si potrebbe tradurre con estrema semplicità, "Una notte d'inverno". Chi ha scelto il titolo in lingua italiana ha però voluto crearne uno nuovo, che rimanda palesemente a L'amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez.
Si introduce quindi la parola "amore", che in originale non compare, e per lasciare il riferimento all'inverno viene utilizzata la "neve". Poi, già che ci siamo, si cambia anche la copertina, mettendo il solito faccione di donna che, a mio avviso, snatura  e banalizza l'originale (che trovo molto bella).

Ora, la pratica di prendere L'amore ai tempi del colera di  García Márquez e farne delle rivisitazioni è in realtà abbastanza diffusa e, se utilizzata per articoli o post, non mi dispiace nemmeno (io stessa credo di averla usata almeno una volta,  per qualche mio post).
Diverso però è quando compare sulla copertina di un altro romanzo. E' un riferimento voluto dall'autore? Un omaggio? Ha una qualche logica con il contenuto del libro? E' stato scelto per attirare maggiormente i lettori? Difficile rispondere a questa domanda. So che però i titoli che rimandano ad altri titoli non mi piacciono, mi sembra che manchino di originalità, che vogliano in qualche modo "fregare" il lettore e quindi, solitamente, tendo a evitarli come la peste.

Che ne dite?

martedì 12 novembre 2013

I FRUTTI DIMENTICATI - Cristiano Cavina

Ma voi la sapete cos'è il corbezzolo? E l'azzeruolo? E il corniolo, la prugnola e la sorba? Sono frutti, frutti per lo più dimenticati a cui ogni anno Casola Valsenio, un paese in provincia di Ravenna, dedica una festa speciale, perché non se ne perda la memoria. Insieme a questi ce ne sono anche altri, un po' meno sconosciuti ma che comunque vengono festeggiati lo stesso.

Cristiano Cavina ci racconta di questi frutti dimenticati. No, non ha scritto un romanzo dedicato al corbezzolo, ma a quello che questa idea di frutto dimenticato rappresenta nella sua vita. Già, perché ne I frutti dimenticati, l'autore ci parla di se stesso, in modo esplicito, diretto, senza ricorrere alla finzione. Un giorno viene contattato da un uomo, che ha chiesto il suo numero alla casa editrice spacciandosi per un insegnante. Quell'uomo è suo padre, il padre che Cristiano non ha mai conosciuto, e che ora lo cerca perché sta morendo. Cristiano va a incontrarlo, prima molto arrabbiato, poi mosso da una forma di pietà creata forse da quel legame di sangue che, anche volendo, non si può cancellare. Al racconto della comparsa di suo padre, affianca quello dei suoi primi anni della sua vita, dalla nascita fino all'asilo. Un bambino esagitato, che non impara dai suoi errori e che è sempre pronto a commetterne di altri, almeno stando alle parole della suora che lo accudisce insieme agli altri compagni. Un bambino dall'immaginazione fervida, nato con la voglia di raccontare storie. Cresciuta con una madre e due nonni all'apparenza burberi ma che in realtà gli vogliono un bene dell'anima. Ma Cristiano ci racconta anche un'altra storia. Quella della sua relazione con Anna, che aspetta un bambino, il loro bambino, e che scopre di non amare più.

Credo che questo romanzo per Cristiano sia stato molto catartico. Che sia uno di quei romanzi che l'autore non poteva fare a meno di scrivere, per cercare di togliersi di dosso tutto il fardello che, all'improvviso, l'ha travolto. Prende la penna e scrive, racconta, con il suo solito stile semplice eppure molto intenso, che ti tiene incollato alle sue pagine e in mezzo a esse ti trascina, portandoti a Casola, questo paesone ricco di personaggi bizzarri e piccole avventure quotidiane. E, soprattutto, dentro alla sua vita.
La forza del libro sta sicuramente lì, nel fatto che quanto narrato è tutto vero, per cui non puoi criticare, non puoi giudicare, puoi solo farti conquistare.
Eppure, ammetto che in alcuni punti la storia è talmente tanto intensa, talmente tanto personale, che ho avuto delle difficoltà. Mi sono quasi sentita un'intrusa, come se non dovessi essere lì a leggere. Questo soprattutto nella storia con Anna, una storia arrivata al capolinea senza che nessuno dei due riesca a trovare il coraggio di ammetterlo, con lei che ripete, tristemente e disparatamente, la domanda "Mi ami?". Ecco, lì mi sono sentita impotente, forse perché conosco la sensazione (quasi tutti la conosciamo), e quindi anche un po' di troppo.

A parte questo, comunque, Cristiano Cavina è davvero bravo a raccontare, a portare su carta il suo paese e le sue emozioni. A farti ridere, a farti emozionare, a farti commuovere e a farti capire che ci sono storie tutte intorno a noi, che noi stessi siamo una storia. Che qualcuno dimenticherà, ma che qualcun altro invece celebrerà ogni giorno.
E ora, voglio assolutamente assaggiare un corbezzolo.

Titolo: I frutti dimenticati
Autore: Cristiano Cavina
Pagine: 201
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: marcos y marcos
ISBN: 978-8871684918
Prezzo di copertina: 14,50 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:I frutti dimenticati

lunedì 11 novembre 2013

Interviste rampanti: SANDRO BONVISSUTO

Ed eccoci con una nuova intervista rampante, dopo la pausa della settimana scorsa. Protagonista  di oggi è Sandro Bonvissuto.
Scrittore romano, classe 1970, Sandro Bonvissuto ha esordito con la raccolta di racconti Dentro, pubblicata dalla casa editrice Einaudi nel 2012 e con cui ha da poco vinto il Premio Chiara.
Io ci ho messo un po' di tempo ad arrivare a questo libro. Inizialmente non l'avevo nemmeno considerato ma poi un mio amico ha insistito parecchio perché lo leggessi. Per lui era diventata un'opera imprescindibile. E, devo ammettere, che aveva decisamente ragione. I tre racconti che formano Dentro sono tutti e tre molto belli, molto intimi, e ne consiglio davvero a tutti la lettura.
A breve tornerà in libreria nell'antologia Scena padre, insieme a Canobbio, Celestini, De Silva, Fois, Franco, Magrelli e Pascale.
Come al solito, ringrazio tantissimo Sandro per aver accettato di rispondere alle mie domande.

© Franco Origlia
Da bambino dicevi “da grande farò lo scrittore”?  
No; ma da scrittore ti dico: da grande farò il bambino. 

Solitamente le raccolte di racconti prendono il titolo da uno dei racconti presenti. Questo, nel tuo caso, non succede, ma il titolo funge un po’ da filo conduttore, da argomento comune che in ognuno dei tre racconti viene sviluppato in un modo diverso. Quando hai iniziato a scriverli avevi già in mente questo senso di “dentro” o te ne sei accorto solo a scrittura ultimata? 
Al di là dei legami fra un racconto e la raccolta cui appartiene, credo che il titolo indichi bene una cosa: la provenienza della scrittura; funge quindi un po’ come un’etichetta di quelle che stanno sul cibo, e che ti dice da dove viene quello che mangerai. Che fosse così se ne sono accorte le editor. 

Come sei stato scoperto (o come sei riuscito a farti scoprire) dalle case editrici che ti hanno pubblicato? 
Ho partecipato a uno di quei concorsi di scrittura per esordienti che si organizzano in ogni città (portai addirittura un altro manoscritto con me il giorno dell’evento, per timore che quello spedito via posta fosse andato perduto), poi ho mandato i miei lavori a molti editori, e infine ho pubblicato per un piccola casa editrice romana un libro di racconti che non ha avuto distribuzione (come indicato nel risvolto di copertina di Dentro) ma che però è stato fondamentale perché mi notasse Dalia Oggero la editor di Einaudi, che poi ha finito per propormi un contratto. 

Qual è il tuo rapporto con i critici professionisti e con i book blog? 
Detto che per me la migliore, più doviziosa e articolata delle critiche è sempre e comunque inferiore al peggiore dei lavori (e questo per una questione prima di consecutività e poi di appartenenza a diverse categorie aristoteliche), dico che il critico, se onesto, si espone, crea egli stesso, cioè scrive, e si mette nella stessa condizione dello scrittore, aprendo così a un rapporto virile e virtuoso di uno contro uno, quasi fosse un moderno tenzone cavalleresco nel quale, chi assiste, si diverte pure. I book blog sono più torbidi, le identità sono evanescenti e spesso tutto si consuma in un clima di ostilità più vicino al pestaggio che al duello; direi, in conclusione, che è senz'altro un valore che le persone possano parlare con o di scrittori e scrittura, anche se la democraticità del mezzo forse agisce più sulla quantità che sulla qualità dei commenti. 

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta? 
Faccio una sintesi, perché mi hanno detto la più bella e la più brutta nella stessa circostanza: “Sandro il tuo libro è semplicemente fantastico, mi pare assurdo che l’abbia scritto tu”. 

Hai qualche mania come scrittore? Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte? 
Posso scrivere solo di notte dopo il lavoro, quindi faccio finta che questa sia una mania. 

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai avuto voce in capitolo nella scelta di quella dei tuoi libri? 
Io ho un ossessione per il contenuto dei libri, il resto mi interessa molto meno, o non mi interessa proprio. Nel caso di Dentro ho delegato tutto a quelli più bravi di me e credo abbiano fatto un grande lavoro. 

Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore ? 
Di andare a lavorare. 

Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione? 
L’editoria a pagamento è come il sesso a pagamento, puoi conquistarti una donna o pagarla (o anche un uomo), e per rimanere nell'ambito delle abitudini sessuali credo che l’autopubblicazione sia come l’autoerotismo. Comunque niente che non rientri nelle umane cose. 

Ebook o cartacei? 
Direi ebook e cartacei, piuttosto che o l’uno o l’altro; sono manifestazioni diverse della stessa cosa, quindi non le ritengo un’alternativa

Qual è il libro, non tuo, a cui sei più legato? 
L’Estate e altri saggi solari di A. Camus 

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro. 
Vi consiglio Elisabeth di Paolo Sortino

Hai letto le Cinquanta Sfumature? 
Veramente non ancora, volevo prima finire i russi.

Qual è Il tuo colore preferito? 
Quello bene illuminato dal sole.