venerdì 28 ottobre 2011

SPINGENDO LA NOTTE PIU' IN LA'- Mario Calabresi

È la mattina del 17 maggio 1972, e la pistola puntata alle spalle del commissario Luigi Calabresi cambierà per sempre la storia italiana. Di lì a poco il nostro paese scivolerà in uno dei suoi periodi più bui, i cosiddetti "anni di piombo", "la notte della Repubblica". Quei due colpi di pistola però non cambiarono solo il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti. La storia dell'omicidio Calabresi è anche la storia di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre. E di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo. Mario Calabresi, oggi giornalista di "Repubblica", racconta la storia e le storie di quanti sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, l'esistenza delle "altre" vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto: c'è chi non ha avuto più la forza di ripartire, di sopportare la disattenzione pubblica, l'oblio collettivo; e c'è chi non ha mai smesso di lottare perché fosse rispettata la memoria e per non farsi inghiottire dai rimorsi. La storia della sua famiglia si intreccia così con quella di tanti altri (la figlia di Antonio Custra, di Luigi Marangoni o il figlio di Emilio Alessandrini) costretti all'improvviso ad affrontare, soli, una catastrofe privata, che deve appartenere a tutti noi.

Ho appena concluso questo libro e faccio fatica a trattenere le lacrime. Mario Calabresi ci racconta una storia, la storia della sua famiglia e di come è cambiata dalla mattina del 17 maggio 1972, quando suo padre viene ucciso da esponenti di Lotta Continua. Mario Calabresi ci racconta cosa si ricorda di quel momento, e soprattutto quello che ha dovuto vivere dopo. E come lui, molti altri parenti di vittime del terrorismo: vedove con figli piccoli da crescere, tribunali, grazie e assoluzioni, l'opinione pubblica che non vuole ricordare e medaglie al valore consegnate dopo anni e anni.
Un periodo storico, quello dell'uccisione di Calabresi, di cui non sapevo quasi nulla, essendo io nata dopo e non avendo mai avuto "motivo" per informarmene. Un passato forse a volte troppo dimenticato, che poi tanto passato non è (mi ricordo ad esempio quando hanno ammazzato Biagi e D'Antona).
Mario Calabresi ci mostra il lato umano di tutto questo, il come hanno vissuto le famiglie dopo, la reazione alle richieste di grazia o all'incontro con uomini che hanno avuto a che fare con quel periodo.
E' un libro strano, che ti colpisce parecchio e ti scava dentro. E quello che colpisce di più è la forza e la speranza di queste persone, di queste vedove, rimaste anche loro vittime di qualcosa di più grande di loro.

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martedì 25 ottobre 2011

IL VALZER LENTO DELLE TARTARUGHE- Katherine Pancol

Sapere se davvero un coccodrillo dagli occhi gialli ha divorato oppure no suo marito Antonie, scomparso in Kenya, per Josephine non è più importante. Grazie ai soldi guadagnati con le vendite del suo best seller, ha lasciato Courbevoie, nella banlieue parigina, per un appartamento chic nell'elegante quartiere di Passy. Invece sua sorella Iris, che aveva tentato di attribuirsi la scrittura del romanzo, ha finito con il pagare la follia del proprio inganno in una clinica per malati di depressione. Ormai libera, sempre timida e insoddisfatta, attenta spettatrice della commedia strampalata e talvolta ostile che le offrono i suoi nuovi vicini, Josephine sembra alla ricerca del grande amore. Veglia sulla figlia minore Zoe, adolescente ribelle e tormentata, e assiste al successo dell'ambiziosa primogenita Hortense, che a Londra si lancia nella carriera di stilista. Fino al giorno in cui una serie di omicidi distrugge la serenità borghese del suo quartiere e lei stessa sfugge per poco a un'aggressione... Ancora una volta intorno all'irresistibile e discreta Josephine gravita tutto un mondo di seduttori, carogne, imbroglioni ma anche di persone buone e generose. Ancora una volta la penna di Katherine Pancol ci proietta in un vortice di eventi e personaggi all'affannosa ricerca di un senso nella inesauribile complessità della vita.

Adoro Katherine Pancol. Non so bene che altro dire, dopo aver appena chiuso il secondo capitolo delle avventure di Josephine e famiglia. E forse questo secondo romanzo mi è piaciuto ancor più del primo.
Sarà che conoscevo già i personaggi e ad alcuni ero già affezionata. Sarà che è tutto pervaso da un'onda di mistero, con il giallo che si mescola alla storia d'amore. Sarà che mi identifico veramente tanto in Josephine, per la sua goffaggine (non potete nemmeno immaginare di che cosa sia capace), per la sua timidizza e il suo voler credere nel principe azzurro, per le sue lotte interiori tra cervello e cuore, per la sua passione smodata per qualcosa che è sufficiente per farle amare la sua vita.
Insomma. Adoro Katherine Pancol. Mi piace molto come scrive, mi piacciono molto certe frasi e certi pensieri che tramite i personaggi riesce a trasmettere. E mi piacciono un sacco i fantastici titoli che sceglie per i suoi romanzi ("Gli Occhi Gialli dei Coccodrilli" il primo, "Il Valzer Lento delle Tartarughe" questo e " Gli Scoiattoli a Central Park sono tristi il lunedì", che sarà il prossimo che leggerò).
Forse l'unica pecca è che sono romanzi molto lenti da leggere. Ed è strano per me, trovarmi ad apprezzare così tanto un romanzo che mi richiede tutto sto tempo di lettura (solitamente, i bei libri li divoro). Però non stufa, anzi. Vorrei avere già tra le mani l'episodio successivo, per sapere che cosa succederà.
Non sono dei grandi capolavori, questo no. Ma hanno dentro una grande spensieratezza, un senso di leggerezza, e anche di normalità, che conquista.

Nota alla traduzione: peccato per le virgole messe a caso, anche tra soggetto e verbo. Da rivedere.

"E' più facile accusare gli altri, che mettersi in discussione"

"La vita è dura se non sei un koala"

"Sembra stupido, ma mi sono detta che l'amore è avere il cuore gonfio per aver annusato un vecchio maglione"


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lunedì 17 ottobre 2011

C'ERA DUE VOLTE IL BARONE LAMBERTO- Gianni Rodari

In mezzo alle montagne c'è il lago d'Orta. In mezzo al lago c'è l'isola di San Giulio. Sull'isola c'è la villa del barone Lamberto, un signore molto vecchio, molto ricco, sempre malato. Le sue malattie sono ventiquattro, e solo il fedele maggiordomo Anselmo è in grado di ricordarsele tutte... Ma ecco che intanto piombano sull'isola il perfido nipote Ottavio, che mira ad impadronirsi dell'eredità, e una gang di banditi decisi a rapire il barone e a chiedere un riscatto enorme. Le storie di Rodari offrono divertimento e una girandola di situazioni e personaggi esilaranti: un modo di comprendere questo nostro mondo.

Credo che questo sia il secondo libro di Gianni Rodari che leggo nella mia vita. Il primo, Il Libro degli Errori, l'ho letto da bambina, quando avevo l'età giusta insomma, ma non riesco a ricordarmi assolutamente nulla. Non so se mi era piaciuto o se l'avevo detestato (sì, ero già tremenda nei commenti anche da piccola).
Poi ieri ero un po' in crisi, non avevo nulla di nuovo da leggere e il libro che avevo scelto come rilettura procedeva molto a rilento. E così, una mia amica mi ha prestato questo, dicendomi "prova, alla peggio lo abbandoni".
E invece l'ho iniziato nella mezz'ora di pausa pranzo e finito nell'ora in sala d'attesa dal medico. E' un libro buffissimo e carinissimo, certo indirizzato a un lettore più giovane ma che comunque riesce a catturare e far pensare un pochino anche gli adulti. Ci sono tante morali per insegnare certi valori, ma anche tanti dettagli che forse un bambino non riuscirebbe a cogliere al pieno del loro significato (il barcaiolo soprannominato Caronte, ad esempio, se non hai visto Pollon a 11 anni non è così immediato).
Ci sono un sacco di personaggi buffi che si muovono all'interno di questa storia assurda ma quasi verosimile, a partire dai due protagonisti: il Barone Lamberto, un vecchino novantaquattrenne ricco sfondato che ha trovato il modo di ritornare giovane, e il suo fidato maggiordomo Anselmo, che va in giro con l'ombrello anche quando non piove.
Insomma, Rodari era proprio bravo e ora quasi mi spiace non aver letto nulla di suo quando ero bambina.


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lunedì 10 ottobre 2011

C'E' DEL MARCIO- Jasper Fforde

Da quando ha ucciso un funzionario di Giurisfiction, la cattura del Minotauro è un obiettivo prioritario. Capa suprema di Giurisfiction, Thursday Next, la più grande Detective Letteraria della storia, deve beccarlo a ogni costo. Thursday è certa che si sia imboscato in un western del 1905. Ma affrontare uno sceriffo rincretinito, in un romanzo dove possono esserci fino a sedici sparatorie l'ora e i paesaggi si ripetono identici a se stessi ogni tre chilometri, per lei è troppo. Thursday è davvero stufa, decide di mollare, e torna nella sua nativa Swindon. Anche lì, però, le cose sembrano più che surreali. La Goliath Corporation, che prima era "solo" la più grande azienda multimediale del mondo, ora è oggetto di culto religioso e di fatto governa le menti dei cittadini. I summit politici internazionali si risolvono in incontri di croquet. L'economia ruota attorno al mercato del formaggio. Meglio, al contrabbando del formaggio. Amleto e un bel gruppo di personaggi shakespeariani si sono insediati in casa di sua madre. E non hanno nessuna intenzione di andarsene... Thursday stessa è angosciata dalla prospettiva che riaprano il processo contro di lei per aver cambiato il finale di Jane Eyre... Ma in mezzo a tutto questo, riuscirà la nostra amica a tirar su il figlio Friday, e soprattutto a "riattualizzare" il marito Landen?

Ed eccomi arrivata al quarto e, per ora, ultimo capitolo della saga di Thursday Next (dovrebbe essercene uno in corso di traduzione). Una saga che mi ha divertito e appassionato, e che racchiude in sé una genialità a dir poco incredibile.
Peccato solo che questo ultimo romanzo non sia all'altezza di nessuno degli altri tre (nemmeno del secondo, che già mi aveva convinto poco). Forse perché qui il discorso politico prende il sopravvento su quello letterario, forse perché è ambientato nel mondo "reale" e non più in quello dei libri. Forse perché odio i lieti fini a tutti i costi. Insomma, rispetto agli altri è molto meno brillante.
Un potente politico, scappato in realtà da un romanzo, sta cercando di instaurare una dittatura in Inghilterra, bruciando tutti i libri danesi (nazionalità della sua "autrice") e usando strumenti potentissimi per convincere la massa a seguirlo. Ad appoggiarlo c'è la sempiterna Goliath Corporation, che ora finge di essersi ravveduta e aspira a diventere una religione vera e propria. Ad impedire che tutto questo si verifichi c'è una profezia su una partita di cricket fatta da un santo del XIII ritornato nel nuovo millenio.: le sorti del mondo dipendono da chi la vincerà. E in mezzo a tutto questo c'è ovviamente l'agente letterario Thursday Next, alle prese con il tentativo di salvare il mondo, di scampare a chi sta attentando alla sua vita, di crescere un figlio piccolo e di riattualizzare il marito sradicato (oltre a far da baby sitter ad Amleto venuto nel mondo reale per scoprire se è veramente così indeciso).
Un calderone di eventi che si susseguono, troppo, veramente troppo, slegati tra loro, che rendono la storia difficile da seguire. Troppe volte si ha la tentazione di non capire niente e si legge per inerzia (cosa che negli altri tre capitoli della saga non succedeva mai).
Peccato, Jasper Fforde poteva concluderla veramente meglio. Ma forse aveva solo già dato troppo e al quarto tentativo non è riuscito a mantenere la genialità di tutti gli altri.

Nota alla traduzione: niente da segnalare.


per acquistare il libro: C'è del marcio (Gli alianti)

domenica 2 ottobre 2011

KITCHEN - Banana Yoshimoto

Da quando la nonna è morta, Mikage è sola al mondo. Le cucine che sogna continuamente rappresentano il suo desiderio della famiglia che non ha. E, non avendola, decide di inventarsela, scegliendosi i genitori nella cerchia delle proprie amicizie. Il padre del suo amico Yuichi, per esempio, può diventare tranquillamente sua madre. Un'immagine inedita e sorprendente del Giappone, con temi e situazioni che ricordano quelli dei fumetti manga, rielaborati però attraverso una lingua letteraria e al tempo stesso agile e spigliata.


Per qualche strano motivo, Banana Yoshimoto è una di quelle autrici da cui mi sono sempre tenuta alla larga, pur non avendo praticamente mai letto niente di suo (a parte Tsugumi, quando ero bambina, di cui non mi ricordo assolutamente nulla). Non saprei spiegarvi il perché di questa mia diffidenza nei suoi confronti. Ho deciso però che era ora di provare a rimediare, o almeno di dare una possibilità a questa autrice. E l'ho fatto scegliendo il romanzo con il titolo che più mi ispirava, ovvero Kitchen. Insomma, se un libro si intitola "cucina", qualcosa di buono lo deve pur avere, no?
In realtà di cibo e cucina c'è ben poco, fan solo da sfondo per indentificare le caratteristiche della protagonista. La vera storia è una storia d'amore, di morte e di solitudine. Mikage, dopo aver perso i genitori da bambina e il nonno poco dopo, perde anche sua nonna e rimane sola al mondo. Verrà accolta Yuichi e da sua madre Eriko, che diventeranno una seconda famiglia per lei. Ma il legame con Yuichi è molto più forte e complesso di quel che sembra, legame che li porterà a riflettere sul loro passato, sul loro futuro, sulla morte e sulla vita.
Il romanzo è sicuramente un bel romanzo, veloce da leggere e con spunti di riflessione notevoli. Ma forse è un po' troppo zen per i miei gusti. Forse i personaggi sono troppo ambigui e tormentati e diventa difficile simpatizzare per loro (eccetto per Eriko, certo). Forse con una cinquantina di pagine in più l'argomento poteva essere approfondito meglio e i personaggi meglio caratterizzati.
Molto bello invece il racconto al fondo, Moonlight Shadow, di nuovo su amore e dolore, su perdite e speranze e sul lasciare andare.
Non è molto il mio stile forse, ma tutto sommato non è così male. Potrei anche leggere altro.

Nota alla traduzione: credo che non sia per nulla facile tradurre un romanzo dal giapponese. E la mia unica critica in realtà andrebbe fatta forse più all'autrice che non alla traduzione. Ovvero l'utilizzo del termine cool (scritto in corsivo, quindi deduco fosse nell'originale), che in un romanzo scritto nel 1991 suona proprio male.



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sabato 1 ottobre 2011

LAS LUCES DE SEPTIEMBRE- Carlos Ruiz Zafón

Durante l’estate del 1937 Simone Sauvelle, rimasta all’improvviso vedova, abbandona Parigi assieme ai fi gli, Irene e Dorian, e si trasferisce in un piccolo paese sulla costa per sfuggire agli ingenti debiti accumulati dal marito. Trova lavoro come governante per il facoltoso fabbricante di giocattoli Lazarus Jahn in una gigantesca magione chiamata Cravenmoore, dove l’uomo vive con la moglie malata. Tutto sembra andare per il meglio. Lazarus si dimostra un uomo gradevole, tratta con riguardo Simone e i figli, a cui mostra gli strani esseri meccanici che ha creato – e che sembrano avere vita propria – mentre Irene si innamora di Ismael, il cugino di Hannah, la cuoca della casa. Ma eventi macabri e strane apparizioni sconvolgono l’armonia di Cravenmoore: Hannah, viene trovata morta e una misteriosa ombra si impossessa della tenuta. Spetterà a Irene e Ismael lottare contro un nemico invisibile per salvare Simone e svelare l’oscuro segreto che avvolge la fabbrica dei giocattoli, un enigma che li unirà per sempre e li trascinerà nella più emozionante delle avventure in un mondo labirintico di luci e ombre.

Che dire? L'ennesimo libro di Zafón uguale a tutti gli altri. Questo è uno dei romanzi per giovani adulti che ha scritto quando ancora nessuno sapeva chi fosse, e ora, alla ribalta del successo datogli da L'Ombra del Vento, lo ritira fuori per noi lettori allocchi (mi ci metto anche io senza problemi). "Oddio è uscito il libro di nuovo di Zafón!"... che in realtà è del 1993 e non ha mai avuto successo. Preparatevi che a breve uscira il primo tema che ha scritto in prima elementare.
Comunque, tornando al libro, questo si colloca nella "triologia" di Marina e del Palazzo della Mezzanotte. Una triologia i cui titoli sono tranquillamente invertibili, senza che nessuno se ne accorga.
Ok, qui non siamo a Barcellona ma in Francia. Ma per il resto, tutto già letto. Un personaggio misterioso dal passato torbido, un amore finito male, una creatura misteriosa, un'ombra che tormenta tutti, i bambolotti e i pupazzetti meccanici, un ragazzo e una ragazza pronti a salvare il loro mondo.
Eppure l'ho divorato in due giorni, e ieri sera sono andata avanti fino a notte fonda a leggere pure di finirlo. Perché Zafón sa scrivere. Sa come catturare il lettore con le parole, come farlo in qualche modo appassionare alla vicenda mentre la sta leggendo. Ma è la trama che lascia a desiderare. Non ha inventiva, o meglio, ce l'ha una volta e poi la ricicla continuamente (prendete sti giocattoli meccanici ad esempio, ci sono SEMPRE... capisco che forse si tratta di una sua ossessione di quando era piccolo, però cavolo, che si faccia vedere da un medico!).

Comunque, tanto dico dico ma so già che leggerò anche il prossimo (pare che sia il "terzo" della saga del cimitero dei libri dimenticati) e so già che rimarrò delusa, ma che andrò avanti a leggere qualunque cosa pubblicherà. Ma il tema di prima elementare no, per favore.

Letto in originale, niente nota alla traduzione