venerdì 29 marzo 2013

A VOLTE RITORNO - John Niven

Dopo una vacanza di qualche secolo Dio è tornato in ufficio, in Paradiso, e per prima cosa chiede al suo staff un brief sugli ultimi avvenimenti. I suoi gli fanno un quadro talmente catastrofico - preti che molestano i bambini, enormità di cibo sprecato e popolazioni che muoiono di fame... - che Dio si vede costretto a rimandare giù il figlio per dare una sistemata. JC (Jesus Christ) gli dice: "Sei sicuro sia una buona idea? Non ti ricordi cosa è successo l'altra volta?" Ma Dio è irremovibile. Così JC piomba a NY, dove vive con alcuni drop-out e ha modo di rendersi conto in prima persona dell'assurdità del mondo degli uomini. E cerca, come può, di dare una mano. Il ragazzo non sa fare niente, eccetto suonare la chitarra. E riesce a finire in un programma di talenti alla tv. Un gran bel modo per fare arrivare il suo messaggio a un sacco di gente. Ma, come già in passato, anche oggi chi sta dalla parte dei marginali non è propriamente ben visto dalle autorità.


Divertita. Piegata in due dal ridere. Stupita. Affascinata. Turbata. Scossa. Commossa. Incredula. Incazzata nera.
E' sempre incredibile rendersi conto quante emozioni diverse possono provocare in me i libri. E ancor più incredibile è accorgersi che tutte queste emozioni, questa volta, derivano da un libro solo.  Eppure si provano esattamente tutte queste cose quando si legge "A volte ritorno". Man mano che si va avanti con la lettura, queste emozioni si mescolano, a volte ti sopraffanno, ti schiacciano, ti tolgono il fiato (un po' perché stai ridendo, un po' perché perché invece stai quasi piangendo) e, soprattutto, ti conquistano e non ti lasciano più andare.

Della trama non ho intenzione di dirvi nulla, perché qualunque cosa io vi svelassi oltre quanto viene detto dalla quarta di copertina sarebbe togliervi la sorpresa e il gusto di scoprire da soli che cosa potrebbe succedere a Gesù se tornasse sulla Terra ai giorni d'oggi, quali apostoli si sceglierebbe, in che modo diffonderà il suo verbo, chi sarebbe la Maddalena questa volta, contro chi si scontrerà, chi lo tradirà... perché pare proprio che noi uomini non siamo capaci di imparare dalla storia e dai nostri errori.
Posso dirvi che probabilmente se siete ferventi cattolici, molto credenti e magari un po' bigotti, questo romanzo vi metterà in difficoltà: lo odierete, forse, lo condannerete, ma sotto sotto spero che un po' vi farà anche pensare. Così come ha fatto pensare me, che credo in un Dio molto simile a quello che viene descritto nel romanzo (e quindi molto lontano a quello che ci viene in qualche modo imposto dalla Chiesa), che non prego, che ho una stima bassissima verso i membri della chiesa cattolica per quello che l'hanno fatta diventare e che sono per l'amore e la bontà in ogni sua forma e dimensione. Perché poi arrivi alla fine del romanzo e ti rendi conto che forse (anzi, sicuramente) nemmeno tu stai facendo abbastanza.

Riuscire a dire tutte queste cose con lo stile e il tono ironico usato da Niven non è sicuramente una cosa semplice. Eppure l'autore è riuscito a gestire tutta la trama in modo magistrale, senza mai lasciarsi prendere la mano, senza mai cadere nella banalità (va bene, forse qualche battuta era un po' scontata, ma a me ha fatto ridere lo stesso), creando un contesto e un'ambientazione perfetta e, a mio avviso, indimenticabile, per fare una critica della nostra società in un modo chiaro, diretto e comprensibile a tutti.

Solo una piccola avvertenza, magari non necessaria ma che comunque ci tengo a fare, per chi ha letto "Il vangelo secondo Biff" di Christopher Moore: mi sono avvicinata a questo romanzo con un po' di paura di trovare una copia dell'opera di Moore, sebbene già la trama lasciava chiaramente intendere che fosse qualcosa di diverso. E qualche similitudine effettivamente potrebbe anche esserci. Ma sono due romanzi molto diversi e quindi probabilmente se lo leggete in cerca di un nuovo "Biff" un po' delusi rimarrete. Quindi non fatelo, cancellate dalla vostra mente il libro di Moore per un momento e lasciatevi conquistare da questo, perché ne vale davvero la pena.
E mi raccomando: "FATE I BRAVI!"

Letteratura. Quella sí era roba buona.
Bello che l'avessero inventata. 


Nota alla traduzione: direi ben fatta!

Titolo: A volte ritorno
Autore: John Niven
Traduttore: Marco Rossari
Pagine: 381
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806209223
Prezzo di copertina: 19,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: A volte ritorno

mercoledì 27 marzo 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #27

Mi sono resa conto che spesso, in questa rubrica di confronto tra titolo originale e titolo tradotto, mi sono un po' accanita verso una casa editrice. Certo, se non avesse il brutto vizio di cambiare tutti i titoli e metterne altri che non c'entrano nulla (oltre che piazzare faccione di donna in copertina), questo non sarebbe mai successo. Però mi sento un po' in colpa. Perché comunque è una casa editrice che fino a poco tempo fa (prima delle mode della faccia e dei titoli composti, appunto) frequentavo e apprezzavo parecchio.

Ho deciso quindi di cercare un loro libro in cui trovo il cambio di titolo una scelta azzeccata. E ammetto che, se si guarda ai libri pubblicati prima del 2012, non è nemmeno così difficile trovarne (questo potrebbe far nascere l'ennesima riflessione sulle mode e sul marketing, riflessione che ho già fatto più e più volte e che quindi, almeno per questa volta, rimando).

Il libro che ho scelto è un libro che ho amato tantissimo. E' una storia leggera leggera, di quelle che però ogni tanto bisogna leggere per staccare il cervello. E poi a rendermela ancor più piacevole è il fatto che è ambientata in un canile, pieno di animali coccolosissimi e buffissimi. 
Insomma, sto parlando di LOST DOGS AND LONELY HEARTS ovvero IL RIFUGIO DEI CUORI SOLITARI di Lucy Dillon:


Uscito in originale nel 2009, il romanzo è arrivato in Italia nel 2011, tradotto da S. Caraffini per la casa editrice Garzanti.
Il romanzo racconta di Rachel, ragazza londinese, appena uscita da una relazione con il suo capo che l'ha lasciata con il cuore spezzato, senza soldi in banca e senza lavoro. Nello stesso momento scopre di aver ereditato da una sua zia una casa in campagna con annesso canile, sommerso però dai debiti. Spetterà a lei e al suo innato talento di associare persone e animali riportarlo a galla.
Come dicevo, un libro leggero ma che, se amate gli animali, non può lasciarvi indifferenti.
E in questo credo che la scelta del titolo italiano sia azzeccata e, pur non essendo letterale, rispetti molto bene l'originale. Il titolo "Cani smarriti e cuori solitari" sarebbe effettivamente suonato un po' strano. Certo, forse noi siamo abituati a pensare ai posti in cui vengono accolti gli animali abbandonati con il nome di canili e non di rifugi (almeno io)... però anche "il canile dei cuori solitari" non sarebbe stato proprio il massimo (a me personalmente avrebbe comunque attirato). Quindi credo che la soluzione finale scelta dalla Garzanti sia perfetta.

E allora mi chiedo, ma perché, cara Garzanti, non puoi fare sempre così? 

martedì 26 marzo 2013

LA LIBRERIA - Penelope Fitzgerald

Florence Green è piccola di statura, asciutta, di aspetto «alquanto insignificante davanti e totalmente dietro»; è vedova, sola, e non più giovane. Vive in una piatta cittadina ventosa, circondata da paludi, affacciata su di un mare ostile, dove la vita è stagnante, e i fermenti del risveglio culturale dell'Inghilterra, che esploderanno di lì a poco sembrano ancora impensabili. Non ancora rassegnata a farsi da parte, Florence vuole mettere a frutto qualche suo risparmio e un'esperienza di impiegata nell'industria editoriale aprendo una piccola libreria, ma scopre a sue spese quanto la gente possa mostrarsi ostile verso qualsiasi cosa scuota il suo trantran.

Credo che ogni lettore accanito abbia il sogno di lavorare in una libreria o in una biblioteca o anche per una casa editrice. (Già me la vedo "Libreria Lettrice Rampante", o "Lettrice Rampante editrice" o "Biblioteca civica L. Rampante"... ok, la smetto). Immagina di passare le giornate in mezzo ai libri, di consigliare o sconsigliare i lettori, di poter legger di straforo e respirare in ogni momento il profumo dell'inchiostro e della carta. Certo, poi sa che dovrà fare i conti anche con altre cose: le bollette da pagare, i resi, i conti che non tornano mai, la polvere da togliere e i clienti non sempre simpatici. Però, in ogni caso, niente riesce a scalfire l'idea della libreria come un angolo di paradiso. 

E forse è proprio per questa visione idilliaca che questo libro lascia un po' delusi. Sebbene mi avessero avvisata, fino all'ultimo ho sperato che questa fosse la storia di una donnina forte che, ritrovatasi da sola con un po' di soldi da parte, decide di investire tutto nella sua più grande passione, i libri, e di cercare di trasmetterla a più gente possibile, nel suo sperduto paesino inglese alla soglia degli anni '60.
E invece i libri ci sono ma contano quasi nulla. Il libro è più che altro una lotta contro una società un po' acida  e un po' bigotta, incapace di accettare ogni novità e quindi disposta a combatterla con tutte le sue forze. 
Il romanzo si perde spesso nella descrizione di particolari francamente inutili e che quasi infastidiscono e rendono la lettura non proprio scorrevole. E anche gli espedienti più belli e originali, come l'arrivo nella vetrina di 250 copie di Lolita di Nabokov o come il rapporto tra la donna e la sua piccola assistente che odia leggere, vengono in qualche modo buttati via, come se non fosse stato riconosciuto il loro potenziale.

Non so, sono arrivata in fondo al libro con la sensazione continua che mancasse qualcosa. E non sono davvero riuscita a cogliere quale fosse il vero scopo del romanzo, cosa volesse davvero raccontarci. Per carità, la signora Green è davvero adorabile, arguta, ironica, decisa nelle sue azioni pur sapendo benissimo che la battaglia contro certi elementi del paese, elementi potenti e radicati, sarebbe stata inutile. Però non è sufficiente, almeno per me, a reggere l'intero romanzo e a non renderlo noioso.
Peccato.

Nota alla traduzione: nulla di particolare da segnalare!

Titolo: La Libreria
Autore: Penelope Fitzgerald
Traduttore: Masolino D'Amico
Pagine: 180
Anno di pubblicazione: 1999
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838914737
Prezzo di copertina: 7,75 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: La libreria

lunedì 25 marzo 2013

MONOCEROS - Suzette Mayr

Una scuola canadese cattolica. "Qualcuno ha scribacchiato 6 1 frocio con un pennarello rosso eul suo armadietto, e la ragazza del ragazzo di cui è innamorato gli ha tirato addosso merda di cane congelata." Così Patrick Furey, diciassette anni, si suicida, dopo essersi incontrato un ultimo glorioso martedì con Ginger nel loro posto speciale, al cimitero. Sullo sfondo la neve di Calgary e una moltitudine di ragazzi e di emozioni, perché in "Monoceros" i ragazzi possono essere crudeli e indifferenti, fragili e soli. L'autrice inchioda, le voci dei protagonisti ad una trama durissima, tirando fuori l'energia cinetica e la claustrofobia di una scuola moderna, mentre esplora l'effetto a catena che il suicidio del ragazzino ha su un gruppo eterogeneo di adolescenti. I capitoli formano un collage in rapido movimento. Nel cast figurano la crudele e spietata Petra e la sensibile Faraday, ossessionata dalla verginità e dagli unicorni che acquisterà in internet, Gretta, la madre di Patrick che cerca disperatamente di elaborare il lutto per la perdita del figlio, ma anche il preside Max e l'assistente scolastico Walter, legati da una relazione gay in forte crisi.

Ho delle serie difficoltà a scrivere la recensione di questo romanzo. Scrivo, poi cancello, poi riscrivo e cancello di nuovo, incapace di tradurre in parole quello che c'è nella mia testa da quando ho chiuso il libro. Perché ci sono dei libri che ti fanno male. Che DEVONO farti male. Libri che ti danno pugni nello stomaco forti, mascherandoli da carezze. Libri che ti entrano dentro e ti fanno riflettere e aprire gli occhi su un mondo che non è per nulla distante dal tuo, mostrandoti la sua crudeltà e la sua durezza. Una crudeltà e una durezza quotidiane, che riguarda e che tocca tutti: le vittime, i carnefici, i testimoni che avrebbero potuto fare qualcosa e non l'hanno fatto, vuoi per paura, vuoi perché semplicemente non lo sapevano.

Il protagonista di questa storia è Patrick, un ragazzo innamorato di un altro ragazzo. Un ragazzo che per questo amore resiste al bullismo di cui è vittima. Resiste alle minacce e alle offese, come quel "6 1 frocio" inciso con pennarello indelebile sul suo armadietto. Resiste ai furti, ai dispetti e al menefreghismo di chi potrebbe salvarlo ma non lo fa perché ha paura di ammettere quanto si riconosca in lui. Resiste ai genitori, le persone che più dovrebbero amarlo al mondo, che gli implorano di non essere così, di non essere omosessuale, di aspettare che passi questo periodo di confusione. Ma quando l'altro ragazzo si tira indietro, perché spaventato, perché confuso, Patrick non resiste più. E si uccide. Portando così alla luce tutte le ipocrisie, la cattiveria, il menefreghismo ma anche la fragilità delle persone che ruotano intorno a lui e che a poco a poco, iniziano a fare i conti con loro stesse. Conti che non sempre tornano, ovviamente.

Alla fine della lettura, davvero scorrevole, si resta stravolti. Al punto che non si sa nemmeno contro chi puntare il dito, sebbene si abbia una voglia matta di farlo, per vendicare la morte così assurda di un ragazzo semplicemente innamorato. Si può puntare il dito contro una ragazzina indubbiamente cattiva, indubbiamente egoista, ma anche indubbiamente innamorata, di un amore morboso, come lo è stato da sempre quello dei suoi genitori? Si può puntare il dito contro un ragazzo che sa dentro di sé di amarne un altro ma che ancora non ha il coraggio o la forza di ammetterlo? Si può puntare il dito contro la prima reazione dei genitori, una reazione sconvolta, esagerata, ma che non ha avuto a disposizione il tempo necessario per ridimensionarsi? Si può puntare il dito contro un uomo di più di cinquant'anni che vive con un altro e che allo stesso tempo è il preside di una scuola cattolica e che per paura, viltà, stabilità, non riesce a fare nulla? Si può, certo, contro tutte queste persone. Ma l'autrice ci fa anche capire che c'è qualcosa di più profondo,  qualcosa che questo dito una volta puntato lo fa un po' vacillare. Sono tutti colpevoli, ma anche tutti vittime di una società che schiaccia e rende inerti e contro cui non tutti hanno la forza di ribellarsi.
La domanda che principalmente ti assilla una volta arrivati alla fine è: "ma io come mi sarei comportato?", "ma io avrei davvero potuto fare qualcosa?". E per quanti sforzi tu faccia, non riesci a rispondere. E capisci quante sfumature, belle ma anche crudeli, può avere l'amore.
Forse davvero solo gli unicorni potranno salvarci.

Una lettura dolorosa, che merita davvero.

Nota alla traduzione: nulla da segnalare!

Titolo: Monoceros
Autore: Suzette Mayr
Traduttore: F. Gamberini
Pagine: 331
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Miraviglia editore
ISBN: 978-88-89993-23-1
Prezzo di copertina: 17,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Monoceros

domenica 24 marzo 2013

Incontrando... Marco Malvaldi

Credo di avervi già detto diverse volte quanto mi piaccia incontrare gli autori dei libri che ho amato di più. Mi piace sentirli parlare, scoprire le differenze che ci sono tra la parola scritta e quelle che vengono invece dette dal vivo e poi fare coda per avere un autografo e scambiare quelle due o tre parole insignificanti per loro  ma che io ricorderò per un bel pezzo.
E oggi pomeriggio ho avuto la fortuna di incontrare Marco Malvaldi, durante la Festa del Libro di Orbassano, un paese in provincia di Torino a una sessantina di km da casa mia. Non conoscevo questa rassegna, sebbene sia già alla sua quindicesima edizione. E' una fiera piccolissima, un solo tendone con poche case editrici e, almeno per questa edizione, incentrata più sul fumetto. E ammetto di esserci rimasta un po' male vedendo quanta poca gente ci fosse lì ad ascoltare Marco Malvaldi. Saremo stati una trentina in tutto (età media questa volta: 55 anni... facciamo progressi rispetto all'incontro con De Silva). 

L'incontro ufficialmente era per la presentazione dell'ultimo libro dell'autore, Milioni di Milioni, che io in realtà ancora non ho letto. Ma ovviamente è difficile non finire a parlare del BarLume e dei suoi vecchini, che tanto lo hanno reso famoso.

Marco Malvaldi sembra essere nato per raccontare. Tutta la presentazione è stata ricca di aneddoti: d'altronde è nato e vive in un piccolo paese della Toscana, dove ogni cosa, anche la più insignificante, diventa degna di nota (ammetto però che mi aspettassi un accento toscano molto più marcato).
Ha parlato di come nascono i suoi libri, solitamente in pizzeria la sera con gli amici. Di come sceglie le vittime dei suoi gialli, prendendo spunto da persone reali che gli stanno antipatiche. Dell'importanza di sua moglie nello scrivere o anche solo pensare le storie che racconta. Del suo bellissimo rapporto con la casa editrice Sellerio. E poi di loro, dei fantastici vecchini del BarLume (che a settembre approderanno in tv e di cui ha già in mente la trama del nuovo romanzo), di suo nonno che ora non c'è più ma che tanto lo ha ispirato e di come lui, tra questi personaggi, si identifichi con Aldo, come immagine di quello che spera di diventare da anziano (anche se alla moglie il fatto che Aldo sia vedovo non va mica tanto giù).

Tra le cose che più mi hanno colpito c'è stata sicuramente la sua visione del romanzo giallo, che riesce a dare alla morte un aspetto diverso, quasi meno triste. Perché nei gialli la morte non è una fine ma un inizio, con la certezza poi che non rimanga mai impunita (certo, il fatto che a morire sono persone che non si conoscono aiuta comunque). 
Una definizione molto bella e molto realistica, che probabilmente solo uno scrittore del genere avrebbe potuto pensare. 


E' stato davvero un bell'incontro, molto divertente, con un autore intelligente, colto, ma anche molto umano, con i piedi per terra, capace di tenere il pubblico attaccato alle sue labbra racconta anche della sua vita (dall'amore per sua moglie che traspare da ogni parola, ai vicini di casa un po' impiccioni), perché parte fondamentale dei suoi romanzi.
E poi, quando gli ho chiesto di Ampelio, mentre mi stava firmando il libro, mi ha dato del tu e mi ha raccontato, come se lo stesse raccontando a un amico quest'aneddoto di suo nonno:

-"Scusi, le posso chiedere una cosa? Ma suo nonno era davvero come Nonno Ampelio?"
-"No, era peggio. Pensa, lui era un omino alto un metro e sessanta, socialista, ateo e gran bestemmiatore, che viveva con mio zio, che era un prelato. Un giorno è arrivato il vescovo, un uomo alto, vestito di tutto punto, con una croce dorata al petto. Si è avvicinato a mio nonno, ha fatto per stringergli la mano ma lui non gliel'ha presa. Lo ha guardato, ha indicato la croce e gli ha detto solo: «ma voi non avevate fatto voto di povertà?»"


Se già prima, grazie ai suoi libri, provavo per lui una stima immensa, ora che ho visto che persona è veramente, non posso che aumentare la mia adorazione per lui.

venerdì 22 marzo 2013

TU, PER ORA #PERSEMPRE - Laurie Frankel

L'amore non è un'opinione: lo sa bene Sam, ingegnere informatico di mestiere (ovvero, un mago del computer) e scapolo per vocazione (ovvero, mille fidanzate, mai quella giusta). Grazie a un algoritmo da lui inventato, Sam ha ideato la ricetta per far incontrare al primo colpo le anime gemelle. Tanto che perfino lui, tempo un click del mouse, ha trovato l'amore: si chiama Meredith, ha la testa fra le nuvole e vive in un appartamento con il soffitto pieno di modellini di aeroplani colorati. Tra i due è l'idillio. Almeno fino al giorno in cui Sam sorprende Meredith disperata: la nonna cui era molto legata è morta improvvisamente, e lei non ha neanche potuto dirle addio. Sam decide di aiutarla: facendo leva su tutto il suo genio informatico, s'inventa un sistema che, basandosi sulla corrispondenza passata della nonna - e-mail, lettere, chat - permette a Meredith di entrare in contatto con lei, e ricevere ancora suoi messaggi, come quando era viva. È il computer a scriverli - nello stile della nonna e con le stesse parole che avrebbe usato lei - ma questo a Meredith non interessa. Preferisce lasciarsi cullare dal dolcissimo inganno creato da Sam. Perché non c'è tentazione più forte, per chi resta, del trascorrere ancora un po' di tempo con chi se n'è andato. Ma quando sarà proprio Sam ad averne bisogno, si accorgerà allora della sottile differenza che corre tra perdere qualcuno e lasciarlo andare.

Questa sarà una recensione diversa dal solito e spero che il libro e la sua autrice non me ne vogliano più di tanto. Ma non posso parlare di questo libro così, come se fosse un libro qualsiasi. O meglio, avrei potuto farlo, se non fosse che la scelta di marketing scelta dall'editore ha condizionato la mia lettura (e imbrogliato forse i potenziali lettori). Quindi sarà più un'invettiva, abbastanza pacata, contro le politiche editoriali recenti

Se vedete una copertina così, voi cosa pensate? "Che carina la copertina!", "Sarà il solito romanzetto rosa, senza troppe pretese, utile per svagarsi", "Wow! Un libro che parla di twitter" (l'esclamazione wow può essere sostituita anche da un'imprecazione, se non siete amanti del genere). Sì insomma. Cose così. Chi non ama il genere se ne terrà alla larga, chi ha bisogno di qualcosa di leggero, penserà di aver trovare il libro che fa al caso suo, chi ama il "sole, cuore, amore" correrà a comprarlo.

E poi cosa succede? Succede che scopri che questo è un libro triste, che parla di un argomento triste con cui purtroppo per natura, destino, sfiga, chiamatelo come volete, prima o poi dobbiamo fare i conti tutti: la morte di una persona amata, il dolore della perdita e la forte, terribile mancanza che si sente dopo e quella sensazione di rimpianto per non aver detto o fatto qualcosa quando si era ancora in tempo. 
Sam, esperto informatico, crea un sistema, un algoritmo, per creare una sorta di proiezione delle persone che non ci sono più e per farle comunicare, partendo dalle loro e-mail, i loro post su facebook, le chat. Inizialmente lo fa per consolare Meredith, la donna che ama, sconvolta dalla morte della nonna. Poi la cosa si diffonde, si apre un vero e proprio business, con tutti i dubbi e le rimostranze del caso. E' davvero utile un sistema del genere per superare una perdita? Non influisce con il normale decorso dell'elaborazione del lutto? Finché, ovviamente, succede quello che tutti potete immaginare che succeda (e che la quarta di copertina non è che celi poi così tanto...) e Sam dovrà porre su se stesso queste domande. E alla fine scoprirà che il contatto umano, quello vero, è l'unica cosa che ci salva.

Intendiamoci, non si tratta assolutamente di un capolavoro: l'inizio, con la nascita dell'amore tra Sam e Meredith, è abbastanza zoppicante, e non sono sicura che sia davvero possibile creare un sistema tanto perfetto di proiezioni come quello creato nel libro. E, come dicevo prima, è abbastanza prevedibile cosa succederà e come andrà a finire e non tutti i personaggi risultano costruiti così bene. Però non è nemmeno quella storia banale che una copertina del genere vorrebbe far credere. Perché comunque ti porta inevitabilmente a porti qualche interrogativo, a chiederti cosa faresti tu in casi del genere, a schierarti inevitabilmente con chi dice che è un'idea folle che specula sul dolore o con chi invece è d'accordo per congedarsi definitivamente. Non penso che si possa leggere questo libro con leggerezza e spensieratezza.
Arrivati alla fine si prova un po' di angoscia, un po' di magone, di tristezza, di empatia con tutti i personaggi. e, perché no, si sorride anche un po'. 

Poi, passate le emozioni che inevitabilmente si provano una volta girata l'ultima pagina di un libro, si prova un forte moto di rabbia. (o almeno l'ho provato io che, come sapete, sono sensibile ai cambiamenti di titolo e alle traduzioni) nei confronti di chi ha pubblicato il libro in questo modo. Prima di tutto perché twitter praticamente non compare, e considerando che c'è un # in copertina io mi aspettavo fosse l'elemento principale. Poi perché il titolo originale sarebbe "Goodbye for now" ("Arrivederci per adesso"), molto più chiaro e inerente al libro. Poi, come dicevo all'inizio, per la copertina.

Io capisco le operazioni di marketing. Capisco che è più facile vendere un libro così confezionato rispetto a uno che parla dichiaramente di morte e di tutti i sentimenti che la circondano. Cambia sicuramente lo spirito con cui ci si avvicina alla lettura (io, ad esempio, ero un po' titubante, convinta di trovarmi di fronte all'ennesimo romanzetto rosa che non amo particolarmente).
Ma così si prendono in giro i lettori. E questa cosa mi fa davvero rabbia.

Nota alla traduzione: nulla di particolare da segnalare, direi fatta abbastanza bene!

Titolo: Tu, per ora #persempre
Autore: Laurie Frankel
Traduttore: S. Chiarappa
Pagine: 371
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Sperling & Kupfer
ISBN: 978-8820053598
Prezzo di copertina: 17,90 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Tu, per ora #persempre

giovedì 21 marzo 2013

Premio Liebster Award

Innanzitutto, buongiorno a tutti!

Oggi è finalmente primavera! Non solo per la data (anche perché mi hanno detto che in realtà l'equinozio è stato ieri) ma soprattutto per il clima: c'è il sole, c'è un'arietta piacevole e ci sono i fiorellini nei prati! Non so a voi, ma io non sono una grande patita dell'inverno: non amo molto il freddo e i vestiti pesanti e il non poter stare fuori quanto mi pare. Quindi ogni anno l'arrivo della stagione calda mi riempie di gioia.
Una gioia talmente tanto grande che ho persino deciso di seguire tutte le regole di un premio che ho ricevuto (solitamente ringrazio, ma glisso sulle domande per via della pigrizia) e girarlo poi ad altri blog che sperano siano stati contagiati dal mio stesso spirito primaverile e non mi maledicano.

Credo di aver già ricevuto in passato questo premio, ma da blogger diversi e quindi con domande diverse. E quindi, rifacciamo!

Il premio è il LIEBSTER AWARD e le regole sono le seguenti:

  • chi riceve il premio deve "ringraziare" chi gliel'ha assegnato citandolo nel post;
  • rispondere alle undici domande poste dal blog che ti ha premiato;
  • scrivere undici cose su di te;
  • premiare undici blog che hanno meno di 200 follower;
  • formulare altre undici domande, a cui le altre blogger dovranno rispondere;
  • informare i blog del premio;

Innanzitutto quindi, ringrazio Silvia di Dissertazioni Libresche Semiserie e Athenae Noctua per avermelo assegnato. Sono due blog che ho scoperto da poco ma che sto seguendo molto volentieri.

E ora proseguiamo con la risposta alle domande. Iniziamo con quelle di Silvia:

Quando hai letto l'ultimo libro per "bambini"?
Uhm... non me lo ricordo. Mi sembra l'anno scorso, o due anni fa, quando ho letto "C'era una volta il barone Lamberto" di Gianni Rodari.
Vai in biblioteca?
A volte sì, anche se non spessissimo. Però quando vado, esco sempre con cinque o sei libri.
Il tuo angolo di lettura preferito?
Credo il mio letto. O la spiaggia, d'estate.
Come scegli quale sarà il prossimo libro da leggere?
A pelle, a sensazione... e se apro il libro sbagliato per quel momento me ne accorgo dopo mezza pagina.
Hai mai letto Topolino da bambino/a?
Certo! Per qualche anno sono stata abbonata
Oltre a leggere e lavorare/studiare come passi il tempo?
Esco con il mio ragazzo o con le amiche, cucino, vado al cinema....
Quanto impieghi mediamente per scrivere un post?
Dipende... le recensioni le scrivo di "pancia" di solito. E quindi non ci metto mai più di un quarto d'ora (e non rileggo mai.) Per gli altri dipende dall'argomento e dall'ispirazione.
Che scuola hai fatto alle superiori?
Liceo scientifico
L'ultimo film che hai visto?
Il Grande e Potente Oz... non mi ha fatto impazzire.
Hai un sogno da realizzare o che hai realizzato?
Ne ho mille di sogni da realizzare. Quello che vorrei di più in assoluto è aprire una libreria tutta mia.
Cosa farai stasera?
Non ne ho la più pallida idea!

E continuiamo con quelle di Athenae Noctua:

Qual è il tuo interesse principale?
Credo leggere e l'editoria in generale.
Qual è il libro cui sei più legato?
"Cent'anni di solitudine" di Márquez
C’è un’opera d’arte che esercita su di te un particolare fascino? Se sì, quale e perché?
A pelle direi Guernica di Picasso. Quando finalmente, due anni fa, sono riuscita ad andare a Madrid a vederla, il mio ragazzo ha detto che ha temuto svenissi lì davanti. Non saprei spiegare bene perché comunque. (E poi ho avuto un attimo di smarrimento anche di fronte a "La scuola di Atene" di Raffaello... e ancora non ho visto dal vivo un Van Gogh!)
Da cosa è nata l’idea di aprire un tuo blog?
Fin da piccola ho sempre tenuto diari in cui raccontavo le "avventure" quotidiane e a cui affidavo i miei pensieri. Poi c'è stato il passaggio da carta a blog (sulla vecchia piattaforma di msn, che ora non esiste più): lì parlavo al mondo dei fatti miei e, ogni tanto, ci infilavo in mezzo qualche commento sui libri che leggevo. A un certo punto, non so bene come, le recensioni hanno preso il sopravvento e ho pensato si meritassero un blog tutto loro. Anche perché secondo me, i libri e le emozioni che questi lasciano sono in grado di dire molto di una persona e sotto sotto si tratta sempre di un blog personale.
Se avessi la possibilità di cambiare il finale di un libro o di un film, quale sarebbe? Non è necessario spiegare come lo si cambierebbe.
Uhm, no, non credo che lo farei. Non mi permetterei mai di modificare l'opera di qualcun altro, nemmeno se il finale non mi piace.
Cosa cerchi in un blog e cosa assolutamente non ti piace?
Cerco passione, post curati e intelligenti, in cui non ci si faccia problemi a esprimere il proprio punto di vista. Più un blog è soggettivo, più mi piace, anche se magari non condivido pienamente il pensiero che viene espresso.
Non mi piacciono assolutamente i comunicati stampa delle case editrici per la segnalazione dei libri, né il ritrovarmi mille recensioni di uno stesso libro su più blog nella stessa settimana. E poi non mi fanno impazzire i giveaway.
Quale canzone ascolteresti all’infinito?
A ogni periodo corrisponde una canzone in loop, e non si tratta necessariamente di canzoni appena uscite. Non ce n'è una che ascolto sempre.
Se decidessi di lasciare l’Italia, quale altro Paese farebbe al caso tuo? Perché?
Andrei in Spagna, anche se ora come ora la situazione forse è anche peggiore di qui. Ma la amo troppo: amo la sua cultura, la sua gente, la sua parlata... e il suo cibo!
C’è un personaggio (del presente o del passato) che suscita in modo particolare la tua ammirazione?
Ce ne sono tanti, tantissimi... per cui così su due piedi non riesco a fare un nome solo. Poeti, scrittori, pittori, scienziati... 
C’è una massima o un pensiero che ti rappresenta o cui sei particolarmente legato?
"Mai sottovalutare il potere dei libri" di Paul Auster
Quale luogo, opera o città secondo il tuo parere rappresenta al meglio l’Italia?
Roma, indubbiamente. Lì c'è un segno di tutta la nostra storia, da quella più antica a quella più attuale. 

Ok, con le domande siamo a posto. E ora, 11 cose su di me:
  1. Odio le melanzane e le zucchine.
  2. Ho ancora tutti i peluche di quando ero piccola.
  3. Non rispondo alle chiamate sul cellulare di numeri che non conosco.
  4. Sono un po' tirchia (non tantissimo eh, solo un pochino...)
  5. Adoro il mare, anche d'inverno
  6. Sono una persona solitamente pacata e tranquilla, ma se qualcuno mi fa arrabbiare cambio drasticamente
  7. Sono stonata, stonatissima... ma canto comunque a squarciagola in auto
  8. Ragiono spesso ad alta voce
  9. Dal vivo sono di una timidezza estrema, non mi sento mai adeguata o all'altezza e ho paura che le persone di fronte a me non capiscano il mio modo di essere
  10. Ho una passione adolescenziale per il colore viola
  11. Alterno spesso giorni di ottimismo ingiustificabile con giorno di pessimismo sull'orlo del suicidio.
I blog che premio sono i seguenti (non seguo né la regola degli 11 né la regola dei follower):


... e basta, perché non ho tempo di pensarne 11. Comunque in linea di massima tutti i blog presenti nel mio blog roll si meritano questo premio (altrimenti non li seguirei, no?)

Ed ecco le 11 domande:
  1. Qual è il libro più brutto che hai letto?
  2. C'è un autore per cui nutri una qualche antipatia, magari anche ingiustificata?
  3. Leggi poesie?
  4. Hai mai incontrato qualche scrittore dal vivo?
  5. Che rapporto hai con i libri che eri obbligato a leggere per la scuola?
  6. Perché tieni un blog?
  7. E-reader sì, e-reader no?
  8. Puoi far risalire a qualcuno la tua passione per la lettura?
  9. Leggi libri in lingua originale?
  10. Hai mai pensato di scrivere un libro?
  11. Credi nell'amore a prima vista?
Bene, ho finito!

mercoledì 20 marzo 2013

IL RE DEI GIOCHI - Marco Malvaldi

Ritornano i quattro vecchietti detective del BarLume di Pineta, con il nipote Massimo il "barrista" e la brava banconista Tiziana. "Re dei giochi" è il biliardo nuovo all'italiana giunto al BarLume. Ampelio il nonno, Aldo l'intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra, e il Del Tacca del Comune (per distinguerlo da altri tre Del Tacca) vi si sono accampati e da lì sezionano con geometrica esattezza gli ultimi fatti di Pineta. Tra cui il terribile incidente della statale. È morto un ragazzino e sua madre è in coma profondo. Sono gli eredi di un ricchissimo costruttore. La madre è anche la segretaria di un uomo politico impegnato nella campagna elettorale. Non sembra un delitto. Manca il movente e pure l'occasione. "Anche quest'anno sembrava d'aver trovato un bell'omicidio per passare il tempo e loro vengono a rovinarti tutto". Ma la donna muore in ospedale, uccisa in modo maldestro. E sulle iperboliche ma sapienti maldicenze dei quattro ottuagenari cala, come una mente ordinatrice, l'intuizione logica del "barrista", investigatore per amor di pace.

Ecco, lo sapevo. Ho appena finito l'ultimo libro della saga del BarLume (ultimo in ordine di lettura, non cronologico... che le saghe per qualche bizzarro motivo non riesco mai a leggerle in ordine giusto) e già sento terribilmente la mancanza di nonno Ampelio. Un po' anche di Aldo, e del Rimediotti e del Del Tacca. E tutto sommato anche di Massimo. Ma nonno Ampelio sarà sicuramente quello che mi mancherà di più. E pazienza se questi libri di giallo in realtà hanno ben poco e se le trame e le indagini sono sempre un po' labili. E' il contesto ad essere fantastico: il bar di Pineta, in cui è il barrista a decidere cosa puoi o meno ordinare, e che sembra una costola dell'ospizio visto che i frequentatori più assidui sono proprio questi quattro vecchini scassapalle di cui Massimo vorrebbe a volte liberarsi ma di cui alla fin fine non può fare a meno. D'altronde senza di loro, nemmeno lui saprebbe tutti i pettegolezzi del paese... certo, in cambio avrebbe un tavolo in più libero (guarda caso l'unico in cui funziona il wi-fi) e un biliardo accessibile a tutti.

E questa volta forse la trama gialla è ancor meno gialla del solito, eppure è riuscita a commuovermi, per la sua logica, perché il movente altro non è che l'amore, un amore semplice e sincero che non riesce ad accettare le brutture della vita.
Certo, forse le invettive di Massimo verso la chiesa e, più in particolare, verso i credenti troppo bigotti, sono un tantino eccessive (seppur, almeno per me, completamente condivisibili)... ma servono a spiegare la trama e il suo corso e ad attribuirle ancora un senso maggiore. Tanto alla fine, se proprio non ci va di sentirle queste invettive, basta fare come i vecchini e mettersi a parlare d'altro, ignorandolo completamente.

Li adoro, davvero. Forse perché amo tantissimo la Toscana e il toscano (sì, lo so, ve l'ho già detto in tutte le recensioni), forse perché la caratterizzazione di questi personaggi è semplicemente perfetta o forse semplicemente perché sono libri che fanno ridere, ridere di gusto, senza doverci pensare troppo. Fatto sta che spero che Malvaldi ritorni presto a parlare di loro e a creare nuove fantastiche avventure.

Dite che domenica pomeriggio, quando finalmente vedrò dal vivo l'autore, posso farglieli autografare tutti?

Titolo: Il re dei giochi
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838924798
Prezzo di copertina: 13,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Il re dei giochi

Due titoli, un solo libro: ma perché? #26

Nuovo mercoledì e nuova puntata della rubrica di confronto tra originale e traduzione italiana dei titoli dei libri.
Quest'oggi si parla di un libro e di un autore che non conoscevo e che mi è stato segnalato, ancora una volta, dall'instancabile Tiziana (che credo sia diventata più invasata di me nella ricerca di titoli mal tradotti). Devo ammettere però che, una volta letta la trama e svolte le opportune ricerche, questo libro ha incuriosito molto anche me ed è finito dritto dritto in wish list.

L'autore è lo scrittore e poeta americano Richard Brautigan e il romanzo in questione è THE ABORTION: AN HISTORICAL ROMANCE 1966


Uscito negli Stati Uniti nel 1971, il romanzo è ambientato nella periferia di San Francisco, dove c'è una strana biblioteca il cui bibliotecario raccoglie solo ed esclusivamente manoscritti mai pubblicati. Opere inedite, strambe, senza speranza già respinte dalle case editrici  che vengono consegnate direttamente dai loro autori a qualunque ora del giorno e della notte. Un giorno, alla porta della biblioteca si presenta Vida, una ragazza affascinante . Tra la donna e il bibliotecario nasce subito l'amore, finché la donna non resta incinta : un evento indesiderato a cui i due decidono di porre rimedio andando in Messico ad abortire.

Lo so, solitamente mi occupo solo ed esclusivamente dei titoli senza soffermarmi sulla loro trama. Ma in questo caso credo sia importante capire di che cosa parla il libro per tentare di comprendere quello che è successo al suo titolo nel corso degli anni. Nulla di grave, in realtà, solo una piccola parentesi non del tutto giustificabile.

Il romanzo è arrivato infatti in Italia nel 1976 per la casa editrice Rizzoli, con la traduzione di Pier Francesco Paolini. Questa prima edizione rispettava il titolo originale, riportandone una fedele traduzione: L'ABORTO- UNA STORIA ROMANTICA.


L'unica differenza si ha nella sparizione del riferimento all'anno: un cambiamento abbastanza trascurabile, a mio avviso, con non crea nessun problema.
Nel 2003, lo stesso libro viene poi ripubblicato dalla casa editrice Marcos y Marcos, sempre con la stessa traduzione. Cambia però il titolo, in modo anche abbastanza drastico. "L'aborto- Una storia romantica" diventa infatti "LA CASA DEI LIBRI":


Se da un lato il titolo sicuramente non spunta fuori dal nulla, visto che almeno in parte il romanzo è ambientato in una biblioteca, dall'altro però sono convinta che questo titolo sia abbastanza fuorviante. Viene quasi da pensare che si sia voluta togliere la parola "aborto" dalla copertina, per renderla forse meno forte e diretta. Però sembra incredibile che una scelta del genere sia stata compiuta nel 2003 e non già alla prima uscita, nel 1976.

Una parentesi di cambio di titolo durata fino al 2012, quando il romanzo è stato nuovamente pubblicato, sempre con la traduzione di Pier Francesco Paolini del 1976, dalla casa editrice ISBN, che ha ripristinato il titolo originale (lasciando sempre e comunque fuori la data):


Che ne pensate della parentesi di titolo cambiato della Marcos y Marcos (casa editrice che, ci tengo a sottolineare, è una di quelle poche che di solito ha una politica molto rigida per i titoli, tant'è che adesso a volte si trova il titolo originale nella copertina stessa, sotto alla traduzione)?

Alla prossima settimana!

martedì 19 marzo 2013

CIELO DI SABBIA - Joe R. Lansdale

Oklahoma, anni Trenta. Jack ha appena finito di seppellire entrambi i genitori e si aggira tra le rovine della sua casa, distrutta da una delle tempeste di sabbia che sconvolgono lo Stato, quando vede arrivare Jane e suo fratello Tony. Anche loro hanno perso tutto quello che avevano, e vagano in un mondo senza vita, nel quale tutto, dalle piante al cibo, è sommerso sotto uno strato di polvere rossa. Ai tre ragazzi non rimane che rubare una macchina (il cui padrone è morto anche lui nella tempesta) e partire alla volta del Texas orientale, nella speranza di trovare pace e un'occasione per ricominciare a vivere. Ma la strada fino in Texas, tra rapinatori e vagabondi, cavallette e alligatori, deliziose vedove e spietati sfruttatori, si rivelerà lunga e tortuosa, e costringerà i tre ragazzi a crescere e a confrontarsi con quel misto inestricabile di malvagità e solidarietà che alberga in ogni essere umano.

Non so se nei paesi o nelle città in cui abitate voi capitano mai quelle giornate con un vento strano, quasi caldo, che tira in folate fortissime e che, soprattutto, deposita sulle auto e su tutto quello che incontra una sottile patina  rossastra. Il vento del Sahara, dovrebbe essere, che porta in giro per il mondo la sabbia del deserto. Un vento piacevole per la prima mezz'ora, fastidioso ed irritante subito dopo.
Questo vento e questa sabbia sono le prime cose che mi sono venute in mente non appena ho aperto "Cielo di Sabbia" di Lansdale. Certo, in Oklahoma si tratta di vere e proprie tempeste, che travolgono tutto e tutti, che arrivano all'improvviso e non lasciano scampo. Puoi scegliere solo tra il morire o il fuggire.

E i tre protagonisti di questo romanzo optano per la seconda opzione, dopo che i genitori sono spariti o morti: di malattia e di suicidio di fronte al dolore quelli di Jack, con un venditore di Bibbie e sotto un trattore quelli di Jane e Tony. Che altro cosa possono fare lì da soli in mezzo alla sabbia questi tre ragazzi? Prendere in prestito un'auto ad esempio, tanto il proprietario è morto e ci vorrà un po' prima che se ne accorga. E partire, in cerca di un posto migliore. Il loro viaggio li porterà a vivere le situazioni più disparate: conosceranno tre ladri che hanno appena derubato una banca e si sono fatti fregare dal quarto membro della banda; incontreranno bande di hoboes, uomini e donne senza una casa che si spostano saltando sui treni; andranno a lavorare in una piantagione di piselli e per finire si uniranno a un circo. 

"Cielo di sabbia" è sostanzialmente un romanzo per ragazzi, un po' picaresco e un po' di formazione, che però tutto sommato fa bene anche agli adulti,  perché offre la possibilità di guardare il mondo e tutte le sue brutture in modo più ottimista e di inseguire quella vita e quei sogni che a volte, per un motivo o per l'altro, si è costretti ad abbandonare. I tre protagonisti sono molto ben riusciti (anche se Jane con la sua saccenza è un po' irritante... ma non potrebbe essere altrimenti, "lei legge tanto"), così come lo è tutta la galleria di personaggi che incontrano durante il loro rocambolesco viaggio. Ce n'è di tutti i tipi: tanti ritratti di una società, quella americana della grande depressione, che di speranza ne ha ben poca. Al punto che persino i criminali riescono quasi a fare pena.

Però c'è un però. Ed è quel però comune a tutti gli autori che hanno scritto un vero e proprio capolavoro nella loro vita e le cui opere, precedenti o successive, subiranno sempre il paragone con questo capolavoro. Quello di Lansdale è "La sottile linea scura", libro bellissimo che mi aveva fatto innamorare di lui, del suo stile, dei suoi personaggi e che dovete assolutamente leggere. E "Cielo di sabbia", per quanto divertente, scorrevole e piacevole da leggere, non gli si avvicina minimamente.Ho riso, certo. Mi sono appassionata al viaggio di questi tre ragazzi e al loro modo di vivere e di affrontare, non giorno per giorno ma momento per momento, tutto quello che capita loro davanti.
Ma a mio avviso manca qualcosa per renderlo indimenticabile, anche se non saprei dirvi bene che cosa.

Sicuramente merita la lettura. Però, nel caso in cui questo fosse il vostro primo approccio con Lansdale e non vi lasciasse del tutto soddisfatti, fatemi il favore di dargli una seconda possibilità con il romanzo che vi ho citato prima. Se invece già questo vi è piaciuto tanto, non oso immaginare cosa proverete per l'altro!

Nota alla traduzione: ho trovato un "pisquano" lì in mezzo che mi ha lasciata un po' perplessa... soprattutto visto che siamo negli Stati Uniti. Però magari nell'originale c'era un termine altrettanto dialettale e colloquiale che il traduttore ha avuto difficoltà a rendere nella nostra lingua. Nel complesso ben fatta direi comunque.

Titolo: Cielo di sabbia
Autore: Joe R. Lansdale
Traduttore: Luca Conti
Pagine: 234
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806208578
Prezzo di copertina: 17,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Cielo di sabbia

lunedì 18 marzo 2013

Revival letterario. Ovvero:cosa leggevo da piccola.

Oggi sono in vena nostalgica, anche se non so bene perché. E quindi ho pensato di fare un salto indietro nel passato e andare a cercare, nei miei scaffali ma soprattutto nella mia memoria, i libri che più hanno caratterizzato la mia infanzia.
In realtà è stato più semplice del previsto. Sebbene abbia qualche difficoltà a collocarli in ordine temporale, mi ricordo perfettamente i libri più rappresentativi di quando ero bambina. Libri che, in bene o in male mi sono rimasti dentro, e che probabilmente hanno gettato le basi per la lettrice che sono oggi.


I primi libri letti credo che per tutti siano quelli di fiabe. Quelli che all'inizio ci leggevano i nostri genitori (o i fratelli e le sorelle maggiori, se ne avete) e che poi piano piano, vuoi perché abbiamo imparato a leggere o perché li abbiamo imparati a memoria, siamo riusciti a leggere da soli.
Io me ne ricordo bene due. Il primo è un librone dalla copertina verde bosco, con le illustrazioni che, indipendentemente dalla storia,  rappresentavano i personaggi sempre in forma di bambini e sempre particolarmente tondi.  Lo avevano regalato un anno per l'Epifania a mio fratello (se non ricordo male lo stesso anno in cui io avevo ricevuto la lavagna con le letterine magnetiche), ma essendo tanto vicini di età era un regalo che valeva per entrambi.
Il secondo che mi ricordo invece era in inglese. Credo lo avesse portato dall'America mio padre, di ritorno da uno dei suoi tanti viaggi. Ad ogni lettera dell'alfabeto erano associate delle parole che con essa iniziavano e dei disegni di animali in pose strampalate. E non ci capivo assolutamente nulla, ovviamente. 

Il primo libro che ho letto interamente da sola è stato Pollyanna di Eleanor H. Porter. E l'ho odiato. Davvero, era stata una vera e propria tortura e mi ero molto arrabbiata con i miei genitori che mi avevano imposto di leggerlo perché "è ora che inizi a leggere qualcosa!" (che lungimiranza, i miei!). Non riuscivo davvero ad andare avanti e il fatto di aver visto il cartone, anziché facilitarmi il compito, me lo rendeva ancora più ostico (nella mia mente di bambina devo aver pensato qualcosa tipo "ma se ho già visto il cartone, perché devo leggere anche il libro?"... un ragionamento che suona famigliare anche oggi). Credo di averci messo almeno tre mesi, di aver saltato parecchie pagine e di aver rinfacciato ai miei questa tortura per anni. Ovviamente dopo quello mi sono tenuta ben lontana da tutti i libri per ragazzi che avevo in casa (e ne avevo tanti, di quella collana della Valentina edizioni con la copertina blu), soprattutto se le protagoniste erano bambine ("Mamma, papà, col cavolo che leggo Piccole Donne!").
A salvarmi è arrivato, per fortuna,  "Il giornalino di Giamburrasca" di Vamba. Quel piccolo teppista era il mio idolo. Un po' diseducativo forse, ma quanto ho riso per le sue marachelle!

Di quel periodo (siamo intorno alla seconda-terza elementare credo) me ne ricordo poi altri due, che invece ho amato tantissimo.
Il primo è "Il detective Warton" di Russel E. Erikson della serie del Battello a Vapore. Me lo aveva regalato un mio compagno di giochi di quando ero bambina per un compleanno e racconta la storia di un piccolo rospo che si improvvisa investigatore, con l'aiuto di un topolino di campagna, per recuperare l'orologio che una cornacchia a rubato a suo nonno. Un vero capolavoro che credo di aver letto almeno tre volte.
Il secondo invece è la versione ridotta di "Tre uomini in barca" di Jerome K. Jerome, in un'edizione per bambini, ricca di immagini e, soprattutto, profumatissima, che ogni tanto apro ancora oggi quando ho voglia di tornare bambina.

Da li poi è partita la fase Roald Dahl, di cui penso di aver letto tutto. "La fabbrica di cioccolato", "Matilda", "Il GGG", "Gli Sporcelli", "Le streghe". Un autore che ancora oggi amo tantissimo e che secondo me tutti i bambini dovrebbero leggere.


Il primo libro "da grandi" che ho letto è stato invece "Il diario di Anna Frank". Ho un vago ricordo del momento esatto in cui me l'avevano comprato e delle reticenze di mio padre all'acquisto perché temeva non fossi ancora abbastanza grande. Però lo volevo leggere a tutti i costi e alla fine ero riuscita a convincerlo. Non credo di aver capito bene il suo vero significato alla prima lettura: per me era solo la storia di una ragazza che doveva vivere nascosta e a cui piaceva scrivere. Poi, con il tempo ovviamente tutto è diventato più chiaro.
Sempre del periodo delle elementari ci sono poi tutti quei libri che prendevo in prestito nella piccola biblioteca che avevamo creato in classe: la saga di Vampiretto, Cipì, qualche Piccolo Brivido.

Nel passaggio tra elementari e medie, anche se non so bene in che ordine, colloco poi "Alla ricerca del tesoro scomparso" di Bianca Pitzorno, regalatomi dallo stesso amico che mi aveva regalato "Il detective Warton", e i primi approcci con la trilogia "I nostri antenati" di Italo Calvino, che tanto ho nel cuore ancora oggi.

Per arrivare ai primi libri "da grandi", bisogna aspettare le vacanze estive tra la seconda e la terza media, quando la nostra fantastica professoressa di italiano (quando la adoravo!) ci ha commissionato la lettura di cinque romanzi classici della storia della letteratura italiana: "i Malavoglia" di Giovanni Verga, "Una donna" di Sibilla Aleramo, "Metello" di Vasco Pratolini, "Il fu Mattia Pascal" di Pirandello e... e... il quinto porca miseria non me lo ricordo.
In ogni caso, so che solitamente i libri che vengono "propinati" nelle scuole di solito non vengono apprezzati dai poveri studenti. Eppure, escluso "Una donna" della Aleramo, li ho amati tutti tantissimo. E da allora li ho riletti più e più volte (Metello l'ho inserito anche nella tesina della maturità).
Credo che sia proprio da quell'estate che sono diventata una lettrice così instancabile (per intenderci, la mia tessera della biblioteca è proprio di quegli anni), leggendo praticamente di tutto. Ho attraversato la fase Nicholas Sparks, la fase Stephen King, la fase Agatha Christie e quella di Harry Potter (ero già al liceo). Le mie letture sono cresciute e si sono delineate insieme a me, ponendo in qualche modo le basi per quello che leggo ora.

Insomma, cara Pollyanna, alla fine ho vinto io!

E voi, vi ricordate qual è stato il primo libro che avete letto?

sabato 16 marzo 2013

LA PIRAMIDE DEL CAFFE' - Nicola Lecca

A diciotto anni, Imi ha finalmente realizzato il suo sogno di vivere a Londra. A bordo di un vecchio treno malandato ha lasciato l'orfanotrofio ungherese dove ha sempre vissuto e, nella metropoli inglese, si è impiegato in una caffetteria della catena Proper Coffee. Il suo sguardo è puro, ingenuo e pieno di entusiasmo: come gli altri orfani del villaggio di Landor, anche lui non permette mai al passato di rattristarlo, né si preoccupa troppo di ciò che il futuro potrebbe riservargli. Le tante e minuziose regole che disciplinano la vita all'interno della caffetteria - riassunte nel Manuale del caffè cui i dirigenti della Proper Coffee alludono con la deferenza riservata ai testi sacri - gli sembrano scritte da mani capaci di individuare in anticipo la soluzione a qualsiasi problema pur di garantire il completo benessere di impiegati e clienti. La piramide gerarchica che ordina la Proper Coffee sembra a Imi assai più chiara e rassicurante del complesso reticolo di strade londinesi. Dovrà passare molto tempo prima che Imi - grazie al cinismo di un collega e ai consigli della sua padrona di casa - cominci a capire la durezza di Londra e la strategia delle regole riassunte nel Manuale del caffè. Tanto candore finirà per metterlo in pericolo: e sarà allora Morgan, il libraio iraniano, a prendersi a cuore il destino di Imi, coinvolgendo nel progetto Margaret, una grande scrittrice anziana e ormai stanca di tutto, ma ancora capace di appassionarsi alle piccole storie nascoste tra le pieghe della vita.

Immagino sia già capitato anche a voi di leggere un libro con delle aspettative molto alte. Aspettative che nascono da diverse cose: parecchi commenti positivi, una copertina molto simpatica, una trama che vi attrae tantissimo. E quindi vi avvicinate a quel libro quasi emozionati, sicuri di trovarvi di fronte a qualcosa che vale, a qualcosa che vi conquisterà tantissimo e di cui sentirete la mancanza una volta finito. 
E immagino conosciate altrettanto bene quel sentimento di delusione misto a rabbia che nasce non appena vi rendete conto che le vostre aspettative sono state disattese.
Ecco, "La piramide del caffè" di Nicola Lecca rientra per me proprio in queste categorie. Tanta, tantissima curiosità e voglia di leggerlo. Tanta delusione una volta arrivata all'ultima pagina.

La trama racconta principalmente di Imi, un ragazzo ungherese che, una volta compiuti diciott'anni, lascia l'orfanotrofio in cui è vissuto per andare a Londra, la città dei suoi sogni. Qui, inizia a lavorare per una catena di caffetterie, la Proper Coffee. Con la sua ingenuità e il suo entusiasmo, lo considera il miglior posto del mondo: hanno un manuale in cui gli viene spiegato per filo e per segno cosa deve fare, ha buone prospettive di carriera, una paga che nel suo paese se la sogna e tante piccole agevolazioni.  Non si rende conto che in realtà le strategie della Proper Coffee sono volte a sfruttare il più possibile i suoi dipendenti in cambio di banalissimi contentini che gli si possono rivoltare contro. O meglio, se ne rende conto solo quando è troppo tardi. Per fortuna ha degli amici e tra questi c'è Morgan, che lavora in una libreria e fa consegne settimanali a una grande scrittrice premio Nobel che da anni non si fa vedere in pubblico. Sarà lei, pur senza conoscerlo, a  fare giustizia. 
Parallela alla storia di Imi a Londra, ci sono delle finestre sulla vita nell'orfanotrofio e sui suoi abitanti, a cui Imi è rimasto molto affezionato. Una realtà triste, dolorosa, ma in cui, alla fine della fiera, raggiungere la felicità è più facile che in una città grigia e alienante come Londra.

Intendiamoci, non si tratta assolutamente di un brutto libro.Riesce a tenerti compagnia, a farti sorridere a volte, commuoverti altre e trasmette un bel messaggio positivo (anche se forse un tantino incredibile, di questi tempi). Eppure, non mi ha lasciato nulla. O almeno, nulla rispetto a quello che mi sarei aspettata. Sì, è una bella storia. Sì, c'è un bel lieto fine che non guasta mai (seppur ottenuto con un bel ricatto) e che dovrebbe lasciare un po' di speranza in questi tempi bui. Ma con me tutti questi begli espedienti purtroppo non hanno funzionato, e, appena chiuso il libro, la prima sensazione è stata: "beh, tutto qua?"

Forse la colpa principale è la mia pignoleria. Perché la lettura per me è stata resa molto difficile dall'uso singolare della punteggiatura all'interno di tutto il romanzo. Magari è anche corretto, magari è una scelta stilistica che solo io non riesco a cogliere, ma l'uso massiccio dei due punti al posto delle virgole, anche all'interno della stessa frase, a me è risultato davvero irritante. Ho immaginato fosse un problema del mio ebook, magari danneggiatosi per qualche motivo, ma mi è stato confermato che sia la versione cartacea sia altri ebook sono identici. 
Io sono molto pignola, forse troppo (tipo la scelta di tradurre muffin con panettoncini, manco fossimo in una caffetteria milanese, potrei anche evitare di segnalarvela). Ma non sono davvero riuscita ad abituarmi a questo stile che, alla fine, ha influenzato anche la scorrevolezza della trama.

Mi dispiace, davvero, scrivere una recensione del genere di un romanzo tanto elogiato e apprezzato dai più. Ma è più forte di me, non riuscirei a scrivere altro nemmeno se volessi o mi sforzassi. 
Con questo comunque non voglio sconsigliarvi la lettura! Penso semplicemente che non si sia creata la giusta empatia né con i protagonisti né con la trama né con lo stile. E ogni tanto succede, no?

Titolo: La piramide del caffè
Autore: Nicola Lecca
Pagine: 233
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Mondadori
ISBN: 978-8804624592
Prezzo di copertina: 17,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:La piramide del caffè

giovedì 14 marzo 2013

STORIA DEI CAPELLI- Alan Pauls

Cosa passa per la testa di un uomo mentre si sottopone al rito noioso e ansiogeno del taglio dei capelli? Attraverso un flusso narrativo fatto di pensieri, ricordi ed eventi in presa diretta, entriamo in quella testa che sta per essere cambiata per sempre dal taglio di capelli perfetto. Una vita intera rivisitata attraverso il filtro della sua ossessione: i capelli. L’infanzia e l’adolescenza negli anni Settanta dominati dai tagli afro, il rapporto con un miglior amico insopportabile dai riccioli curatissimi, una moglie a cui viene rubata misteriosamente una parrucca, un cane che quando viene tosato diventa irascibile, e soprattutto un nuovo parrucchiere: Celso, un paraguayano che ha il potere di cambiare le vite che lo sfiorano con la leggerezza affilata del suo tocco di forbici.

Ho sempre avuto un rapporto strano con i miei capelli. Li asciugo sempre di fretta, tendo a non pettinarmi se non quando strettamente indispensabile (e infatti solitamente ho una criniera in testa) e vado dal parrucchiere massimo due volte all'anno, quando proprio non riesco più a tenerli nemmeno legati.

Per cui non è stato proprio semplice per me comprendere e identificarmi con il protagonista e la sua ossessione verso i suoi capelli. Un'ossessione che lo accompagna da sempre e che da sempre ha scandito la sua storia, la sua vita e il suo rapporto con gli altri. La moda dei capelli afro, quando era adolescente negli anni '70. Il rapporto con il migliore amico riccioluto, verso il quale ha sempre provato una sorta di invidia che non se n'è andata con gli anni e che lo porta a non richiamarlo mai e a rifuggire da ogni contatto. La storia con sua moglie, che un taglio di capelli nuovo e ben riuscito può cambiare e cancellare. Le difficoltà con il cane, che, come il padrone, è fin troppo suscettibile a tagli e tosature mal riuscite. Il protagonista ci racconta tutto questo, con un lunghissimo flusso di pensieri scatenato dal suo ultimo taglio. Un taglio perfetto, che mai aveva avuto prima, a opera di Celso, uno strano parrucchiere paraguayano che con le sue forbici riesce a fare magie e a cambiare la vita. Un parrucchiere dal passato oscuro, che il protagonista scoprirà suo malgrado.

E' difficile fare un riassunto della trama di questo libro, così come lo è tirare le fila di qualunque flusso di pensieri, di cui si capisce il filo conduttore ma non sempre i vari passaggi. E a un certo punto, verso la fine, ammetto di essermi un po' persa e di non essere più riuscita a seguire quello che veniva raccontato. Poche pagine a cui forse non ho dedicato la giusta attenzione o che semplicemente, forse, vogliono essere oscure e divagare come qualunque mente troppo piena e troppo oppressa fa.
Però ammetto che questa mia difficoltà finale mi ha lasciato un po' di amaro in bocca, rovinando in parte il giudizio positivo che avevo avuto di questo libro fino a quel momento. Forse mi aspettavo si rimanesse più concentrati sul protagonista, forse dalla sinossi credevo che le magie e la capacità di Celso di cambiare la vita andassero oltre. 

Non è un libro brutto, assolutamente. E l'abilità dell'autore nel condurre la storia tramite un semplice flusso di pensieri è indubbia. Però è un romanzo diverso da tutti quelli sudamericani che ho letto finora e forse, semplicemente, non me l'aspettavo e non sono riuscita quindi ad apprezzarlo appieno.

Nota alla traduzione: davvero ben fatta! Anche per la traduttrice non deve essere stato facile seguire questi pensieri e renderli in un'altra lingua. Ma ci è riuscita egregiamente.

Titolo: Storia dei capelli
Autore: Alan Pauls
Traduttore: Maria Nicola
Pagine: 200
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Sur
ISBN: 978-88-97505-12-9
Prezzo di copertina: 15,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Storia dei capelli
formato kindle: Storia dei capelli

mercoledì 13 marzo 2013

Di prezzi dei libri, di lettori pigri e di standardizzazione della cultura.

Ho questo post che mi frulla in testa da qualche giorno, indecisa se parlarne o meno. Perché questo argomento è già stato affrontato più e più volte da persone sicuramente più competenti di me. Sto parlando della nuova collana di Newton Compton, la Live, che vende una selezione di titoli 0,99 euro. Ne ha parlato il grande Marino nel suo Cronache dalla Libreria, ne ha parlato il blog Dusty Page in Wonderland, ne ha parlato la mitica Leggivendola e anche Finzioni Magazine e sicuramente tanti, tantissimi altri, in termini ovviamente diversi (anche su twitter, la casa editrice Einaudi ha lanciato la discussione #menodizero)
E' stato il dibattito nato sotto al post de La Leggivendola, forse finito un tantino fuori tema, che mi ha fatto decidere di scrivere comunque e di dire la mia. Quindi, se siete stufi di sentire parlare di questo argomento, fermatevi qui.

Quello dei libri a 0.99 euro è in realtà solo il punto di partenza, che mi ha portato ad altre riflessioni sulle politiche della Newton Compton ma anche delle altre case editrici e del loro modo di contrastare (o non farlo, forse) questa iniziativa.
E in realtà forse i libri a meno di un euro sono quelli che mi disturbano meno... io stessa ho in casa dei vecchissimi millelire e duemilalire ormai ingialliti e sfaldati, e a quei tempi comprarli non mi aveva causato alcun problema. Certo, ero molto più piccola e molto meno interessata al fantastico mondo dell'editoria e di tutto quello che c'è dietro al "prodotto libro", di quanto non lo sia ora. 
Questa collana comprende libri considerati classici, più due novità. Libri quindi probabilmente fuori diritti, probabilmente già tradotti e rivisti, che quindi non richiedono un grosso intervento di editing. Certo, spero che una ricontrollata gli sia comunque stata data (le traduzioni invecchiano), ma in ogni caso questi costi sono in qualche modo abbattuti. Ci sono poi i costi di impaginazione, quelli di stampa, etc... etc.. Costi che a me personalmente sembra incredibile che riescano a rientrare in quei 0,99 euro a cui questi libri vengono venduti.  La casa editrice confida sicuramente sulla vendita massiva, così come sulla pubblicità riportata all'interno delle copertine che rimanda ad altri loro libri. Una pratica sicuramente non innovativa, già vista magari in altre forme (segnalibri ad esempio), che però, a me personalmente, un tantino disturba.

In ogni caso, comprendo perfettamente la logica della casa editrice: io vendo i libri a basso costo e, visti i tempi di crisi, tutti li acquistano. Una logica che non fa una piega e che già da diverso tempo si è dimostrata valida, riportando i romanzi Newton tra le vette delle classifiche, grazie alla loro idea dei "rilegati tascabili", venduti a 9,90€ prima e a 5,90€ poi. Libri che hanno letteralmente invaso librerie e supermercati, con i loro titoli e le loro copertine tutte uguali e con le loro trame che non richiedono alcuno sforzo mentale per la lettura, spesso mal tradotti o ricchi di refusi. Però, ragazzi, costano poco! E rendono finalmente la cultura accessibile a tutti!

Ecco. E' proprio quest'ultima la frase che mi irrita di più. Perché la cultura, almeno quella letteraria, è già accessibile a tutti. Ci sono le biblioteche, ad esempio. Ci sono i classici fuori diritti che puoi trovare online gratis. Ci sono gli amici con cui fare prestiti e scambi. Ci sono gli sconti e le edizioni economiche di tutte le altre case editrici. Non se li è certo inventati la Newton i libri economici, no? Prima che creassero questi libri a 9,90, forse non era possibile acquistare libri a meno di 10 euro? I tascabili Feltrinelli? I TEA? Gli Oscar Mondadori o gli ET Einaudi? Prima non c'erano? C'erano eccome. L'unica differenza è che non sono rilegati,  non hanno copertine troppo sgargianti e, soprattutto, non ti vengono messi davanti al naso ovunque tu vada. Quindi, la cultura era accessibile a tutti anche prima che arrivassero le edizioni Newton. O meglio, a tutti quelli che volessero raggiungerla. L'unica cosa è che a volte, per essere raggiunta richiede solo un minimo di sforzo e di ricerca in più.

La differenza quindi la fa il lettore (e qui parte un'altra nota dolente). E' il lettore che decide cosa leggere. E' il lettore che decide cosa vuole della lettura e se e quanto lasciarsi influenzare da prezzo/copertina/pubblicità fuorvianti e massive/recensioni solo positive, etc etc...  Se ti lasci influenzare da queste cose, è assolutamente una tua libera scelta. Hai il diritto di leggere quello che vuoi, per le motivazioni che vuoi e di giudicarlo un capolavoro se a te è piaciuto. Così come io ho il diritto di non farlo e non per questo devo essere additata come snob.Mi è stato detto che in questo modo divido i lettori in lettori di serie A, B e C. Mi è stato detto che se si legge un Harmony o un romanzo da premio Nobel si compie comunque lo stesso atto, si è sempre e comunque lettori e che bisogna finirla con questa visione sacra della lettura, perché non fa altro che allontanare i lettori. Beh, io a fare una cosa del genere non ce la faccio. Certo, si fa sicuramente lo stesso gesto, e all'atto pratico è un lettore sia chi leggere gli pseudoporno sia chi legge Philip Roth. Ma per me una differenza c'è eccome. Si è sempre lettori, certo. Ma sono i libri e il valore che hanno ad essere diversi. E questa diversità deve conservarsi, deve rimanere.
E' per questo che ce l'ho tanto con i libri della Newton a 9,90€ con amore, zucchero, zenzero o vampiri in copertina. E' per questo che ce l'ho tanto con i titoli composti tutti uguali e i visi di donna che ti guardano e ti ammiccano. Perché bisogna omologare, standardizzare anche una cosa così bella e variegata come lo è la lettura?

Un'ultima cosa, poi la smetto. Mi riferisco al prezzo dei libri nuovi. Che è effettivamente esagerato e un tantino ingiustificato. Una novità delle case editrici più grandi al momento dell'uscita costa intorno ai 18 euro. Paghi la copertina, a volte il nome dell'autore anche. Poi magari lo apri e lo trovi scritto in carattere venti con interlinea 3,5, cinque centimetri di margine per lato e carta pesante. Ecco, anche quello nuoce sicuramente alla cultura e alla sua diffusione... possibile che le case editrici non se ne siano ancora accorte? Questo e la produzione massiva di novità, per la maggior parte delle volte inutili, destinate a rimanere in libreria uno o due mesi quando va bene.
Ho chiesto ai miei lettori preferiti sulla pagina facebook del blog quanto sono disposti a spendere per un libro. Perché secondo me la domanda chiave sta proprio lì. La risposta principale è stata, ovviamente, dipende. Dipende da che libro è (narrativa, manuali... "i libri di Vespa nemmeno regalati li voglio"), da quanto ci ispirava o da quanto lo stavamo aspettando. In media comunque si sta su non più di quindici euro.
Poi ovvio, un libro meno riusciamo a pagarlo più soddisfazione ci da' (o meno idioti ci fa sentire se si è rivelato una cavolata). Però in linea di massima la cifra è quella.
Mi direte mica che ci sono solo i libri della Newton a meno di quindici euro?

Ok, ho finito. O meglio, ci sarebbero ancora un paio di punti da toccare (tipo, come la mettiamo con le case editrici che, anche volendo, non possono permettersi queste politiche di prezzo stracciato né i posti in prima fila in libreria? Ne sto scoprendo parecchie di piccole e medie con un catalogo meritevole che ovviamente per rientrare nei costi, prezzi inferiori ai 10 euro non possono sempre farli), ma preferisco fermarmi qui.
Non so se letto d'insieme questo post abbia una sua logica... sono solo un po' di riflessioni e di tarli che mi ronzavano in testa da un po' e che avevo assolutamente bisogno di togliermi.