venerdì 31 dicembre 2010

I MIGLIORI 10 (+1) DEL 2010

Ed eccoci arrivati al 31 Dicembre. Un anno che sta finendo. Un anno di assidue letture, di pagine girate e rigirate e di libri letti, adorati od odiati.
Ho deciso quindi, per salutare il 2010, di fare la classifica dei 10 libri (+ 1, perché non riuscivo a scegliere quale eliminare da quelli che ho selezionato) che per un motivo o per l'altro più ho amato quest'anno. (Non in ordine di gusto ma di lettura, partendo da gennaio)
Sperando che il 2011 porti a me e tutti i lettori di questo blog tanti bei libri da leggere :)

- A NEVE FERMA Stefania Bertola

- MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VICINO Jonathan Safran Foer

- LA BAMBINA CHE SALVAVA I LIBRI Markus Zusak

- ROSSA Giorgio Serbanenco

-LA BELLEZZA E L'INFERNO Roberto Saviano

-AMABILI RESTI Alice Sebold

-QUALCUNO CON CUI CORRERE David Grossman

- LA LUNA ROSSA Luis Leante

-SOFFOCARE Chuck Pahlaniuck

-APERTO TUTTA LA NOTTE David Trueba

- FOLLIE DI BROOKLYN Paul Auster



BUON ANNO A TUTTI!

giovedì 30 dicembre 2010

FOLLIE DI BROOKLYN- Paul Auster

Nathan Glass è un assicuratore in pensione in cattivi rapporti con la ex moglie e la figlia. Dopo una pesante operazione chirurgica, e senza una lunga prospettiva di vita, decide di finire i suoi giorni a Brooklyn, nel quartiere dove è nato. Qui ritrova il nipote Tom, ormai ingrigito commesso di libreria, Lucy, la figlioletta della sorella di Tom, e, mentre è in viaggio per il Vermont, anche la donna della sua vita... Tutti e quattro tornano a Brooklyn e le cose si mettono bene, finché non arriva un fatidico 11 settembre...

Dopo aver letto "Moon Palace" mi ero quasi convinta a non leggere più nulla di questo autore, talmente mi aveva annoiata e delusa quel romanzo (o meglio, era fantastica la prima parte e terribile la seconda).
Poi però una mia amica mi ha parlato di questo, descrivendolo come un capolavoro, e, dato che abbiamo gusti molto simili, me lo sono fatta prestare.E ho fatto proprio bene. Un libro semplicemente stupendo.
I personaggi sono tutti incredibili. A partire da Nathan, il nostro narratore, che si trasferisce a Brooklyn per morire in santa pace e che lì ritrova suo nipote Tom e tutta una serie di altri fantastici personaggi (il libraio-falsario Harry Brightman, la piccola Lucy e la signora Joyce e la figlia) le cui vite si intersecheranno alla sua, animandola e rendendola più degna di essere vissuta. Nel mentre, porta avanti il suo progetto di scrivere un romanzo che raccolga tutte le follie che le persone comuni fanno ogni giorno, e che le accomunano a tutte le altre.
Un libro geniale, narrato in modo esemplare (bella l'idea di anticipare qualche elemento dicendo poi "ma ne parleremo più avanti"), che elogia le persone più comuni e fa capire che anche quelle che sembrano migliori di altre, in realtà sono fragili come tutti.
Bellissimo il finale!
Da leggere assolutamente!

Nota alla traduzione: complimenti al traduttore, che è riuscito a destreggiarsi in modo egregio tra tutti i doppi significati dei termini inglesi, senza appesantire troppo la versione italiana. Ben fatto!

"Sei proprio sicura di te, per la miseria"
"Devo esserlo, Tom. Se non lo fossi non sarei qui. Non avrei le mie valigie che mi aspettano in macchina. Non saprei che tu sei l'uomo della mia vita."

"La gente prova quello che prova. Chi sono io per dire che hanno torto?"

"Mai sottovalutare il potere dei libri"

giovedì 23 dicembre 2010

UNA TESTA IN GIOCO- Georges Simenon

Quanto vale la testa di un uomo? Secondo Maigret abbastanza da giocarsi la carriera. Ma questa volta il commissario rischia davvero grosso: far evadere dalla Santé, sulla base di una semplice intuizione, un condannato a morte alla vigilia dell'esecuzione capitale è una scommessa che potrebbe costargli cara. Pedinando l'evaso, Maigret si ritrova alla Coupole, confuso tra la fauna cosmopolita del carrefour Montparnasse: ricchi sfaccendati, artisti falliti, parassiti. E qui incontra colui che del romanzo è il vero protagonista: Jean Radek, ex studente di medicina cecoslovacco, spiantato e geniale. Una personalità tortuosa e malata, che per la prima volta riesce a stupire e disorientare Maigret sfidandolo a un duello sul terreno dell'intelligenza e dell'astuzia.

I gialli sono una categoria di romanzo che mi piace molto. Soprattutto quelli "seriali", con investigatori più o meno geniali che affrontano i casi e che grazie alla loro intelligenza o al loro estro arrivano a scoprire la verità. Adoro il Poirot di Agatha Christie. Adoro Adamsberger di Fred Vargas, e non mi dispiace nemmeno il buon vecchio Sherlock Holmes.
Che dire di Maigret? Forse tra tutti è quello che mi entusiasma di meno, almeno in questo romanzo specifico. Un po' troppo antipatico e scontroso per i miei gusti. E in questo romanzo, almeno per buona parte, non dimostra nemmeno una grande e spiccata intelligenza. Si muove in base ad un sospetto, che la persona condannata per omicidio in realtà sia innocente, al punto da farlo evadere dal bracico della morte. Il resto è poi un po' tutto confuso. Come se si ritrovasse casualmente catapultato dentro alla verità.
Non mi ha convinta del tutto.

Nota alla traduzione: le traduzioni Adelphi non mi convincono mai del tutto.

mercoledì 15 dicembre 2010

ANTOLOGIA DI SPOON RIVER- E. Lee Masters

Nell'Antologia di Spoon River E. L. Masters richiama alla vita, con grande limpidità espressiva, i personaggi di una città di fantasmi che sembrano giacere ormai quieti dietro le lapidi di un erboso cimitero del Midwest. Ognuno racconta la sua storia e dà voce agli intrighi, alle ipocrisie e ai tormenti di un'esistenza repressa nelle abitudini e nel conformismo. Ne risulta un indimenticabile atto d'accusa contro lo stile di vita dell'America provinciale e puritana che ha il timbro crudo di una voce tagliente, che si consegna al tempo.


Erano anni che sentivo parlare di questa antologia senza che mai mi decidessi a leggerla. Poi qualche giorno fa, in auto, ho riascoltato per l'ennesima volta due canzoni di De André, "Dormono sulla Collina" e "Un giudice", ispirate entrambe (così come molte altre) a questa raccolta.
Che dire? L'autore è semplicemente geniale. Ritrae in questi componimenti, dedicati ognuno a un "morto" di Spoon River, la vita di un paese, con tutti i suoi intrighi e i suoi pettegolezzi, così come lo stile di vita dell'America Puritana in generale.
Alcuni fanno sorridere (soprattutto i "botta-risposta" tra i veri personaggi), altri riflettere. Non credo si possa dire molto altro.

Nessuna nota, letto in lingua originale (anche perché non avevo la versione tradotta da Fernanda Pivano)

martedì 7 dicembre 2010

APERTO TUTTA LA NOTTE- David Trueba

"L'unico locale aperto tutta la notte è la casa", dice Ambrose Bierce. E intorno alla casa ruota la turbinosa vita della famiglia Belitre. Nonno, nonna, papà, mamma e sei ragazzi dai nove ai ventotto anni, nell'arco di una torrida estate spagnola, traslocano da un piccolo appartamento di periferia in un palazzina a due piani con soffitta, giardino e ciliegio, nel cuore di una Madrid anni Ottanta, culla del lavoro, dello stress, dello stordimento notturno. E intorno alla casa, sempre spalancata davanti al bisogno di conforto, alle domande, agli inciampi del tempo, i Belitre crescono e invecchiano, muoiono e si divertono, mentono, si interrogano e si rispondono, in un misto di tenerezza e commozione, di grandi e sonore risate."

Mamma mia che libro! Scoperto per caso navigando su aNobii e letto tutto d'un fiato dalle 18 di ieri pomeriggio fino a notte fonda. Era impossibile fermarsi. Era impossibile pensare di aspettare un giorno per continuare e finire le vicende di questa famiglia tutta particolare, che lotta ogni giorno per sembrare "normale".
La famiglia Belitre è una famiglia tipica: nonno Abelardo poeta, che compone versi e conversa abitualmente con Dio, e nonna Alma, intellettuale, che vive a letto perché ha deciso e che narra del suo passato amoroso con intellettuali spagnoli, due genitori sui cinquant'anni che cercano come possono di mandare avanti la famiglia, di crescere i sei figli, ognuno con i suoi problemi più o meno gravi (dal piccolo Matías, affetto da una terribile sindrome che lo porta a identificarsi con le posizioni di comando, a Nacho, instancabile rubacuori, a Basilio, talmente brutto che il suo unico sogno è quello di diventare invisibile). A sconvolgere le loro vite saranno due arrivi: quello di Sara, nuova "badante" della nonna, che farà perdere la testa a tutti gli esemplari di sesso maschile della famiglia, sconvolgendo equilibri e facendo nascere gelosie e ribellioni; e quello dello psicologo seguace di Freud, assunto per curare il problema di bruttezza di Basilio, che si stabilirà in una tenda nel giardino dei Belitre e si convertirà presto in consigliere di tutta la famiglia.
Nel finale tutto tornerà al suo posto, se un posto ce l'ha mai avuto. Ritornerà l'equilibrio, ma senza buonismi o fini troppo lieti.

Un libro incredibile, che fa ridere e commuovere, che fa riflettere su certi aspetti della vita di ogni persona raccontandoli in modo a volte diretto ma comunque ironico: la crisi di mezza età dei cinquatenni, il senso di inadeguatezza verso il mondo che ci circonda, la malattia e le sue ripercussioni sulla famiglia, la difficoltà di innamorarsi o la paura di farlo.
Tanti personaggi, con tante caratteristiche diverse, che si ritrovano tutte insieme nell'unico posto che è aperto tutta la notte: casa.

Da leggere assolutamente!

Nota alla traduzione: troppe note, a volte superflue (ma forse perché ho qualche conoscenza della storia della letteratura e della cultura spagnola) e qualche problema grammaticale.

"Al posto di polizze assicurative gli sarebbe piaciuto vendere suicidi e assassinii- uscite d'emergenza da questo mondo imbecille- invece di impalcature a sostegno di un'esistenza barcollante."

"I temporali estivi non se li aspetta nessuno. Come l'amore, scoppiano d'improvviso, ti sorprendono nel posto sbagliato al momento sbagliato, ti obbligano a correre, saltare, fuggire, cercare riparo. E poi, d'improvviso, ecco di nuovo il sole, che tira per le orecchie un arcobaleno."



mercoledì 1 dicembre 2010

GUARDA COME TI AMO- Luis Leante

"È la vita di una donna sui cinquant'anni, in crisi dopo un divorzio e la morte della figlia. Incidentalmente scopre la fotografia di un vecchio amore dell'adolescenza fino ad allora ritenuto morto. Nella sua fuga in avanti, decide di scoprire cosa ne è stato di quel fidanzato. E questo la porta fino al Sahara, fino ai campi per rifugiati saharawi." Così Luis Leante riassume uno degli aspetti narrativamente più significativi del romanzo. Giganteggia la figura della protagonista Montse Cambra, colta in un momento delicato della sua esistenza e rapita dalla memoria di un passato mai morto. Il viaggio nel deserto è costellato di avventure, di incontri, tra rifugi di fortuna, oasi e scontri con culture diverse.


Ho appena letto l'ultima pagina di questo romanzo e ora, davanti a questo post bianco, mi trovo in difficoltà su cosa scrivere. E questo è già un buon segno, perché vuol dire che mi è piaciuto (a massacrare libri, come sapete, non mi ci va poi molto). Ho delle difficoltà a buttar giù questo commento perché non voglio correre il rischio di far passare questa storia come una banalissima storia d'amore. E' vero, si tratta soprattutto di una storia d'amore, due giovani che si amano, che per condizioni avverse devono allontanarsi, che vanno avanti nelle loro vite fino a quando una fotografia riporta tutto alla mente e farà sì che Montse, la protagonista femminile di questa storia d'amore, parta alla ricerca del giovane che tanto aveva amato.
Ok, detta così, sembra veramente ma veramente banale. Ed è proprio qui che emerge a mio avviso la bravura di questo scrittore. Prendere una storia così e renderla avvincente, interessante e per nulla sdolcinata. Merito è soprattutto dell'ambientazione del romanzo: Spagna e Africa, nel passato e nel presente, e della capacità di Leante di descrivere e mischiare culture e periodi diversi.
Bella la descrizione del deserto e dei popoli che lo abitano. Bella la descrizione delle tradizioni locali. Così come ben fatta è la ricostruzione storica della rivolta in Marocco e della vita dei legionari del periodo.
Se vogliamo fare qualche critica a questo romanzo, si può forse citare l'eccessiva sfortuna che a volte colpisce i vari personaggi. Ma anche qui, è una scelta ben ponderata e assolutamente voluta, che trova il suo massimo compimento nel (lieto?) fine.
Da leggere assolutamente, anche se forse La Luna Rossa, l'altro suo romanzo, è un pochino più bello (ma solo perché parla di libri).

Nota alla traduzione: c'è qualcosa che non mi torna, qualche scelta traduttiva, soprattutto di termini comuni, che mi lascia un po' perplessa... io la rivedrei...

giovedì 25 novembre 2010

ESERCIZI D'AMORE- Alain De Botton

Iniziata e finita su un volo Parigi-Londra, questa vicenda si svolge ai giorni nostri nella capitale inglese (tra musei, supermarket, ristoranti esotici) e ci fa vivere ogni fase di un'esemplare e normale storia d'amore.


Che romanzo/manuale di autoaiuto/saggio bislacco. Il protagonista ci racconta la sua storia d'amore con questa ragazza, conosciuta per caso su un aereo, in una parabola che parte dall'idillio iniziale, tocca i momenti di massima passione, per poi passare all'abitudine, all'insofferenza, al tradimento e all'inevitabile fine. Il tutto condito di massime e metafore di grandi filosofi e scrittori del passato.
Di per sé l'idea non è malvagia. E' bello vedere come questi grandi pensieri si manifestino nella vita di tutti. Ed è anche molto bella (e moooooolto plausibile) la narrazione della storia d'amore tra i due, che non è la solita storia sdolcinata da romanzo, ma fa vedere anche gli aspetti negativi, le cose che infastidiscono, i piccoli e grandi compromessi che devono essere fatti per poter stare insieme a una persona. Così come racconta bene quel senso di impotenza che si percepisce di fronte al logoramento che molto spesso (ma non sempre!) subiscono le storie d'amore.
Ma è la parte finale che mi lascia perplessa. Il modo in cui il protagonista narratore vive la fine di questa storia, questa sua tendenza a moralizzare, al martirio (arriva a paragonarsi, sebbene in modo volutamente esasperato, a Gesù), al punto da pensare al suicidio (bello però quando si rende conto che morendo non potrà godere della soddisfazione di vedere gli altri che si sentono in colpa per lui).
Capisco che sia volutamente esasperato, che abbia narrato il caso estremo della fine di un amore (e posso assicurarvi per esperienza diretta che molto spesso ci si sente come lui descrive). Però boh, secondo me si lascia prendere troppo la mano, forse per poter utilizzare di più gli esempi e gli insegnamenti dei grandi pensatori del passato, rendendo però il finale un po' noioso.
Si può tranquillamente evitare.

Nota alla traduzione: "la Ketchup"...

domenica 21 novembre 2010

SOFFOCARE- Chuck Palahniuck

Victor Mancini, studente di medicina fallito, ha architettato un fantasioso sistema per pagare le spese ospedaliere della vecchia madre: ogni giorno va a cena in un ristorante diverso e, nel bel mezzo della serata, finge di soffocare per colpa di un boccone andato di traverso. Immancabilmente qualcuno si lancia a salvarlo, e altrettanto immancabilmente diventa una sorta di padre adottivo del protagonista e in occasione dell'anniversario dell'incidente gli invia dei soldi. Dopo anni di questa attività il nostro eroe si trova a ricevere quasi quotidianamente un gruzzolo da persone di cui ormai non ricorda nulla ma che gli sono grate per aver dato un senso alle loro vite.


Sono sempre stata convinta, e ancora lo sono, che un po' di sano cinismo faccia sempre bene nella vita. Tanto lo sappiamo tutti che il mondo non è tutto rose e fiori e che a fare troppo i buonisti e i perbenisti non si ottiene nulla.
Il problema però sta nel quantificare quel "PO'". E se prendete un libro di Palahniuck (questo, ma anche altri penso) vi renderete subito conto che il suo "PO'" è "UN PO' TROPPO".
Questo romanzo parla di un ragazzo dal passato turbolento a causa della madre che quando non lo rapiva era in galera e che lo tormentava con discorsi su come rendere il mondo migliore. Parla di un ragazzo, sempre lo stesso, affetto da una dipendenza sessuale che lo porta ad andare a letto più o meno con qualunque ragazza incontri, tanto da dover frequentare un gruppo di sostegno. Parla di un ragazzo squattrinato, sì sempre lui, che per riuscire a pagare la casa di cura dove risiede la suddetta madre leggermente psicopatica, si inventa un sistema geniale per fare soldi: ogni sera, in un ristorante diverso, finge di soffocare e si fa salvare da qualcuno che poi, immancabilmente, ogni anno gli manderà dei soldi per aiutarlo (cosa non fanno gli esseri umani quando si fa leva sul loro orgoglio e coraggio...).
Insomma, parla di un ragazzo che nasconde dietro al suo cinismo, alle sue pulsioni, la paura di provare sentimenti, di affezionarsi, voler bene, innamorarsi, al punto che, quando questo inizia a succedere, inizia a domandarsi "cosa Gesù non farebbe?" e comportarsi di conseguenza. Parla di un ragazzo che ha come unica grande paura quella di essere solo e che nessuno abbia bisogno di lui.

Non posso negare che sia un libro geniale, che esaspera in maniera impeccabile, cinica ma anche tragi-comica, tutte le pulsioni, i vizi ma anche semplicemente i dilemmi morali di tutti gli esseri umani, che molto spesso preferirebbero essere psicopatici o dipendenti da qualcosa piuttosto che dover amare e soffrire, nei vari protagonisti che si avvicendano nelle pagine di questo romanzo (il mio preferito è Danny, il migliore amico del protagonista, che per resistere al suo disturbo sessuale inizia a raccogliere pietre con cui costruire qualcosa)

Però, se non fosse che so che si tratta di Palahniuck, penserei che questo libro sia troppo. Penserei che sia sbagliato cercare di "convincere" la gente a non amare per non soffrire. Penserei che sì, tutto questo cinismo può forse aiutare qualche volta, ma non ti fa vivere meglio. Penserei che nulla di quel che viene narrato in questo libro sia normale. Ma poi, ovviamente, mi ricordo che si tratta di Pahalaniuck e che quindi pensare tutte queste cose non serve a nulla. Si legge. Si ride a volte. Ci si incazza altre. Si riflette. Si ricordano alcune frasi memorabili e alcuni personaggi fantastici. Ma di sicuro non mi aiuterà ad affrontare meglio il mondo. Nè mi ha convinto che veramente tutto faccia schifo e che non valga la pena stare male.

Mi è piaciuto o no, questo libro? Non sono in grado di stabilirlo.

Nota alla traduzione: un applauso al traduttore che utilizza la parola "burino", tipicamente romanesca, all'interno di un romanzo ambientato negli USA. Un altro applauso, sempre allo stesso traduttore, per aver scritto più e più volte OBIETTIVO con due B (quello con due B è quello della macchina fotografica, non uno scopo nella vita... e non venitemi a dire che adesso è accettato in tutti e due i modi... perché è accettato proprio perché la gente sbagliava a scriverlo)


"Ogni cosa che possiedi è solo l'ennesima cosa che un giorno perderai"

"Il passato non si può ricreare. Puoi fare finta. Puoi illuderti, ma ciò che è finito non torna."

"Io non sono buono, né gentile, né premuroso, né nessua di queste stronzate buoniste lì. Sono solo un povero imbecille egoista sfigato. E me ne sono fatto una ragione."

venerdì 19 novembre 2010

ANDY CAPP- Reg Smythe

Nasce il 5 agosto 1957 sulle pagine del Daily Mirror, quotidiano londinese. Gli editori del giornale avevano commissionato a Smythe un nuovo personaggio, un ubriacone rissoso e infedele. Quest' uomo si chiama Andy Capp. Pensa e parla di poche cose: donne, sesso, rugby, biliardo, freccette e ovviamente la birra. È sposato con Florrie (chiamata però sempre Flo), una donna che lavora onestamente e che sopporta un marito fannullone, che invece di cercare lavoro passa tutta la giornata a dormire sul divano e, quando è sveglio, si piazza al bancone del pub vicino a casa a bere birra. La coppia è sempre indebitata fino al collo e stenta ad arrivare a fine mese, ma la potenza comica della striscia nasconde la drammaticità della vita dei due personaggi.

Oggi sono in vena di recensioni, ma considerando che non posso leggere due libri un pomeriggio, ho pensato che la cosa migliore sarebbe stata quella di parlare di un fumetto che sta accompagnando le mie giornate da un mese a questa parte circa: Andy Capp di Reg Smythe (a volte tradotto in italiano con "Carlo e Alice"). Lo so che è Andy è tutto fuorchè l'uomo ideale e perfetto, che vive alle spese della povera Flo, che frequenta i pub tutte le sere e torna a casa con una scusa sempre nuova (e sempre meno probabile) con cui placare la moglie. Lo so che è uno scansafatiche, che picchia la moglie, che ha una marea di amanti e che scrocca soldi da chiunque.Ma è comunque adorabile. E' adorabile perché Flo risponde a tutto questo, con un sarcasmo disarmante (oltre che con le botte, ovviamente, perché non è una che si fa mettere i piedi in testa). E' adorabile perché a litigate e decisioni di lasciarsi, si inframmezzano momenti di tenerezza tra i due. Una tenerazza unica e speciale, che fa capire quanto bene si vogliono questi due coniugi, sebbene si lascino ogni due settimane.

Reg Smythe riesce a fare con un'ironia incredibile un ritratto della società inglese dell'industrializzazione, che si incarna perfettamente nel suo protagonista maschile, che raccoglie in sé tutti i vizi e le debolezze della classe operaia del periodo, quella che fatica ad arrivare a fine mese ma che non rinuncerebbe mai a una birra, quella classe che ha magari poco rispetto per le donne, che crede ancora nella superiorità maschile, ma che sa arrendersi anche davanti all'evidenza di quanto importanti siano le proprie mogli. Andy Capp è tutto questo ed è anche qualcosina in più.

IL LIBRAIO CHE IMBROGLIO' L'INGHILTERRA- Roald Dahl

Mr. Buggage è il proprietario di una libreria antiquaria londinese; insieme alla sua assistente (e amante) trascorre gran parte della giornata nel retrobottega, dedicandosi più alla lettura di necrologi che alla vendita dei libri. Eppure gli affari vanno bene e un giorno i due decidono di concedersi una vacanza in Marocco in alberghi esclusivi. Come si scoprirà, il successo economico non nasce da una oculata gestione delle vendite, ma... Il volume è completato da un altro racconto, "Lo scrittore automatico", storia di una grande macchina in grado di sfornare best seller a ripetizione.

Quanto adoravo i romanzi di Roald Dahl da bambina! "Le Streghe", "Il GGG" e soprattutto "La Fabbrica di Cioccolato" hanno accompagnato la mia infanzia e credo che li consiglierei ancora adesso.
E devo ammettere che fa' uno strano effetto leggere un Roald Dahl per adulti. Entrambi i racconti compresi in questo volume, infatti, trattano argomenti e temi sicuramente poco adatti ad un lettore bambino. Eppure, nonostante questo senso di stranezza, i due racconti non sono per niente male.
Nel primo, "Il Libraio che Imbrogliò l'Inghilterra", si narra di due protagonisti che gestiscono una negozio di libri usati che però si rivelerà essere una copertura per un altro business, ben più illegale e immorale. Mi è piaciuta molto la caratterizzazione dei due protagonisti, una coppia obbrobriosa, "sordido" lui e dall'aspetto "scoraggiante" lei, che si trovano complici negli affari e nella passione. Un'ironia sottile quella di Dahl, che quasi si schiera inizialmente con i due protagonisti, e che accompagna tutto il racconto fino a un finale che forse si sarebbe potuto intuire ma comunque geniale.
Il secondo invece, "Lo Scrittore Automatico", è quello che da' più da riflettere (ma sarà che in quanto aspirante traduttrice sono più suscettibile all'argomento di macchine che superano la mente umana). Il protagonista, che adesso verrebbe etichettato come nerd, con aspirazioni letterarie, inventa una macchina che produce best-seller: basta schiacciare i pulsanti giusti, creare il giusto amalgama di passione, avventura, pathos e dramma, scegliere il tema che si preferisce e in meno di un minuto si avrà un racconto e in un quarto d'ora un vero e proprio romanzo. Un'idea geniale, che gli porterà soldi e brama di potere... tanto che riuscirà a convincere altri scrittori a smettere di scrivere best-seller e a mettersi in società con lui e la sua macchina (un'agenzia letteraria che paga i suoi membri per NON scrivere). La critica implicita che vuole fare Dahl è proprio contro gli autori di best-seller, che sfornano libri a velocità impressionante, semplicemente rimescolando temi triti e ritriti. E, quel che peggio, con la consapevolezza di stare scrivendo non per il piacere di farlo ma per i soldi. Una critica quella di Dahl molto ben riuscita e facilmente condivisibile.
Vi consiglio di leggere entrambi i racconti, vi portano via poco più di mezz'ora. Sorriderete per il primo e rifletterete un po' sulle vostre letture per il secondo.
Certo, Willy Wonka è sempre Willy Wonka.

Nota alla traduzione: niente di particolare sa segnalare.

mercoledì 17 novembre 2010

CASINO' ROYALE- Ian Fleming

È il romanzo in cui fa la sua prima apparizione James Bond e in cui sono già presenti i tipici ingredienti della serie: il fascinoso 007 con licenza d'uccidere; la bella Vesper Lynd, tenera e tragica; il malvagio e imprendibile Le Chiffre. Ma c'è anche la rappresentazione del mondo delle sale da gioco della Francia meridionale, che Fleming ricostruisce in modo impeccabile, consegnando intatto al lettore il fascino di quel mondo e di quella società.


E io che pensavo che James Bond fosse un figo... Eppure in questo romanzo, il primo della serie di 007, non è che ci faccia sta grande figura. Oltre ad essere un po' un pollo che non si accorge di nulla e casca in tutto ciò in cui può cascare (e meno che male che è un agente segreto), manca anche dello charme e della classe che ha poi saputo imprimergli Sean Connery (sugli altri due non mi esprimo) nei vari film tratti dai questi romanzi.
Sarà che non è tanto il mio genere, sarà che tutto mi aspettavo fuorchè un James Bond così misogeno e maschilista che si crede un Dio ma che non si accorge di quasi nulla di ciò che capita attorno a sè, però non mi è piaciuto più di tanto.
Si legge bene e in fretta, anche in lingua originale. Ma la storia non cattura così tanto (o almeno, non ha catturato me) e si arriva alla fine con un po' di irritazione per la caratterizzazione di certi personaggi (sta ragazza, ad esempio, è veramente ma veramente piatta) e soprattutto alla fine ci si chiede: "beh, tutto qui?".
Boh, non me la sento nè di consigliarlo, perché comunque a me non è piaciuto, nè di sconsigliarlo, perché mi rendo conto che la serie 007 di Fleming sia comunque un classico.

Nessuna nota alla traduzione, letto in originale.

sabato 13 novembre 2010

IL PRIMO MIRACOLO DI GEORGE HARRISON- Stefania Bertola

Un ragazzino disposto a tutto per neutralizzare il fascino di sua sorella. Un carrarmatino del Risiko coinvolto in un tentativo di omicidio. Una perfida vigilessa e le sue serate imprevedibili. Tre ragazze torinesi che attraversano Londra in una giornata calda come liquirizia appiccicosa: cosa le aspetta in St John's Wood? Una raccolta di racconti che trabocca di intelligenza, divertimento e stupore. Stefania Bertola osserva il mondo con la lente giocosa dell'immaginazione, svelando i piccoli imprevisti della vita e dei sentimenti.

Non del tutto casualmente, il libro che ho letto dopo la Kinsella è l'ultimo della Bertola (in realtà ne sto leggendo anche un altro, che però non mi sta entusiasmando più di tanto). Ecco, i romanzi della Bertola, almeno per me, sono ideali quando si è un po' giù o quando si ha voglia di leggere qualcosa di non leggero e non troppo impegnativo.
A questo punto però mi vedo costretta a non consigliare questo suo ultimo libro. Ma semplicemente perché si tratta di una raccolta di racconti, venti in tutto, che danno solo un limitatissimo assaggio dello stile dell'autrice. Quindi, iniziate con i romanzi (Biscotti e sospetti, il mio preferito), e poi leggete anche questo.
Non sono una grande amante dei racconti, mi piace affezionarmi ai personaggi, seguirli nelle loro peripezie di pagine e pagine, patire con loro e arrivare con loro insieme al finale. Quindi non sono solita leggerli (con eccezioni di tanto in tanto ovviamente).
In questa raccolta, ce ne sono diversi che meritano proprio: da "Il Nostro Capitano", dedicato a Alex Del Piero e a un suo piccolo fan (che fa veramente ma veramente ridere), a " La strega del bosco va al circolo dei lettori", passando per Ave Verum (un inno a non fermarsi alle apparenze) e "La Ragazza che Piangeva in discoteca".
Non sono tutti belli però, alcuni sembrano buttati lì proprio perché non si può vendere un libro di meno di 100 pagine a 14,50 euro (non che con 120 sia più accettabile eh...). E anche quello che da' il titolo alla raccolta "Il primo miracolo di George Harrison", che mi sono accorta che avevo già letto, non mi ha entusiasmato molto.
Insomma, da leggere per distrarsi un paio d'ore e per sorridere un po'(e se siete di Torino o comunque la conoscete un po', rende ancora di più). Ma cominciate dai suoi romanzi, che meritano molto di più.

domenica 7 novembre 2010

SAI TENERE UN SEGRETO? -Sophie Kinsella

Emma Corrigan è una ragazza normale, lavora in una multinazionale ed ha un fidanzato simpatico. E come tutte le ragazze normali coltiva i suoi sogni, i suoi segreti e le sue paure. E proprio cercando di fronteggiare una delle sue più grandi paure, quella di volare, si trova a raccontare tutti i suoi più intimi segreti al suo compagno di viaggio, un simpatico americano. Che altri non è che... Abbandonata Rebecca, la protagonista del ciclo «I love shopping», Sophie Kinsella regala ai suoi lettori un nuovo divertente personaggio femminile.


Piccola premessa: mai più avrei pensato che avrei letto un libro della Kinsella. Mi è stato prestato quasi a tradimento, senza che potessi ribellarmi. Ma, effettivamente, per poter criticare per bene un'autrice e i suoi libri forse almeno uno dei suoi romanzi va letto. Quindi eccomi qui.
Quando ho annunciato che stavo leggendo questo romanzo, una mia amica mi ha detto: "Ho solo paura che poi mi dirai che ti è piaciuto". Quindi, per prima cosa, vorrei tranquillizarla: no, non mi è piaciuto. Ok, non nego che c'è qualche gag divertente, qualche trovata non male che fa sorridere. Non nego nemmeno che si tratta di un libro leggerissimo, che si legge in fretta, che non richiede il benchè minimo sforzo mentale e che va bene per passare una domenica pomeriggio uggiosa (sul fatto che questi siano pregi, però, ne dovremmo discutere un attimo).

Ma prendiamo la storia: una ragazza qualunque, un po' sfigatina, che ha paura di volare ,si ritrova su un aereo nel bel mezzo di una perturbazione e, terrorizzata dal pensiero di poter morire, rivela tutti i suoi segreti più imbarazzanti allo sconosciuto seduto accanto a lei. Sconosciuto che il giorno dopo guarda caso si scoprirà essere il suo capo. Tra i due nascerà ovviamente qualcosa (che strano, non l'avrei mai detto), solo che lei si accorge che lui invece stenta a parlare di sè, per paura di rivelare segreti troppo importanti. Ovviamente si arriverà a un punto di rottura, lei soffrirà, lui si scuserà e le rivelerà questo segreto, l'amica psicopatica di lei tenta di vendicare l'umiliazione ricevuta, fino all'immancabile lieto fine. Carino eh?

Peccato che sta ragazza qualunque a me poi così qualunque non sembri (promossa a responsabile marketing dopo nemmeno un anno senza esperienze, il capo si innamora immediatamente di lei, va a feste esclusive e club privati, ha una famiglia di pazzi alle spalle)... non è che perchè le fanno succedere cose sfigate (ok, quelle forse sono le uniche che la fanno sembra una persona qualunque) allora tutte riusciamo a identificarci in lei (perchè è questo, no, lo scopo dei libri come questi?).
E lui, il capo, uno strafigo da paura che ovviamente si innamora dell'ultima arrivata (oddio, devo preoccuparmi?) e che per questo diventa adorabile e protettivo nei suoi confronti, tanto da affittarle un autobus a due piani, da portarle un cocktail rosa in una fiaschetta o da regalarle un mazzo di fiori gigantesco per farsi perdonare.

Ragazze, scusate, ma veramente voi vi indentificate in queste cose? Veramente leggere un libro così vi aiuta a stare bene dopo una delusione amorosa (boh, a me sembra giri il coltello nella piaga) o a distrarvi quando avete pensieri che vi tormentano?
Eppure io ho una buona dose di romanticismo, tendo più o meno a credere nei lieti fini e che l'amore trionferà, che prima o poi l'uomo giusto arriverà e che vivremo per sempre più o meno felici e contenti.
Però non ho certo bisogno di questi libri idioti, scontati e completamente inverosimili per sognare queste cose.

Nota alla traduzione: niente da dire.

giovedì 4 novembre 2010

IL MONDO NUOVO- Aldous Huxley

L'autore prefigura nel primo romanzo una società pianificata in nome del razionalismo produttivistico, votata all'assoluta perfezione.


Un romanzo che racconta di una futura società utopistica, nel filo di 1984 di Orwell o "Fahrenheit 451" di Bradbury. Questi libri sono accomunati dalla creazione di una società che ci rende tutti uguali, che vede nella cultura il pericolo di ribellione, perchè la cultura fa pensare.
Il perno di Brave New World (scusate, me lo ricordo con il titolo originale) è una società basata sulla felicità e la stabilità, in cui dolore, sofferenza, peccato, morale e tutto quello che ci può portare a riflettere su questi sentimenti è completamente abolito. Il sesso è visto solo esclusivamente con il fine del piacere e non per procreare (perchè ci sono delle macchine per farlo, che creano delle sorte di cloni, appartenenti a classi diverse e con felicità diverse in base alla loro evoluzione), la parola "madre" e "moglie/marito" sono delle più scandalose che si possano pronunciare e la solitudine, che tende a portare a pensare, è mal vista e combattuta in tutti i modi. Una società basata sul piacere dei sensi, che porta alla felicità, una felicità che non può essere messa in dubbio e che viene protetta, anche con l'uso di droghe per non vedere sentimenti negativi.
E quando John, il Selvaggio, nato da una donna di questa società persasi durante una vacanza nella riserva, va per la prima volta in questo nuovo mondo, non può che uscirne sconfitto, così come le uniche due persone che l'hanno sempre pensata come lui.
E' un libro particolare, che non so dire bene quanto mi sia piaciuto. E' una società utopistica che impressiona un po', forse ancora di più del Grande Fratello di 1984. Si basa sulla ricerca di felicità e stabilità, due cose che onestamente sarebbe stupido negare che tutti cerchiamo. Ma come dice il Selvaggio, non c'è felicità senza infelicità, e la felicità e la stabilità preconfezionate non sono altro che vacue e fasulle.
Fa sicuramente impressione pensare che questo libro, scritto negli anni '30, tratti così liberamente il tema della sessualità, del sesso come piacere e quindi non c'è nulla di immorale ad avere più compagni, così come il tema della clonazione, di essere che nascono in bozzoli, tutti uguali.
Però manca a mio avviso una struttura narrativa completa, una storia che faccia appassionare. Insomma, non è 1984.

Nota alla traduzione: terribile. semplicemente terribile. Rimane la stessa impressione già espressa per Fahrenheit 451... Mondadori, spendi un po' di soldi e fai ritradurre sti classici, perchè nel 2010, tradotti così, sono semplicemente illeggibili.

giovedì 28 ottobre 2010

LA LUNA ROSSA- Luis Leante

Il corpo esangue di Emin Kemal, celebre scrittore turco, giace a terra cadavere nel suo appartamento. Sul petto un libro: una raccolta di racconti di René Kunheim, dedicati dall'autore alla moglie dello stesso Kemal. René è uno scrittore frustrato ma di grande talento e soprattutto il traduttore di tutti i libri in spagnolo dell'autore turco. Il ritrovamento, che svela inequivocabilmente la tresca che lo legava alla moglie, sembra incastrarlo. A ritroso, Luis Leante ricostruisce l'intrigo e racconta la storia di Emin Kemal e René Kunheim, tra Alicante, Monaco e Istanbul, in un continuo gioco di specchi, incastri, collegamenti e coincidenze. La vita dell'autore turco e quella del suo traduttore sono il bianco e il nero di una stessa fotografia, due esistenze legate da una sola donna, sposa e amante: Derya.

Un libro incredibile che mi ha piacevolmente stupita. Una trama complessa, che si snoda tra la Spagna, Monaco e la Turchia. Tanti piccoli tasselli, che forse un pochino confondono ma che alla fine l'autore è in grado di rimettere perfettamente insieme, dando vita a un romanzo molto ma molto bello. Il rischio di perdersi dei pezzi, di non riuscire a far tornare tutte le vicende al proprio posto, era molto alto. Ma l'autore è riuscito a evitarlo. Forse anche perché parla di libri e di traduttori (due cose che io amo molto), perché c'è sì un mistero da risolvere che lascia in sospeso fino all'ultimo, senza che però cada mai nello scontato, nel banale e nel già letto.
Particolare l'alternanza di stili, dalla prima alla terza persona in base a quale epoca e quale personaggio è protagonista del capitolo.
Insomma, questo autore spagnolo non ha assolutamente nulla da invidiare ad altri suoi conterranei più famosi (vedi Zafón), anzi... il suo stile è molto meno "commerciale", (ed è per questo che forse non ha riscosso altrettanto successo qui in Italia).
E' un libro bello, intelligente e commuovente. Da leggere assolutamente.

Nota alla traduzione: non mi riesce tanto facile scrivere un commento dato che conosco la traduttrice del romanzo, che è stata mia insegnante all'università e, almeno in parte, la mia passione per la traduzione viene da lei. Eppure, devo ammettere che qualcosa non mi torna. Qualche scelta di termini e di espressioni molto discutibile, non so se legata allo stile originale del romanzo o a scelte traduttive personali. Spero che non me ne voglia...

giovedì 21 ottobre 2010

CI VEDIAMO A CASA, SUBITO DOPO LA GUERRA- Tami Shem-Tov

Ogni volta che il dottore le consegna una lettera dello zio Jaap, Lieneke sente il cuore battere all'impazzata. La nasconde nel grembiule e la porta in camera, al sicuro, dove la legge e la rilegge. Perché sa che presto dovrà restituirla al dottore, che la brucerà o la farà in mille pezzi affinché non cada nelle mani sbagliate. Nessuno deve sapere che Jaap in realtà non è suo zio, ma suo padre. E che lei non si chiama Lieneke, bensì Jacquelin un nome che ormai appartiene al passato, a una vita precedente in cui poteva andare a scuola con le amiche di sempre, passeggiare nel parco e correre in bicicletta. Senza una stella gialla appuntata sul petto. Tutto è cominciato con il "gioco dei nomi", quando la mamma ha spiegato a lei e alla sorellina più grande che tutti i membri della famiglia non si sarebbero più chiamati come prima. C'erano anche altre regole da rispettare: lasciare la città, Utrecht, e nascondersi. E non dire a nessuno di essere ebree. Da quel giorno, la famiglia si è separata, trovando rifugio presso membri della resistenza olandese. Lieneke vive in un villaggio sperduto con il dottor Kohly e sua moglie, che fingono di essere i suoi zii. Il padre, scienziato dal cuore d'artista, riversa ora il suo talento sui biglietti illustrati che manda a Lieneke, con quei disegni colorati e buffi che tengono accesa la speranza di una vita normale. Sarà proprio quella corrispondenza segreta ad aiutare la bambina a sopportare la fame e la paura, il freddo e la lontananza.

Scrivere ora un libro che parla della guerra, del nazismo e degli ebrei non è per nulla semplice. Si rischia di ricadere nel "già visto", "già letto" (certo, quella purtroppo è la storia e altri modi per raccontarla non ce ne sono). Eppure noto che i libri recenti che trattano questo tema sono comunque molto belli, perchè offrono punti di vista diversi. Era già successo con "Il Bambino con il Pigiama a Righe", che raccontava della vita dei bambini al di qua della recinzione del campo di concentramento.
"Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra" ci offre ancora un altro aspetto: quello dei bambini nascosti fuori città per sfuggire ai tedeschi e alla guerra, che aspettano di rincongiungersi con la famiglia "a casa, subito dopo la guerra". Una storia vera, quella di Lieneke, che sopravvive alla distanza da casa e dai suoi cari grazi alle lettere e i disegni che le invia suo zio Jaap, ovvero suo padre, di tanto in tanto. C'è dolore e speranza in questo libro, c'è la realtà di quel periodo, ma senza troppa violenza (a parte un momento verso la fine), c'è voglia di vivere e di ricominciare. C'è tenerezza e ingenuità, quella tipica dei bambini che aiuta anche i grandi a superare il dolore e la tragedia.
Un libro dolcissimo e tenerissimo, che si legge in fretta e che ti tiene incollato alle sue pagine. Un altro punto di vista del momento più nero della storia mondiale, che va assolutamente letto.

Nota alla traduzione: un po' di note, forse non tutte fondamentali. Ma nel complesso, ben fatta!

sabato 16 ottobre 2010

QUALCUNO CON CUI CORRERE- David Grossman

Assaf è un sedicenne timido e impacciato cui viene affidato un compito singolare: ritrovare il proprietario di un cane abbandonato seguendolo per le strade di Gerusalemme. Correndo dietro all'animale, Assaf viene condotto di fronte a inquietanti personaggi, attraverso i quali ricompone i tasselli di un drammatico puzzle: la vicenda di Tamar, una ragazza solitaria e ribelle, fuggita da casa per andare a salvare il fratello, giovane tossicodipendente finito nella rete di una banda di malfattori. "Qualcuno con cui correre" è il ritratto di due adolescenti che si cercano, che forse si amano, che soffrono ma combattono con generosità per qualcosa che è dentro di loro.

L'ho appena finito e sono ancora commossa.
E' un libro che ti prende, che ti fa "correre", fin dalle prime pagine perchè racchiude insieme tanti sentimenti: l'amicizia, giusta e sbagliata, i legami familiari, che a volte si spezzano, e l'amore, che può nascere nei modi più impensabili.
E lo sanno i due protagonisti, due sedicenni che all'improvviso vedono la loro vita stravolta. Tamar che decide di aiutare il fratello a disintossicarsi, cercandolo dopo che è scappato di casa , progettando un piano impossibile per salvarlo che la porterà a mettere in pericolo la sua stessa vita. E Assaf che si ritrova suo malgrado coinvolto in tutto questo e che per l'amore che sente che potrebbe provare per questa ragazza decide di non tirarsi indietro, di cercarla ed aiutarla, pur non sapendo nulla di lei. E a loro si uniscono tutti i personaggi di contorno: i buoni (spesso le persone più impensabili, passanti per strada, drogati, suore di clausura) e i cattivi.
E chisse ne frega se il finale è forse un po' scontato e prevedibile. E' l'unico possibile, l'unico che avrei potuto accettare e che mi fa pensare a questo libro come a un capolavoro.
Grossman scrive molto bene, lo avevo già notato in "Che tu sia per me il coltello", primo mio approccio ai suoi romanzi che però non mi aveva entusiasmato quanto questo. Perchè qui c'è riflessione, ma c'è anche azione. C'è gioia e c'è dolore che si mischiano e si confondono e ti fanno capire quanto si dovrebbe essere disposti a fare per le persone che si amano.
E poi Dinka, il cane, è semplicemente adorabile.
Leggetelo!

Nota alla traduzione: qualche nota necessaria per i termini ebraici. Ben fatta direi.

"Hai bisogno di uno con una mano grande così" aveva sentenziato Leah, "e sai perchè?"
"PErchè?" ora sarebbe arrivata la spiegazione.
"Uno che se ne sta con la mano alzata, forte, ferma, come la Statua della Libertà ma senza quel cono gelato. Solo con la mano aperta, in alto, e allora tu..." Leah sollevò la sua mano squadrata, ruvida, con le unghie rosicchiate e la agitò, come fosse un uccellino in volo "... tu, da lontano, da qualsiasi punto della terra, vedrai quella mano e saprai che lì potrai posarti e riposare. E' vero o no?"

venerdì 8 ottobre 2010

UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN- Betty Smith

È l'estate del 1912 a Brooklyn. I raggi obliqui del sole illuminano il cortile della casa dove abita Francie Nolan, riscaldano la vecchia palizzata consunta e le chiome dell'albero che, come grandi ombrelli verdi, riparano la dimora dei Nolan. Alcuni a Brooklyn lo chiamano l'Albero del Paradiso perché è l'unica pianta che germogli sul cemento e cresca rigoglioso nei quartieri popolari. Insieme a suo fratello Neeley, Francie raccoglie pezzi di stagnola che si trovano nei pacchetti di sigarette e nelle gomme da masticare, stracci, carta, pezzi di metallo e li vende in cambio di qualche cent. Francie se ne va a zonzo per Brooklyn. Lungo il tragitto forse qualcuno le ricorderà che è un peccato che una donna così graziosa come sua madre, ventinove anni, capelli neri e occhi scuri, debba lavare i pavimenti per mantenere tutta la famiglia. Qualcun altro magari le parlerà di Johnny, suo padre, il ragazzo più bello e più attaccato alla bottiglia del vicinato, qualcuno infine le sussurrerà mezze parole sull'allegro comportamento di sua zia Sissy con gli uomini. Francie ascolterà e ogni parola sarà per lei una pugnalata al cuore, ma troverà, come sempre, la forza per reagire, poiché lei è una bambina destinata a diventare una donna sensibile e vera, forte come l'albero che, stretto fra il cemento di Brooklyn, alza rami sempre più alti al cielo.

Odio non sapere cosa scrivere nella recensione di un libro. Perchè da un lato può sembrare che non mi sia piaciuto e non abbia niente da dire (va beh, ormai lo sapete, se un libro mi ha fatto schifo le parole non mi mancano), e dall'altro che mi sia piaciuto troppo e non ci siano parole per descriverlo. Questo libro non rientra in nessuno dei due casi. Le saghe familiari generalmente mi piacciono molto. Mi piace vedere come se la cavano i personaggi, i legami e i rapporti che si creano e come affrontano il mondo. E questo romanzo in questo riesce molto bene. La saga raccontata è quella della famiglia Nolan: una madre molto pratica, un padre artista e sognatore, due figli, Francie e Neely, che crescono insieme (e un'ultima più avanti nella storia) che ereditano le caratteristiche di uno e dell'altro. E alla loro vicenda partecipano tanti altri personaggi secondari (fantastiche le zie materne). Quel che viene descritto, la loro vita e la loro "lotta per la sopravvivenza" in una NEw York dai primi anni del '900 fino all'entrata in guerra. Insomma, una bella storia. Condita anche da un elogio alla cultura e ai libri non indifferente.
Eppure, fino a oltre la metà, il romanzo non mi ha convinto molto. Si legge bene, scorre veloce, ma sembrava proprio solo un susseguirsi di eventi. Non ho mai pensato di abbandonarlo eh. Però mi sono chiesta diverse volte "ma quando finisce?". E poi, le ultime 150 pagine mi hanno fatto cambiare totalmente giudizio. Forse perchè i due figli crescono e affrontano il mondo, scontrandosi con le vere prime delusioni da adulti. Forse perchè c'è un riscatto, da poveri e desolati, la situazione si aggiusta e tutti riescono a coronare i loro piccoli sogni. Insomma, le ultime pagine mi hanno colpita e commossa. E sono contenta che il libro non sia finito prima.

Nota alla traduzione: una delle poche traduzioni in cui le canzoni vengono lasciate in lingua originale senza note o spiegazioni. Scelta azzeccatissima per me ma che mi rendo conto possa creare difficoltà a chi non ha dimestichezza con l'inglese. E poi c'è altro che stona. Ma non saprei ben dire cosa...

"Mio Dio concedimi di essere qualcosa, in ogni istante di ogni ora della mia vita. Fammi essere felice o triste, fa che io abbia caldo o freddo, che abbia poco o troppo da mangiare, che sia vestita elegante o con degli stracci, affidabile o bugiarda, degna di stima o peccatrice.Ma concedimi di essere qualcosa in ogni istante. E concedimi pure di sognare quando dormo, in modo che non vi sia un solo momento della mia vita che vada perduto".

mercoledì 29 settembre 2010

L'ULTIMA RIGA DELLE FAVOLE- Massimo Gramellini

Tomàs è una persona come tante. E, come tante, crede poco in se stesso, subisce la vita ed è convinto di non possedere gli strumenti per cambiarla. Ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che riaccende in lui quella scintilla di curiosità che langue in ogni essere umano. Incomincia così un viaggio simbolico che, attraverso una serie di incontri e di prove avventurose, lo condurrà alla scoperta del proprio talento e alla realizzazione dell'amore: prima dentro di sé e poi con gli altri. Con questa favola moderna che offre un messaggio e un massaggio di speranza, Massimo Gramellini si propone di rispondere alle domande che ci ossessionano fin dall'infanzia. Quale sia il senso del dolore. Se esista, e chi sia davvero, l'anima gemella. E in che modo la nostra vita di ogni giorno sia trasformabile dai sogni.

Mi capita ogni tanto di leggere e apprezzare (non sempre) la rubrica Buongiorno che Gramellini scrive su La Stampa. Ed è stato proprio questo (insieme al titolo secondo me bellissimo) a convincermi a leggere il libro. Non mi era proprio venuto in mente che non necessariamente chi è in grado di scrivere una decina di righe geniali su un argomento di attualità su un giornale, riesca a fare altrettanto in un libro. E infatti, non ci riesce. Libro semplicemente inutile, composto da frasi fatte pseudomistiche e luoghi comuni sull'ammmmore e su quanto sia indispensabile accettare sé stessi prima di poter amare gli altri (ma va?!) o di quanto sia necessario risolvere prima i problemi del proprio passato per poter scrivere un futuro (rigorosamente in coppia eh, se risolvi i problemi e rimani solo cavoli tuoi). Il tutto ovviamente scritto con un bel linguaggio ampolloso e pseudopoetico.
Un Coelho dei poveri insomma... e io odio Coelho.
Peccato, veramente, perchè con un titolo così fantastico le aspettative che avevo erano tante e se il libro si fosse anche solo minimamente avvicinato a come me lo ero immaginato questo commento avrebbe toni ben diversi (ok, potevo leggere la quarta di copertina prima di buttarmi nella sua lettura. E in realtà l'ho anche fatto, senza capire che la storia sarebbe stata così).
Insomma, se siete scettici e credete poco negli affari mistici (come me insomma), risparmiatevelo pure. Se invece queste cose vi piacciono, beh, vedete un po' voi... credo esista sicuramente di meglio anche in questo caso.

domenica 26 settembre 2010

AMABILI RESTI- Alice Sebold

Susie, quattordicenne, è stata assassinata da un serial killer che abita a due passi da casa. È stata adescata, stuprata, fatta a pezzi e nascosta in cantina. Il racconto è affidato alla voce della stessa Susie, che dopo la morte narrra la vicenda con lo spirito allegro e senza compromessi dell'adolescenza.


Un libro meraviglioso che ho divorato in poche ore. Era un po' che un libro non mi prendeva così tanto, da non riuscire a fare altro che non fosse leggerlo.
La storia è terribile. Questa ragazzina di 14 anni viene stuprata, uccisa e fatta a pezzi dal suo vicino di casa pazzo e la sua famiglia e i suoi amici cercano di andare avanti come possono, di affrontare (o non affrontare) questo immenso dolore. Ed è proprio la ragazzina, Susie, a raccontarci tutto questo. E' lei la narratrice di questo romanzo, che guarda la Terra dal suo Cielo, tenendo d'occhio i suoi cari, tifando e soffrendo per e con loro.
Non c'è un modo giusto per affrontare un così grande dolore e ci vuole del tempo, a volte tanto tempo, perchè la ferita si chiuda lasciando spazio a una cicatrice. E Susie ci racconta questo tempo, guardandolo da un punto di vista speciale, invidiando chi è rimasto in vita ma senza falsi moralismi e senza piangersi addosso. Ho trovato discutibile solo un capitolo, quello in cui lei torna per un momento sulla Terra nel corpo di una sua amica (la ragazza che la sua anima ha sfiorato quando stava abbandonando il suo corpo per sempre). Per il resto, un piccolo capolavoro da leggere assolutamente.

Nota alla traduzione: qualche nota qua e là, forse evitabile, ma nel complesso ben fatta!

sabato 25 settembre 2010

L'ORLO ARGENTEO DELLE NUVOLE- Matthew Quick

Pat Peoples è convinto che la sua vita sia un film prodotto da Dio. La sua missione: diventare fisicamente tonico ed emotivamente stabile. L'inevitabile happy end: il ricongiungimento con la moglie Nikki. Questo ha elaborato Pat durante il periodo nel "postaccio", la clinica psichiatrica dove ha trascorso un tempo che non ricorda, ma che dev'essere stato piuttosto lungo... Infatti, ora che è tornato a casa, molte cose sembrano cambiate: i suoi vecchi amici sono tutti sposati, gli Eagles di Philadelphia hanno un nuovo stadio e, soprattutto, nessuno gli parla più di Nikki, e anche le foto del loro matrimonio sono scomparse dal salotto. Dov'è finita Nikki? Come poterla contattare, chiederle scusa per le cose terribili che le ha detto l'ultima volta che l'ha vista? E come riempire quel buco nero tra la litigata con lei e il ricovero nel postaccio? E, in particolare, qual è la verità? Quella che ti fa soffrire fino a diventare pazzo, o quella di un adorabile ex depresso affetto da amnesie ma colmo di coraggiosa positività? Pat guarda il suo mondo con sguardo incantato, cogliendone solo il bello, e anche se tutto è confuso, trabocca di squinternato ottimismo, fino all'imprevedibile finale. L'orlo delle nuvole è argenteo, perché dietro c'è sempre il sole.

Ho qualche problema a scrivere questo commento. Il libro si legge bene e in fretta, è scorrevolissimo (merito anche dei capitoli brevi che ti spingono a dire "massì ancora uno" e senza accorgertente sei a pagina 150) ed è impossibile non affezionarsi al protagonista, appena uscito da un ospedale psichiatrico dopo un episodio che lui ha rimosso, e deciso a riconquistare la moglie migliorando se stesso e tutti quegli aspetti che lei non sopportava. Il suo motto è che bisogna sempre credere nel lieto fine, come i film ci insegnano, e che anche dietro le nuvole c'è sempre il sole. Ma il suo ottimismo è talmente esasperato (volutamente) da diventare quasi irritante. Ancor più se contrapposto al realismo di chi lo circonda e soprattutto degli eventi che si susseguono nella sua vita. Gli ci vorrà tutto il romanzo per capire che non sempre c'è il lieto fine. O meglio, che non sempre il lieto fine è quello che ci si aspetta.
E questo messaggio mi piace molto, così come mi piace il bellissimo finale... solo che ho trovato invece un po' troppo eccessivi (quasi impossibili) alcuni degli eventi che capitano al protagonista, tanto da perdere persino il loro lato comico, così il suo rapporto con certi personaggi all'interno del libro (suo padre in primis, che gli parla solo davanti alle partite della loro squadra del cuore, ma anche con l'amica pseudo pazza) che ti porta a provare necessariamente un po' di pena per lui.
Comunque merita di essere letto anche solo per i commenti che Pat fa ai libri che vengono fatti leggere nelle scuole superiori... semplicemente geniali!

Nota alla traduzione: non male direi... ci sono ndt per tradurre le canzoni, ma sono abbastanza giustificabili.

"mi sto esercitando ad essere gentile, invece che ad aver ragione"

giovedì 23 settembre 2010

IL VANGELO SECONDO GESU' CRISTO- Josè Saramago

Il Gesù Cristo di Saramago, da alcuni cristiani ortodossi ritenuto blasfemo, è un carattere fortemente spirituale, ma in tutto e per tutto umano, che incarna i dubbi e le sofferenze propri della condizione universale di uomo. Il figlio di Dio, dalla nascita a Betlemme alla morte sul Golgota, affronta le medesime esperienze descritte nel Vangelo, qui però narrate secondo una prospettiva terrena, con spirito critico e senso logico. In questa storia non c'è fede nei miracoli, bensì coscienza di trovarsi in balìa della volontà di potenza di un Dio padre distante e indifferente al dolore che provoca. La serie di disgrazie, stragi e morti che costellano l'esistenza di Gesù, fino al non cercato e non accettato compimento del destino di vittima sacrificale, diventa così un'occasione per riflettere sulla contrapposizione tra bene e male, sulla problematicità di fare il giusto tramite l'ingiusto, sull'imperscrutabilità del senso della vita umana e sulla sconcertante ambiguità della natura divina.

Leggere Saramago non è un'impresa semplice. Il suo stile, fatto di virgole senza punti a capo e di discorsi diretti mescolati alla narrazione, sembra quasi fatto apposta per scoraggiare il lettore. E si arriva a un punto (almeno con me è successo, a pochissime pagine dalla fine) in cui quasi non ce la si fa più, si ha bisogno di prendere aria per evitare di abbandonare il libro. Se succede anche a voi, vi prego, prendete aria e poi finitelo. Perchè è semplicemente geniale.
Solo Saramago poteva riuscire a prendere il Vangelo e riscriverlo così, con questa ironia e questa realtà. Potrebbe sembrare un processo blasfemo (ed effettivamente la Chiesa tanto d'accordo non era) eppure riesce a rendere un aspetto della vita di Gesù e di tutta la sua vicenda che la Chiesa e i vangeli officiali hanno sempre in qualche modo negato. Perchè il Gesù di Saramago è un Gesù umano, reale, che gode dei piaceri della carne (lo ammetto, leggere della scena di sesso con Maria di Magdala è stato un leggero trauma), che si infuria con la madre, abbandonandola al suo destino. E' un Gesù che non sa spiegarsi i suoi miracoli, che non accetta impassibile il destino che Dio ha scelto per lui. E questo Dio... cavolo... è tutto fuorchè buono e gentile come si vuole far credere (basti pensare a quanti innocenti ha lasciato che morissero perchè Gesù si salvasse), tanto che arriva già a predire le guerre, le crociate e le sofferenze che in suo nome, e stupidamente, saranno perpetuate.
Per una persona che è cresciuta in seno alla chiesa (più per tradizione che per credenza), e poi allontanata drasticamente, è comunque stato un po' sconvolgente leggere questo Vangelo, per via della narrazione molto reale e realistica di certi aspetti. E oltre lo choc, c'è il sospetto, o la consapevolezza, che forse se queste cose fossero state narrate fin da subito così, molti degli scettici e dei miscredenti ci penserebbero un po' di più, perchè riuscirebbero di più a identificarsi in questo Dio e in questo Gesù, che alla fine altro non era che un essere umano.
Armatevi di un po' di coraggio e di un po' di pazienza, e leggetelo. Merita davvero.

Nota alla traduzione: ben fatta direi!

domenica 19 settembre 2010

I NOSTRI ANTENATI- Italo Calvino

Un'armatura vuota animata da uno spirito invisibile che riesce a farsi accettare tra i Paladini di Carlo Magno, un visconte diviso a metà da una palla di cannone che si scinde in una parte buona e in una cattiva, un barone che, per sfuggire a un rimprovero, si rifugia sopra un albero e passa in mezzo agli alti rami tutta la sua esistenza.


25 anni fa oggi moriva Italo Calvino, uno dei maggiori scrittori e intellettuali italiani. E considerando che il nome di questo blog prende ispirazione da un suo romanzo, non potevo oggi non recensire qualcosa di suo. Ho scelto I Nostri Antenati, una raccolta di tre romanzi (Il Visconte Dimezzato, Il Barone Rampante, Il Cavaliere Inesistente), che ho letto quando ero più piccola e che mi sono rimasti nel cuore. Difficile dire qual è il mio preferito: il visconte Medardo di Terralba, diviso in lato buono e lato gramo da una cannonata turca, che così separato gira il mondo e conosce nuove cose. Il barone rampante, che per non sottostare alle leggi e alle imposizioni del mondo reale, decide di salire su un albero e di vivere lì per sempre, in un metaforico distacco da un mondo che non gli piace. E poi Il Cavaliere Inestistente, il mitico Agilulfo, un nobile paladino vestito di una bianca armatura, un eroe di guerra che in realtà non esiste. Tre personaggi, tre metafore e critiche al mondo moderno, troppo chiuso in stereotipi e preconcetti.
Il bello di questa raccolta è che in base all'età in cui la leggi, cambia il tuo modo di percepirla. Da bambina, quando l'ho letto la prima volta, vedevo solo la "favola", il buffo e l'ironico delle vicende (insomma, tutti almeno una volta da piccoli abbiam sognato di andare a vivere su un albero o abbiam pensato a se mai esistesse questa divisione netta a metà tra bene e male). Leggendolo poi dopo si coglie altro, si coglie la critica di Calvino, la metafora che sta dietro a tutti i suoi personaggi, chi senza corpo, chi senza coscienza, chi in cerca di fuga da un mondo che gli sta stretto. Insomma, è una di quelle raccolte che andrebbe letta periodicamente, a distanza di qualche anno. Ogni volta si coglie qualcosa di diverso. Fatelo!

venerdì 17 settembre 2010

UNA FRASE UN RIGO APPENA- Manuel Puig

Nella pampa argentina durante gli anni trenta un impenitente vitellone di provincia, tisico ma bellissimo, miete le sue vittime secondo schemi da romanzo rosa. Gelosie, rancori, intrighi casalinghi tingeranno di nero il romanzo.


Avevo voglia di recensire un libro e dato che al momento ne sto leggendo uno molto bello ma un po' impegnativo ("Il Vangelo secondo Gesù Cristo" di José Saramago) che mi ci vorrà ancora un po' per finire, ho guardato la mia lista di "Imperdibili" e scelto da lì di quale libro parlare.
"Una Frase un Rigo Appena" è un libro magnifico a cui sono molto legata. L'ho scoperto all'università, durante il corso di letteratura ispanoamericana e me ne sono innamorata. Un paio di anno dopo ho avuto anche la fortuna di conoscere il grande traduttore che l'ha tradotto e che purtroppo ora non c'è più. Insomma, un libro a cui tengo molto.
Manuel Puig prende eventi della vita quotidiana di un gruppo di persone molto semplici e li rende degni di apparire in un romanzo. Per narrare utilizza molti espedienti, molti sistemi diversi: ritagli di giornale, verbali, certificati di nascita e di morte, struggenti flussi di coscienza, riviste femminili e folletín. Per non parlare del filo conduttore del bolero Boquitas Pintadas, che lega tutto il romanzo. Insomma, tutto viene usato per narrare le vicende di questo bulletto, dietro a cui sbavano tutte le ragazze del paese, generando invidie, rancori e amori che in alcuni casi dureranno per sempre.
Un libro semplicemente bellissimo, che forse non molti conoscono ma che meritebbe di essere un best seller.

Nota alla traduzione: dovrei prendere e incollare la nota scritta in fondo al libro da Angelo Morino, il secondo traduttore di questo romanzo. Pessima la prima traduzione di Cicogna (ma realizzata anche in tempi diversi, con mezzi molto limitati), corretta quella di Morino. Due parole vanno spese sul titolo: "Boquitas pintadas" l'originale, da un celebre bolero, "Una frase un rigo appena" quello italiano, dalla canzone "Scrivimi". Una scelta azzeccatissima, fatta per rispettare il senso di folletín e di popolarità del romanzo originale.

"amore scrivimi, non lasciarmi più in pena, una frase un rigo appena calmeranno il mio dolor"

venerdì 10 settembre 2010

DONNA PER CASO-Jonathan Coe

Per Maria non c'è nulla di certo. La sua vita è una sequenza di episodi accidentali. L'amicizia di chi la circonda non la smuove, e non la smuovono neppure le reiterate offerte di matrimonio da parte di Ronny, innamorato devoto. Le piace vivere dentro i confini che certamente sente come il suo mondo ma che altrettanto sicuramente sa non essere prodotto di una "sua" precisa volontà. Si laurea, si sposa, ha un figlio e continua a non capire come di quegli eventi si possa dire "la mia vita". Esiste un grimaldello capace di far saltare l'apparente freddezza esistenziale di Maria? O tutto è destinato a finire com'è cominciato, vale a dire "per caso"? "Donna per caso" è il primo romanzo di Jonathan Coe.

E con questo credo di aver letto tutti i romanzi di Coe (le biografie no, ma magari più avanti).
Che dire di questo romanzo, il primo scritto da Coe (anche se arrivato in Italia solo dopo il successo della Casa del Sonno e della Famiglia Wishaw)? Sebbene abbia letto pareri contrastanti, anche tra gli amanti di questo grande autore, devo dire che a me non è dispiaciuto per nulla. Forse non tanto per la storia narrata (a lungo andare sta protagonista diventa un po' irritante, soprattutto per questo suo affidarsi al caso e lasciare che nulla intorno a sé la tocchi), ma per lo stile. Un narratore onniscente, che ogni tanto chiede scusa al lettore per la sua pedanteria o per la sua difficoltà a spiegare certi concetti. Un narratore che decide cosa merita che noi sappiamo della vita di questa donna e cosa no, e che quasi "parla" con i lettori. Questa è la genialità di questo libro, una caratteristica di Coe che si ritrova spesso in altri suoi romanzi, anche se forse mai in modo così marcato. Certo, a livello di trama, tutti gli altri sono molto meglio, forse perchè in questo una vera trama non c'è, è solo un seguire la protagonista attraverso le sue giornate.
Molto belle le ultime tre righe, con quel senso, ancora una volta, di essere in balia del destino.
E poi, ci sono certe perle qua e là che meritano proprio.

"Winnifred era tutto ciò che Maria non era, e anche di più. Era una persona felice, aperta, fiduciosa e sicura di sé che credeva nella benevolenza di Dio, nella santità del matrimonio e nella bontà innata della natura umana. Era idiota anche in altri modi comunque."

"Maria, la cui natura era essenzialmente fiduciosa, non aveva mai creduto in Dio, ma d'altro canto non aveva alcuna prova inconfutabile che lui credesse in lei"

Nota alla traduzione: non male!

martedì 7 settembre 2010

IL TEMPO CHE VORREI- Fabio Volo

"I'll trade all my tomorrows for a single yesterday: cambierei tutti i miei domani per un solo ieri, come canta Janis Joplin." È forse proprio questo il tempo che vorrei. Lorenzo non sa amare, o semplicemente non sa dimostrarlo. Per questo motivo si trova di fronte a due amori difficili da riconquistare, da ricostruire: con un padre che forse non c'è mai stato e con una lei che se n'è andata. Forse diventare grandi significa imparare ad amare e a perdonare, fare un lungo viaggio alla ricerca del tempo che abbiamo perso e che non abbiamo più. È il percorso che compie Lorenzo, un viaggio alla ricerca di se stesso e dei suoi sentimenti, quelli più autentici, quelli più profondi. Il nuovo libro di Fabio Volo è anche il più sentito, il più vero, e la forza di questa sincerità viene fuori in ogni pagina. Ci si ritrova spesso a ridere in momenti di travolgente ironia. Ma soprattutto ci si ritrova emozionati, magari commossi, e stupiti di quanto la vita di Lorenzo assomigli a quella di ciascuno di noi.

Il primo pensiero che ho avuto quando ho chiuso questo libro è stato "Il tempo che vorrei... non aver perso a leggerlo". Lasciate perdere, sul serio, non ne vale proprio la pena.
Cioè, per carità, se vi piacciono i luoghi comuni ogni tre righe, descrizioni dettagliate di scene di sesso (sul lavandino, sulla porta, contro il muro, nel letto, sulla sedia in terrazzo, davanti allo sportello del bancomat, etc etc) e di spiegoni (sempre luoghi comuni) su come funziona la mente delle donne. Se vi piacciono personaggi inconcludenti, che passano il tempo piangersi addosso e a lamentarsi di quanto è stata difficile per loro la vita. Se vi piacciono rapporti padre e figlio prima problematici e poi magicamente nel corso di due capitoli idilliaci (grazie ovviamente alla paura di una malattia) e storie d'amore della vita "ti amo, mi ami, ma è troppo tardi ormai perchè abbiamo tempi diversi". E ancora, se vi piacciono finali scontati e prevedibili e una scrittura piena di citazioni di grandi autori che tenta di offrirci nuove filosofie di vita. Beh, forse in questo caso forse potete anche leggerlo (forse eh).
Se no, sul serio, uscite e fatevi una passeggiata, andatevi a bere una birra o semplicemente sdraiatevi sul letto a contemplare il soffitto. Sempre meglio che leggere sta roba.

Ho sempre un po' diffidato da quelle persone che pensano di saper fare tutto e la quarta di copertina parla di Fabio Volo come di " scrittore, attore, conduttore televisivo e radiofonico"... tutto lui sa fare? Per carità, tanto di cappello... però, secondo me, non tutto gli riesce proprio bene (e i suoi romanzi, nonostante tutto il successo che hanno avuto, ne sono la prova).

Si è capito che non mi è piaciuto per niente?

venerdì 3 settembre 2010

FAHRENHEIT 451- Ray Bradbury

In un'allucinante società del futuro si cercano, per bruciarli, gli ultimi libri scampati a una distruzione sistematica e conservati illegalmente. Il romanzo più conosciuto del celebre scrittore americano di fantascienza.

Non so come mai, ma i romanzi "utopici" o "distopici" mi piacciono molto. Quei romanzi che parlano di come sarà il nostro futuro, se proseguiamo sulla strada che stiamo seguendo. E non per niente 1984 è uno dei miei romanzi preferiti.
Fahrenheit 451 mancava stranamente alla mia collezione. Incredibile, ancor più che si tratta di un inno ai libri e alla cultura in generale come unico modo per sfuggire da una vita pilotata e gestita da altri. Ed è proprio per questo che ci sono dei vigili del fuoco che appiccano incendi nelle case che contengono libri, e ci sono segugi meccanici che inseguono i sovversivi. Perchè pensare può essere pericoloso. E quindi chi pensa, e le cose che danno modo di pensare, vanno fatte sparire.
E' triste pensare che la società descitta in questo libro, scritto nel 1953, non sia poi così lontana da quella verso cui ci stiamo muovendo(soprattutto qui in Italia), con la televisione che la fa da padrone e il mettere a tacere chi ha il coraggio di pensare e riflettere.
E mi ha fatto sorridere pensare che io (così come tutti i lettori di questo blog), farebbero parte dei sovversivi, condannati a vivere lungo le rotaie abbandonate del treno ricordandosi a memoria i libri affinchè non vengano dimenticati.
E il finale, in cui si esprime la consapevolezza che il mondo è consapevole dei suoi sbagli, perchè sono sempre gli stessi che andranno avanti a ripetersi finchè non si capirà, è veritiero e per questo angosciante.

Nota alla traduzione: ma come è possibile che questo libro venga ancora venduto con una traduzione del 1975? Una traduzione che è invecchiata (ma che secondo me avrei giudicato mal fatta già allora) e che rovina il libro, rendendolo a tratti illeggibile.
Considerando che si tratta di un classico, che di soldi direi che gliene ha fatti guadagnare... potrebbero investirli anche in una nuova traduzione.