mercoledì 25 gennaio 2012

LA MERAVIGLIA DELLE PICCOLE COSE - Dawn French

Le famiglie perfette non esistono. Mo se lo ripete almeno una volta al giorno, ma è difficile convivere con il fallimento, è difficile arrendersi di fronte al fatto che la vita ti sfugge tra le dita, lasciando in cambio solo rughe e incomprensione. Ed è ancor più difficile per una madre che è anche psicologa per l'infanzia capire che i propri figli non ne vogliono sapere di aprirsi a lei, né tantomeno di seguire i suoi consigli. Allora la soluzione sembra semplice, forse la felicità si nasconde in una storia che ti fa sentire di nuovo donna, oppure nel distacco, nel riappropiarsi della libertà perduta. Ma ciò che Mo scopre davvero è che oltre il bianco e il nero, c'è qualcosa in più del grigio. E la meraviglia che si cela dietro i dettagli minimi, quelli più insignificanti... che a cercarli meglio aiutano a ritrovarsi.

Dopo un infruttuoso pomeriggio di shopping, ad assistere inerme mentre il mio ragazzo si rifaceva il guardaroba mentre io non sono riuscita a trovare assolutamente nulla, mi sono fatta portare in libreria, per tirarmi un po' su di morale. Quello che ho risparmiato in vestiti, potevo tranquillamente spenderlo in libri. E così sono entrata in una libreria Coop (mi piacciono un sacco, non so che dirvi) e sono uscita, tra gli altri, con questo libro. La cosa buffa è che non ne avevo mai sentito parlare prima, non lo avevo mai nemmeno visto. Eppure, è stato una sorta di richiamo. L'ho visto casualmente su uno scaffale, ho visto questa sua semplicissima e bellissima copertina, ho letto la trama e mi sono lasciata conquistare.

Lo ammetto, per le prime 70 pagine ho avuto paura di esserci ricascata per l'ennessima volta: bella copertina, belle recensioni, ma il libro in realtà fa fatica a decollare. Eppure, piano piano, andando avanti con la lettura, non ho potuto non appasionarmi alle vicende di questa imperfetta famiglia normale.
La madre, cinquantenne psicologa infantile, dei suoi figli adolescenti in realtà capisce poco nulla, così presa anche dalla sua idea di perfezione (nonchè dall'imminente menopausa).
Dora, la diciottenne primogenita, è in mezzo proprio alla pesante crisi che colpisce tutti gli adolescenti: sono brutta, sono sola, faccio schifo, tutti mi odiano, i miei non mi capiscono... meno male che c'è facebook!
Peter, o Oscar che dir si voglia, ha invece 16 anni ed è un piccolo dandy con la passione ossessione per Oscar Wilde. Nella sua stranezza ha una sua logica e un suo equilibrio che lo rendono una persona forte, seppur vittima delle angherie dei suoi compagni.
La nonna pronta ad ascoltare e a fare torte e dolci per consolare.
E poi c'è il padre, una figura di sfondo, ma in realtà vero pilastro della famiglia: pronto a proteggerla a costo di qualunque cosa.
Insomma, la descrizione di una famiglia normale: una famiglia tutto fuorché perfetta, con i suoi problemi, le sue crisi, le sue incomprensioni, le sue stranezze delle quali non si può non sorridere e che non si possono non condividere. Perché le famiglie perfette non esistono.
Un diario a sei mani, con madre, figlia e figlio che intervengono, un capitolo a testa, nel descrivere la loro vita, alla ricerca di sé stessi. Con il padre che interviene solo una volta, quando ce n'è veramente bisogno, ma che rimane sempre a vigilare dal fondo.

Mi è piaciuto, mi è piaciuto molto, sebbene la trama potesse essere facilmente prevedibile. Mi è piaciuta la leggerezza e la schiettezza con cui ha trattato certi argomenti. Mi è piaciuto il trionfare dei buoni sentimenti alla fine, perché è un modo per trasmettere l'idea che le tempeste capitano a tutti nella vita ma che poi ogni volta può tornare il sereno, se si rimane insieme ad affrontarle.

Nota alla traduzione: c'è qualche refuso, e qualche errore che non capisco se sia voluto oppure no: ogni tanto Oscar parla al femminile, potrebbe essere così anche in inglese per caratterizzare meglio il personaggio, difficile a dirsi. Comunque non male dai.

Per acquistare: La Meraviglia Delle Piccole Cose (Narrativa)

venerdì 20 gennaio 2012

DANNAZIONE - Chuck Palahniuk

Madison ha tredici anni ed è una ragazzina come tante. Be' insomma, più o meno... Figlia di una star del cinema parecchio narcisista e di un miliardario, viene, tra le altre cose, dimenticata per le vacanze di Natale nel suo collegio di iperlusso in Svizzera dai genitori, in giro per il mondo a caccia di orfani da adottare davanti ai media. Durante una notte degli Oscar, Madison riesce nella non facile impresa di morire per una overdose di marijuana, e all'improvviso si trova in una situazione assolutamente diversa da quella della maggioranza delle sue coetanee. Per dirla tutta, Madison non solo scopre di essere morta, ma per giunta di essere finita all'inferno, con la non esaltante prospettiva di dover trascorrere un bel po' di tempo (a occhio e croce l'eternità) tra le fiamme e quei tormenti che lo hanno reso tristemente famoso. Insomma, è innegabile che sia difficile pensare positivo, ma Madison è una ragazza pratica e cerca da subito di rendere meno terribili le sue prospettive: prima di tutto deve farsi degli amici, poi deve scoprire come funzionano le cose all'inferno. Infine (e questo è un obiettivo mica da ridere), deve cercare di farselo piacere. In poco tempo diventa amica di un gruppetto di coetanei: una cheerleader, un secchione, un punkrocker e un giocatore di football, e con loro attraverserà il Deserto di forfora e valicherà Colline di unghie tagliate, per arrivare alla città fortificata dove vive Satana...

Wow! E' il primo Palahniuk che leggo rischiando di vomitare una volta sola in tutto il libro! E ho anche finalmente imparato dove va l'h nel suo cognome!
Ma soprattutto: questo romanzo mi è piaciuto un casino! Niente più storie senza senso infarcite di frasi geniali (tipo "Rabbia"), nè allegorie della società per me incomprensibili (tipo "Fight Club", libro cult di cui, con somma vergogna, devo ammettere di non aver capito quasi niente). Questa volta Palahniuk fa una critica spinta della società in cui viviamo e lo fa tramite Madison, una bambina di 13 anni figlia morta apparentemente di overdose e per questo finita all'inferno.
Difficile capire come sia finita lì: non è mica colpa sua se i suoi genitori multimilionari adottano bambini proprio in uscita del nuovo film della madre per poi metterli in collegio subito dopo. Non è colpa sua se la imbottiscono di Xanax perché è di moda e perché una bambina deve provare tutto. Non è colpa sua se si dicono ferventi ecologisti e la seppelliscono in una bara biodegradabile ma raggiungono le loro 25 case sparse per il mondo con jet privati che consumano più di tutte le auto degli USA messe insieme. Lei è solo una bambina di 13 anni, obesa che ancora non ha raggiunto la pubertà.
Eppure, colpa sua o no, si ritrova all'inferno e, finché la sua domanda di reclamo non viene esaminata, lì deve "vivere". Che poi, se si supera il ribrezzo per lo sporco, per il sangue, lo sperma, la forfora e le unghie, non è poi così un brutto posto. Sarà lì infatti che Madison prenderà più coscienza di sé, stringerà delle amicizie con altri ragazzi morti per i motivi più disparati, inizierà a a lavorare come addetta al telemarketing (Palahniuk, qui sei stato veramente ma veramente un genio!), al punto da arrivare anche a convincere le persone a cui telefona che tutto sommato l'inferno non è poi così male, che ci vivono un sacco di persone interessanti (e insospettabili) e che a volte è persino meglio di quello che c'è sulla Terra.

Insomma, il libro mi è piaciuto un sacco. E' cinico al punto giusto (non troppo, cosa che negli altri suoi romanzi che ho letto, a tratti infastidiva), schifoso al punto giusto (ok, se volete vi dico quale capitolo è meglio che saltiate se siete facilmente impressionabili), parecchio comico e soprattutto che ti obbliga a riflettere parecchio sulle mode della società attuale, sul perché certi bambini crescono in un modo, sulla difficoltà di accettarsi e dell'essere sè stessi.
Certo, questo è solo il primo romanzo di una trilogia che toccherà, dopo l'Inferno, anche il Purgatorio e il Paradiso (e non riesco proprio a immaginarmi come possa essere rappresentato il Paradiso da questo autore), un novello Dante (tranquilli, in realtà non ha nessuna pretesa di esserlo) dell'era moderna.

Vi consiglio, prima di leggere il libro, di guardare il film " The Breakfast Club" di John Hughes, un film cult americano del 1985, a cui il libro liberamente si ispira e che viene citato spesso (ed è anche un bel film, tra l'altro).

Mai più avrei pensato di poterlo dire di un libro di Chuck Palahniuk ma: LEGGETELO!

Nota alla traduzione: a un certo punto compare un "con i suoi ditini" che proprio bene non ci sta... però considerando che a parlare sono bambini, si può accettare. Per il resto, nulla da dire!


Per acquistare: Dannazione (Strade blu)

martedì 17 gennaio 2012

L'INCONFONDIBILE TRISTEZZA DELLA TORTA AL LIMONE- Aimee Bender

Alla vigilia del suo nono compleanno, la timida Rose Edelstein scopre improvvisamente di avere uno strano dono: ogni volta che mangia qualcosa, il sapore che sente è quello delle emozioni provate da chi l'ha preparato, mentre lo preparava. I dolci della pasticceria dietro casa hanno un retrogusto di rabbia, il cibo della mensa scolastica sa di noia e frustrazione; ma il peggio è che le torte preparate da sua madre, una donna allegra ed energica, acquistano prima un terrificante sapore di angoscia e disperazione, e poi di senso di colpa. Rose si troverà così costretta a confrontarsi con la vita segreta della sua famiglia apparentemente normale, e con il passare degli anni scoprirà che anche il padre e il fratello - e forse, in fondo, ciascuno di noi - hanno doni misteriosi con cui affrontare il mondo. Mescolando il realismo psicologico e la fiaba, la scrittura sensuale di Aimeé Bender torna a regalarci una storia appassionante sulle sfide che ogni giorno ci pone il rapporto con le persone che amiamo.

Incredibile. Ci sono cascata di nuovo. Titolo bellissimo, copertina accattivante, retro di copertina che incuriosisce, suggerimenti da parte di amiche (e addirittura dalla commessa della libreria in cui l'ho comprato che tutta fiera mi ha detto "il bollino consigliato dal libraio" ce l'ho messo io).
Le premesse quindi c'erano tutte. Io adoro i libri che parlano di cibo, ancor più se hanno una bella torta al limone in copertina. Tendo a trovarmi d'accordo con il passaparola, con quei libri che non finiscono in classifica ma di cui si sente comunque parlare in qualche modo, e mi trovo in parte d'accordo sull'idea di fondo del libro, ovvero che i sentimenti di chi cucina si riflettono in qualche modo in quello che cucina.

Eppure qualcosa non ha funzionato.
Il problema principale è che forse non sono riuscita a simpatizzare con nessuno dei protagonisti. Ho trovato Rose, la voce narrante nonché personaggio principale, quasi insulsa, incapace di affrontare la vita e di cercare di trarre qualcosa di buono dal dono che la perseguita. La madre mi è parsa egoista. Del padre non ho concepito possibile il fatto che non volesse entrare in ospedale per paura di scoprire quale fosse il suo dono (perché pare essere una cosa di famiglia), nemmeno per assistere alla nascita dei figli. E il fratello, beh, ha un dono talmente strano e inutile che non riesco nemmeno a capire come si possa intendere tale (nè come mai i suoi genitori non si siano mai preoccupati delle sue eccessive stranezze). E poi c'è George, il bel George, amico del fratello, di cui lei è innamorata cotta. Ma che per come ha svolto la trama l'autrice, poteva benissimo anche non esserci.
Il dono di Rose è quindi solo un espendiente, per narrare le vicende incredibili di questa famiglia, senza che sia mai la ragazza il vero cardine di tutto.

Non lo so. Forse non ero in vena di libri troppo psicologici e strani, soprattutto visto che mi aspettavo altro. Forse a volte pecco di praticità e non sono in grado di lasciarmi andare alle favole, a sospendere l'incredulità e lasciarmi trasportare. Oppure non sono stata in grado di cogliere il messaggio nascosto dietro tutto questo (sì, ok, dobbiamo amare chi ci sta accanto indipendentemente dalle sue stranezze e dai suoi problemi e sostenerlo in ogni momento, anche quando non capiamo, e questo lo sapevo già, anche se non credo che sia sempre possibile).
Di buono c'è che si legge veramente bene, è molto scorrevole e ha la capacità di tenerti incollato alle pagine (nella speranza forse che dopo migliori).
Una grande idea, a mio avviso, sprecata.

Nota alla traduzione: nulla da dire direi!

Per acquistare: L'inconfondibile tristezza della torta al limone (Sotterranei)

domenica 15 gennaio 2012

FALLO -Demetrio Tondella

Il protagonista di quest'avventura in Francia sei tu. Se saprai metterti in discussione potrai viaggiare, parlare una nuova lingua, riscoprire un'amicizia e crearne di nuove, distinguere l'amore dall'infatuazione e ritrovare la grinta, la speranza e il sorriso. Puoi darti un'opportunità di riscatto, perché non farlo? E allora FALLO.

E' la prima volta che mi capita di leggere un libro di cui conosco personalmente l'autore.
E devo ammettere che questo mi crea qualche difficoltà nello scrivere la recensione. Da un lato ho paura di non essere imparziale e di fare un commento super positivo solo perché conosco Demetrio e perché trovo semplicemente fantastico il fatto che sia riuscito a realizzare il sogno, che io e sono sicura molti altri hanno, di scrivere un libro. Dall'altro ho paura che per questa mia paura di non essere imparziale la mia recensione venga fuori troppo acida o troppo puntigliosa.
Insomma, è difficile.
Cercherò di non pensare ai primi anni di liceo, al periodo in cui capitava di uscire tutti in gruppo. Cercherò di non pensare che il Demetrio Tondella autore di questo libro è lo stesso con cui un'estate abbiam fatto il bagno nel Lago Sirio a Ivrea o che salutavo sempre con un sorriso quando capitava di incrociarlo per Torino. Insomma, cercherò di parlare solo ed esclusivamente del libro.

"Fallo" non è proprio un vero romanzo. Lo classificherei più come il diario di un venticinquenne alla ricerca del proprio futuro. In un momento di dubbi e di scelte, il protagonista (che è il lettore, perché è tutto scritto in seconda persona) decide di partire per la Francia, per imparare il francese in vista del test di ingresso di un master che si svolgerà a Parigi. Ma non prenota un albergo o affitta una casa, no. Sceglie invece due modi di viaggiare particolari, che ammetto di non aver mai sentito nominare prima di leggere questo libro: il "couchsurfing", ovvero girare il mondo "di divano in divano", facendosi ospitare da chi aderisce a questa iniziativa, e il "woofing" ovvero offrire il proprio lavoro in cambio di vitto e alloggio in fattorie biologiche.
Demetrio ci racconta la sua esperienza diretta, i rapporti che si creano con chi ospita, la fatica del lavoro ma anche la soddisfazione nell'andare d'accordo con i propri host. Certo, il suo vivere in campagna (ad Andrate, un paesino sperduto sulla Serra eporediese) in questo lo aiuta molto. Ci racconta del bello e del brutto di questa pratica: degli host collaborativi che apprezzano il tuo lavoro e di quelli che invece ti sfruttano e basta, snaturando la vera funzione del woofing. Ci racconta di nuovi incontri, di sbandate e innamoramenti, in un viaggio per trovare sé stessi.

Certo, il libro è un'opera prima, autopubblicata, che quindi non ha alle spalle editor e correttori di bozze professionisti, che da un lato lasciano all'autore la spontaneità della narrazione ma dall'altro non evitano qualche refuso che si trova qua e là.
La scrittura è una scrittura di getto, senza troppa attezione allo stile, cosa che si rispecchia nell'alternarsi di frasi semplicemente geniali ad altre un pochino scadenti (personalmente, ho trovato l'unica scena di "quasi" sesso un pochino imbarazzante per come è stata descritta, ma forse in questo caso il conoscere l'autore un pochino ha influito).
Anche la scelta della narrazione in seconda persona a tratti è risultata macchinosa, ma forse perché mi conosco e so che non avrei mai lo spirito d'avventura e il coraggio di girare la Francia di divano in divano e di fattoria in fattoria.

Detto questo, il libro ha sicuramente del potenziale. Anche perché si fa leggere bene, si partecipa con le avventure e le disavventure del protagonista, si parteggia per lui quando ci sono host antipatici e si apprezza la simpatia di quelli che invece lo accolgono bene. Anzi, a volte si avrebbe voluto saperne di più, conoscere ancora più aspetti dei protagonisti, leggere magari qualche scambio di dialogo, perché, almeno in me, è nata una curiosità molto forte di sapere come si riesce a vivere per un paio di giorni, ma anche per settimane, in casa di persone che non si conoscono, cosa si riesce a dire.
E sarebbe bello anche riuscire a vivere all'insegna della "serendipity", cosa che al protagonista del romanzo riesce proprio bene: l'idea di vivere le cose come vengono, senza stupirsi, di godersi le situazioni e gli eventi che capitano, perché la felicità si può trovare quando meno se lo si aspetta, anche mentre se si sta cercando altro.

E quindi, lasciatemelo dire, Demetrio ha fatto un grande lavoro, mettendo per iscritto le sue sensazioni, le sue avventure, la sua ansia da futuro e le sue indecisioni, condividendo con i lettori questi sentimenti, perché alla fin fine sono cose in cui ci possiamo trovare tutti (l'ansia da futuro nei venticinquenni credo sia molto diffusa)
In parte provo anche un po' di invidia, non posso negarlo, perché scrivere un libro è un sogno che porto nel cassetto da un po' (e quando ho conosciuto Demetrio ero nella fase più creativa della mia vita, scrivevo racconti a raffica... che poi ho mollato lì).
E sono contenta che almeno lui sia riuscito a realizzare questo sogno.


Per acquistare il libro in formato e-book: FALLO
Per acquistare il libro in formato cartaceo: Fallo, di Demetrio Tondella
Per maggiori informazioni su Demetrio e il suo libro: www.DemetrioTondella.com

mercoledì 11 gennaio 2012

LA TIA JULIA Y EL ESCRIBIDOR -Mario Vargas Llosa

Vi si narra la vicenda o meglio la carriera, di Pedro Camacho, fecondissimo produttore boliviano d'intrecci (lo chiamano anche Balzac creolo) che, chiuso in una mefitica stanzetta, sforna trame melodrammatiche e truculente per un programma di feuilleton di Radio Lima. Tutti attendono con impazienza le puntate della sua fantasia, ma improvvisamente le differenti trame di appendice prendono a confondersi tra loro. Camacho è impazzito e sarà degradato a galoppino d'una rivista di sicuro fallimento. D'altro lato, ecco invece la storia di Mario, giovane aspirante scrittore attratto da questa curiosa macchina dell'immaginario che ci racconta una sua complicata storia: s'innamora di una zia vedova e più matura che finirà per sposare.


Io adoro Mario Vargas Llosa. E' il suo secondo romanzo che leggo negli ultimi due mesi e non riesco nemmeno a decidere quale dei due sia meglio. Così come avevo adorato "Avventure della ragazza cattiva", per il suo modo di narrare, per i protagonisti e per il modo in cui ha raccontato una storia d'amore tormentatissima, ritrovo esattamente le stesse cose ne "La Tía Julia y el escribidor" (in italiano: "La zia Julia e lo scribacchino"). A cui si aggiunge forse qualcosa in più.
Il libro narra del giovane scrittore Varguitas, un diciottenne, che si ritrova di colpo innamorato di sua zia Julia, tornata in Peru dopo il fallimento del suo matrimonio. La loro è ovviamente una storia d'amore impossibile: troppa differenza d'età, lui ancora minorenne, lei di 14 anni in più. Ma i due si amano e sono disposti a tutto pur di stare insieme. Ai capitoli che narrano le loro vicende, si alternano altri capitoli, che altro non sono che puntate delle radionovelas scritte da Pedro Camacho, grande autore di questi intrecci per radio, mandate in onda appunto dalla radio per cui lavora Varguitas. Queste storie si fanno sempre più confuse, al punto che lo stesso Camacho arriverà a confondere e mischiare personaggi, e a risolvere questi sbagli nel modo più drastico possibile.
Un'idea questa di Vargas Llosa che ho trovato semplicemente geniale. Un po' per non stancarsi e appesantire troppo la storia tra la tía Julia e il suo giovane amante, un po' per il parallelismo che ovviamente si crea tra i drammi a puntate che tutto il paese segue e la storia d'amore tra i due protagonisti.
Vargas Llosa è forse uno dei pochi premi Nobel scorrevoli e a tratti divertenti da leggere (ok, ammetto di non aver letto molti libri scritti da premi Nobel, ancor più che capita spesso che li assegnino a scrittori, poeti o letterati che nemmeno ho mai sentito nominare). Di sicuro, quello per Vargas Llosa è strameritato.
Certo, io forse sono anche un po' di parte, perché amo praticamente tutta la letteratura sudamericana, amo leggere i libri in lingua originale (come è avvenuto in questo caso), e ogni volta mi appassiono a quelle trame che solo gli autori che sono nati e hanno vissuto nel contesto dell'America del Sud riescono a tirare fuori.
Ma è un grandissimo e bellissimo libro, che consiglio a tutti di leggere.


Per acquistare il romanzo in italiano: La zia Julia e lo scribacchino (Einaudi tascabili. Scrittori)

per comprare il romanzo in lingua originale: La tia Julia y el escribidor


mercoledì 4 gennaio 2012

HARRY, RIVISTO - Mark Sarvas

Chi sognasse di incontrare finalmente un personaggio sfaccettato, deprecabile e irresistibile, insomma magistralmente imperfetto, sappia che Harry Rent, radiologo californiano quarantenne, non solo non lo deluderà, ma si inciderà profondamente nella sua memoria: perché Harry, maldestro in ogni sua impresa, è un uomo che migliora soltanto attraverso i suoi sbagli. La moglie è morta durante un intervento di chirurgia estetica, ed è con riluttante empatia che ricostruiamo a ritroso un viaggio emotivo fatto di rimorso, nostalgia, rancore, desolazione, e della immediata tentazione di un nuovo amore. Proprio per far colpo sulla nuova improbabile preda, Harry si imbarca in una serie di avventure che porteranno ad altrettanti comicissimi disastri, sullo sfondo di un'America contemporanea che Sarvas dipinge con scanzonata, crudele ironia, disseminando il racconto di tocchi di suspense.

Affrontare la prematura dipartita di una persona cara non è una cosa semplice e non esiste un modo giusto o sbagliato per farlo. E ancora più difficile diventa quando ci si sente in qualche modo colpevoli per quello che è successo. E' quello che capita a Harry, rimasto vedovo dopo che la moglie Anna è morta durante un intervento di chirurgia estetica. Harry non riesce a piangere, a stento capisce come mai gli altri piangano così tanto. Si sente come in una bolla, che proprio non ne vuole sapere di esplodere. Quindi, per il momento, l'unico modo che ha per affrontare questa perdita è quello di tentare di conquistare la cameriera carina che ha conosciuto al bar la mattina prima di andare al funerale.
Per farlo mette in atto una strategia da novello conte di Montecristo, personaggio che diventerà la sua fonte di ispirazione per le sue azioni. Harry deciderà infatti di conquistare il cuore della bella Molly diventando il benefattore di Lucylle, collega e amica della ragazza. Cosa c'è infatti di più sexy di un uomo che fa del bene agli altri senza motivo e senza chiedere nulla in cambio?
Il problema è che Harry è goffo e pasticcione, che sembra non riuscire a combinarne una giusta. Ma d'altronde anche la moglie si è sempre vergognata di lui. Fin dalla prima volta in cui l'ha presentato ai suoi genitori. E Harry lo ha sempre saputo e ha sempre sofferto per questo, pur mettendosi sempre da parte per amore di lei.

La narrazione del romanzo si alterna tra passato e presente: i rapporti di Harry con la moglie, le prime umiliazioni, le prime bugie si alternano ai maldestri tentativi di Harry di conquistare Molly e alle sue azioni non del tutto sincere di aiutare Lucylle. E poi ovviamente qualcosa cambia, Harry prende coscienza di sé, di quello che è stato e di quello che da adesso in poi dovrà essere.

Trovo che sia un libro molto bello, che ti butta all'interno del vortice della vita e dei pensieri di Harry senza permetterti di uscirne. Harry è un eroe sfigato, consapevole della sua goffaggine ma che vorrebbe smettere di esserlo. E' un personaggio maldestro e insicuro per cui è difficile non provare simpatia. E le situazioni in cui si ritrova, in cui si infila da solo, sono spesso molto esilaranti (e Lucylle, altro personaggio che ho adorato, è decisamente un'ottima spalla).
Mi è piaciuto parecchio e lo consiglio a tutti!

Nota alla traduzione: quando sono andata alla Fiera del Libro di Torino del 2011, nello stand Adelphi stavo raccontando al mio ragazzo di quanto poco mi piacciano le traduzioni di questa casa editrice. Una mia docente all'Università ci aveva raccontato delle politiche traduttive adottate da questo editore e da allora ho iniziato a farci più attenzione. (Ok, dirlo proprio dentro lo stand dell'Adelphi non è stato molto gentile, ancor più che una signora mi ha sentito ed è corsa a riferirlo al marito... ma va beh, direi che non sono falliti). Questo traduzione conferma ancora una volta questa mia opinione negativa. Scelte di parole parecchio infelici, utilizzo di termini arcaici completamente ingiustificato ("Donde viene", "Passa por mente", "Positura", "diecine") si alternano a veri propri errori ("gli passò un SALVIETTINO PULITO"). Per un momento si potrebbe anche pensare che sia così anche l'originale, ma se si prende un qualunque altro libro di Adelphi si ritrovano facilmente le stesse scelte infelici, creando così una sorta di traduzione standardizzata. Che a mio avviso, rovina i libri.


Per acquistare: Harry, rivisto (Fabula)

lunedì 2 gennaio 2012

IL CENTENARIO CHE SALTO' DALLA FINESTRA E SCOMPARVE - Jonas Jonasson

Allan Karlsson compie cento anni e per l'occasione la casa di riposo dove vive intende festeggiare la ricorrenza in pompa magna, con tutte le autorità. Allan, però, è di un'altra idea. Così decide, di punto in bianco, di darsela a gambe. Con le pantofole ai piedi scavalca la finestra e si dirige nell'unico luogo dove la megera direttrice dell'istituto non può riacciuffarlo, alla stazione degli autobus, per allontanarsi anche se non sa bene verso dove. Nell'attesa del primo pullman in partenza, Allan si imbatte in un ceffo strano, giovane, biondo e troppo fiducioso che l'attempato Allan non sia capace di colpi di testa. Non potendo entrare nella piccola cabina della toilet pubblica insieme all'ingombrante valigia cui si accompagna, il giovane chiede ad Allan, con una certa scortesia, di vigilare bene che nessuno se ne appropri mentre disbriga le sue necessità. Mai avrebbe pensato, il biondo, quanto gli sarebbe costata questa fiducia malriposta e quella necessità fisiologica. La corriera per-non-si-sa-dove sta partendo, infatti. Allan non può perderla se vuole seminare la megera che ha già dato l'allarme, e così vi sale, naturalmente portando con sé quella grossa, misteriosa valigia. E non sa ancora che quel biondino scialbo è un feroce criminale pronto a tutto per riprendersi la sua valigia e fare fuori l'arzillo vecchietto. Un centenario capace di incarnare i sogni di ognuno, pronto a tutto per non lasciarsi scappare questo improvviso e pericoloso dono del destino.

Iniziamo le letture di quest'anno con un libro difficile da recensire. Ho finito "Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve", libro che volevo leggere già da parecchio tempo, una mezz'oretta fa e ancora non sono riuscita a capire se mi è piaciuto o no.
Il romanzo racconta di Allan, un centenario che non ha nessuna intenzione di farsi festeggiare dalla casa di riposo in cui vive e che per questo decide di fuggire in pantofole, semplicemente saltando dalla finestra e dirigendosi verso la stazione dei bus. Da qui avrà inizio una fantastica avventura che avrà come protagonisti criminali incalliti, ladruncoli da quattro soldi, il proprietario di un chiosco quasi laureato in tutto, suo fratello, una donna, un elefante e ovviamente dei poliziotti che daranno loro la caccia. A questa avventura nel presente, si alternano quelle della vita passata di Allan. E non si possono nemmeno immaginare tutte le cose che ha visto Allan nella sua lunga vita centenaria: guerre, rivoluzioni, bombe atomiche, gulag, russi, cinesi, nazisti e comunisti. Il tutto narrato in modo ironico e mai noioso.

Perché allora non riesco a decidere se il libro mi sia piaciuto o meno? Un po' perché il protagonista richiama troppo Forrest Gump: leggermente mentalmente disturbato, gira il mondo lasciandosi trasportare dagli eventi e facendo le cose solo se gli vanno a genio o in base a come gli viene chiesto, senza considerare aspetti ideologici e politici. E alla lunga le avventure che capitano ad Allan diventano quasi eccessivi, oltre che un pochino moralmente deplorevoli (non posso dire troppo per non svelare la trama, ma penso che leggendo capirete da soli). Certo, in cento anni di cose gliene sono successe per forza e credo che scopo dell'autore sia anche quello di trasmettere una certa voglia di vivere, di affrontare le avventure così come vengono senza mai darsi per vinti e senza smettere di sperare che tutto si possa risolvere.
Però boh, c'è sempre qualcosa che ancora non mi torna.
Lo stile di Jonasson è poi molto particolare, all'inizio l'ho trovato quasi irritante: troppe ripetizioni, un uso smodato del discorso indiretto. Però mano a mano che si procede con la lettura si capisce come questo stile sia funzionale alla storia e al carattere del protagonista. Poi certo, probabilmente il fatto di essere tradotto dallo svedese non aiuta.

E' sicuramente una lettura piacevole e che cattura, uno di quei libri che non si riesce a mettere giù finchè non si è finito di leggerli e che fa divertire parecchio.
Quindi boh, credo che mi sia piaciuto, ma con qualche piccola riserva. Sicuramente non mi sentirei mai di sconsigliarlo.

Nota alla traduzione: come dicevo prima, immagino non sia un romanzo semplice da tradurre. Nulla da dire comunque.

Per acquistare: Centenario che saltò dalla finestra (Narratori stranieri Bompiani)