«E se avevi tutte queste preoccupazioni, perché non sei venuto prima?»
«Perché sapevo dov'eri e dove hai passato le ultime notti. Lo sa tutto il paese.»
«Cosa sanno di me?»
«Sanno che scendi dall'autobus alla fermata della zona industriale e che poi vai a casa cercando di non incrociare nessuno. Me l'ha raccontato in ospedale qualcuno che ti ha visto. Per questo non mi sono allarmato. E può darsi che Nerea abbia fatto diversi tentativi di parlare con te. Non ti chiederò che intenzioni hai. È il tuo paese, la tua casa. Ma in caso tu voglia far rivivere storie del passato, ti sarei grato se mi tenessi al corrente.»
«Sono cose mie.»
Xabier ripose i suoi strumenti e il campione di sangue nella valigetta.
«Io faccio parte di questa storia.»
La prima parola che mi viene in mente per descrivere Patria,
l’ultimo romanzo di Fernando Aramburu pubblicato in Italia da Guanda con la
traduzione di Bruno Arpaia, è: monumentale. Poi, pensandoci, mi rendo conto che
non sarebbe la parola più giusta perché, insieme alla mole abbastanza
consistente del libro, potrebbe in qualche modo spaventare i lettori, rischiando di tenerli lontani.
La seconda parola sarebbe "bellissimo", perché effettivamente
lo è, ma anche in questo caso sarebbe un po’ riduttivo per descrivere appieno
tutte le sensazioni che la lettura di questo libro mi ha suscitato.
Mi ci sono
avvicinata con curiosità, un po’ di tempo dopo la sua uscita, dopo averne
sentito parlare sempre e solo con toni entusiastici. Non ho sentito nessun “è
un’opera commerciale”, un “piace a tutti solo perché”… insomma, tutte quelle
frasi che di solito arrivano di pari passo con quei libri che in molti
considerano belli e che quindi bisogna per forza criticare. Patria di Aramburu
è piaciuto a tutti quello che lo hanno letto. E non fatico minimamente a
capirne il perché.
Il romanzo parla dell’ETA, l’ex organizzazione armata basco-
nazionalista separatista dei Paesi Baschi che, dal 1959, anno in cui è stata
creata, fino al 2011 lottava per l’indipendenza basca del resto della Spagna
attraverso la lotta armata e gli attentati. E lo fa raccontando la storia di
due famiglie, il cui destino è stato intrecciato per tutta la loro vita. Da una
parte c’è la famiglia di Joxian, sposato con Miren e padre di due figli maschi
e una femmina. Dall’altro c’è lo Txato, con sua moglie Bittori e due figli, un
maschio e una femmina. Sono molto amici Joxian e Txato: sono cresciuti insieme
in un piccolo paesino alle porte di San Sebastián, vanno insieme in bicicletta
tutte le domeniche e da sempre si aiutano come possono. Altrettanto amiche sono
Miren e Bittori, nonostante le loro differenze caratteriali che riescono ad
appianare.
Bittori era più da fette di pane tostato con la marmellata e decaffeinato da bar; Miren da cioccolata con churros. Ma quanto fanno ingrassare! Non le importava. Andavano d'accordo? Moltissimo, erano intime. Un sabato andavano tutte e due in un caffè dell'Avenida, quello dopo in una churrería della Città Vecchia. Sempre a San Sebastián. Dicevano San Sebastián, in castigliano, oppure Donostia, in basco. Non erano rigide. San Sebastián? Allora San Sebastián. Donostia? Allora Donostia. Iniziavano a chiacchierare in euskera, passavano al castigliano, di nuovo all'euskera e così per tutto il pomeriggio.
E ovviamente crescono insieme anche i figli, compagni di
giochi e di avventure, nonostante le età differenti, come sempre succede quando
si è ragazzi.
All’improvviso però qualcosa tra di loro cambia. Per le vie del paese iniziano
a comparire scritte minacciose nei confronti del Txato, reo di essersi
rifiutato di pagare, o di aver pagato troppo poco, i soldi richiestigli dall’ETA.
In quel momento, tutto il paese si allontana dalla famiglia del Txato, perché
tutti sanno che non bisogna rimanere vicini a chi è vittima delle minacce dell’ETA
per non rischiare. Anche il legame tra il Txato e Joxian si allenta, con un po’
di delusione e di dispiacere da parte di entrambi. Ma Joxian purtroppo non può
farne a meno, combattuto tra l’affetto per il suo migliore amico e la sua
famiglia, forse molto più coinvolta di quanto non sembri all’apparenza.
Poi succede quello che tutti pensavano sarebbe successo, ma
nessuno si aspettava veramente. E Bittori decide di non andare avanti, di non
superare la cosa, di non avere pace finché qualcuno non si scuserà con lei.
Oltre che nella storia, la bellezza di Patria sta nel modo
in cui il tutto viene raccontato: Aramburu salta continuamente tra passato e presente, da un
personaggio all’altro, raccontando quello che ha vissuto all’epoca, come ha reagito a quanto successo (chi non ha avuto il coraggio di tornare, chi non ha quello di andarsene) e quello che
sta vivendo ora. Incastri perfetti tra una storia e l’altra, susseguirsi di
eventi e di emozioni che, in un modo o nell’altro, ritornano sempre a quell’evento
terribile che ha segnato la vita di tutti. Il risultato è un romanzo intenso,
che coinvolge il lettore fin dalla prima pagina e non gli permette di andarsene
finché non è arrivato alla fine. Durante la lettura, si pensa al libro sempre,
anche quando non lo si sta leggendo. Ci si arrabbia, si affibbiano colpe e si
arriva quasi a odiare certi personaggi, anche se poi nella pagina dopo magari
un po’ li si capisce anche, così come si prova tenerezza e dolcezza per dei
piccoli gesti: un geranio sul balcone, un pugno alzato e un sorriso stentato,
un braccialetto, un abbraccio.
Anche io ho motivi in abbondanza per essere a pezzi. Però, guarda, a Londra, la sera stessa in cui mi sono accordata con Quique per vivere separati per un periodo, ho fatto un giro sulla riva del fiume. Mi sono detta: che faccio? Mi butto in acqua e ciao, o cerco una via d'uscita dal labirinto in cui mi trovo da molto, troppo tempo? E ho visto la corrente torbida, e i riflessi della città nell'acqua, e poi ho visto la gente, e ho sentito della musica da qualche posto lì vicino, avevo il vento sulla faccia e ho concluso: che cazzo, Nerea, solleva quella faccia, non rassegnarti, vivi, sì, vivi, ragazza, anche se sei a pezzi, muoviti, combatti, cerca.
Fernando Aramburu in Patria ha raccontato una parte della
storia della Spagna che nei libri, almeno qui in Italia, non compare così
spesso. Forse perché le azioni dell’ETA sono ancora così vivide nella memoria
di chi le ha vissute, o forse perché le dinamiche sono troppo complesse per
riuscirne a parlare. Questo libro lo fa magistralmente, fornendo il ritratto di
un paese, di una comunità, ma soprattutto di vite umane che, da una parte e
dall’altra, devono trovare un modo fare i conti con quanto successo e per andare avanti, o potersi finalmente lasciar andare.
Autore: Fernando Aramburu
Traduttore: Bruno Arpaia
Pagine: 632
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Guanda
Prezzo di copertina: 19,00 €
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formato cartaceo:Patria
formato ebook: Patria
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