Credo molto poco nella qualità letteraria del premio Strega. Perché è più una questione di case editrici, e di influenza e potenza delle stesse, che non di bravura degli autori. Non sto dicendo che tutti i vincitori o i finalisti dello Strega non siano bravi scrittori, ci mancherebbe. Dico che, per quanto mi riguarda, non è un parametro che può influenzare la mia scelta di leggere o meno un libro (a differenza del Pulitzer, ad esempio, di cui mi fido ciecamente).
Quest'anno però ho letto sia il vincitore del Premio Strega chiamiamolo ufficiale, Francesco Piccolo, e, adesso, anche il vincitore del Premio Strega Giovani 2014 (che viene assegnato dagli studenti delle scuole superiori), questo giovane Giuseppe Catozzella.
La storia che racconta Catozzella nel suo libro è una storia forte e, soprattutto, una storia vera: quella di Samia, una ragazza somala che nel 2008 è riuscita a qualificarsi per correre i 200 m alle Olimpiadi di Pechino. Ha perso, ovviamente, perché la sua preparazione fisica era nettamente inferiore a quella di tutte le altre: lei si allenava in mezzo alle rovine, coperta da un burqua e senza alcun preparatore atletico, se non il suo migliore Alì. Tutto il mondo però, quando l'ha vista correre e arrivare dieci secondi dopo le altre, ha tifato per lei. Ma è la storia anche di quella Samia che sognava le Olimpiadi del 2012 a Londra ed è morta in mare mentre cercava di raggiungere l'Italia e poi la sorella nel Nord Europa, per potersi preparare al meglio. Inseguiva un sogno, Samia. Un sogno che si infranto in mare, come quello delle migliaia di profughi che ogni giorni tentano disperatamente di fuggire dal loro paese e dalle condizioni terribili in cui vivono, in cerca di una vita migliore.
Quella di Samia è una storia che colpisce molto e che meritava sicuramente di essere raccontata (come sono sicura lo meriti quella di chiunque perda la vita così). Il problema è che non basta una storia forte e potente per fare di un libro un bel libro. Non basta nemmeno avere il coraggio di raccontarla, nonostante sia già di per sé ammirabile. Ci va anche un certo stile, una certa bravura, che, mi spiace dirlo, io in Giuseppe Catozzella non ho trovato. Il suo modo di scrivere è probabilmente indirizzato a un pubblico più giovane (e non per niente ha vinto il Premio Strega Giovani), che fa più attenzione alla storia che non al modo in cui è narrata. Per me, è stata una lettura incredibilmente difficile: troppe similitudini, troppe ripetizioni, un linguaggio troppo semplice che, non si sa bene come, non riesce nemmeno a risultare scorrevole. Più e più volte ho avuto la tentazione di prendere una matita e sistemare le frasi, la sintassi, di eliminare qualcosa. Oltre a questo, c'è stata poi la voglia di saperne di più: è una sorta di diario, certo, ed è scritto in prima persona da una ragazza poco più che adolescente, quindi è normale che non ci siano analisi più approfondite di certi argomenti. Però, ecco, si ha la sensazione di frettolosità, di mancanza di qualcosa, di scarso approfondimento.
E trovo che questo sia davvero un peccato, perché una storia così forte, così toccante e disperata, si sarebbe meritata sicuramente una scrittura migliore.
E trovo che questo sia davvero un peccato, perché una storia così forte, così toccante e disperata, si sarebbe meritata sicuramente una scrittura migliore.
Titolo: Non dirmi che hai paura
Autore: Giuseppe Catozzella
Pagine: 236
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Feltrinelli
ISBN: 978-8807030772
Prezzo di copertina: 15 €
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formato brossura: Non dirmi che hai paura
Scusami, ma la ragazzina protagonista si chiama Samia, non Amina...
RispondiEliminaHo dimenticato il link: http://it.wikipedia.org/wiki/Samia_Yusuf_Omar
EliminaNo no ma hai ragione, me ne sono resa conto appena l'hai scritto anche senza link!
EliminaNon so perché mi è venuto da scrivere Amina, ovunque tra l'altro -.-' Forse devo farmi vedere da uno bravo :P
Ora ho corretto tutto... grazie ancora per la segnalazione (e firma la prossima volta, che non mi arrabbio certo per così poco, anzi!)
Concordo pienamente. Non comprendo come una scrittura così semplice riesca ad essere allo stesso tempo, altrettanto ostica e stentata. Sul piano psicologico il racconto in prima persona, inizialmente adottando quindi il punto di vista di una bambina di otto anni, in certi tratti appare piatto e in altri incongruo con il personaggio. Forse la terza persona avrebbe permesso un respiro più ampio e descrizioni più articolate
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