martedì 2 luglio 2013

Festival letterari: una semplice operazione di marketing?

Come vi avevo già accennato nel post sulla mia Grande Invasione, durante l'incontro "Leggere la rete", nel quale sono intervenuti alcuni membri dei più diffusi book blog italiani, è stata posta una domanda un po' provocatoria da parte di un ragazzo del pubblico.
Il ragazzo ha chiesto se tutto questo (la conferenza nello specifico, ma anche tutta la rassegna in generale) non fosse altro che un'operazione commerciale, il cui fine è semplicemente quello di vendere i libri (nello specifico della minimumfax, visto che la rassegna è stata organizzata da loro in collaborazione con libreria La galleria del libro di Ivrea).
Il pubblico lì presente quindi, per questo ragazzo, altro non era che il target di un prodotto, che è stato accalappiato tramite un'operazione commerciale al fine di un guadagno.


Premesso che io stessa sono uscita da uno di questi incontri (il reading di "Una cosa divertente che non farò mai più" di David Foster Wallace da parte di Giuseppe Battiston) e sono corsa immediatamente a comprare il libro, onestamente durante i giorni e durante gli incontri a cui ho partecipato non mi sono mai sentita una semplice acquirente a cui si stava cercando di rifilare qualcosa. Né in questa rassegna né in altre a cui ho partecipato. Nessuno mi ha puntato una pistola alla testa dicendomi "compra assolutamente questo libro", né mi è stato vietato l'ingresso se in mano non avevo la giusta edizione o se mi ero portata il libro da casa anziché acquistarlo sul momento.

E' ovvio che una rassegna del genere, così come tutte le rassegne, ha anche scopo pubblicitario e di vendita. Ma, almeno per me, risulta impossibile pensare che sia solo ed esclusivamente quello. Si è fatta cultura in quei quattro giorni. Così come si fa in ogni festival letterario, in ogni presentazione di un libro, in ogni intervista.
Poi,  certo, se io sull'onda dell'entusiasmo per quello che ho visto, letto, sentito voglio acquistare il libro è una scelta mia, che ovviamente porta poi un vantaggio alla casa editrice in questione.

L'idea che questi eventi siano semplici operazioni commerciali mi risulta ancor più difficile da digerire se penso alle vere operazioni di marketing che prendono vita ogni giorno ad esempio sui social network. "Mandami una foto e puoi vincere il libro". "Scrivi un recensione e verrai premiato con un buono sconto". "Raccontaci il momento più triste della tua vita e se ci farai più pena degli altri, ti manderemo il libro con una trama ancor più sfortunata". 
Non critico assolutamente nemmeno queste iniziative, sia chiaro. Io stessa passo i miei venerdì a decidere che foto mandare ai contest settimanali della Sperling & Kupfer su Facebook (anche se poi immancabilmente non vinco o vinco libri che non mi interessano per nulla). Dico solo che queste mi sembrano operazioni commerciali il cui fine è vendere un semplice prodotto, facendo leva sullo spirito di competizione di chi partecipa. I festival, i reading, gli incontri con gli autori e i traduttori sono invece un modo per dare ancor più valore al libro, per farlo conoscere anche nei dettagli più particolari, per far entusiasmare e coinvolgere il potenziale lettore attraverso l'entusiasmo di chi a questo libro ha partecipato attivamente.

Il fatto che questa domanda sia stata rivolta a un gruppo di blogger si ricollega poi al tanto discusso discorso delle "marchette". Le case editrici inviano gratuitamente i libri ai blogger affinché vengano presentati e /o recensiti.
Libro in cambio di pubblicità. Regalo in cambio di un commento, possibilmente positivo, che verrà letto probabilmente da molti, generando quindi vendite. 
Peccato che la domanda è stata posta a un gruppo di blogger che, sebbene abbia dichiarato (non tutti, ognuno attua politiche diverse) di ricevere libri dalle case editrici, non si è mai lasciata ingabbiare in questo sistema (e se esistano blog che invece lo fanno, non mi è dato sapere... o meglio, posso immaginarlo, ho una coscienza critica che mi permette di capire di quali blog fidarmi e quali meno, ma non voglio focalizzarmi su questo). 
E questo lascia intendere come, a volte e da parte di certe persone, ci sia una scarsa conoscenza dei blog letterari, che spesso vengono considerati come dei semplici strumenti al soldo delle case editrici. Cosa che, invece, non sono, perché si focalizzano più (o solo) sul rapporto con il lettore, senza alcuna influenza esterna.

Non voglio negare che buona parte del mondo dell'editoria oggi si basi sul marketing nudo e crudo. E' sufficiente vedere le locandine, le pile di libri nei negozi, le pubblicità sui giornali, il clima di attesa che viene creato ad hoc per l'uscita di certi libri e best seller (e Facebook e i social network in generale aiutano molto in questo senso). Ma questo sistema è utilizzato soprattutto dalle grandi case editrici, quelle che spesso puntano più sulla quantità che non sulla qualità di quello che vendono, che sfornano bestseller ogni due giorni e che possono permettersi di spendere tanto in pubblicità diretta.
Ma non è tutto così il mondo dell'editoria. Ci sono case editrici che organizzano festival (vedi appunto la minimumfax ma anche molte altre), altre che organizzano serate a tema (mi viene in mente il caffè letterario della e/o sull'isola Tiberina a Roma), giusto per fare due esempi. Certo, lo scopo finale è forse (anzi, sicuramente) lo stesso: vendere libri. Ma cambia il modo, cambia la passione che l'editore o chi per esso ci mette o almeno che trasmette a chi è lì ad assistere (sono sicura che anche i colossi editoriali trovino soddisfazione in certi libri e in certe pubblicazioni a cui tengono particolarmente).
Cambia però, almeno per me, quello che viene in qualche modo "offerto" in cambio al lettore, ovvero la possibilità di parlare, ascoltare, vedere, confrontarsi. 

Non so bene quale sia lo scopo di questo post. Non voglio fare una critica né a quel ragazzo che ha comunque posto una domanda legittima e con un suo perché, né ai grandi editori sforna best seller o a quelli che vendono libri come se fossero mozzarelle. E mi rendo conto di aver fatto forse un'analisi molto superficiale di una questione che, invece, sarebbe molto complessa.
E' solo che trovo un po' triste l'idea che alla voglia di fare e diffondere cultura venga sempre associato il discorso economico, come se fosse l'unica cosa che davvero conta (e conta, lo so benissimo che conta, perché mangiare dobbiamo tutti), come se non ci fosse niente di più.

Che poi, siamo noi stessi che decidiamo se essere o meno target commerciali. E se devo scegliere tra farmi abbindolare da una pubblicità su un bus o un reading meraviglioso di un attore, beh, io scelgo senza ombra di dubbio la seconda.

33 commenti:

  1. La mia prima reazione è stata tale che ho preferito cancellarla. Perché è il tuo blog e non credo si meriti il mio turpiloquio.
    Però che... cioè, ma possibile? Possibile che ogni cosa, anche la più bella e innocente e innocua debba avere lo spauracchio del 'AH! LO FAI PER VIL DANARO!', perfino un festival letterario? Ma che tristezza, davvero. Non mi viene neanche da rispondere seriamente alla domanda del tizio, perché per fare di queste allusioni... mah. Che grigitudine.

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    1. Oddio, per un momento ho pensato volessi insultare me XD

      Guarda, io la sua domanda l'avrei anche capita, ma in un altro contesto. Non lì, non in quel festival o almeno non in quei termini.
      Ovvio che se vendono libri durante il festival sono contenti anche loro e che comunque un po' di pubblicità se la fanno. E mi sembra anche giusto, visto tutto il lavoro che c'è stato dietro!
      Però boh, io in nessun momento mi sono sentita in "dovere" di comprare uno dei libri e invece sempre, ad ogni incontro a cui ho partecipato, ho percepito l'entusiasmo, la passione e la voglia di trasmetterlo a tutti, aldilà dei soldi e di tutto il resto.

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    2. Ahahaha ma no xD
      A me sembra oltre l'ingenuo - e verso l'imbecille - continuare ad assimilare ogni forma di comunicazione ad una specie di marketing malvagio e velenoso. Cioè, è un festival dei libri, come si fa a pensare ad una manipolazione mentale quando le bancarelle dei libri sono lì, in bella mostra? E' un dietrismo che non comprendo e che temo sia più che altro di origine nostrana. Pare che una casa editrice che annuncia tramite la propria presenza un 'Ehi, volendo sono qui' sia alla stregua delle strega cattiva di Biancaneve. Eccheccosè.

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    3. Eh scusate ma a me questa gente mi fa andare fuori di testa. Il festival della letteratura è per vendere libri. E allora il festival del cinema è per vendere dvd? E la sagra della porchetta non è forse per vendere porchetta? E quindi? Non capisco quale sia il problema. Sì, il festival della letteratura serve anche a vendere i libri, per trasmettere però un messaggio, una passione, cultura. Se la casa editrice non ci guadagnasse nulla non potrebbe organizzare altre splendide manifestazioni. Almeno, io la penso così. Ed è vero ciò che dici, nessuno ti punta la pistola alla testa, se vuoi compri, altrimenti no.
      No, guarda, davvero eh, vado fuori dai gangheri e mi lascio andare in un turpiloquio che nemmeno un camionista ubriaco.

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  2. il post è molto interessante secondo me e spinge a molteplici riflessioni. Credo che alla base di TUTTA l editoria ci sia il guadagno perché si parla sempre e comunque di imprese commerciali. Poi le strategie di vendita sono molteplici. Ma organizzare incontri, coinvolgere il pubblico, scambiare idee è molto meglio che investire in cartelloni da migliaia di euro o in concordati e autoreferenziali passaggi televisivi e radiofonici. tanto per fare uno tra gli innumerevoli esempi. Purtroppo non sono stato ad ivrea ma sulla carta l'iniziativa era molto interessante e spero che sia ANCHE riuscita in senso commerciale.....fedriico sabatini

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    1. E' ovvio sì, tutta l'editoria ha come base il guadagno. Per sopravvivere le case editrici devono vendere quello che producono. Però appunto, come dici tu, la differenza è data dal sistema, dal modo in cui i loro "prodotti" vengono pubblicizzati e diffusi al pubblico. E i festival e gli incontri vari sono un sistema permettono secondo me al lettore di non sentirsi un semplice bersaglio ma di avere la possibilità di confrontarsi e di fare anche capire cosa c'è dietro al libro.
      A me il festival in questione è piaciuto molto e spero anche io che sia riuscito in entrambi i sensi (e che si ripeta l'anno prossimo!)

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  3. Ma ben vengano i festival letterari! Anzi, dovrebbero essercene di più!

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  4. La domanda del tizio è piuttosto 'sciocca', se mi concedete il termine.
    Cioè, per organizzare una cosa simile, sa quanto si spende? Non è gratis organizzare un festival. Inoltre, quel festival era organizzato da ben due realtà che sono a tutti gli effetti realtà commerciali. Quindi sì, ovvio che tra le varie speranze c'è quella di vendere libri.
    Però, come avete detto tutti, c'è modo e modo. E il modo migliore per vendere un libro è parlarne. Ma non perché così si abbindola di più la gente, ma semplicemente si porta il libro a fare quello per cui un libro dovrebbe essere pensato: far pensare, dialogare, discutere la gente. E non c'è cosa più bella.
    Non ti stanno tartassando di pubblicità. Ti creano un'occasione a cui tu puoi decidere di partecipare come no. E se lui c'è andato, un motivo ci sarà.
    Inoltre, la convinzione, e la gioia, e la determinazione sono cose che non si possono simulare, quindi se le vedi negli occhi e nei gesti di chi ti parla di quel libro, è solo un bene l'acquistarlo. XD

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    1. Il pensiero "avevi solo da non venirci" è venuto in mente anche a me, lo ammetto, ma mi sembrava poco elegante da dire :P

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    2. Ecco, ecco ù_ù
      Lì per lì mi sono girate troppo per riuscire a formulare un pensiero.

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  5. Quello del Festival letterario sembra essere diventato l'unico modo per vender libri (tipo che quasi tutti comprano almeno un libro)...forse quindi si, ne servono di più visto che le librerie continuano a morire.

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    1. Ma ne servono di più anche perché avvicinano di più il lettore al libro, secondo me. Puoi vedere e parlare con gli autori, con i traduttori. Te lo fanno sentire meno prodotto commerciale e più prodotto culturale... Dovrebbero farne sempre (anche se immagino il costo)!

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  6. Ciao a tutti,
    accodandomi a quello che già avete detto un po' tutti, secondo me i festival letterari oggi rappresentano in qualche modo un'evoluzione virtuosa della pubblicità nel mondo dei libri. Oltre cioè ad avvicinare lettori "deboli" e ad appassionare sempre più quelli cosiddetti forti, indubbiamente hanno anche un obiettivo economico, perché il libro è un prodotto culturale. Non mi piace quando viene demonizzato questo lato "imprenditoriale" dell'editoria che ovviamente c'è e sarebbe sciocco negarlo, ma allo stesso modo è sciocco pensare che iniziative del genere siano puramente "mosse commerciali". Poi in questo momento di crisi economica vedere che vengono promosse iniziative del genere, dimostra che alla crisi culturale si risponde in maniera efficace, dando occasioni di incontro e scambio. Insomma, scusate il commento prolisso: sì il commento di quel ragazzo è stato fuoriluogo, evviva i festival letterari!

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    1. Concordo sì! E' una pubblicità, ma una pubblicità "virtuosa", che ti spinge verso l'acquisto di un libro in modo intelligente, evitando di martellarti con cartelloni o pubblicità (che a me personalmente più che attirare irritano).

      Il commento è stato un po' ingenuo più che altro secondo me e con finalità un po' polemiche che in quel momento non so bene che senso potessero avere :/

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  7. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. In Italia abbiamo un rapporto malsano, direi perverso, con la pubblicità: ci scandalizziamo se un evento costruttivo (come un Festival letterario o altre occasioni culturali) creano l'aspettativa di un ritorno economico, ma accettiamo che ci venga sbattuta in faccia la propaganda più selvaggia in ogni momento. Probabilmente, coloro che lamentano questa situazione (che personalmente trovo più che naturale) non hanno piena coscienza del fatto che quando si recano allo stadio o guardano una partita in tv il meccanismo è esattamente lo stesso. Non c'è motivo di operare una distinzione fra promozione culturale e marketing: è giusto che iniziative lodevoli possano riflettersi in una forma di guadagno... altrimenti dovremmo mettere sotto accusa anche i musei, i teatri, i cinema e tutte le altre strutture che ci offrono cultura e intrattenimento facendoci pagare un biglietto o stampando la pubblicità su opuscoli e locandine! Senza contare che si tratta di eventi che fanno lavorare delle persone e comportano spese di organizzazione. Comuque, come hai già sottolineato, nessuno è obbligato a comprare libri o altro materiale legato all'evento, quindi si è liberi di sottrarsi alla "macchina del marketing" in qualsiasi momento.

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    2. Esatto sì! Sembra che il fatto che ci sia anche un ritorno economico cancelli il lavoro di promozione culturale... e non capisco perché debba essere così!

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    3. Forse perché spesso si dimentica che anche gli enti e le aziende che si occupano di cultura hanno personale, costi amministrativi e esigenze promozionali e che, quindi, siano legittimati a ricorrere agli strumenti di qualsiasi realtà imprenditoriale. I contenuti di qualità che veicolano dovrebbero bastare da soli ad invitare il pubblico a non focalizzarsi sull'aspetto meramente economico.

      ps. Scusa, ho pasticciato con l'inserimento del commento! :( Se vuoi che lo riposti regolarmente, dimmi pure!

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    4. Tranquilla per il pasticcio! Lo faccio spesso anche io :P

      Ti dico, durante gli incontri non ho mai pensato all'aspetto meramente economico. Ho comprato il libro perché mi andava di comprarlo, non perché me lo hanno messo davanti al naso continuamente (anzi!). E secondo me era evidente a tutti!
      E' ovvio che qualcosa ci devono guadagnare, anche solo per ripagare tutto il lavoro che c'è stato dietro... proprio come un museo deve farti pagare l'ingresso per mantenere le spese di gestione e tutto il resto

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  8. Io a quella persona avrei risposto: tu quando vai a lavoro lo fai per passione o solo per guadagnare lo stipendio?
    Visto che purtroppo ci sono molte persone che credono che lavorare sia brutto e noioso e che si faccia solo per mangiare, ovvio che poi pensano che chi si fa in quattro per organizzare un festival, o anche solo pubblicare un libro (quindi dalla bozza alla stampa), pubblicizzarlo, inviarlo a chi potrà recensirlo, ecc. ecc., lo faccia solo per soldi.
    Il problema è sempre quello e va ben oltre il lavoro editoriale: la mancanza di passione.
    E chi non ce l'ha proprio non può capire certi meccanismi e certe iniziative.

    A prescindere che mi sembra stupido che si continui a pensare che chi si occupa di libri debba essere povero in canna, pensiero che sa un po' di muffa, no?

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    1. E' la visione romantica del libraio/editore che, dato che lavora con passione, non può guadagnare con quello che fa.

      Boh, più ci penso più mi sfugge il vero senso della domanda di quel ragazzo.

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  9. concordo in tutto e per tutto con te (E anche col commento "Avevi solo da non venire" :P )..in più credo, ma magari sbaglio, che la maggior parte delle persone che vanno a questi festival letterari lo facciano perchè conoscono la/le casa/e editrice/i e quindi si fidino del prodotto che presentano..se poi, come nel tuo caso, escono da quegli incontri e si fiondano in libreria, tanto di guadagnato..ma credo che il fine parallelo a quello del marketing sia anche (e spero soprattutto) farsi conoscere anche a chi, come me, al mondo della letteratura sta entrando a farne parte (come lettrice, ovviamente) in punta di piedi e con l'ignoranza galoppante :)

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    1. Esatto sì... a quel festival ci vado perché ci voglio andare, perché mi interessa la casa editrice o l'autore o un reading in particolare. Ma c'è anche chi capita lì per caso e scopre qualcosa che prima non conosceva. E questo è più potente di qualunque gigantografia di un autore secondo me...

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  10. Concordo con Athena Noctua lassù. È chiaro che un evento di questo tipo ha come scopo principale la promozione di uno o più prodotti, non mi sembra ci sia nulla di nuovo né scandaloso. Ma certe cose per alcuni non vanno bene a priori. Ho letto qualche tempo fa un paio di discussione acidissime su tema giveaway e... ok, l'altra era qualcosa contro gli scribacchini in generali. In una, la seconda, si istituiva un processo alle intenzioni basato sulla totale sfiducia nel prossimo - in soldoni, se scrivi e hai un blog te ne devi stare zitto altrimenti vinci un posto nel girone degli ipocriti e contribuisci ad alimentare il marcio che c'è nel mercato editoriale. Nella prima, invece, si sosteneva che se organizzi un giveaway e pretendi cose assurde, tipo di condividere l'iniziativa sui social network, sei un mentecatto. Cose del genere. Cosa hanno in comune con il discorso sulla pubblicità? Poco o niente, solo a dire che questi atteggiamenti esistono e non ci puoi far nulla. A mio parere il rimedio più efficace è la trasparenza. Hai ricevuto un libro da un editore? Scrivi due righe, tipo "si ringrazia l'editore per la copia gentilmente offerta", così chi vuole pensare male lo pensa e non ha l'appiglio di una presunta malafede da parte tua. Nel caso di festival letterari o presentazioni il fine promozionale è implicito, ma così evidente che non mi sembra il caso di specificarlo. Il mercato editoriale è, appunto, un mercato. E non è dei più puliti, lo sappiamo. Forse è ora di smetterla di lamentarsi.

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    1. C'è davvero gente che si lamenta e fa polemica per il gusto di farlo, anche se onestamente non riesco a vedere dove stia il divertimento.

      I blogger che hanno parlato durante l'incontro hanno detto che, proprio per chiarezza, specificano sempre da dove arriva il libro che hanno recensito (comprato/ricevuto/rubato...).Ma anche se non lo facessero, io da lettore dovrei essere in grado di discriminare tra una recensione positiva onesta e una recensione positiva vestita di marchetta (io personalmente ci riesco). Certo, la casa editrice ci guadagna se io ne parlo bene e magari con la mia recensione qualcun altro decide di comprare quel libro... quindi che facciamo? Vietiamo anche le recensioni dei blog?

      Non so, a volte certe polemiche mi lasciano davvero perplessa... quella sui blogger posso forse anche capirla, ma quella sul festival come strumento di vendita mi sembra assurda

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    2. Mi sto rendendo conto di quanto è caotico il mio commento. Mi scuso, ero di fretta e non ho badato alla forma.

      Certe polemiche valgono quanto chi si scaglia contro le sagre di paese.

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  11. Buongiorno a tutti. Sono il "ragazzo" a cui è dedicato il post.
    Credo di non riconoscermi nell'immagine tratteggiata nei commenti - va da sè!

    Non voglio difendermi, ma desidero sviluppare alcune questioni. Per questo porrò alcune domande (alle quali non so rispondere, o magari dispongo di risposte ancora parziali); nella convinzione che solo una riflessione collettiva su questi temi possa permetterci di immaginare alcune risposte possibili.

    [Rileggo ora, giunto alla fine della mia lettera, che ho scritto troppo. Prima ancora di essere letto o di ottenere una risposta, mi piacerebbe dialogare su questi temi. Abito a Torino e vi invito a organizzare un incontro sul tema; estendo l'invito a chiunque abbia voglia e tempo di farlo. Senza autori e senza case editrici - e senza la patina virtuale della scrittura senza vita dei blog, che tende a disegnare delle macchiette.]

    La mia domanda intendeva soffermarsi sul rapporto fra mercato editoriale e lavoro.

    Quale è lo stato del mercato editoriale oggi? E' vero che si sta vivendo una crisi? A me pare di sì, e mi pare che tutte le case editrici oggi (che siano indipendenti o che siano i grandi marchi) devono fare i conti con forme di oligopoli e monopoli molto forti.

    Quali sono le strategie delle case editrici?


    Minimum Fax, a mio parere, è fra i soggetti più interessanti perché sta scommettendo su un pubblico consapevole, su lettori consci che sia la qualità editoriale a essere importante. Quindi: quale il ruolo del pubblico? Quale il ruolo del lettore?
    E anche: come immaginate il vostro ruolo in un festival?

    E poi: il lavoro. Non intendo lanciare attacchi contro il "vil denaro", anzi. Sono felice di pagare un libro se il mio denaro retribuisce il lavoro cognitivo di chi ha contribuito alla sua realizzazione materiale.
    Ma, mi chiedo, quanti dei soldi spesi in un libro (e mi riferisco al mondo editoriale in generale) vanno ai lavoratori della cultura?

    Ma ancora: non credete che un'opera dell'intelletto umano debba essere fruibile e accessibile, come l'acqua?
    E quindi: come coniugare la giusta retribuzione di chi lavora nell'editoria e una - a mio parere - fondamentale accessibilità dei contenuti culturali? Per contenuti culturali non intendo i libri oggetto, ma i testi (La Divina Commedia esiste al di là delle sue occorenze materiali, che si comprano e si vendono.)

    La mia domanda non voleva tanto attaccare il mercato, ma porre questi problemi. In un mondo nel quale il lavoro intellettuale è sempre più precario e nel quale le grandi concentrazioni di capitale fanno molti soldi creando ampie barriere di accessibilità (chi di voi usa un kindle Amazon?)

    Io mi chiedo (ma questa non è una domanda, ma un'affermazione!) se il sistema non possa essere ripensato proprio a partire dai lettori, da un pubblico consapevole - che non sia soltanto spettatore o acquirente, ma ricerchi nuovi modelli per gestire il rapporto fra lavoro, sistema economico e produzione della cultura.

    Mi sono dilungato e pongo solo alcune domande dopo aver letto le vostre risposte nei commenti.

    La cultura è un valore in sé? Un libro è più nobile perché è un oggetto culturale? Che cosa ha un oggetto-libro in più di una racchetta da tennis comprata da Decathlon?
    Ogni tanto penso che ogni oggetto culturale sia anche il prodotto della barbarie; ovvero: non scende dal cielo, ma è frutto di un lavoro - né più né meno di un pallone da calcio. Perché allora pensare che un libro si salvi “di per sé”, per il solo fatto di essere un libro?

    I blogger, come avete sottolineato, non vengono pagati, quindi non lo fanno per denaro. E io proprio questo criticavo! Non credete che ci sia qualcosa di sbagliato se le persone fanno un lavoro di promozione (perché di questo spesso si tratta) senza essere retribuiti? Perché Einaudi manda i libri ai blogger? Perché è generosa? Oppure perché è ben contenta se qualcuno fa pubblicità gratuita?

    Sono contento di aver causato una discussione, ma un poco preoccupato ogni volta che una discussione va a senso unico.

    Francesco Migliaccio

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    1. Al posto di "retribuiti" si legga "retribuite".

      f

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    2. Ciao Francesco!
      Innanzitutto grazie per essere intervenuto... sentire la voce di chi ha posto la domanda può aiutare a chiarire molti dubbi che sono nati e a fornire un punto di vista differente.
      Perché alla fine, credo che quella domanda abbia un suo perché, anche se forse non era il contesto esatto per porla.

      Sebbene sicuramente un incontro fisico permetta di sviluppare meglio la questione, provo a risponderti qui.

      Che il mercato editoriale oggi sia in crisi credo sia evidente a chiunque bazzichi un po' in questo mondo. Gli italiani leggono poco, i libri costano troppo, le librerie indipendenti vengono schiacciate da quelle di catena (che tanto bene non stanno nemmeno loro).
      E quali sono le strategie delle case editrici? Beh, ci sono quelle che puntano sui libri low cost, quelle che lanciano un best seller dietro l'altro per avere entrate assicurate, puntando più sulla quantità che sulla qualità.
      E poi ci sono quelle che organizzano i festival letterari, iniziative come Letti di Notte o come gli aperitivi serali per l'estate. E' ovvio che alla fine lo scopo è lo stesso, cercare di farsi conoscere e di vendere i propri prodotti, ma l'approccio è diverso, coinvolge il lettore anziché usarlo semplicemente.

      In quel festival nello specifico, ma in generale a quelli a cui ho partecipato, non mi sono mai sentita un semplice acquirente. Sono andata agli incontri che mi interessavano e li ho seguiti con interesse e coinvolgimento (perché era evidente che tutti quelli saliti sul palco amano quello che fanno). Ho avuto l'opportunità di scoprire dei libri in un modo diverso dal solito e per mia libera scelta, senza essere bombardata di pubblicità. Ero parte di un pubblico a cui veniva offerto qualcosa senza alcuna imposizione. E credo sia il modo più efficace per promuovere il proprio lavoro, per incuriosire i lettori senza trasformare l'editoria in un semplice mercato del pesce.

      Il discorso del lavoro è molto più complesso e temo di non aver le conoscenze adeguate. Certo, i libri venduti a prezzi troppo bassi mi fanno imbestialire, perché mi domando quanto poco possa essere stato pagato il traduttore, l'editor, l'impaginatore quando un libro viene venduto a così poco. Ma la domanda vale anche al contrario, quando un libro costa un capitale (e i libri nuovi costano SEMPRE un capitale): quanto effettivamente va ai lavoratori della cultura di quei 20 euro? (considerando che ci sono case editrici che fanno pagare così le loro novità e poi sfruttano i co.co pro in ogni modo).

      Che la cultura debba essere fruibile e accessibile sono d'accordo, ma penso che in parte lo sia già. O almeno lo sia per chi davvero la vuole. Esistono le biblioteche, esistono i festival che ti raccontano i libri, esistono le edizioni economiche. Esistono un sacco di eventi culturali gratuiti o a prezzi decisamente accessibili.

      Il problema italiano è secondo me quello che indicava in qualche commento più in su Athena: che quando si sceglie di sacrificare qualcosa (sia dall'alto sia tra la gente comune) è quasi sempre la cultura.

      Per quanto riguarda i blogger, il discorso è molto complesso. Perché una delle cose che viene più spesso criticata è il fatto che se accetto libri da una casa editrice molto probabilmente non sarò obiettivo nella mia recensione. Che è una stupidaggine, ma mi rendo conto che per qualcuno possa davvero funzionare così. Figuriamoci se venissero pagati! Sì, si tratta di pubblicità alla fine, ma è una pubblicità "soggettiva": io ho letto il libro e ti dico cosa ne penso, lo critico se è da criticare, ne parlo bene se mi è piaciuto. Ma come lettrice, non come esperta del settore. Anche perché allora anche le recensioni su amazon o su aNobii sono pubblicità, mica si può pagare tutti.

      Credo di essermi dilungata e di non aver risposto a tutto. Anche perché probabilmente ogni tua domanda meriterebbe un post a sé. Grazie ancora per essere intervenuto e aver spiegato meglio il tuo punto di vista. Nemmeno io amo le discussioni a senso unico e speravo davvero che arrivassi a questo post!

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  12. Ciao Francesco,
    mi sembra abbastanza semplice, nel caso italiano, rispondere a queste tue domande "non credete che un'opera dell'intelletto umano debba essere fruibile e accessibile, come l'acqua?" e "come coniugare la giusta retribuzione di chi lavora nell'editoria e una - a mio parere - fondamentale accessibilità dei contenuti culturali".
    In Italia ci sono le biblioteche pubbliche che forniscono letteratura e cultura gratuitamente a chiunque. A Torino, dove vivi, ci sono anche molte biblioteche universitarie, con pubblicazioni internazionali. Certo, non c'è paragone con l'offerta di Londra, ma la situazione non è male dal mio punto di vista (un lungo discorso sarebbe piuttosto da fare riguardo la letteratura scientifica, quella davvero appannaggio di pochi).
    Credo poi che preoccuparsi che un blogger scriva una recensione gratuitamente perché la casa editrice gli ha inviato il libro sia esagerato. Non credo ogni azione debba essere monetarizzata perché qualcuno forse potrebbe trarne un vantaggio. In questo clima di disoccupazione giovanile e crisi del mercato culturale capisco che venga da porsi questo genere di domande, ma esorto chiunque a fare una propria personale scala di priorità, per stabilire cosa si può fare gratis e cosa no.
    Mi preoccuperebbe di più se Einaudi pagasse Maria Recensore per recensire un libro edito da Einaudi.
    Ma in ogni caso, quale potrebbe essere il risultato distruttivo di un'abilissima strategia di marketing in ambito editoriale? Forse che finalmente più gente in Italia leggerebbe i libri?
    Ho risposto un po' confusamente, mi scuso. Concludo chiedendoti perché invochi un incontro pubblico senza autori e case editrici.
    Il punto dei festival è proprio superare quel gap tra fruitori e produttori, perché mai un lettore non vuole confrontarsi con chi scrive i libri e con chi si occupa di renderli disponibili?

    Ilaria

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    1. Ciao,

      credo che la tua riflessione sulle biblioteche sia interessante. Purtroppo, però: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/23/torino-luniversita-che-resiste-bibliotecari-rispediscono-i-licenziamenti-al-mittente/603054/

      Ovvero: le biblioteche vivono in una dimensione pubblica, la loro esistenza è garantita dallo stato sociale. Quando la spesa pubblica entra in crisi, le biblioteche e i bibliotecari sono i primi a pagare (e c'è anche il caso di Napoli, dell'Istituto di Studi Filosofici http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2012N28319). Tutto dipende dall'interpretazione che vogliamo dare alla crisi, ovviamente.

      Sono convinto che la sfida della mia generazione sia quella di immaginare modi per condividere liberamente le conoscenze, sperimentando vie alternative a quelle statuali e pubbliche (ma senza invocare i privati!). Magari a partire dal basso - proprio dai lettori a cui facevo riferimento nel commento.

      Per questo credo che la partecipazione attiva dei lettori sia decisiva. Non sono contro i festival (anzi), e sono interessato ad ascoltare tutti: gli autori, gli editor, gli editori. Noto però che la comunicazione è sempre a senso unico (una cattedra da cui parlare) e vorrei che accanto a queste modalità di comunicazione potessero nascere momenti di scambio e partecipazione. Io sono molto interessato alla voce dei lettori, e vorrei sentire più spesso il loro parere e le loro riflessioni. Per questo cerco sempre di promuovere momenti reali di confronto.

      francesco

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  13. @Francesco: Sai, un confronto vis a vis probabilmente sarebbe la soluzione migliore dato che la comunicazione scritta è tristemente nota per generare incomprensioni. Tu sollevi un quesito interessante: "Non credete che un'opera dell'intelletto umano debba essere fruibile e accessibile, come l'acqua?"

    La mia risposta è: assolutamente sì. Io sostengo da quando l'ho scoperta la cultura libera, il copyleft, le licenze creative commons, il software GPL e quant'altro. Sono tra quelli che ridurrebbero drasticamente la durata del copyright e ne diminuirebbero le restrizioni, abolirebbero DRM e altre vessazioni che hanno il solo scopo di vessare gli acquirenti onesti. Ma questo, purtroppo, non ha nulla a che vedere con il 99% del mercato editoriale, che è industria, oligopolio e... e altre brutte parole. Non il 99% di chi lavora, il 99% del fatturato. E questo è dato dall'evoluzione che ha avuto dopo l'invenzione della stampa, non è che si possa cambiare da un momento all'altro. L'editoria alternativa esiste, ma è in gran parte amatoriale e non ha accesso alla grande distribuzione (né ai programmi televisivi). Un festival di questo stampo non penso che esista, anche se all'università avevamo organizzato un evento/concerto sulle libertà digitali con musica licenziata CC, senza sborsare un centesimo a quei cattivoni retrodatati della SIAE. Ma era una cosa in piccolo.
    Se ti va, possiamo proseguire il discorso.

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