lunedì 20 luglio 2015

Piccoli traumi da lettore: quando un autore cambia editore.

Qualche giorno fa è uscito su La Repubblica un trafiletto che annunciava che a febbraio del 2016 uscirà in Italia il nuovo romanzo di Elizabeth Strout, la scrittrice statunitense autrice tra gli altri di quel capolavoro di Olive Kitteridge. E annunciava che non sarà più pubblicato da Fazi ma da Einaudi. Bella la notizia dell’uscita del nuovo romanzo, sconcertante, almeno per me, quella del cambio di editore.

Non so se avete presente quanto belle siano le edizioni Fazi dei libri di Elizabeth Strout. Sì, quelle con i quadri di Hopper. Ne adoro la grafica, la scelta del carattere, l’oggetto libro in sé insomma, e il modo in cui stanno bene uno accanto all'altro sullo scaffale, con le diverse sfumature di colore che te li rendono riconoscibili anche a distanza. 


E mi volete dire che adesso quello nuovo uscirà con il classico dorso giallo Einaudi? O in quel formato cartonato con gli angoli tondi, solitamente con un prezzo esorbitante? Ecco, da lettrice, tutto questo un po’ mi sconcerta.
Non ho nulla contro Einaudi, sia chiaro, pur non amando molto le loro copertine. Ho tantissimi libri pubblicati da loro (in ogni formato possibile, tra l’altro, dai tascabili ai supertascabili, agli Stile libero all'altra collana che non so come si chiama) e pubblicano davvero dei grandi autori. Però, boh, una delle cose belle dei libri della Strout era anche il formato, la forma con cui venivano pubblicati (e tanto di cappello alla Fazi per il grande lavoro che ha fatto per portare questa scrittrice da noi).

Ho presupposto che la motivazione sia prettamente economica. Einaudi ha offerto di più per i diritti dei libri e la Strout o la sua agente ha accettato, incurante di cosa questo cambiamento possa significare per i suoi lettori. Le motivazioni, però, potrebbero essere anche altre. Tipo che per quanto bello fosse il "prodotto finale" Fazi, l'autrice con loro non ci si trovava,  o hanno avuto qualche discussione, etc etc... In ogni caso, la motivazione è sì importante, ma non ai fini di questo mio post. (Comunque se qualcuno sa qualcosa in più e vuole condividere, ben venga!)

E sorvolo sull'implicazione più profonda che questo cambiamento ha, ovvero che i grandi editori e i grandi gruppi editoriali appena possibile si "mangiano" quelli piccoli. È un fenomeno forse normale: faccio rischiare un piccolo, aspetto di vedere se il suo rischio ha ripagato o meno, e poi entro in gioco io con il mio portafoglio rigonfio. 
E’ il mondo dell’editoria di oggi, e c’è davvero poco da fare.

Ma veniamo a noi lettori, mio vero ambito di “competenza”. Le motivazioni dietro a questi cambiamenti ai lettori importano poco. Magari si fanno qualche domanda, un po' di curiosità nasce, ma poi finisce lì e il pensiero vola subito alla propria libreria.
Sì, lo sappiamo, un libro è un libro e poco dovrebbe importare in che formato ci arriva. Però chi dice di non notare le stonature tra un edizione e l’altra, o di non provare un lieve (o enorme, a seconda) nervosismo quando libri dello stesso autore arrivano in formati o editori diversi, secondo me un pochino mente. (O magari no, magari è una fisima tutta mia, nel caso, sopportate). 
Tra i primi esempi simili a questo che mi vengono in mente ci sono Carofiglio e il suo avvocato Guerrieri che hanno esordito con Sellerio e poi sono passati a Einaudi; Stefania Bertola, pubblicata da Salani e Tea, e poi arrivata a Einaudi; Carver, portato in Italia da minimumfax e ora ripubblicato interamente da Einaudi. (Riuscita a farmi venire in mente qualche altro esempio che non termini con “ e ora passato/pubblicato/arrivato a Einaudi”?)

Ecco, a me questi cambiamenti un pochino irritano: non li puoi mettere vicini sulla libreria (dipende da come l’hai suddivisa, certo, nella mia, che è suddivisa per case editrici, per esempio non posso), non ritrovi più quella famigliarità con la grafica, con l’impaginazione, con lo stile, quell'uniformità nelle copertine che te li rende riconoscibili anche a distanza. Sono cavolate, lo so. E sicuramente comprerò lo stesso il nuovo romanzo della Strout (così come i Carver che mi mancano, e i libri della Bertola… con Carofiglio ho un po’ lasciato perdere invece), però lo faccio con un po’ di disappunto e, negli anni, o almeno fino a che quelli pubblicati con il secondo editore non superano quelli pubblicati con il primo, penserò sempre un po’ “peccato che abbia cambiato”. 
(Questo non vuol dire necessariamente che il secondo editore farà peggio del primo. Ci mancherebbe. È più che altro una difficoltà innata, mia ma forse anche di altri, di adattarmi a certi cambiamenti che non mi sembrano del tutto necessari. Mi rendo conto che ad esempio le nuove copertine di Carver di Einaudi con il progetto grafico di Fabrizio Farina siano bellissime, ma per me Carver rimarrà minimumfax ancora per un po’).


A giugno a Ivrea c’è stata la Grande Invasione. Gli ospiti presenti erano perlopiù autori che hanno pubblicato con piccoli editori. E tutti hanno sottolineato quanto è stato bello lavorare ed essere pubblicato con uno di loro. Quello più significativo è stato forse Bjorn Larsson, pubblicato in Italia da Iperborea, che ha detto che, sebbene lui abbia ricevuto molte altre offerte, anche più cospicue, da altri editori molto più grossi, lui non ha nessuna intenzione di abbandonare la sua casa editrice. Si sente come a casa, lì (e si vedeva, nel dialogo con la sua editrice durante la presentazione) e non ha nessun motivo di cambiarla.

Non so, onestamente. Credo che questi cambiamenti, qualunque sia la motivazione che li spinge, debbano essere ben ponderati da parte dell'autore/agente (o chi per esso). Perché comunque secondo me il rapporto con i lettori, il modo in cui il libro arriva loro, un po' dipende anche dalle sue vicissitudini, dalla sua storia, e da questi cambiamenti. O almeno, dipende un po' per quei lettori, come me, che un occhio alla casa editrice che li pubblica lo butta sempre, nel bene e nel male.
Per cui probabilmente quando uscirà il nuovo romanzo di Elizabeth Strout cercherò un altro quadro di Hopper e stamperò una sovracopertina.

giovedì 16 luglio 2015

DISTURBO DELLA QUIETE PUBBLICA - Richard Yates

Come forse molti di voi, ho conosciuto Richard Yates qualche anno fa grazie al libro Revolutionary Road. Grazie al film, in realtà, pur non avendolo visto. “Il film che riunisce Kate Winslet e Leonardo Di Caprio dopo Titanic”, così era stato presentato da molti. E non che gli facesse poi tutto sto grande onore.
Io però sono partita dal libro. E lì mi ero fermata. Forse la mia conoscenza della letteratura americana era un po’ limitata, forse ero un po’ troppo giovane per leggerlo e capirlo davvero, e forse il mio inglese non era ancora sufficientemente solido per leggere il libro in lingua originale. Fatto sta che Revolutionary Road mi aveva un po’ annoiata. Mi ero resa conto, certo, che anche la noia fosse funzionale alla trama, per raccontare al meglio quel senso di insoddisfazione che ancora oggi a un certo punto nasce in molte coppie. Però, ecco, quella lettura non mi aveva spinta ad affrontare altri libri di Richard Yates.
Ma ora sono cresciuta, ho scoperto una buona parte della letteratura americana del novecento e contemporanea, e apprezzato alcuni dei suoi più grandi rappresentati (Carver, tra tutti), e quindi era il momento di dare a Yates una seconda possibilità. Tutto questo ovviamente mi è venuto in mente dopo che una mia carissima amica mi ha prestato Disturbo della quiete pubblica.


Siamo di nuovo nella middle class americana tra gli anni '50 e gli anni ’60. Siamo dentro a una famiglia che all'apparenza dovrebbe essere perfetta e, sullo sfondo, c’è pure l’ascesa al potere di Kennedy, con tutte le speranze che portava con sé. Eppure qualcosa non va. John Wilder ha quasi quarant'anni e non è felice. Non riesce ad esserlo, con una moglie bruttina, un figlio adolescente che parla poco e un lavoro in cui è bravissimo ma che non gli piace per nulla. Voleva lavorare nel mondo del cinema, lui. Fare il produttore cinematografico. Non certo diventare quello che è diventato. E un giorno questa sua insoddisfazione, aiutata anche da una buona dose di alcool, esplode, con risultati catastrofici per la sua vita famigliare e per la sua sanità mentale.

Richard Yates è bravo a mettere in risalto tutte le incongruenze e le ipocrisie della “perfetta” famiglia americana. È bravo a trasmettere il senso di insoddisfazione del suo protagonista e a renderlo adatto ad ogni tempo e ad ogni contesto. Già, perché John Wilder potrebbe essere ognuno di noi.
Questa è forse la cosa che più mi ha colpito. Il fatto che se non venisse citato Kennedy, non si parlasse di guerre e non fossero inseriti altri riferimenti storici precisi, Disturbo della quiete pubblica potrebbe essere stato scritto oggi e non nel 1975.

Questo libro mi è piaciuto davvero tanto. Per lo stile di Yates, per il modo in cui riesce a descrivere l’infrangersi del Sogno americano e per il fatto che, alla fine, non da’ colpe né giudizi. 
Sicuramente leggerò altro di questo autore. A partire forse proprio da quel Revolutionary Road, che si merita decisamente un’altra possibilità.

Titolo: Disturbo della quiete pubblica
Autore: Richard Yates
Traduttore: Mirella Miotti
Pagine: 248
Editore: BEAT
Acquista su Amazon:

mercoledì 15 luglio 2015

Due titoli, un solo libro: ma perché? Speciale Harper Lee

Torna in via del tutto eccezionale la rubrica Due titoli, un solo libro: ma perché. Ve la ricordate, vero? Quella rubrica in cui viene fatto un confronto tra il titolo originale di un romanzo e la sua “traduzione” (le virgolette sono d’obbligo) nella nostra lingua. In realtà non ho mai smesso di controllare i titoli, dei libri che ho in casa o di soppiatto, in libreria, semplicemente mi ero resa conto che forse stava diventando un po’ troppo ripetitiva.

Ma oggi torna, vi dicevo, per rendere omaggio all'autrice di uno dei libri che più di tutti hanno subito un cambiamento drastico nel passaggio all'italiano. Un cambiamento drastico, ma più che motivato.
Immagino abbiate già capito di chi sto parlando. Dopo un’attesa di più di cinquantanni, è uscito infatti ieri negli Stati Uniti, pubblicato da HarperCollins Go set a watchman di Harper Lee, l’autrice di To kill a mockingbird, il nostro Il buio oltre la siepe. Un evento talmente tanto atteso che in alcuni paesi americani, tra cui quello di origine di Harper Lee, sono state organizzate delle vere e proprie veglie in attesa della mezzanotte (come succedeva con Harry Potter, ma lì erano ragazzini). 


Se avete letto un po’ di anticipazioni, già sapete che questo nuovo romanzo è una sorta di sequel di Il buio oltre la siepe, anche se è stato in realtà scritto prima. (E se avete letto un po’ di gossip, sapete anche che c’è stata una lunga diatriba su se sia stata davvero Harper Lee, ormai un’anziana signora con diversi problemi di salute, a decidere di pubblicare il libro o se le abbiano fatto firmare un foglio più o meno consapevolmente).

Il buio oltre la siepe è un libro, secondo me, bellissimo. Uno di quei libri imprescindibili (sì, lo so, molti lettori storcono un po’ il naso di fronte al concetto di “libri imprescindibili”, ché nessuno deve dirgli cosa devono leggere, etc, etc… però, ecco, credo che per una formazione e una cultura di base come lettore Il buio oltre la siepe sia fondamentale, e da questa posizione non ho alcuna intenzione di smuovermi), che tutti i lettori appassionati almeno una volta nella loro vita dovrebbero leggere.

E, per quanto sia io preferisca sempre le traduzioni dei titoli originali, il cambiamento da To kill a mocking bird a Il buio oltre la siepe mi ha sempre convinta (per maggiori informazioni vi rimando al post in cui ne avevo parlato).

Ero quindi molto curiosa di sapere che cosa sarebbe successo al titolo di questo secondo romanzo. Avrebbero cercato di tradurre letteralmente? Avrebbero cambiato con qualcosa di altrettanto evocativo come è successo con il primo? Avrebbero cambiato drasticamente e senza alcuna logica?
Anche se il libro in Italia uscirà a novembre, con la traduzione di Vincenzo Mantovani, si sa già che l’editore italiano, sempre Feltrinelli, ha optato questa volta per la traduzione letterale dell’originale. Quindi, Go set a watchman in italiano diventa Va’, metti una sentinella.



Sicuramente il titolo, oltre a essere appunto quello originale, ha un suo senso una volta letto il libro. Quindi è difficile parlarne in anticipo. La prima impressione però è quella di una frase e un'immagine un po' strana, di cui personalmente fatico a comprendere il significato senza avere un contesto.

Voi che ne pensate?

lunedì 13 luglio 2015

BACIAMI ANCORA, FORESTIERO - Pedro Lemebel


Pedro Lemebel è entrato nella mia vita per caso, il giorno in cui in un mercatino dell’usato mi sono ritrovata davanti il suo romanzo, Ho paura torero. Non l’avevo mai sentito nominare, né lui né il libro, ma è edito da marcos y marcos e i libri editi da marcos y marcos io li compro a scatola chiusa. Poi, una volta letto, me ne sono innamorata perdutamente. Un romanzo che non mi stancherò mai di consigliare, di quelli che davvero ti possono cambiare la vita.

Ero molto curiosa di leggere altro di questo autore cileno, scomparso tra l’altro da poco e prematuramente. Volevo capire se la stessa passione, la stessa profondità si trovasse anche in tutti gli altri suoi scritti. E quindi ho acquistato Baciami ancora, forestiero, un po’ per il titolo bellissimo, un po’ perché in Italia non esiste altro.

Baciami ancora, forestiero è una raccolta di scritti, di “cronache piumate”, come vengono descritte nella quarta, che spaziano dai racconti alle cronache alle lettere d’amore, che hanno come sfondo inevitabile il Cile e la rivoluzione, la lotta contro le dittature passate e contro le indifferenze e le ingiustizie. 
E poi, ovviamente c’è tanto amore e tante, tante fate.

Devo ammettere che questa raccolta mi è piaciuta un po' meno rispetto al romanzo. Lo stile di Lemebel è riconoscibilissimo e sempre apprezzabile, e certi racconti sono davvero delle piccole perle (tra tutti Tappeto volante sul campo dell’orrore, Senza te la città e Tarantole nei capelli). 

Forse, però, la selezione degli scritti non mi ha soddisfatto del tutto. Non avrei mischiato i racconti con le cronache di viaggio, in parte perché avrei voluto leggerne di più di entrambi e qui sembra tutto un po’ sacrificato, come se non avessero il giusto spazio, in parte perché così sembra mancare un filo conduttore, un contesto,  un filo conduttore che tenga tutto insieme e che permetta di immergersi al meglio in quello che si sta leggendo.

Credo soprattutto che chi parte da Baciami ancora, forestiero, senza aver letto prima Ho paura torero abbia più difficoltà a capire la forza di Lemebel, il suo stile volutamente confusionario, la sua forte denuncia e la sua visione del mondo. 

In ogni caso, Pedro Lemebel rimane sicuramente uno scrittore che tutti dovrebbero conoscere e amare.Che cosa state aspettando?

Titolo: Baciami ancora, forestiero
Autore: Pedro Lemebel
Traduttore: vari
Pagine: 149
Editore: marcos y marcos
Acquista su Amazon:
formato brossura: Baciami ancora, forestiero


giovedì 9 luglio 2015

L'ESTATE DEL CANE BAMBINO - Mario Pistacchio e Laura Toffanello


L’estate del cane bambino di Mario Pistacchio e Laura Toffanello è uno tra i libri più belli che ho letto finora quest’anno. Voglio iniziare così, perché questo romanzo se lo merita tutto.
Ne avevo sentito parlare la prima volta leggendo la lista dei libri candidati al Premio Strega. Ovviamente non è arrivato né in dozzina né in cinquina, ma questo, come sappiamo bene, non vuol dire assolutamente niente. Poi, durante La Grande Invasione a Ivrea quest’anno, ho assistito a una presentazione con i loro autori. Del libro in sé, in realtà, si era parlato poco, ma avevo apprezzato molto il racconto di come era nato e, soprattutto, di quanto importante per i due autori fosse stata la casa editrice che l’ha pubblicato, la 66thand2nd. E questo è ciò che mi ha portato a decidermi finalmente a leggerlo.
Il libro racconta di un’estate degli anni sessanta a Brondolo, un paesino vicino a Venezia, e di un gruppo di ragazzi, di amici, impegnati come tutti a quell’età a giocare a pallone, cercare le figurine e lanciarsi in mille avventure.
Menego aveva quattordici anni, io, Michele e Ercole dodici, Stalino quasi, e il cane nero chissà. Era l’estate del 1961. Il nostro mondo di allora era fatto di morto che resuscitavano per uccidere pescatori ingrati, di velieri portatori di peste, topi e vampiri, di nuvole combattenti e cavalieri inesistenti. Era un tempo in cui le leggende erano vere, e se qualcuno ci avesse detto che era impossibile che un bambino si trasformasse in cane, ci saremmo stretti nelle spalle, infischiandocene.
Tra una partita di calcio, una pesca ai pesce siluro nel Brenta e a una serata alla Base, quartier generale del gruppo, i ragazzi devono però anche lavorare con i loro genitori o aiutarli in casa. Come Vittorio, il protagonista e voce narrante, che deve seguire suo padre nei campi. O come Ercole, che deve sempre portarsi dietro il fratellino più piccolo, Narciso, una palla al piede a cui però vuole molto bene. Un estate come un’altra insomma. Finché non succede qualcosa di terribile. Un bambino scompare e al suo posto compare un cane nero, Houdini. Come vuole la leggenda popolare, il cane sembra davvero aver sostituito il bambino scomparso. Ma i grandi questo non riescono proprio a capirlo e a poco a poco tutto precipita. I ragazzini saranno costretti a crescere di colpo, segnando la fine della loro innocenza e lasciando un segno che si porteranno dietro per sempre.

L’estate del cane bambino è un libro bellissimo. È bello per il ritratto perfetto che da’ della vita dei paesi dell’epoca, per le ipocrisie che sottolinea, i silenzi, i pettegolezzi, ma anche di quel forte legame che si crea tra i ragazzini a quell’età, delle piccole e grandi avventure che si condividono. E rimane un libro bello anche quando l’innocenza è definitivamente perduta, quando la cattiveria degli adulti raggiunge il suo culmine e questi ragazzi si ritrovano a combattere contro qualcosa di più grande di loro. 

Era da un bel po’ di tempo che non mi capitava di leggere un libro tutto d’un fiato non perché non avessi altro da fare ma perché le sue pagine proprio non volevano che io mi staccassi da loro. Era da un po’ che non mi facevo conquistare così tanto da una storia. Poi, certo, dalla mia c’è anche io amo molto i romanzi ambientati nei paesini italiani, forse perché in un paesino ci sono cresciuta e ci vivo tuttora anche io, perché raccolgono tante piccole storie, tante piccole tradizioni, abitudini che da molti forse nemmeno potrebbe essere considerate meritevoli di essere raccontate. Messe tutte insieme, come Mario Pistacchio e Laura Toffanello fanno magistralmente, però creano qualcosa di incredibile.

Insomma, L’estate del cane bambino è un libro che, secondo me, tutti dovrebbero leggere.

Titolo: L'estate del cane bambino
Autore: Mario Pistacchio, Laura Toffanello
Pagine: 218
Editore: 66thand2nd
Acquista su Amazon:
formato brossura: L'estate del cane bambino

martedì 7 luglio 2015

LO STURANGOSCIA - Davide Predosin Carlo Sperduti




La prima cosa che bisogna tenere a mente quando si inizia a leggere un libro della Gorilla Sapiens edizioni è che non sai mai bene che cosa effettivamente troverai in quel libro. Puoi leggere la quarta finché vuoi, puoi cercare informazioni online, ma niente sarà sufficiente a spiegarti davvero quello che stai per leggere. E questo, almeno per quanto mi riguarda, è tutto fuorché un difetto.
Ho provato questa sensazione che tutti i libri editi da questo editore che ho letto finora. Sono a quota cinque, ma sono sicura che vale anche per tutti gli altri del loro catalogo. 
La cosa buffa è che spesso anche a lettura iniziata non capisci davvero cosa stai leggendo. E la cosa più bella è che non te ne frega quasi nulla, perché ti stai divertendo un sacco.

Lo Sturangoscia di Davide Predosin e Carlo Sperduti credo rappresenti al meglio questa follia divertente e geniale che tanto caratterizza i romanzi targati Gorilla Sapiens.
Il libro è una sorta di romanzo epistolare, che racconta l’invenzione e le successive peripezie dello Sturangoscia, un sofisticato strumento inventato da Filottete Vasca destinato a estirpare quello spiacevole e infinito senso di disagio che spesso spinge le persone, tra le altre cose, a occuparsi di questioni ultime. Insomma, lo Sturangoscia aspira via l’angoscia dalle persone.
Soffri di angoscia da prestazione? Regola sull'uno lo Sturangoscia e, dopo appena due minuti, starai meglio. O forse la tua è un’angoscia metafisica o teologica, che per la sua complessità richiede invece la più elevata forza di aspirazione e una durata lunghissima. 
Lo Sturangoscia è  quindi uno strumento rivoluzionario, che però sembra essere finito nelle mani sbagliate, quelle di un misterioso Club il cui presidente e fondatore è il postino Girolamo Mercuriale Trincavella, che lo ha utilizzato senza tener conto dei gravi effetti collaterali che può provocare un tubo infilato in gola. 
Attraverso la corrispondenza tra i vari personaggi, uno più bislacco dell’altro, scopriamo quali sono gli effetti dello Sturangoscia e quali sarebbero invece gli usi adatti, ma anche che forse non tutto è esattamente come sembra.

La cosa più bella, e geniale lo ripeto, di questo romanzo è che Carlo Sperduti e Davide Predosin si sono scritti davvero queste lettere senza mettersi prima d’accordo sul contenuto. Quindi mi immagino il momento in cui uno riceveva quanto scritto dall'altro e si inventava una risposta… deve essere stato divertentissimo.
Così come divertente è la lettura, se ci si lascia trasportare da quel nonsense che la pervade. Che poi in realtà Lo Sturangoscia un senso ce l’ha eccome, perché parla di ansie e di cosa saremmo disposti a fare per eliminarle, parla di editori e di trafile per arrivare alla pubblicazione, parla di come spesso le grandi idee possano venire rubate e di come la realtà e la finzione siano separate da un confine labile, labilissimo.

Ora sarei curiosa di sapere se l'aspirapolvere può essere o meno un valido sostituto. Mentre provo, voi leggete il libro, che merita!

Titolo: Lo sturangoscia
Autore: Davide Pedrosin , Carlo Sperduti
Pagine: 107
Editore: Gorilla sapiens edizioni
Acquista su Amazon:
formato brossura: Lo sturangoscia

venerdì 3 luglio 2015

I SETTE PAZZI - Roberto Arlt



Continua il mio viaggio per il continente sudamericano, alla scoperta di tutti quegli scrittori un po’ meno famosi (ché mica ci sono solo Márquez, Allende, Sepulveda e Vargas Llosa, laggiù) ma che  ben rappresentano lo spirito del cono sur. 
Dopo Rodolfo Walsh, questa volta è stato il turno dello scrittore argentino Roberto Arlt e del suo primo romanzo, I sette pazzi, qui da noi pubblicato prima con la traduzione di Luigi Pellisari, prima da Bompiani, poi da e/o, da Sur e, con una nuova traduzione, da Einaudi. Io ho scelto l'edizione sur, un po' per caso, visto che nemmeno sapevo ci fosse la versione Einaudi, un po' perché comunque le copertine di questa casa editrice sono davvero splendide.

Protagonista del libro è Erdosain, ladro per necessità e inventore per passione, che si ritrova coinvolto più o meno suo malgrado in uno strambo progetto di rivoluzione sociale, che avrà la sua fonte di sostentamento in una catena di bordelli e di centrali elettriche, che sarà capeggiata da alcuni altrettanto strambi individui, i sette pazzi del titolo, che tenteranno di piegare al loro volere tutta la nazione. Per cominciare, però, servono dei soldi, ed Erdosain conosce qualcuno che potrebbe procurarli.

I sette pazzi è un romanzo folle, surreale, in alcuni punti oserei dire anche quasi incomprensibile, che però, con i suoi personaggi e i loro ragionamenti, riesce a rappresentare al meglio la vita argentina di quel periodo. 
Mi è piaciuto molto, anche se il finale è un po’ sospeso e più volte nel testo il commentatore, protagonista anch'egli del romanzo attraverso le sue note, evidenzia come le avventure di questi scapestrati proseguiranno nel romanzo successivo, I lanciafiamme. Mi è piaciuto, vi dicevo, perché alla follia sono alternati pensieri profondi ma al tempo stesso ironici, su Dio, sulla vita, sulla povertà, sulla felicità e sull'amore.
Erdosain è un personaggio ben costruito (così come lo sono tutti quelli che lo circondano, a partire già dai loro nomi, tra cui il Ruffiano Melanconico è sicuramente il mio preferito), che riesce a incarnare bene tutte le contraddizioni della società dell’epoca. È un genio, ma lavora come esattore. È
un ladro, sì, ma solo perché guadagna molto meno dei soldi che maneggia e questa è un'ingiustizia. È innamorato dell’amore, e forse è per quello che non ama poi così tanto sua moglie. E si lascia trascinare in un’impresa folle, perché sa che solo lì potrà davvero essere se stesso.

I sette pazzi è una lettura abbastanza complessa, sarebbe inutile negarlo. Però, una volta che ci si è lasciati catturare dallo stile e coinvolgere nei ragionamenti dei vari protagonisti, ci si rende conto di quanto valore e quanta forza questo romanzo abbia.
E ora devo assolutamente procurarmi I lanciafiamme, perché sono troppo curiosa di sapere come andrà a finire.

Titolo: I sette pazzi
Autore: Roberto Arlt
Traduttore: Luigi Pellisari
Pagine: 329
Editore: sur
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formato brossura: I sette pazzi
formato ebook: I sette pazzi