La guerra cambierà l'avvenire e la concezione che ne abbiamo. Modificherà il nostro modo di pensare. Chiameremo la guerra con dei numeri, anni di inizio e fine, ricorderemo delle immagini e non soltanto immagini di distruzione; si sentirà la leggera vergogna di coloro che saranno risparmiati. Si parlerà diversamente perché il vocabolario si sarà arricchito di parole nuove nate al fronte o dalle recenti tecniche industriali, oppure semplicemente perché dopo quel cataclisma ci si vorrà esprimere in maniera differente, magari con altro accento, forse per dimenticare quello di prima. Per dimenticare il mondo che ci ha portato fino a quel punto. Troveremo altri modi per sentirci felici e capiremo che per esserlo basterà la presenza di una persona cara.
Mi ci è voluto un po’ di tempo per riuscire a scrivere una recensione di Un romanzo inglese di Stéphanie Hochet, edito da Voland con la traduzione di Roberto Lana. È stato l’ultimo libro che ho letto nel 2017 e, complici le festività natalizie, l’arrivo del nuovo anno e la poca voglia di stare al computer, la sua recensione è rimasta in sospeso. In realtà, in parte, è anche perché non sapevo bene cosa scriverne. Già leggendolo, infatti, non riuscivo a capire se il libro mi stesse piacendo o meno.
Un romanzo inglese, come il titolo stesso lascia intendere, è il tipico romanzo inglese. Ci si ritrovano le atmosfere e lo stile di scrittura, lento, pacato, senza grossi exploit narrativi eppure intenso ed efficace. Con l’unica differenza che a scriverlo è stata una scrittrice francese, evidentemente appassionata di letteratura inglese, al punto da voler cimentarsi anche lei con il genere.
Il libro è ambientato in un paesino della campagna inglese nel 1917, dove una coppia, Anna e Edward Whig, si è trasferita insieme al figlio piccolo per sfuggire ai bombardamenti londinesi. Edward fa avanti e indietro tra la campagna e la città, dove gestisce un negozio di orologeria; Anna, invece, lavora come traduttrice e intanto cura il piccolo Jack. Per poter coniugare meglio le due cose, Anna decide di assumere un’istitutrice per il bambino. La ricerca richiede più tempo del previsto, perché in tempo di guerra è davvero difficile trovare qualcuno che possa svolgere questi lavori. Finché un giorno non riceve la lettera di George. Anna è incuriosita, convinta di trovarsi di fronte a una donna costretta per qualche motivo a usare un nome da uomo, come George Eliot, l’autrice di Middlemarch. La assume, per poi scoprire la cosa più ovvia: ovvero che si tratta di un uomo. All’inizio Anna è destabilizzata dalla cosa, sia perché si aspettava una donna, sia perché in questo giovane istitutore rivede un po’ suo cugino, al momento disperso in guerra. A poco a poco, però, inizia a conoscere meglio George e a trovare con lui un’intesa che con il marito ha perso da tempo e che la porterà a mettere in discussione se stessa e tutta la sua vita, fino a un tragico epilogo.
Non so esattamente che cosa dire di questo romanzo perché, anche adesso che ci ripenso, non riesco a capire del tutto cosa mi abbia lasciato. Si legge bene, quasi senza rendersene conto. Ed è anche scritto bene, al punto che se non si sapesse che è scritto da un’autrice francese non si coglierebbe alcuna differenza. Tratta poi temi importanti, come quello della guerra e della vita durante quegli anni, ma anche del rapporto genitori figli e della ricerca di se stessi.
Però, ecco, ho l’impressione che non mi abbia trasmesso quasi nulla. Che non sia un romanzo che rimarrà nella mia mente, se non per qualche bella citazione.
Per noi, che siamo rimasti lontani dal fronte, onorare il paese è continuare a funzionare come in tempo di pace. Onorare il paese - per quanti ne sono intimamente convinti - è riparare il meccanismo di un orologio di famiglia o di un pendolo, mentre gli Zeppelin sganciano centinaia, migliaia di cilindri carichi di esplosivo sulla capitale, come si distrugge un formicaio. Oppure parlare del senso della punteggiatura nell'opera di Proust quando non si hanno più notizie di un cugino inviato al fronte. Leggere una tragedia greca, spolverare il servizio da te, anche se nessuno verrà a farci visita. È tenere il proprio villino in ordine, chinarsi sulle piante del giardino per controllare che il gelo non le abbia uccise.È una di quelle letture senza infamia e senza lode, che quasi ti scorrono addosso e durano solo il momento della lettura. Almeno così è stato per me, che ho visto in Un romanzo inglese più un esercizio di stile di Stéphanie Hochet, un “ehi, guardate che non bisogna essere per forza inglesi per scrivere un romanzo così”, che non qualcosa di più profondo.
Non è un brutto libro, intendiamoci. È solo un libro di cui io personalmente avrei potuto anche fare a meno.
TITOLO: Un romanzo inglese
AUTORE: Stéphanie Hochet
TRADUTTORE: Roberto Lana
PAGINE: 126
ANNO: 2017
EDITORE: Voland
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formato cartaceo: Un romanzo inglese
formato ebook:Un romanzo inglese
Peccato, mi ispira alquanto. Magari lo segno comunque, anche se ho notato che, ultimamente, i romanzi storici non li reggo più di tanto.
RispondiEliminaProva comunque a leggerlo, magari questa impressione la dà solo a me :)
EliminaAnche io ho avuto difficoltà nella lettura di questo romanzo che un po’ non mantiene le promesse delle prime pagine. Non è certamente un libro che consiglierei .
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