venerdì 28 ottobre 2016

LA MIA VITA È UN PAESE STRANIERO - Brian Turner

Quasi sempre ho paura. Sono profondamente spaventato. Una paura così lunga e ininterrotta da diventare normale, da non farci più caso. Temo di finire a pezzi, con le bandierine piantate nel terreno accanto a me. Temo di diventare cieco o storpio. Temo che capiti lo stesso a qualcun altro della squadra - a Fiorillo o Jax o Gigantor o Knight o Liu o Noodles o Z o Zoo o Whit o Bruzik. Per colpa mia, magari. Per un mio errore. Una decisione frettolosa e sbagliata con cui convivere per il resto dei miei giorni, o con cui giacere nella tomba dopo che mi avrà smembrato.

Quando si parla di guerra, si tende spesso a farlo in modo generale e semplificato. Giusta o sbagliata. A favore o contro. Ci stanno invadendo, siamo noi che stiamo invadendo loro. Dobbiamo intervenire, dobbiamo farci i fatti nostri.
Della vita di chi la vive direttamente, da una parte o dall’altra, si parla sempre poco. Forse perché se non si è là è difficile riuscire a capire realmente che cosa si prova.
Brian Turner in La mia vita è un paese straniero, memoir appena pubblicato da NN editore con la traduzione di Guido Calza, racconta la sua esperienza di soldato dell'esercito americano nella guerra in Iraq. Sono passati anni da quando ha combattuto l’ultima volta, nel 2003.
Ora è a casa, al sicuro, nel letto, con sua moglie, e tutto sembra passato, ma nella sua mente ogni momento che ha vissuto in quella guerra, e ogni momento che ha sentito raccontare da suo padre e da suo nonno riguardo alle guerre precedenti, è sempre vivo, è sempre nitido, come se non fosse passato mai.
 Come fa uno a lasciarsi alle spalle una guerra, quale che sia, e a riprendere il cammino della vita che gli resta?
Perché la vita da soldato ti segna, indipendentemente dalla parte in cui combatti e da quello in cui credi. Ti porta via da casa, senza avere la certezza di tornarci. Ti mette di fronte a immagini, a situazioni, a disperazioni che se sei un pochino più fragile, o anche solo semplicemente umano, ti distruggono. Ti fa vedere compagni smembrati, sangue, dolore e morte. Ti mette davanti alla paura, quella vera, di non farcela, di morire o di far morire gli altri, e ti fa vedere quanto è difficile, per chi resta, quando questo succede. Ti fa aprire gli occhi su quell'immagine di guerra che hai sempre visto da casa, alla tv, e che non si avvicina minimamente alla realtà. E soprattutto, una volta che ci sei stato, che hai visto con i tuoi occhi quello che succede, non ti fa tornare a casa mai, anche se fisicamente sei tornato.
 Forse il punto non è tanto che è difficile tornare a casa, quanto che a casa non c’è spazio per tutto quello che devo portarci. L’America, smisurata ed estesa da un oceano all’altro, non ha abbastanza spazio per contenere la guerra che ognuno dei suoi soldati porta a casa.  E anche se ne avesse, non vorrebbe. 
Brian Turner è un poeta. E in La mia vita è un paese straniero c’è un continuo salto stilistico, tra prosa e poesia, tra passato e presente, che rende il libro ancor più potente.

Leggendo il romanzo ho avuto sempre chiara e costante la sensazione di stare prendendo un pugno nello stomaco. Nei momenti più crudi, perché Turner racconta anche quelli, senza far alcuno sconto a nessuno, e in quelli più commoventi e dolorosi. Un pugno a volte solo accennato, a volte talmente forte da piegarmi in due. Ho segnato tanti passi e, da quando l’ho chiuso, già un paio di volte sono andata a rileggermeli, e quella sensazione è rimasta sempre lì.

La mia vita è un paese straniero non è un libro semplice da leggere. Per lo stile, con i continui salti tra guerre di oggi e guerre del passato, tra poesia e narrazione pura, a volte frammentata, che ti trascina in una sorta di vortice, di frenesia, come credo sia quella che si prova ogni giorno quando si combatte (effetto amplificato dall'assenza dei numeri di pagina, perché leggendo continui a chiederti quando finirà, senza mai saperlo. Proprio come la guerra. Proprio come quello che lascia per sempre in chi l’ha vissuta).
E, soprattutto, per quello che racconta.
Ma al tempo stesso è un libro di quelli che tutti dovrebbero leggere.


Titolo: La mia vita è un paese straniero
Autore: Brian Turner
Traduttore: Guido Calza
Pagine: 208
Editore: NN Editore
Prezzo di copertina: 18,00€
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formato brossura:La mia vita è un paese straniero

6 commenti:

  1. NN mi ha decisamente conquistata con Haruf e, da allora, sto tenendo d'occhio il catalogo; Faber dall'estratto Kindle non sembra convincermi molto, Katherine idem, dopo la tua recensione, ma questo penso di leggerlo, per vari motivi che non sto qui a spiegare.
    Avremo presto le tue impressioni anche su "Le ossa di San Lorenzo"? Ciao :)

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    1. La trilogia di Haruf è qualcosa di incredibile, sì!
      Di KAtherine già sai, Faber ancora non ho deciso, ma questo ti assicuro che merita un sacco :)
      Sì, poi leggerò anche Le Ossa di San Lorenzo :)

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  2. Bellissima recensione! Da inserire nella mia wishlist subito!Grazie!

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  3. Faber è un capolavoro così come il libro della Henriquez e, quello di Poissant. I migliori di NN dopo Haruf

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