Il libro è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente e lavora. Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà un sogno, l'amore una parola dal significato non chiaro.
Mi sono sempre tenuta il più possibile alla larga da questa autrice, giornalista. E la mia resistenza nei suoi confronti è dovuta soprattutto alle sue esternazioni pochi anni prima di morire, che l'hanno addirittura portata ad avere il sostegno del quotidiano Libero. Questo per me è stato sufficiente per non leggere mai niente di suo. Certo, non bisogna giudicare i libri da chi li ha scritti, ma di solito chi scrive nelle sue parole non esprimerà mai qualcosa di diverso da quello che in realtà pensa.
Però mi è stato prestato questo libro, da due "suoceri" entusiasti che me lo hanno praticamente messo in mano. E quindi oggi l'ho letto.
E sono perplessa. Forse per apprezzare al meglio questo libro bisognerebbe essere incinte, o esserlo già state, o averlo comunque in programma. Si tratta di un dialogo tra una madre, single, e il piccolo esserino che sta crescendo dentro di lei. La madre gli parla, cerca di insegnargli come va il mondo, di metterlo in guardia da tutto il male che incontrerà. E' una gravidanza difficile, che dopo pochi mesi la costringe a letto. Ma lei è una donna libera ed emancipata, che non può sacrificare la sua vita per la creatura che ha in corpo, ha altro da fare lei, e quindi decide di comportarsi come se il bambino non ci fosse. Finchè ovviamente non lo perde e si sente in colpa.
Questo libro mi ha fatto principalmente arrabbiare. Sono favorevole all'aborto, così come a chi anche nelle difficoltà non se la sente di farlo. Sono per la libera scelta, senza pregiudizi o condanne per chi sceglie l'una e l'altra strada. Ma se scegli una strada, la devi seguire fino in fondo. E la Fallaci invece è come se giustificasse la scelta della sua protagonista di lasciare che il bambino muoia se l'unico modo che ha per stare bene è che la madre sacrifichi nove mesi della sua vita e della sua carriera. No. Mi dispiace, ma questo non lo posso accettare.
Non mi è piaciuto. Non so se comunque per via dei pregiudizi o semplicemente perché io, se e quando mai avrò un figlio, non credo che gli dirò che il mondo fa schifo, che forse se se ne resta dentro è meglio, che c'è più dolore e sofferenza che gioia e felicità. Nemmeno io, come la protagonista, come la Fallaci, come nessuno su questa Terra credo, so bene che cosa sia l'amore. Ma esiste.
Continuerò a stare alla larga dalla Fallaci. Le ho dato una chance ma, almeno nel mio caso, è andata sprecata.
Però mi è stato prestato questo libro, da due "suoceri" entusiasti che me lo hanno praticamente messo in mano. E quindi oggi l'ho letto.
E sono perplessa. Forse per apprezzare al meglio questo libro bisognerebbe essere incinte, o esserlo già state, o averlo comunque in programma. Si tratta di un dialogo tra una madre, single, e il piccolo esserino che sta crescendo dentro di lei. La madre gli parla, cerca di insegnargli come va il mondo, di metterlo in guardia da tutto il male che incontrerà. E' una gravidanza difficile, che dopo pochi mesi la costringe a letto. Ma lei è una donna libera ed emancipata, che non può sacrificare la sua vita per la creatura che ha in corpo, ha altro da fare lei, e quindi decide di comportarsi come se il bambino non ci fosse. Finchè ovviamente non lo perde e si sente in colpa.
Questo libro mi ha fatto principalmente arrabbiare. Sono favorevole all'aborto, così come a chi anche nelle difficoltà non se la sente di farlo. Sono per la libera scelta, senza pregiudizi o condanne per chi sceglie l'una e l'altra strada. Ma se scegli una strada, la devi seguire fino in fondo. E la Fallaci invece è come se giustificasse la scelta della sua protagonista di lasciare che il bambino muoia se l'unico modo che ha per stare bene è che la madre sacrifichi nove mesi della sua vita e della sua carriera. No. Mi dispiace, ma questo non lo posso accettare.
Non mi è piaciuto. Non so se comunque per via dei pregiudizi o semplicemente perché io, se e quando mai avrò un figlio, non credo che gli dirò che il mondo fa schifo, che forse se se ne resta dentro è meglio, che c'è più dolore e sofferenza che gioia e felicità. Nemmeno io, come la protagonista, come la Fallaci, come nessuno su questa Terra credo, so bene che cosa sia l'amore. Ma esiste.
Continuerò a stare alla larga dalla Fallaci. Le ho dato una chance ma, almeno nel mio caso, è andata sprecata.