sabato 27 agosto 2011

MIA SUOCERA BEVE- Diego De Silva

Vincenzo Malinconico è un avvocato semi disoccupato, semi divorziato, semi felice. Ma soprattutto è un grandioso filosofo autodidatta, uno che mentre vive pensa, si distrae, insegue un'idea da niente facendola lievitare. Al centro del romanzo questa volta c'è un sequestro di persona ripreso in diretta dalle telecamere di un supermercato. Ad averlo studiato ed eseguito è il mite ingegnere informatico che ha progettato il sistema di videosorveglianza. Il sequestrato è un boss della camorra che l'ingegnere considera responsabile della morte accidentale del suo unico figlio. Il piano è d'impressionante efficacia: all'arrivo della televisione, l'ingegnere intende raccontare il suo dramma e processare in diretta il boss. La scena del sequestro diventa così il set di un tragicomico reality, con la folla e le forze dell'ordine che assistono impotenti allo "spettacolo". La sola speranza d'impedire la tragedia è affidata, manco a dirlo, all'avvocato Vincenzo Malinconico, che l'ingegnere incontra casualmente nel supermercato e "nomina" difensore d'ufficio. Malinconico, con la sua proverbiale irresolutezza, il suo naturale senso del ridicolo, la sua insopprimibile tendenza a rimuginare, uscire fuori tema, trovare il comico nel tragico, il suo riepilogare e riscrivere gli eventi recenti della sua vita privata, riuscirà a sabotare il piano dell'ingegnere e forse anche quel gran pasticcio che è la sua vita.

Non immaginate neanche quanto sia difficile scrivere il commento di questo libro quando si è sdraiati in spiaggia, con il richiamo delle onde sullo sfondo che sembra continui a ripetere "tuffati, tuffati" (e un ragazzo accanto che si diverte a pungerti con gli aghi di pino).
Però devo concentrarmi e scrivere assolutamente il commento a questo romanzo. Lo devo al suo autore Diego de Silva, e soprattutto lo devo a Vincenzo Malinconico, questo avvocato un po' sfigato, per nulla di successo, che è riuscito ancora una volta con una sua avventura a farmi ridere e al contempo riflettere.
E forse questa volta gli argomenti di riflessione sono ancora più importanti e profondi rispetto a "Non Avevo Capito Niente". La lentezza dela giustizia, l'assurdità della burocrazia nei processi che spingono un padre, ormai esasperato, a prendere in ostaggio un capo camorrista responsabile della morte del figlio a seguito di uno scambio di persona, mentre passeggia indisturbato in un supermercato, e a mandare in onda, come un vero reality, il sequestro.
Una critica pesante, diretta alla società attuale. Dove l'univo modo per essere ascoltati è quello di mandare tutto in onda, di finire in TV ed entrare nelle case della gente, morbosa di queste vicende. E una critica alla lentezza della giustizia che troppo spesso porta all'esasperazione e al farsi giustizia da soli.
Certo, non ci fosse di mezzo il nostro avvocato Malinconico il romanzo sarebbe molto più difficile da digerire. Ma per fortuna c'è lui, il nostro eroe per caso da supermercato, che si ritrova invischiato in questo rapimento. Come se non ne avesse già abbastanza di problemi, tra la sua storia che sta finendo, la sua ex moglie che guadagna più di lui ma vuole comunque gli alimenti, due figli adolescenti che gli fanno ramanzine quotidiane e sua suocera, che ha appena scoperto di abere un cancro e ha deciso che è giunto il momento di comportarsi da stronza con il mondo.
Ma Vincenzo Malinconico riuscirà ancora una volta ad affrontare tutto quello che la vita gli mette davanti. E lo fa con la sua solita ironia, con le sue riflessioni su come gira il mondo e la vita, senza arrendersi mai più di tanto a tutte le sfighe che gli piovono addosso.

Insomma, un degno seguito di "Non Avevo Capito Niente". Forse manca un po' di originalità e le riflessioni del protagonista sono a volte un po' troppo articolate per riuscire ad identificarsi (a differenza del primo). Ma la storia mi è piaciuta molto. E vorrei proprio conoscere Vincenzo Malinconico.

In ambito pubblico vige il comune senso dell'estetica, vale a dire quel potentissimo inibitore sociale rubricato alla vaga ma inconfondibile voce <>.
La caratteristica peculiare del Pare Brutto è che si manifesta all'improvviso sotto forma di dubbio, per cui una cosa (un gesto, un'affermazione, una domanda) anche se non pare ancora brutta ma c'è una minima possibilità che lo diventi, ti fa stenere automaticamente dal farla.
E' un canone estetico estremamente mobile, il Pare Brutto. Non si sa in cosa esattamente consista, ma accidenti se funziona.

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