Una volta, c'era la banana: non il frutto amato dai bambini, bensì l'acconciatura arrotolata che proprio i bimbi subivano e detestavano ma che veniva considerata imprescindibile dai loro genitori. I quali, per bere un buon espresso, dovevano entrare al bar e chiedere un "caffè caffè", altrimenti si sarebbero trovati a sorbire un caffè d'orzo. Una volta, per scrivere, non c'erano sms o e-mail, ma si doveva dichiarare guerra ai pennini e uscire da scuola imbrattati d'inchiostro da capo a piedi. Una volta, si poteva andare dal tabacchino, comprare una sigaretta - una sola - e fumarsela dove meglio pareva: non c'erano divieti, e i non fumatori erano una gran brutta razza. Una volta, i bambini non cambiavano guardaroba a ogni stagione, andavano in giro con le braghe corte anche d'inverno e - per assurdo contrappasso - col costume di lana d'estate. Una volta, la Playstation non c'era, si giocava tutto il giorno per strada e forse ci si divertiva anche di più. Una volta, al cinema pioveva... Con un poco di nostalgia, ma soprattutto con la poesia e l'ironia della sua prosa, Francesco Guccini posa il suo sguardo sornione su oggetti, situazioni, emozioni di un passato che è di ciascuno di noi, ma che rischia di andare perduto, sepolto nella soffitta del tempo insieme al telefono di bachelite e alla pompetta del Flit. Un viaggio nella vita di ieri che si legge come un romanzo: per scoprire che l'archeologia "vicina" di noi stessi ci commuove, ci diverte, parla di come siamo diventati.
Pur non essendo un cantautore della mia generazione, ho sempre amato molto Francesco Guccini. Sarà forse colpa di mio padre, che me lo faceva ascoltare durante i viaggi in auto, insieme a De Andrè, De Gregori e tanti altri della sua generazione. Una volta, a 13 anni, sono anche finita quasi per caso a un suo concerto, sempre in compagnia di mamma e papà, e credo sia stato da allora che ho cominciato ad ascoltarlo veramente. Ci sono sue canzoni che riescono a commuovermi ogni volta che le ascolto: "La Locomotiva" sicuramente, ma ancora di più "Cyrano" o "Don Chisciotte" (tutto l'album "Stagioni", da cui è tratto, è veramente ma veramente stupendo).
Conoscevo comunque già anche il Guccini scrittore, anche se ne ho un ricordo molto vago. Avevo letto, credo in prima o seconda superiore, "Macaronì", scritto con Loriano Macchiavelli, di cui però non saprei più parlare. Mi ricordo che mi era piaciuto, ma non sarei in grado di riassumere la trama.
"Dizionario delle cose perdute" mi conferma la bravura di Guccini anche come scrittore (d'altronde se scrivi canzoni che sono poesie, difficilmente il resto che scrivi può fare schifo). In questo libro, l'autore ci racconta una serie di aneddoti della sua giovinezza, prendendo spunto da oggetti, situazioni o luoghi del passato che ora non esistono più ma che invece hanno caratterizzato l'infanzia e l'adolescenza di chi è nato negli anni '40 e '50. Dall''arrivo del chewingum dagli USA alla penicillina e le siringhe tutt'altro che indolor. Dalla tortura della maglia di lana fatta dalla madre o dalla nonna (questa l'ho vissuta anche io, pur essendo mooolto più giovane) ai pantoloni al ginocchio anche d'inverno. Dalle prime sigarette (a quell'epoca era quasi obbligatorio fumare) che si vendevano anche sfuse ai liquori fatti in casa. Dall'avvento della tecnologia con il telefono alle prime auto (la Topolina amaranto di Paolo Conte, per intenderci). Dalla naia obbligatoria al cinema di terza e quarta visione. Dai treni a vapore (che secondo me erano comunque più veloci di quelli della linea Torino-Aosta) a tutta una serie di giochi semplici che intrattenevano i bambini quando la playstation non esisteva ancora.
Un dizionario di cose perdute appunto, di cose che si conservano solo nella memoria della generazione che le ha vissute.
Certo, è un libro che sicuramente colpisce di più le persone di quella generazione (e infatti mia mamma ha iniziato a leggere il libro di nascosto, per poi chiedermi se poteva leggerlo anche lei "ma solo quando l'hai finito tu eh"). Ma questo è normale, anche io ho ricordi di giochi o di oggetti della mia infanzia che se le raccontassi a un bambino di oggi mi guarderebbe come se fossi un alieno.
Ma finchè qualcuno le scriverà o le ricorderà, queste cose non si perderanno.
Molto carino!
Per acquistare Dizionario delle cose perdute (Libellule)
Pur non essendo un cantautore della mia generazione, ho sempre amato molto Francesco Guccini. Sarà forse colpa di mio padre, che me lo faceva ascoltare durante i viaggi in auto, insieme a De Andrè, De Gregori e tanti altri della sua generazione. Una volta, a 13 anni, sono anche finita quasi per caso a un suo concerto, sempre in compagnia di mamma e papà, e credo sia stato da allora che ho cominciato ad ascoltarlo veramente. Ci sono sue canzoni che riescono a commuovermi ogni volta che le ascolto: "La Locomotiva" sicuramente, ma ancora di più "Cyrano" o "Don Chisciotte" (tutto l'album "Stagioni", da cui è tratto, è veramente ma veramente stupendo).
Conoscevo comunque già anche il Guccini scrittore, anche se ne ho un ricordo molto vago. Avevo letto, credo in prima o seconda superiore, "Macaronì", scritto con Loriano Macchiavelli, di cui però non saprei più parlare. Mi ricordo che mi era piaciuto, ma non sarei in grado di riassumere la trama.
"Dizionario delle cose perdute" mi conferma la bravura di Guccini anche come scrittore (d'altronde se scrivi canzoni che sono poesie, difficilmente il resto che scrivi può fare schifo). In questo libro, l'autore ci racconta una serie di aneddoti della sua giovinezza, prendendo spunto da oggetti, situazioni o luoghi del passato che ora non esistono più ma che invece hanno caratterizzato l'infanzia e l'adolescenza di chi è nato negli anni '40 e '50. Dall''arrivo del chewingum dagli USA alla penicillina e le siringhe tutt'altro che indolor. Dalla tortura della maglia di lana fatta dalla madre o dalla nonna (questa l'ho vissuta anche io, pur essendo mooolto più giovane) ai pantoloni al ginocchio anche d'inverno. Dalle prime sigarette (a quell'epoca era quasi obbligatorio fumare) che si vendevano anche sfuse ai liquori fatti in casa. Dall'avvento della tecnologia con il telefono alle prime auto (la Topolina amaranto di Paolo Conte, per intenderci). Dalla naia obbligatoria al cinema di terza e quarta visione. Dai treni a vapore (che secondo me erano comunque più veloci di quelli della linea Torino-Aosta) a tutta una serie di giochi semplici che intrattenevano i bambini quando la playstation non esisteva ancora.
Un dizionario di cose perdute appunto, di cose che si conservano solo nella memoria della generazione che le ha vissute.
Certo, è un libro che sicuramente colpisce di più le persone di quella generazione (e infatti mia mamma ha iniziato a leggere il libro di nascosto, per poi chiedermi se poteva leggerlo anche lei "ma solo quando l'hai finito tu eh"). Ma questo è normale, anche io ho ricordi di giochi o di oggetti della mia infanzia che se le raccontassi a un bambino di oggi mi guarderebbe come se fossi un alieno.
Ma finchè qualcuno le scriverà o le ricorderà, queste cose non si perderanno.
Molto carino!
Per acquistare Dizionario delle cose perdute (Libellule)
Ne avevo visto l'intervista con Fazio a 'Che tempo che fa'... il libro sembra carino, poi io me l'immagino narrato con la 'R' gucciniana xD
RispondiEliminaE L'Avvelenata? E quanto mi scompiscio con La Genesi *__*
"Come son bravo che, a tempo perso, ti ho creato l'Universo!
RispondiEliminaNon mi sembra per niente male, sono davvero un tipo geniale!"
:D
Sì è vero, i giochi degli anni Ottanta son già roba da vecchi per i bimbi d'oggi. A me questi ricordi del passato piacciono sempre molto, quindi mi sembra un libro interessante e a suo modo utile. :)
RispondiEliminaAmo Guccini, lo leggerò sicuramente. Anche Macchiavelli mi piace, fanno una coppia perfetta!!
RispondiEliminaOra vedrò di rileggere "Macaronì" :)
RispondiElimina