venerdì 4 dicembre 2015

Caro Marco, ho appena finito di leggere il tuo L'invenzione della madre...


Caro Marco,
ho appena finito di leggere il tuo L’invenzione della madre. L’ho chiuso dieci minuti fa, sì, dopo che mi ha fatto trascorrere due notti difficili. Dovrei scriverne la recensione, ma sapevo già quando l’ho iniziato che non ne sarei stata in grado.
D'altronde come si può scrivere una recensione di un libro così, di una storia così intima, così personale, come lo è perdere una persona cara? Nemmeno sullo stile potrei poi dire così tanto, perché il dolore di ogni persona ha uno stile tutto suo, sempre  e comunque valido.

E quindi, eccomi qui, a scrivere una sottospecie di lettera che non credo avrà poi alcun senso. E lo faccio subito, perché le cose dolorose preferisco affrontarle immediatamente, anziché rimandarle (che poi è il motivo per cui ho letto il tuo libro senza fermami).

Mi ci è voluto del tempo per decidermi a leggerlo. Mi è arrivato in casa nel momento in cui tutti ne parlavano, lo elogiavano, scrivevano recensioni colme di dolore (che tutti abbiamo un dolore più o meno grande nella nostra vita) e di commenti positivi per te e per il coraggio di raccontare. Ecco, quando tutti parlano così tanto e così bene di un libro, io tendo a rifuggirne, ad aspettare che l’entusiasmo un po’ scemi. Poi un altro pensiero ha preso forma nella mia mente: oddio, sarà mica un libro furbo, un libro alla Fai bei sogni di Gramellini, per intenderci, fatto apposta per far piangere e commuovere? Anche se l’editore che l’ha pubblicato avrebbe dovuto essere sufficiente come garanzia a farmi capire che non era così.
E poi forse un po’ avevo paura. Paura perché la storia di Mattia, la tua storia, porta inevitabilmente al ricordo di storie personali, un ricordo che c’è sempre, anche dopo quasi undici anni, ma che cerco di raccontare direttamente il meno possibile. Perché, come dicevo prima, ognuno ha il suo dolore da portare, ha la sua storia, ma non tutti vogliono raccontarne certi dettagli, certi particolari. 

Ti chiami come mio padre, sai? E per uno buffo scherzo del destino, anche il mio compagno si chiama come lui. È quella di mio padre, di mio papà, la grande perdita che ha segnato la mia vita. Un dolore forte, come lo è per chiunque il perdere una persona amata. Un dolore che resta lì, una ferita aperta, che a volte ti dimentichi di avere e altre volte invece fa un male cane.
Anche lui se n’è andato dopo una lunga malattia. Diversa da quella della madre di Mattia, di tua madre, anche se l’età era più o meno la stessa. E io di quegli anni ricordo tutto, perfettamente, anche senza averlo dovuto scrivere in un libro. Ricordo le parole dei medici in ospedale. Ricordo le visite in farmacia a ritirare scatoloni di farmaci. Ricordo l’imbarazzo degli altri a chiedere come andava e il cameratismo tra malati e tra parenti di malati. Ricordo quando è arrivato il letto e quando poi se lo sono portati via (credo di aver rotto il piede al tipo dell’ASL, mentre lo aiutavo a portarlo fuori). Ricordo il via vai degli infermieri a casa e dell’incredibile cotta che sia io sia mia sorella ci eravamo prese per il fisioterapista. Ricordo i tre giorni del funerale, tre giorni assurdi, in cui scegli la cassa, i fiori e tutto il resto come se stessi scegliendo un’auto. E ricordo tutto il dopo, fino ad oggi.
Per fortuna, ricordo anche tutte le cose belle che abbiamo fatto in quegli anni, nonostante tutto. E con il tempo, anche le cose fatte prima, quando lui stava bene e che sembravano un po’ dimenticate, schiacciate dalle difficoltà della malattia, con il tempo hanno iniziato a venire fuori. 

Poi ho letto il tuo libro e, come ti dicevo, ho passato due giorni d’inferno. Perché con la tua vita, la tua storia, sicuramente tuo malgrado, hai gettato del sale su quella ferita che ho dentro, facendola tornare di nuovo dolorosa. Ho pianto come non piangevo forse da allora, soprattutto quando hai raccontato i dettagli dell’ultimo viaggio.  È incredibile quanto nel dolore, alla fin fine, sia tutto uguale. Sembra assurdo, eppure i gesti sono gli stessi e le cose che si notano anche (il foulard, l’odore, la macchinetta refrigerante). 
E non riesco a esserti grata per tutto questo. Molti dicono che leggendoti hanno potuto fare i conti con un dolore del passato, forse sentendosi meno soli. E li posso capire, davvero. Io però no, io sono arrabbiata con te. Perché non ho bisogno di un libro per ricordarmi tutte quelle cose brutte. Non se ne andranno mai, per quanto la vita inevitabilmente continui. 

Capisco quanto possa essere stato importante per te scrivere questo libro. Così come capisco quanto possa essere importante per altre persone leggerlo, per sentirsi meno sole, perché forse il dolore quando è condiviso fa meno male. Ma io ho bisogno di libri che mi ricordino le cose belle di quello che è stato, nonostante tutto. Libri che non si concentrano su quel dolore, su quei giorni, ma che mi aiutino a riscoprire cose che invece a poco a poco quel dolore mi aveva fatto dimenticare.

Ma, mi dispiace, io non credo che mai lo rileggerò, non credo che mai lo consiglierò a chi mi chiederà se vale la pena leggerlo, soprattutto se so che cos'ha alle spalle chi me lo sta chiedendo. 
Non so perché mi sia venuta fuori questa lettera. Non ha nemmeno un senso, in realtà. Ma si è formata da sola, nella mia mente, man mano che andavo avanti con la lettura. Non è un libro furbo, fatto apposta per far piangere, di questo ti devo rendere atto e farti anche i complimenti, per essere riuscito a non cadere nel retorico (in realtà avresti anche potuto farlo, credo che il dolore autorizzi qualsiasi cosa). Però ecco, non è il libro di cui io personalmente ho bisogno per continuare a ricordare e ad andare avanti.

Mi spiace
Elisa


Titolo: L'invenzione della madre
Autore: Marco Peano
Pagine: 252
Editore: minimum fax
Anno: 2015
Acquista su Amazon
formato brossura:L'invenzione della madre
formato ebook: L'invenzione della madre

15 commenti:

  1. Le tue sono parole bellissime, e ne comprendo ogni singola sillaba. Anche mio padre se n'è andato 6 anni fa per lo stesso male che si è portato via la madre di Mattia. Ognuno reagisce a queste perdite incolmabili in modo differente, senza un giusto o un sbagliato, e le tue parole ce lo insegnano. Per me l'invenzione della madre è stato un libro quasi catartico: ha riportato a galla universi mai del tutto sommersi e me ne ha fatto dolere, piangere, disperare esattamente come 6 anni fa, per liberarmene in qualche maniera (ma si è mai davvero liberi? Ne dubito fortemente). Non ricordo nemmeno quante volte ho dovuto chiudere il libro per poi spingermi, quasi costringermi, a riaprirlo.
    Ti abbraccio, Penny Lane

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    1. Del tutto non ci si riprende mai, si impara a conviverci, con alti e bassi :)

      Infatti capisco benissimo chi in questo libro ha trovato un conforto e capisco anche Marco che ha sentito il bisogno di scriverlo. A me leggerlo ha fatto più male che bene, ma il dolore è una cosa talmente tanto persone (seppur alla fine spesso simile tra le varie persone) che le razioni sono per forza differenti.

      Ricambio forte l'abbraccio :)

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  2. Mia madre si è ammalata, dieci anni fa, e fortunatamente l'ha scampata. Eppure sto libro non mi ha emozionato per nulla. Probabilmente è colpa di una scrittura che non reputo determinante.

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    1. Mi rendo conto ora che la "recensione" forse cozza un po' con i primi commenti che ci eravamo scambiati. All'inizio anche io avevo qualche difficoltà con la scrittura... poi l'aspetto emotivo su di me ha preso il sopravvento.
      Almeno per me, è difficile riuscire a dare un giudizio su libri come questo.

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  3. non l'ho letta come una recensione, ma come una lettera aperta, il ché mi ha veramente coinvolta nella lettura... brava, davvero brava

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    1. Era irrecensibile, per me... grazie mille, davvero :)

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  4. Adoro molto le recensioni/lettere - ne ho scritte un paio, perché per alcuni libri non si potrebbe fare altrimenti - e la tua è bellissima.

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    1. Sì anche io credo che certi libri siano recensibili solo così :) Grazie mille!

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  5. Ho visto per caso questo libro oggi e dopo aver letto le prime righe non mi ispirava per nulla... però dopo la tua lettera forse gli darò una possibilità... perché mi piacerebbe leggere almeno una volta qualcosa che affronti per bene il tema del dolore e della morte (probabilmente voglio leggerci qualcosa perché io ho avuto la fortuna ancora di non provare grandi dolori nella mia vita, sono stata fortunata e sono ancora giovane...)

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    1. L'età giovane purtroppo centra relativamente... ma davvero ti auguro di provare grandi dolori il più tardi possibile :)

      Io non sono così convinta che questo libro lo affronti bene, in realtà. Cioè non so bene che cosa provi chi non è mai passato per quella strada leggendolo. Se lo farai, vieni a farmelo sapere :)

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  6. Io questo libro lo sto evitando da quando è uscito. Mi fa paura, mi fa terrore. È come se sapessi leggerlo potrebbe spalancare una voragine e io in quella voragine non voglio cascarci. Però mi attira, quello è il problema delle voragini... E allora mi ci avvicino leggendone le recensioni, o leggendo insomma chi ne parla. Forse non lo leggerò mai e la tua lettera mi conferma il pensiero di non doverlo leggere, che forse è meglio così.
    E di volerti mandare un abbraccio fortissimo.

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    1. Grazie dell'abbraccio... era da un po' che un libro non mi faceva così male, al punto da pensare che se potessi tornare indietro non lo leggerei.

      Anche io ne ero attratta, non tanto per le recensioni ma proprio per il tema, e sono stata forse un po' ingenua a pensare che non mi avrebbe toccata.

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  7. Ciao Elisa, mio padre è morto un anno e tre mesi fa. Sono tornata un pomeriggio a casa e era andato via, senza salutare nessuno. Da pochissimo sono riuscita a rivivere dentro di me la scena di me che apro la porta e lo trovo lì, per terra, che comincio a urlare con una pazza bussando irrazionalmente con calci e pugni a tutte le porte del condominio senza che nessuno aprisse; ricordo la telefonata al 118 e la centralinista che non riusciva a capire neanche cosa stessi dicendo. Ricordo l'ambulanza, il medico e i 25 minuti in cui sono rimasta nel giardino sotto casa senza avere il coraggio di salire su per capire cosa stava succedendo e in cui ho pensato che forse era meglio tirarsi sotto una macchina che provare ancora per un minuto quell'incertezza, quel non sapere, quel momento in cui lotti contro i tuoi pensieri peggiori. Poi la conferma. Era morto. No so da quanto. Al massimo da un'ora e mezzo, forse meno. E' morto ed era solo e io tutte le notti spero che sia come mi hanno detto, cioè che che non se ne è neanche accorto, che non ha avuto il tempo di avere paura. Quindi ti ringrazio per la tua recensione perché non credo di avere bisogno, almeno ancora per molti anni, di leggere questo libro.
    Ti abbraccio forte virtualmente.
    P.S Dato che vedo che parli spesso di Malvaldi mi fa piacere farti sapere che mio padre, scrittore e umorista, è colui che Malvadi, in uno scritto pubblicato sul'Almanacco Sellerio 2014, definisce il suo maestro. Se mai avrei tempo di leggere qualcosa di Ettore Borzacchini (pseudonimo di Giorgio Marchetti) sarei felice di sapere che ne pensi, anche privatamente.

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    1. Ciao Elena,
      innanzitutto ricambio con un grande, grandissimo abbraccio, che non servirà forse a niente ma mi sento comunque di mandartelo.
      So quanto sia doloroso raccontare la propria storia di perdita. Purtroppo questi tristi ricordi non se ne andranno mai, con il tempo sbiadiranno un po', per poi tornare di tanto in tanto.
      Questo libro mi ha distrutta, mentre lo leggevo e ancora adesso, che è passata quasi una settimana. Forse potevo fermarmi, sì, ma ormai avevo iniziato.
      So che per molti è stato catartico, o almeno ha aiutato a fare i conti con un dolore. A me non ha fatto che amplificarlo... Non so se a te aiuterebbe a "superare" la cosa o ti ci rifarebbe sprofondare dentro. Nel dubbio, sì, francamente io non lo leggerei.

      E ora vado a cercarmi subito gli scritti di tuo papà :)

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  8. L'ho iniziato e poi abbandonato.
    Affronta un argomento che mi fa paura ... non so se riuscirò mai!

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