venerdì 20 settembre 2013

Quello che nei libri non c'è.

Dovrei scrivere la recensione di un libro. Di un bel libro tra l'altro, Volfango dipinto di blu di Elvio Calderoni. Ma in questo momento ho la testa altrove e finché non mi riesco a liberare di tutti questi pensieri non riuscirò a concentrarmi su altro.
Ci sono cose che i libri non ti insegnano. E lo so che sto dicendo un'ovvietà. Una cosa che tutti sanno, che io stessa so. Eppure a volte questa consapevolezza si fa più forte di altre, talmente forte che quasi ti fa del male.
Quando è stato male mio padre e poi, dopo tre anni, è mancato, nulla di quello che avessi letto prima o durante mi ha preparata per quello che è effettivamente successo. Perché le storie dei libri non sono storie vere, anche se alla realtà assomigliano molto. O anche quando lo sono, sono storie vere che succedono ad altri, che colpiscono altri. La realtà, quella che ti colpisce di più o ti fa più male è quella che vivi in prima persona, quella che senti sulla tua pelle. I libri a volte ti aiutano a capire, altre ti fanno sentire meno solo, altre ti mettono di fronte a situazioni ancor più disperate e ti fanno rivedere quello che succede a te con occhi diversi. Ma non saranno mai la tua vita. Mai quello che vedi e che senti. 
Oggi ho accompagnato mia madre a trovare una nostra vecchia vicina di casa. Una signora che era solita passare l'estate qui e andare a svernare al suo paese natale. Quest'estate qui non è venuta. E' stata male. Problemi alle ossa prima, allo stomaco poi, alla testa adesso. Era una signora forte, una signora irruente, un po' lamentosa a volte, alla quale la vita ha riservato una mazzata dietro l'altra senza mai riuscire a distruggerla. E' la signora a cui rubavo le meringhe da bambina, quella con cui mangiavo le olive davanti al forno acceso quando i miei mi lasciavano da lei perché mi guardasse. La signora da cui mio papà già in sedia a rotelle si faceva portare tutti i giorni dopo pranzo a far due chiacchiere. E' la signora che si sentiva urlare al marito fin da cento metri di distanza e la stessa che ti riempiva di baci quando ti incontrava per strada.
Eppure, oggi, quando ha aperto la porta, non mi sembrava lei. Non era lei. Avevo davanti una signora docile, quasi rimpicciolita, richiusasi in se stessa. Ci ha accolto piangendo e ha pianto durante quasi tutta la nostra permanenza, sebbene la sorella cercasse in ogni modo di farla smettere. Una signora stanca, spaventata, depressa. Dicono demenza senile, dicono depressione, dicono principio di Alzheimer. Si è parlato di mio padre, ovviamente, perché quando si soffre e si sta male non si può che ricordare quanto hanno sofferto e sono stati male gli altri. Si è parlato di lei, che ha la consapevolezza che qui non ci tornerà più e che forse da qui a trovarla non ci andrà più nessuno. 
Eppure di libri che parlano di anziani ne ho letti un sacco: di centenari che saltano dalla finestra per unirsi a un circo (Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve), di vecchietti che si riuniscono in una sorta di comune perché abbandonati da figli e nipoti (E poi Paulette), di vecchini dispettosi ma anche molto consapevoli che sfruttano a loro vantaggio tutti i terribili difetti della loro età (La banda degli invisibili), di vecchini investigatori (tutta la saga di Malvaldi)... e se ci pensassi con calma sono sicura che me ne verrebbero in mente tanti altri. Eppure, nulla di quello mi ha preparato a quel che ho visto oggi. Alla tristezza che ho provato. 
Devo ammettere che io non sopporto molto chi dice "non vado a trovare qualcuno che sta male perché preferisco ricordarmelo com'era". Eppure li posso capire, perché così riescono a risparmiarsi qualche batosta, qualche dolore, qualche botta di realtà.
Però, non so. Quando lo stupore e la tristezza spariranno, mi rimarrà in mente il suo sguardo felice e commosso di quando ci ha viste entrare. Il suo sorriso quando sono riuscita a farla ridere. Oltre ovviamente alle olive che mi faceva mangiare da bambina e alle meringhe che le rubavo di nascosto.
E tutto questo, nei libri, ovviamente, non c'è.

Scusatemi, questo post non c'entra molto con la lettura e con questo blog. Ma avevo bisogno di scriverlo.

5 commenti:

  1. Scrivi sempre quello che senti! Divagare è sano e fa trovare una radice e un'espansione anche ai pensieri più tristi o profondi.
    Nei libri c'è tanto, ma come dici tu certi eventi non ci sono: c'è la via per non pensare a una cosa e non quella per conviverci.
    Un abbraccio grandissimo.

    RispondiElimina
  2. in fondo, uno dei (tanti) meriti dei libri è proprio quello di "insegnare" a poter saper pensare, poter saper sentire.

    RispondiElimina
  3. Al contrario, credo c'entri molto con la lettura. E ce ne siamo accorti tutti, in un modo o nell'altro.

    RispondiElimina
  4. "Quando lo stupore e la tristezza spariranno, mi rimarrà in mente il suo sguardo felice e commosso di quando ci ha viste entrare..."
    Ecco, già con questa frase ti sei data LA risposta. Non è bello vedere soffrire qualcuno che conosci, e ancor meno qualcuno a cui sei affezionata, ma quel qualcuno, a sua volta, ricorderà che tu ci sei stata, e sarà felice (anche se piangente tutto il tempo) per questo.
    Splendida questa tua riflessione, grazie!

    Piergiorgio

    RispondiElimina
  5. Mi è capitato, purtroppo, di vivere situazioni di questo tipo. E' terribile, ma allo stesso tempo non avrei mai evitato questo dolore: per certe persone devi, vuoi esserci fino alla fine, magari rubare loro un sorriso tra le lacrime, come è successo a te.
    Ti mando un abbraccio (sperando di non risultare inopportuna).

    RispondiElimina