Da quando la nonna è morta, Mikage è sola al mondo. Le cucine che sogna continuamente rappresentano il suo desiderio della famiglia che non ha. E, non avendola, decide di inventarsela, scegliendosi i genitori nella cerchia delle proprie amicizie. Il padre del suo amico Yuichi, per esempio, può diventare tranquillamente sua madre. Un'immagine inedita e sorprendente del Giappone, con temi e situazioni che ricordano quelli dei fumetti manga, rielaborati però attraverso una lingua letteraria e al tempo stesso agile e spigliata.
Per qualche strano motivo, Banana Yoshimoto è una di quelle autrici da cui mi sono sempre tenuta alla larga, pur non avendo praticamente mai letto niente di suo (a parte Tsugumi, quando ero bambina, di cui non mi ricordo assolutamente nulla). Non saprei spiegarvi il perché di questa mia diffidenza nei suoi confronti. Ho deciso però che era ora di provare a rimediare, o almeno di dare una possibilità a questa autrice. E l'ho fatto scegliendo il romanzo con il titolo che più mi ispirava, ovvero Kitchen. Insomma, se un libro si intitola "cucina", qualcosa di buono lo deve pur avere, no?
In realtà di cibo e cucina c'è ben poco, fan solo da sfondo per indentificare le caratteristiche della protagonista. La vera storia è una storia d'amore, di morte e di solitudine. Mikage, dopo aver perso i genitori da bambina e il nonno poco dopo, perde anche sua nonna e rimane sola al mondo. Verrà accolta Yuichi e da sua madre Eriko, che diventeranno una seconda famiglia per lei. Ma il legame con Yuichi è molto più forte e complesso di quel che sembra, legame che li porterà a riflettere sul loro passato, sul loro futuro, sulla morte e sulla vita.
Il romanzo è sicuramente un bel romanzo, veloce da leggere e con spunti di riflessione notevoli. Ma forse è un po' troppo zen per i miei gusti. Forse i personaggi sono troppo ambigui e tormentati e diventa difficile simpatizzare per loro (eccetto per Eriko, certo). Forse con una cinquantina di pagine in più l'argomento poteva essere approfondito meglio e i personaggi meglio caratterizzati.
Molto bello invece il racconto al fondo, Moonlight Shadow, di nuovo su amore e dolore, su perdite e speranze e sul lasciare andare.
Non è molto il mio stile forse, ma tutto sommato non è così male. Potrei anche leggere altro.
Nota alla traduzione: credo che non sia per nulla facile tradurre un romanzo dal giapponese. E la mia unica critica in realtà andrebbe fatta forse più all'autrice che non alla traduzione. Ovvero l'utilizzo del termine cool (scritto in corsivo, quindi deduco fosse nell'originale), che in un romanzo scritto nel 1991 suona proprio male.
per acquistare il romanzo: Kitchen (Universale economica)
Per qualche strano motivo, Banana Yoshimoto è una di quelle autrici da cui mi sono sempre tenuta alla larga, pur non avendo praticamente mai letto niente di suo (a parte Tsugumi, quando ero bambina, di cui non mi ricordo assolutamente nulla). Non saprei spiegarvi il perché di questa mia diffidenza nei suoi confronti. Ho deciso però che era ora di provare a rimediare, o almeno di dare una possibilità a questa autrice. E l'ho fatto scegliendo il romanzo con il titolo che più mi ispirava, ovvero Kitchen. Insomma, se un libro si intitola "cucina", qualcosa di buono lo deve pur avere, no?
In realtà di cibo e cucina c'è ben poco, fan solo da sfondo per indentificare le caratteristiche della protagonista. La vera storia è una storia d'amore, di morte e di solitudine. Mikage, dopo aver perso i genitori da bambina e il nonno poco dopo, perde anche sua nonna e rimane sola al mondo. Verrà accolta Yuichi e da sua madre Eriko, che diventeranno una seconda famiglia per lei. Ma il legame con Yuichi è molto più forte e complesso di quel che sembra, legame che li porterà a riflettere sul loro passato, sul loro futuro, sulla morte e sulla vita.
Il romanzo è sicuramente un bel romanzo, veloce da leggere e con spunti di riflessione notevoli. Ma forse è un po' troppo zen per i miei gusti. Forse i personaggi sono troppo ambigui e tormentati e diventa difficile simpatizzare per loro (eccetto per Eriko, certo). Forse con una cinquantina di pagine in più l'argomento poteva essere approfondito meglio e i personaggi meglio caratterizzati.
Molto bello invece il racconto al fondo, Moonlight Shadow, di nuovo su amore e dolore, su perdite e speranze e sul lasciare andare.
Non è molto il mio stile forse, ma tutto sommato non è così male. Potrei anche leggere altro.
Nota alla traduzione: credo che non sia per nulla facile tradurre un romanzo dal giapponese. E la mia unica critica in realtà andrebbe fatta forse più all'autrice che non alla traduzione. Ovvero l'utilizzo del termine cool (scritto in corsivo, quindi deduco fosse nell'originale), che in un romanzo scritto nel 1991 suona proprio male.
per acquistare il romanzo: Kitchen (Universale economica)
un romanzo che ho amato tantissimo! come del resto amo molto la yoshimoto!
RispondiEliminaanch'io ho preferito di gran lunga il secondo racconto, anche se mi ha fatto piangere come una fontana... la mia professoressa di cultura giapponese detesta la Yoshimoto e dice che il suo successo in Italia è dovuto al lavorone del traduttore. io non saprei, dopotutto la mia professoressa dice lo stesso di Murakami... mah!
RispondiEliminala Yoshimoto mi piace sempre.... certo Cool nel '91 aveva sicuramente un significato diverso
RispondiEliminadevo dire la verità, questo è un libro che non sono davvero riuscita a finire, uno dei pochi di cui ho lasciato la lettura incompleta...
RispondiEliminaLaura