Camminando senza parlare, i due amici arrivarono davanti al portone di Zubillaga. Sulla facciata dell'edificio, la pittura ancora fresca, si poteva leggere: ZUBILLAGA SPIA, con il noto bersaglio sopra il nome. L'amico affrettò il passo come colto da una fretta improvvisa. Dopo pochi metri si girò e, con il volto alterato e i modi nervosi, sussurrò a Zubilaga: cancellalo prima che lo vedano i tuoi vicini. Cancellalo, accidenti, che con queste cose non si scherza.
Dopo le fiamme di Fernando Aramburu, da poco pubblicato da
Guanda editore con la traduzione di Elisa Tramontin, è una raccolta di racconti
che porta il lettore esattamente negli stessi luoghi, i Paesi Baschi, e nella
stessa atmosfera, l’ETA e come viene vissuto tra la gente, di Patria, il grande
romanzo di questo scrittore basco che nel 2018 ha vinto il Premio Strega
Europeo.
Questa raccolta, in realtà, in Italia era già uscita nel
2007 per la casa editrice La nuova frontiera. Anche la traduzione era la
stessa, cambiava però il titolo: in quella prima edizione, infatti, era stato
mantenuto il titolo originale, nonché titolo del racconto in apertura, I pesci
dell’amarezza.
Guanda lo ripubblica quindi dodici anni dopo, scegliendo questa volta come
titolo dell’intera raccolta quello dell’ultimo racconto: Dopo le fiamme,
appunto.
Un’informazione importante, questa. Perché, complice una
fascetta volutamente generica (“Dopo Patria, ma ancora dentro Patria, il nuovo
libro di un autore che è il grande caso editoriale di questi anni”) se non si
sa che questi racconti sono stati scritti molto prima del romanzo si rischia di
non apprezzarli come si meriterebbero.
I dieci racconti di Dopo le fiamme, infatti, sembrano una
sorta di antipasto, di anticipazione di quel che Aramburu metterà poi dentro
Patria, sviluppandolo all'ennesima potenza. Le tematiche sono le stesse, si
diceva: siamo nei Paesi Baschi e l’ETA è nel pieno della sua attività.
Manifestazioni, intimidazioni, attentati che colpiscono obiettivi precisi (chi
non simpatizza per la causa basca) ma anche persone che passavano lì per caso, che
ancora dovevano nascere, che volevano solo vivere tranquille e che invece ora
si ritrovano segnati a vita.
Sono tutti racconti molto belli, perché Aramburu è
bravissimo a raccontare la quotidianità, le reazioni estremamente umane, la
paura, la rassegnazione, gli amici che diventano nemici perché non vedono alternative, ma anche la voglia di non arrendersi. È bravo a raccontare
il clima, da un lato e dall'altro, che si respirava nelle vie, nelle piazze,
nei quartieri ma anche all'interno di ogni singola famiglia.
Tra questi dieci racconti i miei preferiti in assoluto sono
tre. Il primo è I pesci dell’amarezza, proprio in apertura. Qui
conosciamo una figlia, “i giornali l’avrebbero descritta come una donna di
ventinove anni che passava casualmente per il luogo dell’esplosione”,
attraverso gli occhi del padre che la va a prendere in ospedale dove è stata
ricoverata a lungo e che ora deve imparare a vivere senza l’uso di una gamba.
Riprendere a vivere è molto difficile, triste. Affrontare il dolore di una
figlia altrettanto difficile, triste. Ma in qualche modo ce la si deve fare,
magari fermandosi a guardare il mare o diventando amici di un pesce in un
acquario.
Il secondo è Relazione da Creta, in cui una donna racconta
la sua storia con Santi, attraverso un diario che scrive per la psicologa
mentre è in viaggio di nozze. Santi è un uomo strano, molto timido, che si
ferma sempre un po’ di più al lavoro e che odia andare al cinema. Con lei a
poco a poco sembra aprirsi e, grazie anche all’incontro con la madre, lei
capisce che c’è un trauma, una ferita profonda dietro ai suoi comportamenti
bislacchi. Decide quindi di aiutarlo, di tentare di tirarlo fuori da quell’abisso
in cui da tanti anni è caduto: da quando hanno ammazzato suo padre.
Il terzo è Il figlio di tutti i morti ed è la storia di
Iñigo, un figlio cresciuto senza padre. Un giorno, dopo aver assistito alla
finestra a una manifestazione pro Euskera, il nonno gli racconta la verità, gli
racconta di essere uno dei tanti bambini cresciuti senza padre per decisione di
qualcun altro.
La madre si alzò dal letto, svestì il figlio e lo aiutò a mettersi il pigiama. Iñigo la lasciava fare. Una volta messo a letto, sua madre gli rimboccò le coperte e, al momento di augurargli la buonanotte, spostandogli la frangetta, gli diede due baci sulla fronte.«Uno, due» sussurrò come al solito.«Senti, ama, perché mi dai sempre due baci e li conti?»«Uno è mio, l'altro è di chi non ti ha mai potuto baciare.»
Questi sono i miei tre preferiti, ma in tutti e dieci
Fernando Aramburu riesce a trasmettere qualcosa di forte, di potente, che
racconta di una società e un periodo storico di cui noi forse, qui a distanza,
abbiamo saputo e compreso troppo poco.
Se avete amato Patria, ma anche quell'altra meraviglia che è
Anni lenti, amerete tantissimo anche Dopo le fiamme. Vi ritroverete negli
stessi luoghi, nelle stesse atmosfere, nella stessa impotenza e nello stesso
dolore.
Tutti dovevano vederlo: il suo dolore imperterrito, il suo dolore alto come un lampione in mezzo alla strada. Lo dovevano vedere anche quelli incapaci di provare compassione, quelli che se ne rallegravano di nascosto o apertamente e quelli che in quell'istante lo stavano festeggiando come una vittoria. Toñi pensava che il suo dolore dovesse costringere anche quelli, specialmente quelli, a deviare un po' il percorso per non sbatterci contro.Mentre attraversava i portici di una vecchia piazza si fermò davanti a una vetrina. Nei propri occhi vide più rabbia che tristezza. Continuò ad andare dove la portavano i piedi. Senza prestare attenzione a niente e nessuno arrivò al frangiflutti del molo, dove si fermò a guardare le onde e il cielo grigio e i pescherecci che uscivano a pescare. Passò molto tempo a parlare da sola. Al ritorno, quando arrivò al primo semaforo, vide arrivare a velocità sostenuta una betoniera. «Mi butto?» si domandò. Ma aveva tre figli e bisognava vivere.
Autore: Fernando Aramburu
Traduttore: Elisa Tramontin
Pagine: 251
Editore: Guanda
Anno: 2019
Prezzo: 17,00€
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