Domenica 16 luglio, in compagnia di Luca, sono andata per la prima volta a Collisioni, il festival agrirock che si tiene nel mese di luglio a Barolo, un paesino in provincia di Cuneo, dal 2009.
Non so perché non ci fossi mai andata prima. Forse perché credevo fosse lontano, forse perché non ho mai trovato nessuno che volesse accompagnarmici o non c’è mai stato nei programmi degli anni passati (davvero molto ricchi, in realtà) un autore o un’autrice che mi spingesse ad andarci anche da sola. Male. Molto, molto male. Perché, dopo una giornata trascorsa tra la piazza Blu e la piazza Rosa di questo paesino, mi sono resa conto di quanto mi sia persa negli anni passati.
A spingerci quest’anno ad andare sono stati due autori: Jeffrey Eugenides e Joyce Carol Oates. A cui si è poi aggiunto Jonathan Coe, che io avevo già sentito un paio di volte ma che merita sempre.
E quindi ci siamo svegliati, abbiamo preso l’auto (Barolo è raggiungibile solo così, con l’auto propria o approfittando di alcuni bus che partono da Torino, Milano, Genova e Cuneo durante i giorni del festival) e in un’oretta circa siamo arrivati a Barolo. Ero un po’ preoccupata della logistica, tra parcheggi, navette per arrivare in paese e code all'ingresso, ma devo dire che ci è andato tutto bene. Noi non avevamo prenotato nulla, quindi abbiamo lasciato l’auto nel parcheggio più lontano, ma la navetta è arrivata pochi minuti dopo di noi. Lo stesso alle casse: dopo i controlli iniziali, abbiamo acquistato senza problemi i biglietti d’ingresso direttamente sul posto, beccandoci anche di sottofondo il soundcheck dei Placebo che avrebbero suonato la sera.
E poi siamo entrati in paese:
E poi siamo entrati in paese:
Il primo appuntamento della giornata è stato con lo scrittore inglese Jonathan Coe, in dialogo con Carlo Lucarelli in piazza Blu. I due hanno parlato, ovviamente, dei libri e della carriera letteraria di Coe, ma anche del rapporto tra il mondo dei social (che Coe frequenta… poco dopo la fine del suo incontro mi sono ritrovata un suo cuore su twitter, nel tweet in cui aspettavo l’evento) e quello dei libri, che lui consiglia di tener ben separati. Si è parlato di scrittura e di prossimi romanzi: l’ultimo è stato Numero undici, uscito l’anno scorso per Feltrinelli, e durante l’incontro Coe ha annunciato di aver iniziato a lavorare al prossimo, seguendo la sua abitudine di scrittore di pensare un libro per due anni e poi metterci meno di un anno a scriverlo. In chiusura, tra le domande del pubblico, qualcuno ovviamente ha chiesto anche della Brexit, e Coe, oltre ad aver dichiarato di aver votato contro, ha concluso il suo discorso con un bel “Fuck Brexit!”, che vale più di mille parole.
Le ultimissime parole dette da Coe sono state la risposta alla domanda di una giovane aspirante scrittrice che gli chiedeva qualche consiglio: e lui, a differenza di molti altri autori che spesso rispondono con “non lo so” o eludendo la domanda, le ha semplicemente detto di farlo, di provarci, che se il suo sogno è quello magari riuscirà a realizzarlo, magari avrà la fortuna di essere pubblicata o per lo meno ci avrà provato.
Jonathan Coe con Carlo Lucarelli e l'interprete Paolo Maria Noseda |
Dopo l’incontro con Coe (che già adoravo e ora adoro ancora di più), abbiamo fatto due passi in paese, nell'attesa che arrivassero le 15.30 per l’incontro con Jeffrey Eugenides. Siamo andati a fare un giro nelle altre due piazze del festival e poi ci siamo fermati in un locale per un bicchiere di vino. Sì, perché a Barolo, oltre ad assistere a incontri con scrittori, cantanti e mille altri personaggi, si mangia e si beve. (No, noi non abbiamo bevuto il Barolo, perché, anche se il caldo era sopportabile, non credo che avremmo retto del vino rosso così, di primo pomeriggio).
Due bicchieri di Arneis, prima di essere bevuti. |
Una volta arrivate le 15.30, siamo tornati in piazza Blu per l’incontro con lo scrittore americano Jeffrey Eugenides. A dialogare con lui questa volta c’era Luca Briasco, il cui entusiasmo era ben visibile ed è riuscito a trasmetterlo anche al pubblico (che bello quando gli intervistatori sono così contenti di presentare gli scrittori... capisci quanto amino quello che stanno facendo e uniscono alla loro competenza il fanatismo da lettori).
Jeffrey Eugenides con Luca Briasco e l'interprete Paolo Maria Noseda |
Come per Coe era impossibile non parlare di Brexit, con Jeffrey Eugenides non si poteva non citare Donald Trump, ancor più considerando che Detroit e il Michigan in generale hanno svolto un ruolo fondamentale nella sua elezione. Pur essendo ovviamente contro Trump, Eugenides riesce a dare una spiegazione convincente e anche molto comprensibile del perché di questo voto nella sua città: Detroit si è in qualche modo sentita tradita dal partito democratico, che aveva promesso lavoro e sostegni a una città quasi in rovina. Lavoro e sostegni che invece non sono arrivati. Nel momento di scegliere il nuovo presidente, la maggior parte degli elettori si è divisa tra il non votare o il votare quello che a loro, vista la loro esperienza passata, è sembrato il meno peggio.
L’incontro si è poi concluso con una domanda dal pubblico riguardo a un personaggio di Middlesex, “l’oscuro oggetto”, a cui è seguita la buffa spiegazione dell’autore sulla sua origine, che deriva dagli anni dell’università: è così, infatti, che lui e un suo compagno erano soliti chiamare una loro misteriosa compagna, che vedevano ovunque ma con cui non parlavano mai. (Sempre riguardo ai personaggi, nel corso della presentazione Eugenides ci ha tenuto a ribadire che il personaggio di Leonard in La trama del matrimonio, nonostante la bandana in testa, non è ispirato a David Foster Wallace).
Appena finito l’incontro con Eugenides (non siamo nemmeno riusciti a farci fare gli autografi, per mancanza di tempo... forse unica pecca di questo festival: gli incontri troppo ravvicinati), ci siamo spostati in Piazza Rosa per conoscere Joyce Carol Oates, il motivo principale della nostra gita a Collisioni.
Joyce Carol Oates con Luca Briasco e l'interprete Paolo Maria Noseda |
Joyce Carol Oates è esattamente come me l’ero immaginata dopo averla vista in foto, dopo aver letto Sorella, mio unico amore e Una famiglia americana, e soprattutto seguendola su twitter. Una donnina minuta, molto magra, che non si è mai tolta il suo cappello nero dalla testa e che ha risposto a tutte le domande in modo pacato, senza mai usare una parola di troppo ma nemmeno senza sembrare sgarbata, lasciandosi andare ogni tanto a qualche risatina molto composta.
La presentazione si è incentrata soprattutto su I paesaggi perduti, il suo secondo memoir da poco pubblicato da Mondadori con la traduzione di Katia Bagnoli. Un libro che racconta della sua famiglia e di lei adolescente, un periodo che l’ha formata e l’ha aiutata sicuramente a diventare la grande scrittrice che è oggi. Ovviamente anche a lei è stato chiesto di Trump, anzi T***p come lo chiama lei su twitter (se già non lo fate, vi consiglio di seguirla, merita). Un primo riferimento lo ha fatto lei stessa, parlando del primo libro che ha letto: Alice nel paese delle meraviglie. Spiegando che cosa le ha trasmesso quel libro, ha detto che non bisogna mai stupirsi di fronte a certe assurdità che leggiamo nei libri, perché non saranno mai come quelle che ci capitano nella vita vera… tipo le ultime elezioni.
Finita la presentazione, Luca si è messo in coda per farsi fare l’autografo (io, ahimè, non possiedo i libri suoi che ho letto in passato), ed è stato proprio bello vederlo lì, un po’ emozionato, davanti a lei. (Un’altra cosa che mi è piaciuta molto di questo incontro è stata la presenza di Jonathan Coe tra il pubblico... anche lui lì per sentire una grandissima scrittrice nordamericana. A volte ci dimentichiamo che gli scrittori sono per prima cosa anche loro lettori che vogliono incontrare altri scrittori. Tra l'altro sia Coe sia la Oates erano anche da Eugenides).
Luca con Joyce Carol Oates |
La nostra giornata a Collisioni si è conclusa con questo incontro. Siamo poi tornati alla fermata delle navette e, anche questa volta, non abbiamo dovuto aspettare. Iniziava a esserci un po’ di calca per il concerto serale dei Placebo, ma mai confusione insopportabile.
Collisioni mi è piaciuto tantissimo, forse è il più bel festival a cui io sia mai andata. Merito degli ospiti e dei loro intervistatori (un plauso anche all’interprete Paolo Maria Noseda, che ha seguito tutti gli scrittori di lingua inglese) sicuramente, del tempo che è stato particolarmente clemente (temevo il caldo torrido, prima cosa su cui siamo stati messi all'erta quando abbiamo detto che saremmo andati a Barolo e invece si stava bene), ma ho amato molto anche l’atmosfera. Forse perché, a differenza delle fiere e dei festival letterari in generale, qui non si percepiva tanto la presenza degli addetti ai lavori. Tutti (o quasi) facevano semplicemente parte del pubblico in visita a un festival, giunti lì per sentire un ospite o per mangiare e bere.
E poi, be’, mi è piaciuto anche il vino.
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