"Indignazione" racconta dell'educazione di un giovane uomo alle terrificanti opportunità e ai bizzarri impedimenti della vita nell'America del 1951. E una storia di inesperienza, stoltezza, resistenza intellettuale, scoperta sessuale, coraggio ed errore. E una storia narrata con tutta l'energia inventiva e l'arguzia di cui Roth è maestro, e un ulteriore poderoso tassello nella sua analisi dell'impatto della storia americana sulla vita di individui vulnerabili.
Recensire un romanzo di Philip Roth non è una cosa semplice. Non lo è perché ogni sua opera (io per ora ne ho lette solo due, ma sono convinta che siano così anche le altre) ti toglie le parole e ti lascia senza fiato. Ci va del tempo per leggere e per digerire le sue storie. Così come mi ci sta volendo del tempo per accettare il fatto che abbia deciso di non scrivere più. Certo, i suoi anni ce li ha. Ma dalle sue parole che non ha più taciuto da quando, a novembre del 2012, ha dato l'annuncio, traspare quasi un odio per la scrittura. Come se le sue storie, il suo stile e tutto quello che i suoi romanzi rappresentano gli abbiano in qualche modo rovinato la vita, prosciugandogliela. Subito queste dichiarazioni mi hanno lasciato basita, intristita. Poi, leggendo "Indignazione" sono riuscita in qualche modo a giustificare dentro di me queste sue parole.
La trama di "Indignazione" è apparentemente semplice. Siamo all'inizio degli anni '50, in una cittadine americana. Marcus, ebreo figlio unico, si è diplomato con il massimo dei voti, ha sempre lavorato nella macelleria del padre, aiutandolo in ogni mansione e ora si appresta ad andare all'Università. L'eco della Guerra in Corea però alcuni giorni è più forte di altri, e il padre di Marcus non riesce a sopportare la paura di perdere il figlio e, via via, diventa sempre più opprimente nei suoi confronti, al punto che il ragazzo non può far altro che scappare. Si trasferisce in un altro college, a centinaia di kilometri di distanza e qui prosegue la sua vita da bravo ragazzo. Studia tanto per essere sempre il primo della classe così, nel caso venisse mandato in Corea, non sarà come soldato semplice ma come ufficiale. Lavora per aiutare i suoi a mantenerlo. Non esce, non socializza e non permette a nessuno di mettersi sulla sua strada. Finché non incontra Olivia e rimane sconvolto dalla sua audacia. Da lì, dal quel loro primo appuntamento, le certezze di Marcus a poco a poco cadranno, in una continua lotta tra quello che è giusto e che viene richiesto e quello che davvero vorrebbe fare. Arriverà a litigare con tutti i suoi compagni di stanza, a litigare con il decano, a litigare con sua madre, ad "indignarsi" per queste imposizioni che gli vengono dall'alto e che vanno contro tutti i suoi principi. E arriverà a sbagliare, prima poco, poi sempre di più. Errori che gli costeranno cari, molto più cari di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Lo stile di Roth è asciutto, diretto e non fa sconti a nessuno. E' volgare a volte, irritante altre. Eppure una volta chiuso il libro non puoi fare a meno di ripeterti quanto sia geniale, quanto sia bravo a fornire un ritratto sincero e realistico di una società, quella americana, che forse troppe volte si è mascherata da sogno. Non importa quanto Marcus possa essere irritante, non importa quanto astrusi possano essere i suoi ragionamenti. o quanto bigotta e ricca di pregiudizi possa essere la società in cui vive. Perché alla fine sai che tutto era davvero così. E che nessuno meglio di Roth è in grado di descrivere tutto questo.
Avevo paura che il libro non fosse all'altezza di "Pastorale Americana". Una paura che, ovviamente, si è dimostrata infondata. Merita davvero.
Avevo paura che il libro non fosse all'altezza di "Pastorale Americana". Una paura che, ovviamente, si è dimostrata infondata. Merita davvero.
Nota alla traduzione: direi ben fatta! Le poche note presenti nel testo sono davvero indispensabili.
Autore: Philip Roth
Traduttore: Norman Gobetti
Pagine:141
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8866213093
Prezzo di copertina: 12 €
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