Patria, nata nell'anno primo della Rivoluzione castrista, viene "dall'isola che aveva voluto costruire il paradiso": il grande sogno si mescola alle urgenze del presente, alle difficoltà materiali, agli amori, alla rabbia e all'apatia, in un romanzo di cruda satira e vera passione.
Se avessi recensito questo romanzo a caldo, non appena l'ho finito ieri sera, sono abbastanza sicura che la mia recensione sarebbe stata decisamente negativa. Il primo pensiero che ho avuto chiudendo il libro infatti è stato: "Questa donna è matta". Linguaggio inutilmente sboccato e volgare, a volte troppo confusionario per narrare di un argomento che avrebbe potuto e dovuto essere interessante, la rivoluzione cubana. D'altronde, che cosa c'entra con Cuba la vita amorosa di Patria, che si barcamena tra un ex marito che l'aveva completamente schiavizzata e un nuovo innamorato che a letto le fa vedere le stelle? Dov'è lo stato? Dov'è la rivoluzione?
Poi, riflettendoci con calma, mi sono resa conto che lo stato e la rivoluzione ci sono eccome. Certo, il libro non parla della rivoluzione castrista vera e propria, quella rivoluzione che nel '59 ha liberato Cuba da una dittatura per gettarla in un'altra. Parla degli anni successivi, di come è cambiata la vita e di come vive la gente, tra razionamenti, corrente che se ne va e non si sa quando torna, arresti ed esili più o meno volontari. A raccontarcelo è appunto Patria, protagonista del romanzo, che tramite un sorta di lungo stream of consciousness ci racconta la sua vita e i suoi legami. Il suo amore giovanile per il "Traditore", di mestiere filosofo un po' bohémien, incapace di convivere con se stesso e il proprio fallimento. Il suo lavoro in una rivista letteraria che non verrà mai pubblicata un po' perché non c'è la corrente elettrica un po' perché nessuno avrebbe i soldi per comprarla. Ci racconta del suo legame con l'amica Gusana, che si è sposata con un uomo brutto e grasso ma ricco e ora si ritrova a vivere in Spagna, nel tentativo e nel sogno di fuggire alla miseria. Ci parla della nostalgia che sente per Lince, poeta e intellettuale costretto a fuggire dopo essere stato più volte perseguitato e che ora, dall'esilio, sente la mancanza di Cuba. E ancora il suo rapporto di vero amore forse stavolta, con il Nichilista, un regista i cui film difficilmente vedranno la luce. E poi, ancora, i genitori, usciti di testa non appena si sono resi conto quali sono state le vere conseguenze della rivoluzione.
Sicuramente il libro sarebbe stato più bello e leggibile se fosse stato scritto meglio. La narrazione, oltre che inutilmente volgare, a volte è troppo macchinosa, troppo esplicita e facilmente ti porta lontano dal vero fulcro del racconto. Ho pensato diverse volte di abbandonarlo (e per abbandonare un libro di 140 pagine vuol dire che deve essere proprio brutto). Ma poi qualcosa mi ha trattenuto, quello che sono riuscita a leggere tra le righe, tra l'ansia e la disperazione della donna che alla fine altro non sono che l'ansia e la disperazione di tutta la nazione.
Non sono però riuscita a capire molto bene il senso del primo capitolo. Speravo si comprendesse nel finale, ma non è stato così.
Non consiglierei mai questo libro. Non vi direi mai di andare a comprarlo perché merita di essere letto, perché mentirei. Però, se per caso vi capita tra le mani (o non sapete qualche altro +1 comprare nella fantastica promozione 1+1 Giunti che spero duri ancora un po'), non buttatelo via.
Nota alla traduzione: pessima. La scelta delle parole volgari è completamente fuori tempo e fuori luogo e stona con l'ambientazione del romanzo. Da rivedere assolutamente.
Curiosità: leggendo questo libro ho scoperto una cosa bellissima, che voglio assolutamente condividere con voi. Ovvero questo:
Nei tabacchifici cubani è usanza assumere un lettore per intrattenere gli operai a lavoro con la lettura di romanzi e giornali
Titolo: Il nulla quotidiano
Autore: Zoé Valdés
Traduttore: Barbara Bertoni
Pagine: 168
Anno di pubblicazione: 2006
Editore: Giunti
ISBN:978-8807723773
Prezzo di copertina: 5,90 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Il nulla quotidiano
Ciao, guarda il caso, sta mattina in libreria ho preso in mano questo libro, poi ho optato per altri due titoli. Visto quello che scrivi meglio così, non sopporto la volgarità e in particolare non la sopporto nei libri. Durante un viaggio ho visitato un tabacchificio cubano...
RispondiEliminaCiao, a presto.
Antonella
Avevo scoperto anche io di questa abitudine dei tabacchifici cubani attraverso un libro, mi pare fosse "Questa notte ho sognato in cubano" di Cristina Garcia.
RispondiEliminaMi spiace sia stata una lettura deludente! Ti rifarai col prossimo libro, spero :)
Il titolo del libro mi ispira un sacco!!! Ora mi informo di cosa parla :)
RispondiEliminaMassì, capita dai... Che poi proprio brutto brutto non è, eh. Però boh, mi aspettavo molto di meglio.
Ora sono indecisa se litigare con Calvino (ho tentato di leggere "se una notte d'inverno un viaggiatore" almeno 2 volte e non riesco a superare pagina 20) o leggere "Leggere Lolita a Teheran"