mercoledì 23 febbraio 2011

LA VERSIONE DI BARNEY- Mordecai Richler

Approdato a una tarda, linguacciuta, rissosa età, Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall'accusa di omicidio, e da altre calunnie non meno incresciose, diffuse dal suo arcinemico Terry McIver. Così, fra quattro dita di whisky e una boccata di Montecristo, Barney ripercorre la vita allegramente dissipata e profondamente scorretta che dal quartiere ebraico di Montreal lo ha portato nella Parigi dei primi anni Cinquanta e poi di nuovo in Canada, a trasformare le idee rastrellate nella giovinezza in "sitcom" decisamente popolari e altrettanto redditizie.


Se dovessi spiegarvi perché ci ho messo tutto questo tempo a leggere questo romanzo (quasi due settimane, cosa che mi succede assai di rado), non saprei che dirvi. Il libro non è scritto male, anzi. Quando si inizia a leggere un capitolo, questo poi scorre veloce sotto agli occhi e ci si rende conto della bravura e dell'ingegno dell'autore. Però boh, leggevo un capitolo e poi lo lasciavo lì, non mi veniva voglia di continuarlo. E' stato difficile riuscire a superare le prime 150 pagine, in cui non si capisce praticamente nulla. Barney Panofsky, produttore televisivo di telenovela sdi terz'ordine, decide di scrivere una sua autobiografia, la sua "versione", in risposta a quanto narrato dal suo nemico e rivale, con il quale da giovane ha condiviso un passato un po' bohémien.
Eppure, anche quando si entra nella logica narrativa di Barney, ovvero il mettere insieme tanti anedotti, a volte staccati tra loro, per raccontare la sua vita, divisa in base ai suoi tre matrimoni, la voglia di abbandonarlo diventa diverse volte molto forte.

Credo dipenda principalmente dai sentimenti che suscita Barney nel lettore. O si odia o si ama. E a me, sostanzialmente, sta antipatico. Al punto che anche i suoi anedotti più divertenti (ovvero quelli legati al suo matrimonio con la seconda moglie, o quelli del padre) mi hanno quasi lasciata indifferente.
Ma ripeto, il libro è scritto bene e la lettura scorre bene, quindi non me la sentirei minimamente di sconsigliarlo. Anche perché le ultime cinque righe del romanzo, quelle non scritte da Barney ma dal figlio che si è occupato di raccogliere e curare questa sua autobiografia, sono tra le più geniali e sconvolgenti che abbia mai letto. E il libro merita anche solo per quelle.

Nota alla traduzione: non lo so, le traduzioni Adelphi non mi piacciono. Non mi piacciono i glossari in fondo, non mi piacciono i testi delle canzoni lasciate in lingua originale (ma forse semplicemente perché il francese non lo capisco) e non mi piacciono certe scelte traduttive. Insomma, la rivedrei.

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