Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
Se il libro terminasse circa a metà, questo commento si ridurrebbe semplicemente a "stupendo" o "piccolo capolavoro", perché sarebbe difficile trovare altre parole per descrivere la vicenda narrata e il modo in cui l'autrice riesce a portarci all'interno della storia, in quel paesino sardo degli anni ''50 dove si svolgono le vicende di Maria e della sua "madre adottiva". Un rapporto bellissimo quello tra le due, che viene bruscamente interrotto quando la bambina scopre che la donna con cui vive è un'"accabadora", colei che finisce... ovvero colei che da' una spinta al fato con le persone ormai in procinto di morire. Bellissima questa parte, belle, poetiche e molto realistiche le descrizioni (adoro i romanzi "veristi") e la trama non può non catturarti.
Poi però, quando Maria scopre questo segreto e non riesce ad accettarlo, decide di andarsene a Torino a fare da bambinaia. E qui la scrittrice si perde. Il romanzo diventa troppo sbrigativo, come se avesse voluto aggiungere qualcosa senza però saper bene come scriverla. Peccato, perché anche questa parte sarebbe molto bella e interessante, se non fosse così sbrigativa.
Il finale, beh, scontato, certo, ma anche l'unico veramente possibile.
Merita comunque molto di essere letto. E questa autrice italiana ha sicuramente un grande talento.
Se il libro terminasse circa a metà, questo commento si ridurrebbe semplicemente a "stupendo" o "piccolo capolavoro", perché sarebbe difficile trovare altre parole per descrivere la vicenda narrata e il modo in cui l'autrice riesce a portarci all'interno della storia, in quel paesino sardo degli anni ''50 dove si svolgono le vicende di Maria e della sua "madre adottiva". Un rapporto bellissimo quello tra le due, che viene bruscamente interrotto quando la bambina scopre che la donna con cui vive è un'"accabadora", colei che finisce... ovvero colei che da' una spinta al fato con le persone ormai in procinto di morire. Bellissima questa parte, belle, poetiche e molto realistiche le descrizioni (adoro i romanzi "veristi") e la trama non può non catturarti.
Poi però, quando Maria scopre questo segreto e non riesce ad accettarlo, decide di andarsene a Torino a fare da bambinaia. E qui la scrittrice si perde. Il romanzo diventa troppo sbrigativo, come se avesse voluto aggiungere qualcosa senza però saper bene come scriverla. Peccato, perché anche questa parte sarebbe molto bella e interessante, se non fosse così sbrigativa.
Il finale, beh, scontato, certo, ma anche l'unico veramente possibile.
Merita comunque molto di essere letto. E questa autrice italiana ha sicuramente un grande talento.
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