Scrivere un commento su un romanzo autobiografico è sempre parecchio difficile. Se giudico quello che c'è scritto, inevitabilmente giudico anche la vita di chi l'ha scritto/vissuto e non mi sembra una cosa poi così carina.
Certo è che se l'autore (autrice in questo caso) non voleva essere in qualche modo "giudicato", poteva anche non raccontarci la storia della sua vita. Anche perché, Ruth Reichl, scusa se te lo dico ma sei una critica gastronomica, non un premio Nobel o una scrittice famosa (oltre al fatto che ci parli della tua vita prima di diventare critica).
Ok, credo che da questa premessa si sia capito che il romanzo non mi ha entusiasmato più di tanto (una serie di anedotti staccati l'uno dall'altro e senza una logica temporale) e soprattutto che la protagonista mi sta particolarmente antipatica.
Ancora ancora si salvava da bambina, grazie ai racconti ambientati nella cucina di zia Birdie prima e della sua governante dopo. Ma quando cresce e va al college, per me Ruth diventa troppo pretenziosa ed egoista, abbandona completamente sua madre maniaco depressiva a suo padre per poi lamentarsi se la deve sopportare una settimana all'anno.
A salvare questo romanzo autobiografico, per quel che mi riguarda, è solo la cucina e, soprattutto, le ricette che accompagnano ogni capitolo. Alcune ti verrebbe voglia di provarle immediatamente.
Temo però che a chi non piace cucinare questo libro risulterà noioso e a tratti irritante (oltre che a tratti poco credibile). Non dico che ho avuto la tentazione di abbandonarlo, perché comunque è rapido da leggere e non richiede particolari sforzi mentali. Ma se non l'avessi letto, a parte le ricette, non mi sarei persa assolutamente nulla.
Nota alla traduzione: troppe note inutili per spiegare giochi di parole (che tanto si perdono) e tipi di cibo.
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