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sabato 5 maggio 2018

SalTo 2018: chi, cosa, quando, dove e perché

Manca ormai meno di una settimana all'inizio della XXXI edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, che aprirà ufficialmente sempre negli spazi espositivi del Lingotto giovedì 10 maggio. Se quella dell’anno scorso, la prima guidata da Nicola Lagioia, è stata l’edizione dell’orgoglio dei piccoli e medi editori, dopo la spaccatura con l’AIE, quella di quest’anno è sicuramente l’edizione della verità: riuscirà Torino a confermare (e magari superare) i numeri e, soprattutto, l’entusiasmo dell’anno scorso? 

Intanto quest’anno i grandi editori sono tornati. Una scelta commerciale credo quasi obbligata per i colossi editoriali, che però ha portato a qualche problemino di spazio, con overbooking e ricerche di nuovi luoghi espositivi. Ora comunque tutto pare essere stato risolto al meglio.

Tema di quest’anno è Un giorno, tutto questo, accompagnato dal manifesto di Manuele Fior. (ok, lo confesso, di primo impatto ho pensato al "Re Leone", ma poi la sensazione è passata e trovo sia il tema sia il manifesto davvero molto belli).



Quest’anno sarò presente due giorni, sabato 12 e domenica 13, per questioni logistico-famigliari ma soprattutto di programma che, devo dire, quest’anno trovo davvero notevole.
Ecco qui gli eventi che mi interessano di quei due giorni e a cui farò di tutto per partecipare. Segno anche quelli in contemporanea, sia mai che riesca in qualche modo a essere presente in due posti allo stesso tempo.

SABATO 12
H 12 – Incontro con Alice Sebold  – Sala Azzurra
H 13 – Ciaone Salone! Incontro con Sio - Spazio Stock Bookstock Village
H 16 – Lo scrittore e il suo doppio: Fernando Aramburu dialoga con il suo traduttore Bruno Arpaia  –Sala Professionali
H 16 – Sentimento e segreto: incontro con Javier Marías – Sala Azzurra
H 17.30  – Incontro con Auður Ava Ólafsdóttir  – Sala Blu

DOMENICA 13
H 12  – Incontro con Fernando Aramburu  – Sala Azzurra
H 12.30  – La felicità in montagna - Incontro con Franco Faggiani, autore de La manutenzione dei sensi  – Spazio Autori
H 13.30  – Incontro con Eric-Emmanuel Schmitt  – Sala Azzurra
h 15.30  – Una Black Mirror letteraria - Incontro con Tristan Garcia, autore di 7  – Spazio Internazionale
h 17  – I maledetti: Goffredo Fofi legge James Joyce - I morti  – Sala Filadelfia
h 17.30  – Kaiser - Presentazione del libro di Marco Patrone – Sala Avorio
h 18.30  – Holden & Company -presentazione libro di mio marit... ehm Luca Pantarotto  – stand B38/C37 Regione Umbria


A differenza degli altri anni, non ho ancora stilato una lista di libri che vorrei acquistare. Forse perché la pila di quelli ancora da leggere mi fissa minacciosa da diversi mesi e non accenna a diminuire, ma ho deciso che cercherò di contenermi, comprando solo poche cose ma che davvero voglio e affidandomi all'ispirazione del momento.

Voi ci sarete? Quali giorni? Avete già scelto a quali incontri partecipare e quali libri comprare?  Insomma, ci vediamo lì? (Perché lo so che lo dico ogni anno, ma ogni anno si dimostra essere vero, la parte più bella in assoluto del Salone del Libro, ma delle fiere in generale, sono le persone e le chiacchiere che si scambiano in mezzo ai libri.)

martedì 12 settembre 2017

Il mio Festivaletteratura di Mantova 2017

Da mercoledì 6 a domenica 10, a Mantova, si è tenuta la XXI edizione del Festivaletteratura.
Sono stata a questo festival per la prima volta l’anno scorso e, per tutta una serie di motivi (l’atmosfera che si respira per le vie della città; la possibilità di incontrare gli autori non solo durante gli eventi ma anche per strada, mentre si fanno gli affari loro; il cibo e i dolci; e, soprattutto, la prima gita insieme a Luca) me ne ero pazzamente innamorata.
Un amore che si è confermato anche quest’anno, nonostante qualche piccola difficoltà organizzativa iniziale.

Il primo enorme scoglio da superare per andare al Festivaletteratura, infatti, è riuscire destreggiarsi in mezzo al vasto, vastissimo programma e ai luoghi degli eventi. Tanti incontri, in diversi punti della città che di primo impatto non si capisce quanto siano lontani tra loro (in realtà sono tutti raggiungibili in massimo quindici minuti a piedi dal centro), e che richiedono quindi una certa attenzione al momento della selezione.

Subito dopo c’è la questione della prenotazione dei biglietti. Io, per fortuna, avevo il pass stampa, ma abbiamo comunque dovuto prenotare qualche biglietto in anticipo. Alle 9.05 del giorno dell’apertura delle prenotazioni per i non soci, molti eventi online erano già esauriti. Telefonando qualche posto si trovava ancora, però come sistema, effettivamente, è un po’ scoraggiante. Soprattutto quando poi, una volta là, ti rendi conto che a molti eventi si riesce a entrare acquistando il biglietto sul posto (sì, anche quelli dati per esauriti online o in biglietteria), a fronte di code più o meno lunghe (in alcuni casi, arrivi sul posto, lo acquisti ed entri; in altri fai un bel po’ di coda): credo ci sia una ripartizione dei biglietti tra i vari canali di vendita, per fare in modo di accontentare più gente possibile. Un sistema che forse andrebbe comunque rivisto, così come andrebbe aggiunta una sorta di abbonamento a un prezzo ridotto per partecipare a un tot numero di incontri (la media dei biglietti d’ingresso è di 6€, che non sono tanti se si partecipa a uno o due eventi, ma lo diventano se il numero cresce).

Quindi, stilato l’elenco degli incontri a cui partecipare, localizzati sulla mappa i luoghi in cui si svolgeranno e prenotati i biglietti (e anche un luogo dove stare a Mantova, se è previsto un soggiorno di più giorni… noi siamo andati in un bellissimo appartamento a pochi km dalla città, con, tra le altre cose, un divano magnifico), si può partire.
Noi siamo arrivati il giovedì nel tardo pomeriggio, pochi minuti prima che scoppiasse un enorme temporale. Abbiamo aspettato che smettesse (addormentandoci sul suddetto divano) e poi siamo andati in città, poco prima di cena.


Abbiamo fatto un giro di ricognizione alle bancarelle dei libri usati che ogni anno popolano i portici di Palazzo Ducale e poi siamo andati a mangiare (i tortelli di zucca).

Il Festivaletteratura vero e proprio, per noi, è iniziato il venerdì pomeriggio, con l’incontro con lo scrittore americano George Saunders, di cui è appena uscito per Feltrinelli il primo romanzo, Lincoln nel bardo.
A presentarlo, nella cornice di Palazzo San Sebastiano, c’era Marco Malvaldi in pantalocini corti e, soprattutto, un po’ in soggezione.


L’incontro è partito con la domanda di rito su Donald Trump: una domanda banale, forse, ma anche inevitabile considerando l’epoca che stanno vivendo gli Stati Uniti e il fatto che comunque il protagonista di questo primo romanzo di Saunders è proprio un presidente (e poi credo sia abbastanza impensabile separare letteratura e vita politica, in questo momento. Soprattutto se sei uno scrittore di quel calibro). Lui ha risposto: “He is us”, ovvero che Trump fa parte degli americani, che ogni presidente viene dalla storia, nel bene e nel male.
Poi si è passati a parlare di Lincoln nel Bardo, il suo primo romanzo, e del suo significato: Lincoln si ritrova ad affrontare la morte del figlioletto, finito adesso in quel bardo (ovvero una specie di limbo, secondo la filosofia buddista). Ci si trova di fronte a un presidente dolce, intelligente, ma in qualche modo anche sconfitto dalla vita.
La particolarità di questo romanzo sta poi nella tecnica narrativa: George Saunders, attraverso un enorme lavoro di ricerca che lo ha tenuto impegnato per molti anni, utilizza fonti, ritagli, notizie, alcune vere altre inventate da lui per portare avanti la storia. (“Ci si deve sentire proprio dei gran fighi, a scrivere un romanzo così” gli ha fatto notare Marco Malvaldi).
Alla domanda su quali libri, invece, legge, Saunders ha citato i romanzi russi come i suoi preferiti. In particolare Le anime morte di Gogol di cui ha detto: “Sono sicuro che, se Dio pensa a noi, lo fa nel modo in cui Gogol pensa ai suoi personaggi". Ha poi citato anche i Peanuts, nella versione fumetto e nella versione cartone, come suo modello: questi personaggi con la testa enorme, che si muovo su uno sfondo quasi inesistente, e che dimostrano che se si è grandi dentro non importa molto cosa ci sia fuori.
Altre domande di rito, tra cui i rapporti con i social network in cui in qualche modo siamo tutti scrittori e bisognerebbe quindi prestare attenzione a cosa si scrive, e, visto l’argomento del libro, il rapporto tra vita e morte (“è più doloroso per chi se ne va o per chi resta?”).

Finito l’incontro con Saunders, siamo tornati in centro: Luca per andare di nuovo alle bancarelle dei libri usati (“prima si fa un giro di ricognizione, poi si compra senza pietà") e io per partecipare all’incontro Roma-Aosta solo andata con Antonio Manzini e Marco Giallini nel cortile di Piazza Castello.



Non credo serva che vi dica quanto sia stato figo, quest’incontro. Sì, anche se non aveva una scaletta vera e propria ma c’erano due lì che parlavano e dicevano cazzate. Sì, anche se Manzini all’inizio aveva mal di testa e all’inizio sembrava un po’ spento. Ho riso per un’ora, tra i loro aneddoti (e una bellissima dichiarazione d’amicizia di Manzini per Giallini) e le loro battute. Ho scoperto anche che stanno per iniziare a girare la seconda serie di Rocco Schiavone, che sarà formata da quattro puntate, due tratte da 7-7-2007 e due dal nuovo romanzo Pulvis et umbra. Loro due, insieme, sono esattamente come me li ero immaginati: fenomenali (e anche particolarmente gnocch...ehm, piacevoli da guardare).

Dopo cena, siamo invece andati all’incontro L’amore si impossessava di lei, con protagonista Artemis Cooper, la biografa di Elizabeth Jane Howard (sia la biografia sia i romanzi della Howard sono pubblicati da Fazi editore). 



In dialogo con Stefania Bertola, Artemis Cooper ha ripercorso un po’ la vita della scrittrice inglese, raccontando anche aneddoti personali sul loro rapporto (“Jane era una bravissima cuoca”). Quello che è venuto fuori, paradossalmente, è una specie di ritratto di tutta la famiglia Cazalet, che si concentra in un’unica donna: Elizabeth Jane Howard stessa, infatti, ha dichiarato più volte che in tutti i personaggi della sua saga c’è qualcosa di lei (in particolare in Louise, ma anche nelle altre due cugine, Polly e Clary). Si è poi passati a raccontare del suo rapporto con l’ingombrante marito Kingsley Amis, che finché sono rimasti insieme le ha quasi impedito di avere successo (però ora se si va in una libreria inglese di Kingsley Amis si trovano uno o due libri, mentre la Howard occupa pareti intere).
L’incontro con Artemis Cooper è stato davvero bello e avrei voluto che non finisse mai: mancavano giusto i pasticcini e un po’ di tè, per rendere perfetta l’atmosfera che ha creato con le sue parole e i suoi sorrisi. Si è percepito chiaramente quanto tenesse a questa biografia e, soprattutto, alla sua protagonista (che lei ha conosciuto da bambina, perché i suoi genitori erano molto amici di Jane e del marito).

Il primo incontro di sabato mattina è stato con Harry Parker, ex-soldato dell’esercito inglese e autore di Anatomia di un soldato, edito da Sur. Avrebbe dovuto essere in compagnia di Brian Turner, autore di La mia vita è un paese straniero (NN editore), che però è stato fermato dall’uragano Irma. Ed è stato un vero peccato, perché sarebbe venuta fuori una presentazione eccezionale.



È la seconda volta che partecipo a un incontro con Harry Parker ed è la seconda volta che un po’ mi commuovo. Per il suo modo di parlare, per la sua lucidità nel raccontare la guerra e quello che gli è successo, senza mai cadere nel pietismo o nell’autocommiserazione (nonostante il relatore, Carlo Annese, abbia insistito troppo sul fatto che Parker sia senza gambe e che quanto raccontato nel libro sia la sua storia… ma lo scrittore è stato bravo a non cadere nel tranello). Tra le cose che più mi hanno colpita c’è il fatto che lui abbia ribadito più e più volte che mentre era in Afghanistan, oltre a combattere, ha tentato in ogni modo di rendere la presenza dell'esercito il più semplice possibile per i civili, che da questa guerra non si libereranno mai (“noi soldati, dopo sei o sette mesi, torniamo a casa. Loro no, casa loro è la guerra”), così come il suo aver sottolineato che i media e il modo in cui viene fatta la comunicazione in tv oggi trasmette una visione completamente offuscata di come sia effettivamente la guerra in medio oriente.
Dal pubblico, a fine incontro, hanno di nuovo provato a chiedergli come si vive senza gambe e a quale è stato il suo percorso di accettazione di quello che gli è successo. E ancora una volta lui è stato bravissimo a non cascarci, perché “io non sono le mie ferite”.

Usciti dall'incontro con Parker siamo andati a prendere uno spritz al bar con un amico e, mentre eravamo lì seduti ai tavoli, dietro di noi sono passati Marianne Leone, Chris Cooper e Elizabeth Strout (sì, ho visto Elizabeth Strout mentre bevevo uno spritz piuttosto alcolico).

Marianne Leone e Chris Cooper li abbiamo rivisti nel pomeriggio, alla presentazione di Jesse, il libro pubblicato da Nutrimenti edizioni che la donna ha scritto per raccontare la storia di suo figlio, nato con una grave paralisi cerebrale.


Il libro è ricco di momenti tristi (inizia proprio con il racconto della morte del ragazzo, avvenuta quando aveva diciott'anni), ma è anche un enorme inno alla vita, al combattere, al non arrendersi di fronte alle ingiustizie e a una società spesso incapace di accettare il diverso.
Inutile dire che l’incontro è stato molto toccante e molto commovente, ma anche pieno di delicatezza (l’amicizia tra Marianne Leone e Davide Ferrario che l’ha intervistata ha reso l’intervento ancor più prezioso, così come l’incredibile sorriso della donna) e sì, anche di momenti divertenti.
Alla fine non ho avuto il coraggio di andare a farmi autografare il libro: temevo che sarei scoppiata a piangere di fronte a questa donna forte, dal sorriso magico, che sta girando l’Italia per raccontare la storia di suo figlio che oggi non c’è più. Ci è andato Luca per me, ma alla fine sono riuscita a stringerle almeno la mano.

Il nostro Festivaletteratura è finito con questo incontro (e una mangiata subito dopo). Ed è stato proprio bello, come l’anno scorso. Mantova è una città bellissima, che in quei giorni lo diventa ancora di più, per l’atmosfera che si respira e per le persone che la popolano, scrittori e non (“Guarda, c’è Saunders!” credo sia stata la frase che abbiamo ripetuto più spesso in giro per la città). 
Siamo tornati a casa io con una torta sbrisolona e un pass sbiadito, Luca con una decina di libri usati, ed entrambi con la voglia di tornarci anche l’anno prossimo. 


giovedì 26 maggio 2016

Incontrando... Elizabeth Strout al Circolo dei lettori di Torino

Ieri pomeriggio, presso il Circolo dei lettori di Torino, si è tenuto un incontro con la scrittrice americana Elizabeth Strout, in tour in Italia per presentare il suo ultimo romanzo, Mi chiamo Lucy Barton, da poco uscito per Einaudi.

Sono venuta a conoscenza di quest’incontro qualche settimana fa e già allora sapevo che avrei fatto qualunque cosa per andarci. Chi segue il blog e la pagina, sa quanto io ami questa scrittrice e i suoi romanzi e pensare di averla a soli 50 km di distanza e non andare a incontrarla sarebbe stato folle.
E quindi ieri, in compagnia della mia libraia preferita Stefania, sono andata a Torino. Immaginavo ci sarebbe stata tanta gente a quest’incontro e avevo già scritto al Circolo dei lettori per sapere se ci fosse qualche procedura da seguire. “Vieni almeno un’ora prima” mi è stato solo detto. Noi siamo arrivate là un’ora e mezza prima e, dopo una pausa gelato, ci siamo messe in coda. Sì, in coda. Fa impressione pensare che ci sia coda per una scrittrice che non sia anche un personaggio televisivo o cinematografico. Eppure sì, ieri ad aspettare Elizabeth Strout eravamo davvero in tanti. 


In troppi forse, perché pur arrivando con questo largo anticipo non abbiamo potuto assistere all’evento nella sala in cui si teneva, ma in una attigua, in collegamento video. E non è la stessa cosa, purtroppo. Però dai, la mia scrittrice preferita era nella stanza accanto alla mia... direi che è già una bella soddisfazione. 
A dialogare con lei c’era Susanna Basso, traduttrice dell’ultimo romanzo uscito, che, devo dire, mi ha fatto una tenerezza infinita. Era, credo, talmente tanto emozionata che per le prime domande ha dovuto leggere da un foglio quello che doveva dire. E la capisco, perché trovarsi accanto a quella donna e doverle parlare deve essere qualcosa di incredibile.



L’incontro è iniziato con la lettura di un passo di Mi chiamo Lucy Barton, prima in inglese dalla stessa Elizabeth Strout (che ha un bell’accento americano, ma che si capisce perfettamente quando parla) e poi la traduzione da parte di Susanna Basso.  Da lì si è poi passato a parlare del libro, con alcune domande sulla sua protagonista e sull’ambientazione.
Elizabeth Strout ha scelto di far arrivare la sua protagonista dal Midwest, pur essendo lei del Maine, perché una volta ci è andata e si è accorta di quanto cielo ci fosse, un cielo che quasi si mangiava la terra. Le è sembrato il posto ideale per far crescere una donna in un’infanzia difficile e un posto ideale da amare e odiare al tempo stesso.
Altra particolarità di Lucy Barton è il fatto che sia una scrittrice. La Strout ha detto che nemmeno lei subito voleva credere che lo stava facendo davvero. Però Lucy era una bambina solitaria, che trovava nei libri conforto e calore (un po’ perché li leggeva nella biblioteca della scuola, al caldo, anziché nel garage in cui viveva, un po’ per tutto quello che le hanno dato).

Si è parlato poi anche dei romanzi precedenti, in particolare Olive Kitteridge, che è particolarmente amato in Italia. Elizabeth Strout ha detto di essere contenta che sia piaciuto così tanto e di avere così tanti lettori entusiasti per quel libro e per quel personaggio, ma in realtà cerca di non pensarci troppo e di fare il suo lavoro, di scrivere quello che sente senza pensare troppo a quali saranno le reazioni di chi lo leggerà. Anche perché crede che nessuno possa mai conoscere davvero un altro e che quindi ogni persona nei libri trova qualcosa di diverso. 
Elizabeth Strout ha raccontato del suo amore per Hemingway, dicendo di essere forse l’unica donna americana ad amare lui e la sua scrittura chiara e diretta, e poi dell’importanza per la protagonista del libro ma anche per lei dei gesti degli sconosciuti, quel concetto espresso tanto bene da Tennessee Williams nel suo Un tram che si chiama desiderio.

Dopo qualche altra domanda e qualche intervento dal pubblico (mi dispiace, non ho segnato tutto, ero troppo presa ad ascoltarla e scrivere, su carta o su smartphone, mi avrebbe distratta troppo), ovviamente, è arrivato il momento degli autografi.

Io ho portato con me sia Olive Kitteridge sia Mi chiamo Lucy Barton, ma alla fine ho deciso di farle autografare solo il primo. È senza ombra di dubbio il mio preferito, per questa burbera protagonista che mi ha fatto letteralmente impazzire. E quindi mi sembrava più giusto averlo solo lì (dai, oggi la polemica sul passaggio in Einaudi ve la risparmio).
Inutile dire che ero agitatissima quando è arrivato il mio turno. Però avevo davanti Elizabeth Strout e dovevo assolutamente dirle qualcosa di più di un semplice “Hi!”. Allora le ho detto che era una grande onore conoscerla e che Olive Kitteridge è, appunto, il mio romanzo preferito in assoluto. Lei mi ha stretto la mano con entrambe le sue, in un gesto dolcissimo e tenerissimo, che mi ha emozionata un sacco. Penso faccia così con tutti, e questo forse lo rende ancor più speciale, perché potrebbe limitarsi a una fredda stretta di mano (che sarebbe anche comprensibile, con tutta la gente che incontra ogni giorno).
Sono uscita che mi tremavano un po’ le gambe, ma davvero, davvero felice.



Ringrazio il circolo dei lettori per avermi dato finalmente la possibilità di incontrarla (anche se magari la prossima volta ditemelo che con la tessera avrei potuto prenotare il posto nella sala principale, per la Strout l’avrei fatta senza alcun problema!), e Stefania per la compagnia, le belle chiacchiere, le foto (e il gelato!) di tutto il pomeriggio.

Eh niente, gente, io ho l'autografo di Elizabeth Strout:

lunedì 16 maggio 2016

Il mio bellissimo SalTo 2016

Dopo una domenica di riposo e di riordino di idee (che ho trascorso principalmente mangiando) eccomi qui a cercare di raccontarvi dei due giorni che ho passato quest’anno al Salone Internazionale del Libro di Torino.
Un evento che aspetto ogni anno con ansia e che poi, una volta arrivato, mi stupisco sempre di quanto passi in fretta.


Quest’anno il mio resoconto è particolarmente difficile da scrivere, perché è stato un Salone molto particolare. Un Salone fatto più di incontri con persone tra uno stand e l’altro che non di eventi prettamente letterari e di libri (sì, lo so, la pila di libri che ho comprato sembra smentirmi…).
Temo quindi che questo post sarà più simile a una pagina di diario, piena di emozioni e di sorrisi scemi mentre la scrivo, che non a un racconto serio e professionale.

Il mio primo giorno al Salone è stato venerdì 13. Avevo segnato una lunga lista di eventi a cui partecipare che, alla fine, non ho minimamente seguito. Ho partecipato solo all'incontro all'ora di pranzo con Gianluigi Bodi che ha presentato l’antologia di racconti da lui curata, Teorie e tecniche di (in)dipendenza, insieme ad alcuni degli autori che ne hanno preso parte, e nel pomeriggio al dialogo tra Margherita Oggero e Raffaella Romagnolo, autrice del bellissimo La figlia sbagliata (più passa il tempo da quando l’ho chiuso più mi rendo conto di quanto questo romanzo mi sia davvero piaciuto… a breve ve ne parlerò come si deve anche qui).

Cos'hai fatto per il resto del tempo, vi starete chiedendo voi.
Ho vagato da uno stand all’altro, ho chiacchierato con la mia amica Thais, ho sfogliato la mia ultima traduzione e chiacchierato con Sara e Francesca allo stand Lindau, mi sono seduta sulle comodissime poltrone di NN editore, ho consigliato libri ad amici incontrati quasi per caso (Gianni, grazie mille per la fiducia!), riso, scherzato, incrociato autori nei momenti più imbarazzanti (tipo Andrea Vitali proprio mentre stavo addentando il carissimo panino comprato per pranzo), mandato messaggi d’aiuto dopo incontri non sempre piacevoli, soprattutto per me che sono di una timidezza imbarazzante (e poi sfatiamo anche un po’ questo mito… non è che perché siamo blogger ci dobbiamo volere tutti bene) e fatto foto sceme. 
Tante. Foto. Sceme. 
Con pupazzi rosa giganti, con fantastici gorilla di peluche (viva le ragazze di Gorilla Sapiens edizioni!), e con quel bellissimo Snoopy gigante di fronte allo stand di Baldini e Castoldi, (da sola e con il mio social media manager preferito... foto che però, per rispettare la sua povera dignità ormai perduta, evito di pubblicare anche qui). 


E poi beh, ho comprato libri. Seguendo la lista che mi ero segnata, ma anche lasciandomi guidare un po’ dal momento. Sono entrata là dentro alle 10.30 del mattino e sono uscita verso le 18.30. Stanca morta, sudatissima perché nei padiglioni del Salone fa sempre un caldo folle, e, ovviamente, felicissima.

Sabato 14 sono tornata con il lettore rampante, uomo dotato di una pazienza infinita, e appena entrati ci siamo messi in coda per andare a sentire Antonino Cannavacciuolo presentare il suo libro, Il piatto forte è l’emozione, insieme a Bruno Gambarotta. Un incontro un pochino troppo breve, secondo me, ma con alcuni momenti davvero divertenti (e alcuni un po’ polemici… e completamente fuori luogo). Cannavacciulo dal vivo è ancor più enorme che in tv. Mi sarebbe piaciuto provare (sul lettore rampante) la potenza della sua manata, ma non c’è stata occasione.


Finito quello abbiamo ripreso a girare senza meta, tra uno stand e l'altro. Un girare che ci ha portato a incontrare di nuovo Thais, a incrociare Marco Malvaldi senza avere il coraggio di andare a salutarlo (“io fossi in lui ora come ora non mi vorrei salutare"), a Peppe “il prof” (insieme a Gianni che avevo visto il giorno prima è uno dei partecipanti più fedeli ed entusiasti di Una valigia di libri), a vedere per la prima volta Francesca (è stato un vero piacere!), allo stand di Spartaco edizioni, dove ho scattato questa bellissima foto con un gruppo di autori di cui ho letto e amato i libri.


E poi a conoscere dal vivo per la prima volta Laura del blog La Libridinosa, che era in compagnia di Baba di Desperate Bookswife… con, ovviamente, altra foto di rito.


Dopo aver fatto la coda insieme a Nicola Lagioia per un hot dog ed essere andati a vedere ICub, il robottino dell'Istituto Italiano di Tecnologia, nel pomeriggio abbiamo incrociato Roberto Saviano allo stand della Bao (in cui c’era anche un immancabile Zerocalcare a far disegnini) e assistito alla prima rissa della mia vita all’interno del Salone, allo stand Rizzoli (vi do un piccolo indizio: Matteo Salvini).
Alle 15.30 siamo andati al Bookstock Village, per assistere al laboratorio di Sio, insieme a qualche bambino e a una marea di adulti. Prima che lui arrivasse, c’è stato l’incontro con Marta, una ragazza che segue il mio blog e la mia pagina credo quasi da sempre e che è stato davvero bellissimo vedere per la prima volta dal vivo (per non parlare dell’immediata empatia che si è creata tra il lettore rampante e suo marito).

L’incontro con Sio è stato molto divertente. Lui è un personaggio buffissimo come i fumetti che disegna. 


Finito quello, abbiamo fatto ancora due passi (a salutare Casasirio edizioni e comprare il loro ultimo libro pubblicato, Elementare, cowboy), due foto (di nuovo dalla Baldini e Castoldi, ma questa volta con Lucy!) e qualche acquisto e poi, stanchi morti, siamo usciti, nel bel mezzo del diluvio universale.
Il bottino di libri dei due giorni di Salone è stato molto ricco. Alcuni facevano parte della lista che avevo stilato nei giorni precedenti, altri sono stati regali degli editori (grazie NN e grazie Spartaco!) e altri frutto dell’ispirazione del momento. Tutti insieme fanno decisamente la loro figura:


Ecco, il mio SalTo 2016 è stato questo. Un salone ricco di incontri, di foto e di emozioni. A volte talmente belle che descriverle sarebbe impossibile.

Concludo come sempre ringraziando tutti coloro che hanno contribuito a renderlo così bello (il lettore rampante, ovviamente, ma anche Thais, Laura, Marta, Camilla, Gianni, Peppe, Francesca, Luca… e tutti gli altri) e tutte quelle case editrici, piccole di dimensioni ma grandi in tutto il resto, che davvero mi hanno fatto sentire a casa.

E ora non mi resta che aspettare un anno per la prossima edizione del Salone del Libro!
(Per fortuna per ingannare un po' l'attesa tra due settimane inizia la Grande Invasione a Ivrea)

mercoledì 11 maggio 2016

Incontrando... Fabio Cremonesi, traduttore di Kent Haruf e della sua Trilogia della Pianura

Domani è il 12 maggio ed esce Crepuscolo, il terzo volume tradotto in italiano della Trilogia della Pianura di Kent Haruf. Dopo Benedizione e Canto della pianura, NN editore porta finalmente al lettore italiano anche l’ultimo volume che la compone.

Io ho avuto la fortuna di poter partecipare come blogger alla presentazione in anteprima del libro, proprio all’interno della casa editrice, e di ascoltare dal vivo la voce di Fabio Cremonesi, che questi tre libri li ha tradotti.
È la prima volta da quando ho il blog che partecipo a un evento in anteprima, riservato a blogger e giornalisti direttamente in casa editrice e, se un pochino avete imparato a conoscermi in questi anni, potete immaginare quanto fossi in ansia. Però si parlava di Kent Haruf, autore dei due libri che negli ultimi mesi, nel bene e nel male, mi hanno fatto emozionare e versare più lacrime in assoluto. Non potevo farmi fermare dalla mia timidezza e dal mio imbarazzo (e poi, lo ammetto, ero curiosissima di entrare in casa NN).
E quindi in un piovoso lunedì mattina di maggio, mi sono messa un maglioncino rosa, ho preso il treno e sono andata a Milano.

Entrare nella sede di NN editore è stato davvero un po’ come entrare in una casa. Libri ovunque (che spettacolo!), un bel po’ di disordine, scrivanie tutte vicine, una buffa divisione di uffici tra uomini e donne, e poi poltrone e divani vecchio stile. È esattamente come me l’ero immaginata.
Poi sono arrivati un po’ di altri blogger, abbiamo tirato fuori chi lo smartphone e l’iPad, chi carta e penna (a questi incontri preferisco ricorrere sempre alla vecchia maniera, anche se poi mi ritrovo a dover decifrare che cosa ho scritto) e l’incontro con Fabio Cremonesi è cominciato. 

Si è parlato prima di tutto del Kent Haruf scrittore, partendo da un’intervista rilasciata dalla moglie e uscita il 3 maggio sul sito della casa editrice americana, da cui emerge che era uomo molto metodico, che vedeva la scrittura come un vero e proprio lavoro e che quindi lo portava a cercare di scrivere sempre, tutti i giorni, per otto ore di fila, anche quando non aveva niente da dire. La cosa particolare è che usava come ufficio un capanno degli attrezzi in mezzo al verde e che scriveva con gli occhi coperti, per non farsi distrarre dai refusi durante la stesura.
Da lì si è passati a parlare delle differenze, stilistiche ma anche a livello di traduzione, dei tre romanzi della trilogia (che, ricordo, NN ha scelto di pubblicare partendo dall’ultimo, Benedizione). Tre romanzi che funzionano anche da soli, sebbene tra Canto della pianura e Crepuscolo ci sia una continuità ben evidente. Una continuità anche a livello di traduzione, in quanto più simili nello stile e nella voce rispetto al linguaggio più spoglio, più essenziale di Benedizione. (Bello l’aneddoto di Cremonesi che ha consegnato in ritardo la traduzione di Canto della pianura perché si aspettava la stessa “voce” di Benedizione e ci ha messo un po’ per trovare invece quella giusta).
E per quanto riguarda le tematiche? Se Benedizione parlava di fine vita, Canto della pianura di nascite e rinascite, in Crepuscolo si trova tutto quello che ci sta in mezzo, tra la nascita e la morte. Un libro che parla di vita, quindi, e, almeno stando alle parole di Fabio Cremonesi, anche d’amore.
Poi si è riflettuto sul fatto che i romanzi di Kent Haruf piacciono a tutti, giovani e adulti, senza alcuna distinzione di genere. Cremonesi ha provato riflettere sul perché, dicendo che uno dei motivi potrebbe essere che Haruf parla di cose di cui siamo un po’ disabituati a parlare, come la nascita e la morte, o a farlo con cinismo ed eccessiva ironia, mentre nei suoi libri Haruf mette delicatezza, dolcezza, rispetto e nessun giudizio anche nei momenti più difficili. (E poi qui se n’è uscito con un fantastico “insomma, Haruf spacca!”).

Alla fine, c’è stato chiesto come abbiamo conosciuto noi questi libri e perché ci sono piaciuti (io ho ammesso che subito non volevo leggerlo, perché ne stavano parlando in tanti e quando in tanti parlano di un libro ho sempre paura di non riuscire davvero ad apprezzarlo. E ho anche confessato di essere scoppiata a piangere nella sala d’aspetto del medico leggendo Benedizione. Cremonesi ha ribattuto dicendo che lui lo ha fatto in bagno, appena finito di tradurlo) e, dopo quattro chiacchiere, siamo usciti da lì con la nostra copia di Crepuscolo fresca di stampa, ma anche con Le cose che restano di Jenny Offill, in uscita lo stesso giorno di Haruf, con la borsa a tema e tanti altri piccoli gadget (volevo il notes di NN da un sacco!).


È stato un incontro molto piacevole, perché sentire parlare un traduttore del libro che ha tradotto è una cosa bellissima, soprattutto se lo ha amato tantissimo: ne senti l’entusiasmo, la passione, la fatica e il legame forte che questi libri e questo autore si è creato.  
Ringrazio quindi tantissimo Luca e tutta la NN per avermi permesso di esserci (e la mia amica Thais di Solo libri belli per aver affrontato insieme questa nuova esperienza da blogger).

E voi che cosa state aspettando? Leggete subito la Trilogia della Pianura di Kent Haruf!

mercoledì 23 marzo 2016

Incontrando... Jonathan Coe alla Scuola Holden di Torino

Ieri nel tardo pomeriggio sono andata a Torino alla Scuola Holden per assistere alla presentazione del nuovo romanzo di Jonathan Coe, Numero Undici, appena uscito per Feltrinelli.
Devo dir la verità, inizialmente non ci volevo andare. Un po’ per pigrizia, un po’ perché “cavolo, devo farmi 40 km in auto da sola ad andare e altrettanti a tornare, e poi è in una zona di Torino che non conosco”, un po’ perché “ma mica ci posso andare da sola”. Poi però ho iniziato a leggere il libro, sabato sera.  Ho iniziato a pensare “quasi quasi”, poi qualcuno mi ha detto che se ci sono i Metallica in zona si devono andare a sentire a prescindere dai km da percorrere (ok, io personalmente i Metallica non so se andrei mai a sentirli, però era per dire…), poi qualcun altro mi ha detto “se non ci vai, sei scema, visto come stai divorando quel romanzo” e, infine, una mia amica mi ha detto che se fossi andata lei sarebbe venuta molto volentieri (grazie Barbara!)… e quindi, insomma, eccomi qui a parlarvi dell’incontro. 


Non ero mai stata alla Scuola Holden prima di ieri, né nella sua sede vecchia né in questa maestosissima sede nuova, in piazza Borgo Dora. Una zona di Torino che, almeno all’apparenza, non è tanto bella, diciamo la verità. Sono scesa dall’auto e in tre mi hanno chiesto dei soldi e uno è andato a fare pipì contro a un cassonetto vicino a dove avevo parcheggiato. 
Poi però ho varcato la porta della Scuola e sono entrata in un altro mondo. Bello il cortile interno, bella la sala dove si è tenuta la presentazione e bella  e molto intellettuale l’aria che si respirava.
Mi sono seduta in seconda fila, tenendo il posto occupato per la mia amica (aaaah i mezzi pubblici torinesi), e subito sono stata abbordata da due buffe signore sedute accanto a me che hanno iniziato a raccontarmi che fanno parte di un gruppo di lettura e che, al termine di ogni libro letto, invitano l’autore a parlare e l’autore solitamente ci va (non so se fossero lì per invitare Coe o per cazziarlo per non esserci andato).
Poi, finalmente (in realtà era puntualissimo), è arrivato Jonathan Coe. 



Durante la presentazione si è parlato principalmente solo dell’ultimo romanzo, Numero Undici appunto. Romanzo che ho terminato ieri in pausa pranzo e di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Si è parlato della sua struttura, di questo ricorrere del numero undici che, insieme ad altri elementi, unisce un po’ il tutto (questo è il suo undicesimo romanzo, tra le altre cose), del ritornare di La famiglia Winsham, suo primo romanzo pubblicato in Italia nel 1995, e di come inizialmente lui non avesse pensato a un vero e proprio sequel, ma che poi la scrittura e le intenzioni, ovvero di fare una satira politica e sociale del Regno Unito di oggi, lo abbia riportato in qualche modo lì, a quella famiglia e a quei personaggi. 
Si è parlato di scrittura, ovviamente, e di come la scuola Holden abbia svolto in passato un certo ruolo nella sua scelta di dedicare un intero capitolo del libro a dei personaggi adolescenti (qualche anno fa era stato invitato dalla scuola a tenere una sorta di corso di riscrittura, in cui si doveva prendere una storia per ragazzi classica e trasformarla con un linguaggio moderno… lui aveva scelto I viaggi di Gulliver, uno dei suoi libri preferiti in assoluto), ma anche di serie TV (lui è un fan sfegatato di Downtown Abbey), di ossessioni personali (tema ricorrente nei suoi libri: c’è in Numero Undici, c’era in La famiglia Winsham e c’è in Coe stesso) e del ruolo dei social media nella società moderna («sono utili in alcuni casi, tipo oggi che ho seguito i terribili fatti di Bruxelles tramite twitter, ma sono anche in parte responsabili della perdita di empatia tipica della società moderna»).
Alla fine sì, si è parlato del libro ma a partire da quello e dalle sue tematiche si è parlato anche di tutt’altro. 
E io ho apprezzato tantissimo il suo modo di parlare e il suo fantastico accento inglese, ma anche il suo sense of humor, molto garbato (se non fosse stato per le due buffe signore citate prima che, sentendoci ridere già in lingua originale, ci chiedevano in continuazione di tradurre prima dell’interprete, così potevano ridere prima degli altri anche loro… no, signore, mi spiace, aspettate l’interprete) e il suo prendersi in giro. 

Poi, è arrivato il momento della dedica. 
Allora, io dal vivo sono una persona timidissima con gli sconosciuti. Figuriamoci con uno sconosciuto che parla inglese e che è, tra le altre cose, uno dei miei scrittori preferiti (lo sono anche in italiano con quelli che mi piacciono meno, comunque). Però poi mi sono trovata lì davanti e ho pensato “ma sì, chi se ne frega, io provo a parlargli, alla peggio mi prende per una fan invasata”. Gli ho detto che avevo terminato il libro quel pomeriggio, lui mi ha chiesto se una parte in particolare mi era piaciuta, io gli ho risposto che all'inizio era un po’ strana ma poi quando ho capito sì, lui mi ha detto che era l’effetto che voleva e poi constatato che leggo in fretta. E poi è successo più o meno questo:



«Beh sì, sono una lettrice allenata, perché ho un blog di recensioni e, per quanto possibile, mi piace aggiornarlo di frequente». 
«Davvero hai un blog? E mi segui su twitter?».
«Sì, lei ogni tanto mi mette anche i cuori».
«Ma dai, davvero! Come si chiama?».
«La lettrice rampante».
«Non ho presente al momento, scusami… ma la recensione del mio libro l’hai già scritta?».
«Ci mancherebbe!No, non ancora, l’ho finito oggi e penso la scriverò nei prossimi giorni».
«Dai, bello! Allora mettila in un posto in cui io la possa vedere, che sono curioso».

E alla fine stavo per svenire, ecco.
Poi magari se ne dimenticherà e non la leggerà (non oso immaginare in quanti lo tagghino da tutto il mondo), o ci proverà e non ci capirà niente perché la scriverò in italiano, o boh, qualunque altra cosa. Però chissene frega in realtà…  aver chiacchierato cinque minuti con Jonathan Coe e avergli detto che ho un blog per me è già stato un grandissimo traguardo.

Grazie quindi a chi mi ha convinto ad andarci, a Barbara per la compagnia, le foto e la birra e a Jonathan Coe per essere l'adorabile scrittore che è.

(La recensione di Numero Undici arriverà nei prossimi giorni, poi vi assicuro che dopo quella, fino al prossimo romanzo, questa fase da fan sfegatata e invasata si placherà. Portate pazienza ancora un po’).

venerdì 12 giugno 2015

Incontrando... MARGHERITA OGGERO

Ieri pomeriggio, in un bell’orario da pensionati che il mio stato attuale di non occupata mi consente di sfruttare al meglio, sono alla biblioteca Movimente di Chivasso a sentire la presentazione del libro La ragazza di fronte di Margherita Oggero insieme al suocero rampante.
Ok, non ho ancora letto il libro ed effettivamente andare a una presentazione di qualcosa che non ho letto un pochino mi indispone: ho sempre paura o di non capire di che cosa stiamo parlando o di capirne troppo e rovinarmi così la lettura. Però era da parecchio tempo che volevo assistere a un incontro con questa per me fantastica scrittrice torinese. E quindi chissene frega. Prendiamo e andiamo alla presentazione.

Innanzitutto, la biblioteca Movimente di Chivasso è un posto bellissimo che se non fosse così distante, e non avesse orari di apertura non proprio agevoli, frequenterei quasi tutti i giorni. E’ nuova, è luminosa, è spaziosa, è bianca e verde, è piena di libri e di giornali, ma anche di pc, di dvd e, soprattutto, di gente. Che si siede e legge, che naviga, che sfoglia giornali. C’ero già stata in passato, ma solo di sera, e ora ho avuto la conferma che è proprio un posto a misura di lettore.
Ma veniamo alla presentazione. Dunque, l’evento era organizzato dalla biblioteca e dall'Associazione Buongiorno Canavese e a moderare l’incontro c’era proprio il suo presidente, Roberto Tentoni.


Durante la presentazione si è parlato, come logico che sia, principalmente di La ragazza di fronte, libro da poco uscito per Mondadori (ma che ha una copertina tremendamente simili ai Garzanti). Si è parlato dei vari temi e dei vari personaggi, forse un pochino troppo a fondo per chi non ha letto il libro, ma anche della scelta della scrittrice di allontanarsi dai gialli, tema dominante dei suoi romanzi precedenti, quelli con la profia Camilla Baudino. Un po’ perché Margherita Oggero è sempre stata controcorrente (“ho iniziato a scrivere gialli quando non erano poi così di moda, e ora che lo sono tornati ho deciso di smettere”), un po’ perché comunque in realtà continua a scriverli, ma per la tv (ha anticipato che a ottobre andranno in onda le nuove puntate di Provaci ancora prof). Insomma, in questo nuovo libro ha voluto cimentarsi in altro, parlare di amore e di sentimenti, senza però abbandonare quello che, secondo me, è uno dei suoi personaggi principali, ovvero Torino. Non penso che Margherita Oggero, piemontese di nascita e soprattutto di stile (sia sulla carta sia dal vivo!), possa scrivere un romanzo ambientato da qualche altra parte.

La cosa più bella dell’incontro sono stati i buffi aneddoti che è ha piazzato qua e là durante il dialogo con Roberto Tentoni. Tipo il suo odio profondo per le Stelle di Natale, che abbandona immediatamente sul balcone sperando in una gelata assassina. O di quando, raccogliendo informazioni per scrivere il libro, ha scoperto che il treno Frecciarossa nelle tratte brevi ha un solo conducente. Alle sue rimostranze, le hanno risposto “Beh, la metropolitana di Torino non ne ha nessuno. Meglio uno che nessuno, no?”. O di quella volta che su un volo Air France ha chiesto alla hostess di metterle nella cappelliera il bagaglio perché lei è piccolina e non ci arriva, la hostess le ha risposto che è piccolina anche lei, di chiedere a qualcun altro e allora lei le ha risposto che potrebbe cambiare mestiere. Cose piccole, che mi rendo conto che scritte non hanno lo stesso effetto, ma che sentite dal vivo lasciano trasparire anche di persona tutto quello che ho sempre amato nei suoi libri. L’accorgersi dei dettagli, anche quelli più scemi, l’osservare il mondo e trarne una storia, seppur breve. 
Alla domanda su come si fa a scrivere dei libri così, Margherita Oggero ha parlato proprio di questo, dell’importanza di osservare il mondo, di vivere in mezzo agli altri, di provare empatia, per le persone e il mondo circostante. (Sottolineando che non sono sicuramente i 5000 amici di Facebook che fanno sentire una persona meno sola e più empatica, ed elogia poi la lectio magistris di Umberto Eco, riassumibile con “Facebook da’ voce agli imbecilli”). Se non si osserva il mondo, cosa si ha da raccontare? 

Al termine della presentazione, non avendo il libro, mi sono defilata, pensando che suocero rampante mi seguisse. Invece lui si è avvicinato al bancone, ha acquistato una delle poche copie disponibili, è andato da Margherita Oggero e poi mi ha raggiunta, porgendomi il libro e dicendomi “Tieni, te l’ha autografato”. E quindi, ta-da! Libro nuovo e autografo nuovo!


Insomma, l’incontro è stato piacevole e a tratti molto divertente. Avrei forse parlato un po’ meno del libro in sé e un po’ più di come è nato e di Margherita Oggero scrittrice. Ma è comunque andata bene anche così. E sono contenta che lei sia esattamente come me l’ero immaginata.

giovedì 7 maggio 2015

Un salto al SalTo15! (vabbè...)

Manca una settimana esatta all'inizio del Salone Internazionale del Libro di Torino 2015 (per gli amici, SalTo15) e qui sul blog ancora non ve ne avevo parlato. Strano, perché sprizzo entusiasmo da tutti i pori già da un paio di settimane, addirittura da prima che uscisse il programma il 27 aprile.
Io adoro andare al Salone del Libro. Nonostante il caos, le scolaresche che prenderei a calci, il telefono che là dentro non prende mai, il caldo e la coda per andare in bagno, quando entro dentro ai padiglioni del Lingotto mi sento a casa. Perché ci sono tutti quei libri, milioni di libri. Perché in mezzo a chi gira senza meta e senza scopo, è pieno di lettori appassionati che corrono da uno stand all'altro, per conoscere un editore nuovo, per salutare uno che è già da tempo nel loro cuore, per incontrare altri appassionati e acquistare tutti quei libri che spesso non saprebbe nemmeno dove comprare. Perché in mezzo agli enormi stand dei grandi editori, ce ne sono tanti altri piccoli ma pieni di passione e amore.
Sì, insomma, io adoro andare al Salone.

Il tema di quest’anno è Italia, Salone delle Meraviglie ed è accompagnato da un’immagine ufficiale che è un tantino terrificante (a voi che l'avete realizzata... vi chiedo scusa per questo giudizio un po’ impietoso, ma dai, secondo me se la guardate bene, sembrerà terrificante anche a voi adesso), e soprattutto non dà l’idea di una rassegna che si occupa di libri. Però questa c’abbiamo e questa ci teniamo. Il programma, come ogni anno, si distribuisce sui cinque giorni di rassegna (da giovedì 14 a lunedì 18) all'interno del Salone, più una marea di eventi del Salone OFF nei quartieri di Torino e provincia. Una bella idea, quella degli appuntamenti all'esterno, che lo sarebbe ancora di più se possedessi il dono dell’ubiquità.



Ma veniamo a noi. Quest’anno, a differenza dell’anno scorso e di due anni fa, non svolgo ruoli “ufficiali” all’interno del Salone: niente interviste in radio e niente presentazioni. Belle esperienze entrambe, che rifarei immediatamente, ma che a causa di un mio stato di ansia abbastanza evidente, mi avevano un po’ distratto dal Salone vero e proprio. Quindi quest’anno sarà tutto all'insegna di incontri ed eventi, chiacchiere con editori e lettori, nonché acquisti forsennati, che si concentreranno quasi sicuramente nelle giornate di giovedì, venerdì e sabato.
Spulciando il programma (altra cosa che adoro fare, anche se mi richiede un intero pomeriggio per analizzarlo bene a fondo), che rispetto ad altre volte sembra un pochino sottotono, ho trovato alcuni eventi a cui mi piacerebbe partecipare e che ora vi elenco (per ogni evento ho messo il link, così potete sapere dove, come, quando e perché):

Giovedì 14
h 10.30 - PERCHÉ IL MARE È INNAMORATO DELLA LUNA? Presentazione del libro Leonardo e la marea di Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone:  poco importa se è una lettura consigliata per i bambini dai 7 agli 11 anni, l’occasione per vedere Malvaldi, per giunta in compagnia della fantastica moglie di cui ho sempre e solo sentito parlare in tutte le sue presentazioni, vale la pena di sopportare bambini urlanti.

Poi torno a casa, che avrò già sicuramente male ai piedi e, soprattutto, finito tutti i soldi.

Venerdì 15
Sono ben sei gli appuntamenti della giornata di venerdì a cui cercherò di partecipare.
h 11 – DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI LIBRI NEI SOCIAL: un’analisi del rapporto tra libri e social network da parte di chi lo fa di mestiere (tra cui Valentina Aversano, della minimum fax)
h 12 – LO STURANGOSCIA, presentazione del libro di Davide Pedrosin e Carlo Sperduti, degli amici della Gorilla Sapiens Edizioni
h 15 – I MESTIERI DEL LIBRO.Il marketing virale: in cui si parlerà delle nuove frontiere della promozione della lettura.
h 16.30 – ZEROCALCARE DIALOGA CON GIORGIO FONTANA con Giorgio Fontana: e qui credo che non servano spiegazioni
h 18 – I MESTIERI DEL LIBRO. L'editor: – altro incontro semi-professionale, sperando che mi aiuti a capire come fare a diventare editor
h 18.30 (Salone OFF) - LORENZO MAZZONI PRESENTA QUANDO LE CHITARRE FACEVANO L'AMORE, edito dalle Edizioni Spartaco (vd mia ultima recensione) presso la Libreria Trebisonda, a San Salvario
h 21 - LASCIA STARE IL LA MAGGIORE CHE LO HA GIA' USATO BEETHOVEN presentazione del libro di Alessandro Sesto, sempre degli amici della Gorilla Sapiens Edizioni

Poi torno a casa, che avrò sicuramente fame, male ai piedi e finito di nuovo tutti i soldi

Sabato 16
h 13 – WENDELL BERRY. MANGIARE E' UN ATTO AGRICOLO: presentazione del libro di Wendell Berry a cura degli amici della casa editrice Lindau
h 15 – I MESTIERI DEL LIBRO. L’editore: un altro incontro semi-professionale in compagnia di Marco Cassini e Luca Ussia
h 17 – INTERROGATORIO A GUIDO GUERRIERI. Incontro con Gianrico Carofiglio: sebbene ultimamente mi stia un po' antipatico, non posso non andare a sentire Carofiglio che parla di quel figo di Guerrieri
h 19 – SPEED BOOK : ovvero un tot di autori hanno pochi minuti di tempo per presentare i loro libri e fare innamorare i lettori (ci vado soprattutto per conoscere Diego Barbera, autore di Ti scriverò prima del confine, degli amici della Casa Sirio)

Poi, se i piedi e la fame reggono ancora, dalle 22.30 sarò al GORILLA SAPIENS EXTREME READING, presso il Camaleonte Piola a San Salvario, un ping pong di letture tra autori e lettori

(Lunedì 18 invece andrò molto probabilmente alla biblioteca di Chivasso, per la presentazione del libro La ruga del cretino di Andrea Vitali e Massimo Picozzi)

L’elenco dei libri da acquistare è in continuo aggiornamento. Ad oggi contiene tredici libri (aspetta va che ne aggiungo un altro)… ok, quattordici, anche se poi una volta lì non so se li acquisterò davvero tutti o se verranno soppiantati da altri. Anche questo, per me, fa parte del bello di queste fiere (anche se il mio portaborse ufficiale, il buon lettore rampante, non è poi così d'accordo)

Quindi, chi volesse incontrarmi mi troverà salvo imprevisti dell’ultimo minuto, ovviamente, a spasso per gli stand e alle presentazioni sopra elencate giovedì, venerdì e sabato.  E avrò con me un segno di riconoscimento (vero che è bellissima la mia borsina?), se vi va di salutarmi a me non può che fare un immenso piacere!

SalTo15… stiamo arrivando!

mercoledì 4 marzo 2015

Incontrando... Marco Missiroli

Era da un po’ di tempo che mi sarebbe piaciuto assistere a un incontro con Marco Missiroli. Da quando ho letto e adorato il suo Il senso dell’elefante, da quando mi sono un po’ scontrata con Il buio addosso e da quando mi è arrivata la sua mail in risposta alla mia proposta di intervista, dopo poche ore che gliela avevo inviata. Mi piace vedere dal vivo, almeno una volta, le persone che con le loro parole scritte hanno saputo emozionarmi, anche se potrebbe rivelarsi una delusione.

Quindi, quando mi è arrivata la newsletter del Circolo dei Lettori di Torino in cui veniva annunciata la presentazione, di lì a una settimana, di Atti osceni in luogo privato, il nuovo romanzo di Marco Missiroli, sono corsa nella libreria in cui lo avevo prenotato per ritirarlo. Lo avrei fatto comunque, perché attendevo un nuovo libro quasi con ansia, ma volevo averlo subito tra le mani per poter arrivare alla presentazione preparata (ed è per questo che questo post è immediatamente successivo alla presentazione, per quanto possa effettivamente sembrare un po’ stalkeristico)

Per cui ieri, insieme a Thais di Solo libri belli, sono andata a questo incontro al Circolo dei lettori. Che, forse ve l’avevo già detto, è un posto fichissimo, pieno di eventi e di persone, di libri e di attività, al punto che, per chi lo frequenta poco come me, mette un po’ in soggezione. Però è stato bello, mentre gironzolavo tra le sale (ok, cercavo il bagno in realtà), sentire due persone dire “è bello venire qui, soprattutto per chi a casa è da solo. Ci sono i libri e c’è la compagnia”.

Sono andata alla presentazione, vi dicevo, di Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli, che aveva accanto a lui Luca Beatrice, nuovo presidente del Circolo, in una sala gremita anche di un pubblico giovane (cosa un po’ inusuale, se devo dire la verità).


Inizio con il dire che Marco Missiroli è un timido, che ha esordito dicendo di non preoccuparsi se nel corso di questa chiacchierata lo avremmo visto diventare tutto rosso. E già lì mi è stato simpatico. Perché essere uno bravo scrittore e saper parlare in pubblico sono cose molto diverse, ovviamente. Un atto privato, privatissimo, contro uno invece pubblico che non tutti (io per prima) sono in grado di sostenere.
La presentazione è partita dalla copertina, ovviamente. Quella benedetta copertina, "Holy Cross (in hoc signo vince)" di Erwin Blumenfeld, che continuo a trovare inquietante sebbene sia, come Luca Beatrice sottolinea subito, “un passapartout per la storia”. Ed effettivamente è di fronte a quell'opera che Libero, il protagonista del libro, ha la sua prima vera rivelazione sul sesso e sul suo modo di viverlo, e c’è quindi il passaggio tra il mero consumo del corpo, lo scopare, e un coinvolgimento più forte, il fare l’amore. Missiroli racconta di aver discusso a lungo con l’editore su questa scelta. E’ un’immagine forte, le persone si sentirebbero a disagio a tenerlo in mano sui mezzi pubblici e qualcuno è arrivato persino a foderarlo (io ho messo la fascetta, per dire). Però è una parte talmente tanto importante all'interno del libro che non poteva non essere in copertina. Anche il titolo ha dato di che riflettere. L’idea iniziale era quella di intitolarlo semplicemente Libero, ma poi, al Festival della mente di Sarzana, durante la presentazione di Peter Cameron, è stato messo ai voti e Atti osceni in luogo privato ha stravinto.

Missiroli ha poi raccontato la nascita del romanzo. Era sotto un ombrellone in un bagno riminese, sua città natale, che stava cercando di scrivere un romanzo sugli organi. Organi che escono da un corpo e vanno in altri corpi e di cui l’autore segue la storia. Tuttavia, mentre scriveva, si è reso conto che aveva voglia di raccontare qualcosa che lo rendesse libero davvero. “Quando uno non ha tante libertà, le mette in un libro”. Per farlo ha attinto al suo passato, alla sua storia erotica che è poi la storia erotica di tutti i timidi. A Rimini si perde la verginità in media intorno ai 14 anni, perché ci sono i turisti e ci sono le tedesche. Missiroli l’ha persa a venti e quei sei anni di distacco tra lui e i suoi amici, oltre a essergli costati diverse prese in giro, lo hanno trasformato in un resiliente amoroso. Quindi la storia di Libero, protagonista del libro, è in parte la sua storia.

Da lì si è passati all'ambientazione del libro, che non viene mai esplicitata apertamente nel corso del romanzo, ma ci sono evidenti segnali che permettono di collocarlo. La storia parte dal 1963 e arriva fino al 2001. Missiroli, che è nato nel 1981, ha scelto di far nascere prima di lui il suo protagonista perché è una persona anacronistica. Gioca a bocce, non va in discoteca se non per tenere le giacche degli amici e, se potesse scegliere, gli sarebbe piaciuto nascere nel 1932. “Se nasco nel 1932 e passo la guerra, vuol dire che scrivo negli anni ’60 e che ce l’ho fatta. Come Moravia”. A questa nascita in epoca ritardata fatica un po’ ad adattarsi.

Si è poi parlato del concetto di romanzo erotico che, visti anche certi best seller da classifica ultimamente, pare sia una cosa da donne. Marco Missiroli sottolinea che lui non aveva intenzione di scrivere un romanzo erotico e che, effettivamente, Atti osceni in luogo privato non è un romanzo erotico perché non ci sono volgarità, cose troppo esplicite, e consapevolmente. Lui non voleva andare al centro ma stare attorno, alla questione, scrivendo un romanzo sul voler essere qualcuno, sul diventare se stessi, processo che passa inevitabilmente attraverso l’erotismo e la scoperta del corpo, ma che in un persona timida, come il protagonista e come l’autore stesso, è molto complesso.
Scrivendo, ha immaginato di avere su una spalla sua madre che lo intimava di continuare romanzi simili ai precedenti, e sull'altra la sua professoressa del liceo, che gli faceva i complimenti per non aver inserito volgarità nel testo. Alla fine, però, la prima stesura l’ha fatta leggere al padre che, raccontano, è uscito dallo studio in cui l’ha letto con le orecchie rosse e i capelli gonfi, dicendo che un libro così non poteva essere pubblicato. Dopo averci lavorato un po’, a seguito anche del commento del padre, Missiroli è riuscito a cambiare identità e a emanciparsi attraverso queste pagine.

Un ruolo fondamentale, e bellissimo, all'interno del romanzo è poi svolto dai libri, quelli che Marie, uno dei personaggi principali per lo sviluppo erotico del protagonista, gli passa.
Se uno non riesce a vivere nel mondo, può vivere nella letteratura. Se uno vive tanto nel mondo e legge, vive ancora di più nel mondo
Tre sono i romanzi principali che vengono citati, tutti con un ruolo ben preciso: c’è Mentre morivo di Faulkner, Il deserto dei Tartari di Buzzati e Lo straniero di Camus.
Per Missiroli sono state tutte letture tardive, perché ha iniziato a leggere intorno ai diciannove anni. Il suo primo romanzo è stato Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti. Poi, racconta, sua madre ha avuto la pessima idea di dargli L’alchimista di Paolo Coelho e lui si è di nuovo scoraggiato. Per fortuna è arrivato suo padre che, per aiutarlo a superare la noia, gli ha consigliato di leggere Il deserto dei Tartari. Dal due palle iniziale è passato a pensare “Io non farò quella fine lì, io devo vendicare Giovanni Drogo”
Questi tre libri sono così importanti per Libero, e probabilmente anche per Missiroli, perché si rende conto che Giovanni Drogo, Mentre morivo e Lo straniero sono in realtà delle evasioni da delle carceri esistenziali e allora inizia a correre.

Si è poi parlato dei protagonisti, soprattutto dei personaggi femminili presenti nel libro: Marie, Lunette, Frida, Anna e la madre stessa, che ha dato un po’ origine a tutti i turbamenti di Libero da bambino. Tanti personaggi diversi tra loro, e tutti ben caratterizzati, che hanno un po’ vendicato l’assenza di personaggio femminili nei romanzi precedenti. Il più difficile da scrivere, su cui ha lavorato di più, è stata Frida, che voleva caratterizzare bene senza farla diventare una macchietta. E, mi permetto di dire, forse insieme a Marie, è quella che meglio gli è riuscita.

La presentazione si è poi piano piano conclusa, con qualche accenno alla differenza tra scrivere di Parigi e scrivere di Milano, i due luogo in cui il romanzo è ambientato, con ancora qualche aneddoto sulla vita di Missiroli (“quando a vent’anni ho perso la verginità ero a Bologna, ho avvisato gli amici di Rimini e hanno messo i manifesti in discoteca") e con un intervento dal pubblico di una signora che mi ha fatto sorridere, perché si è commossa per un personaggio che aveva fatto commuovere tanto anche a me (anche se non so se l’effetto sarebbe stato lo stesso se anziché chiamarlo Palmiro Togliatti lo avesse chiamato Giulio Andreotti).

Mi sono poi avvicinata per l’autografo e ho trovato il coraggio per dirgli chi ero (ecco, io vado sempre nel panico al momento degli autografi, sudo, divento tutta rossa e mi agito... è una cosa scema, ma non ci posso fare niente). E non finirò mai di stupirmi ogni volta che uno scritto, quando dico “Ciao, io sono la lettrice rampante”, da’ evidenti segni di avermi riconosciuto (di solito sono un “Ooooohh, ma dai, finalmente!”).


Sono uscita dalla presentazione di Marco Missiroli entusiasta e contenta di aver finalmente conosciuto dal vivo quello che reputo un grande scrittore e, soprattutto, una bella persona. Certo, alla fine mi sono anche sentita molto ignorante, perché ha una conoscenza incredibile della letteratura italiana, pur essendo arrivato tardi alla lettura. 
In ogni caso, assistere a una sua presentazione merita tanto quanto leggere un suo libro.