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sabato 2 febbraio 2019

Leggendo a gennaio: Korn, Manzini, Backman, Saramago... per tacer di Tom Gauld

Gennaio è stato un mese lunghissimo. I sei giorni di ferie con cui è iniziato sono diventati un ricordo già dal primo giorno di rientro al lavoro e, adesso che finalmente il mese e finito e ne è iniziato uno nuovo, se mi guardo indietro mi sembra che siano passati secoli da quando il 2019 è iniziato.
Eppure no, è durato solo trentuno giorni, come sempre e come fanno tanti altri mesi dell’anno. E ne sono passati poco più di quindici dall’ultima volta in cui ho pubblicato un post qui sul blog. Mi ero ripromessa che nel nuovo anno avrei tentato di aggiornarlo più spesso ma, come potete ben vedere, mi sa che il mio intento è già miseramente fallito.
E mi dispiace molto, soprattutto perché in questo mese ho letto tanto e tante cose belle. Per questo ho deciso di fare un post cumulativo, per raccontare in breve le letture che mi hanno accompagnato in questi lunghissimi trentun giorni appena trascorsi e a cui non sono purtroppo riuscita a dedicare un post singolo (quindi no, qui non ribadirò quanto poco mi abbia convinto La misura dell’uomo di Marco Malvaldi, perché lui si è meritato una recensione tutta sua).
Eccoli qua:


Partiamo con quella meraviglia di Figlie di una nuova era di Carmen Korn, primo volume di una trilogia portato qui in Italia da Fazi editore e tradotto da Manuela Francescon e Stefano Jorio. Protagoniste sono quattro donne, di origini e classi diverse, che vivono ad Amburgo nella prima metà del ‘900 e i cui destini si incroceranno con l’arrivo della guerra e delle varie vicende personali che si ritroveranno a vivere. Henny e Kathe sono amiche da sempre e ora, insieme, stanno studiando per diventare ostetriche; Ida è la rampolla di una buona famiglia, abituata agli agi e ai lussi e disposta a tutto pur di averli, forse anche a sacrificare l’amore; Lina è sopravvissuta alla Prima guerra mondiale insieme al fratello grazie ai genitori, morti di fame per permettere a loro due di sopravvivere. Mentre le loro vicende personali proseguono, tra amori clandestini, desiderio d’indipendenza, impegno politico e tante decisioni sbagliate (Henny, porca miseria!), sullo sfondo scorre la storia del ‘900, con l’avvento del nazismo e tutto ciò che porterà con sé. Era da tanto che un libro non mi prendeva così tanto, che non mi ritrovavo tanto immersa in una storia e nei suoi intrecci. Non vedo l’ora che esca il secondo volume, perché una volta girata l’ultima pagina, queste donne di Amburgo già mi mancavano parecchio.
Henny tese l'orecchio. Le sembrava di aver sentito salire dal cortile, fino al secondo piano, un suono venuto dal passato, come un rintocco di campana o il verso di un merlo. Le vennero in mente i sabati della sua infanzia. Sabati estivi. L'acqua che scintillava nella cisterna. Il ribes bianco che le lasciavano cogliere dai rovi addossati al muro di cinta, il profumo della torta che sua madre aveva già messo in forno per la domenica. Suo padre, appena tornato dall'ufficio, che fischiettava mentre si liberava della cravatta e si sbottonava il colletto della camicia.
Henny andò alla finestra, l'aprì e stette ad ascoltare il suono che aveva risvegliato in lei quella serie di immagini. Il cigolio della vecchia altalena.
Era ottobre quando è uscito Fate il vostro gioco di Antonio Manzini. Ne avevo parlato come un romanzo di transizione, dopo due libri carichi di emozioni e tensioni. Mi era sembrato quasi un libro sospeso, finito un po’ troppo bruscamente... ed ecco svelato l’arcano: il 10 gennaio, infatti, è uscito Rien ne va plus, un’altra avventura del vicequestore Rocco Schiavone. No, Manzini non ha scritto un romanzo in tre mesi. Semplicemente Fate il vostro gioco e Rien ne va plus sono lo stesso libro, diviso in due per questioni verosimilmente di lunghezza, ma anche (e soprattutto, forse) per far contenti i fan, non costretti ad attendere il solito anno tra una puntata e l’altra. In Rien ne va plus tutte le cose che mi avevano lasciato perplessa di Fate il vostro gioco un po’ si chiariscono: da un lato continuano le vicende personali di Rocco, tra il rimpianto per Caterina e le rivelazioni sempre più pericolose di Baiocchi, che rischiano di mettere il nostro vicequestore preferito in una posizione terribile; dall’altro c’è un portavalori del casinò di Saint Vincent che misteriosamente sparisce e Rocco capisce subito che c’è un collegamento con la morte del ragionier Favre; ma soprattutto che c’è qualcosa di molto, molto più grande dietro. Intanto si consolida il rapporto con Gabriele, Lupa è sempre più coccolosa e Rocco (che sì, ora ha inevitabilmente la faccia di Marco Giallini, ma va benissimo così) ha ancora tanti fantasmi a perseguitarlo. Non vedo l’ora che esca il prossimo.

Ho scoperto Fredrik Backman qualche anno fa con il suo romanzo d’esordio, L’uomo che metteva in ordine il mondo. Me ne ero follemente innamorata: avevo adorato il modo in cui tratteggiava i suoi personaggi e il suo stile, con quella capacità che non tutti hanno di raccontare anche le cose più tristi nel modo più buffo e dolce possibile (il dolore resta sempre, ma diventa più affrontabile). L’amore si è poi consolidato con Mia nonna saluta e chiede scusa, dove compare per la prima volta il personaggio di Britt-Marie, che si è poi meritata un romanzo tutto suo: Britt-Marie è stata qui (pubblicato da Mondadori con la traduzione di Andrea Stringhetti).
Britt-Marie è una donna un po’ scontrosa, incapace di uscire dalla gabbia delle imposizioni sociali e del “chissà cosa direbbero gli altri”. Ha sempre vissuto per il marito e per i figli di lui, tenendo la casa impeccabile e sacrificando se stessa, ricevendo in cambio solo recriminazioni e prese in giro.

Alla fine desiderava solo un balcone e un marito che non camminasse sul parquet con le scarpe da golf, che qualche volta mettesse la camicia nel cesto della biancheria senza bisogno di ricordarglielo e che ogni tanto dicesse che la cena era buona senza bisogno di chiederglielo. Una casa. Figli non suoi ma che vengono lo stesso a Natale. O almeno cerchino di far finta di avere un motivo per non venire. Un cassetto delle posate sistemato in modo corretto. Finestre da cui si possa vedere il mondo. Qualcuno che si accorga che si è sistemata i capelli con particolare cura. O che almeno faccia finta di accorgersene. O che almeno le permetta di continuare a fingere. 
Qualcuno che una volta ogni tanto torni in una casa con il pavimento pulito e la cena calda in tavola e veda i suoi sforzi. Perché le persone sono come le cene. Devono avere un senso. "Che bella pettinatura". È una frase che ha senso.

Forse un cuore si spezza solo quando si esce da una stanza d'ospedale con camicie che puzzano di pizza e di profumo, ma tutto si spezza più facilmente se prima si sono formate delle crepe.

Però quando il tradimento del marito, che lei già conosceva, diventa di dominio pubblico decide che non può più sopportare e se ne va di casa. Alla ricerca disperata e ossessiva di un lavoro, accetta uno strano incarico a Borg, una comunità sperduta su cui la crisi ha picchiato molto duro. Tutti i negozi e le attività che ancora non sono chiuse chiuderanno a breve e il paesino sembra destinato a morire. Britt-Marie, con le sue fobie, la sua smania per le pulizie e la sua mentalità ingenua, riesce in qualche modo a far breccia nei pochi abitanti rimasti. Senza nemmeno capire come, si ritrova addirittura ad allenare la squadra di calcio dei ragazzi del paese e a prendersi cura di loro a modo suo. Sembra esserci una speranza per Borg, nonostante tutte le tragedie e le difficoltà che sta vivendo, e sembra esserci anche per Britt-Marie.
Nella caratterizzazione di questo personaggio forse Fredrik Backman ha calcato un po’ troppo la mano, perché nella prima parte è talmente insopportabile e talmente incredibile nelle sue ingenuità che vien quasi voglia di chiudere il libro. Una voglia che però poi passa, man mano che si procede con la lettura e si assiste al cambiamento di Britt-Marie e di tutte le persone attorno a lei. È un libro pieno di buoni sentimenti, di quelli che scaldano il cuore e fanno bene, perché, ancora una volta, mostra come anche nelle tragedie, nelle difficoltà e nei momenti brutti si possa (e si debba!) trovare qualcosa per cui vale la pena sorridere.

L’ultimo libro di gennaio è Le piccole memorie di José Saramago, tradotto da Rita Desti. Un libriccino comprato un po’ per caso (insieme a Diario di scuola di Pennac per prendere la coperta del lettore di Alice nel paese delle meraviglie) e che mi ha fatto ricordare ancora una volta quanto io voglia bene a José Saramago. In questo piccolo memoir, lo scrittore portoghese racconta alcuni aneddoti della sua infanzia: i rapporti con i genitori e con i nonni, gli anni di scuola e le amicizie nate tra i banchi, i personaggi bislacchi che ha incontrato nella sua infanzia e adolescenza, i ricordi del fratellino morto a tre anni... tante piccole cose, che forse alla produzione di Saramago non aggiungono nulla, ma che per chi già lo conosce e lo ha sempre adorato sono molto preziose. (Nel caso voleste iniziare a conoscerlo: consiglio Cecità, L’uomo duplicato e Lucernario... tenetevi Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Caino per quando avrete preso più in confidenza con il suo stile).

Ho raccontato altrove come e perché mi chiamo Saramago. Che quel Saramago non era un cognome per parte paterna, bensì il soprannome con cui era conosciuta la mia famiglia nel paese. Che quando mio padre andò a dichiarare all'Anagrafe di Galeğa la nascita del suo secondo figlio, capitò che l'impiegato (si chiamava Silvino) fosse ubriaco (indignato, di questo lo avrebbe sempre accusato mio padre) e che, nei fumi dell'alcol e senza che nessuno si accorgesse dell'onomastico frode, decidesse, a suo rischio e pericolo, di aggiungere Saramago al laconico José de Sousa che mio padre voleva che fossi. E che, in questo modo, infine, grazie a un intervento a tutte le evidenze divino, mi riferisco, è chiaro, a Bacco, dio del vino e di coloro che eccedono nel berlo, non ho avuto bisogno di inventare uno pseudonimo, caso mai ci fosse stato un futuro, per firmare i miei libri.

Tra un romanzo e l’altro, a gennaio c’è stato tempo anche per i fumetti di Tom Gauld, in particolare di Baking with Kafka (esiste anche la versione italiana, In cucina con Kafka, pubblicata da Mondadori... ma se sapete l’inglese vi consiglio l’originale). Tutti gli appassionati di libri e di letteratura dovrebbero conoscere e leggere le vignette di Gauld: fanno ridere e fanno riflettere, ma soprattutto dimostrano quanto si possa amare il mondo dei libri senza prendersi mai troppo sul serio, perché gli scrittori famosi ma anche i personaggi dei libri sono prima di tutto esseri umani.

Source: https://bit.ly/2S8aIID


mercoledì 17 ottobre 2018

FATE IL VOSTRO GIOCO - Antonio Manzini


La settimana scorsa è uscito Fate il vostro gioco, il nuovo romanzo di Antonio Manzini con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone. Non starò qui a dirvi per l’ennesima volta quanto io ami questo personaggio, quanto attenda con ansia ogni sua nuova avventura e quanto, dopo un inizio non proprio entusiasta, mi sia appassionata anche alla serie tv che ne hanno tratto. Rocco Schiavone è un figo, burbero, stronzo, segnato da un passato che non gli dà tregua e che condiziona tutto il suo presente. Ma è anche tenero, a modo suo, con chi se lo merita (Lupa, più di tutti).

Aspettavo con ansia un nuovo romanzo, vi dicevo, anche perché sono ancora sconvolta da quanto successo da Pulvis et umbra l’anno scorso (per non fare spoiler dico solo: Caterina) ed ero curiosa di vedere come ne sarebbe uscito il mio vicequestore preferito.
Non benissimo, diciamoci la verità, perché Fate il vostro gioco, nonostante non sia un romanzo breve e abbia richiesto comunque un anno per essere scritto, è un po’ sottotono rispetto ai precedenti. E ci sta, ci mancherebbe, in una serie arrivata ora al settimo romanzo, più tutta una serie di racconti; ci sta che uno sia meno riuscito di un altro, soprattutto se arriva dopo due storie in cui la vicenda di Rocco ha forse toccato il suo climax. 

In questo nuovo romanzo, Rocco Schiavone si ritrova a indagare sull’omicidio di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint Vincent, ritrovato cadavere in casa sua con la fiche di un altro casino tra le mani. “Un morto che parla”, lo definisce Rocco, che si sforza per capire che cosa voglia dirgli. C’entra il riciclaggio? C’entrano i prestiti ai poveracci che si rovinano sul tavolo da gioco? O nessuna di queste cose? Rocco indaga con tutta la squadra, anatomopatologo Fumagalli e complottista della scientifica Gambino compresi. Ma nel mentre deve anche stare un po’ dietro a Italo, che sembra avere più di un problema, e, soprattutto, fare i conti con quanto successo nel romanzo precedente: i suoi amici romani che sembrano fidarsi più di lui, Enzo Baiocchi che pare intenzionato a fare grandi rivelazioni alla polizia, Marina che non si fa più sentire, e Caterina, ovviamente. A complicare ulteriormente le cose ci si mettono pure il vicino di casa adolescente Gabriele e sua madre. Riuscirà il nostro vicequestore preferito a risolvere il caso e, una volta per tutte, anche i suoi tormenti?

Lo scopriremo nella prossima puntata. Dico davvero (e prima che mi si accusi di spoiler, lo dice anche la bandella), perché Fate il vostro gioco è un romanzo che non finisce, che lascia in sospeso tante cose per quello a venire. E questo, per quanto mi riguarda, rappresenta un po’ un problema: non mi piacciono i gialli che non sono autoconclusivi; o meglio, mi piace che ci sia una trama parallela che li colleghi tutti, ma l’omicidio che viene affrontato in un romanzo preferisco che in quello finisca.
Al di là di questo, che è sicuramente una questione più personale, trovo che Fate il vostro gioco sia un po’ frettoloso, un po’ abbozzato. Più nella scrittura, forse, che non nella trama vera e propria. E qualcuno mi faceva notare che probabilmente è già pensato per serie tv: è più fatto di scenette, più televisivo. E poi, diciamocela, Rocco senza le sue donne non funziona tanto. E Antonio Manzini stesso sembra esserne reso conto perché poi, verso la fine, corregge un po’ il tiro con una scena in effetti molto commovente.

Fate il vostro gioco non è un brutto romanzo, sia chiaro. E, come si diceva già prima, un libro un po’ sottotono in una serie che inizia a diventare piuttosto lunga ci sta eccome. Però al tempo stesso un po’ mi spiace perché, pur avendolo divorato in un paio di giorni senza riuscire a metterlo giù, mi è mancato qualcosa che negli altri avevo trovato. Che il personaggio di Rocco stia iniziando a esaurirsi? Che stiano finendo tutte le complicazioni (e le rotture di coglioni) che il vicequestore possa affrontare risultando ancora credibile? 
Mi sa che, anche questo, lo scopriremo nella prossima puntata.


Titolo: Fate il vostro gioco
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 391
Editore: Sellerio
Anno: 2018
Prezzo: 15€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Fate il vostro gioco
formato ebook: Fate il vostro gioco (Il vicequestore Rocco Schiavone Vol. 11)

martedì 12 settembre 2017

Il mio Festivaletteratura di Mantova 2017

Da mercoledì 6 a domenica 10, a Mantova, si è tenuta la XXI edizione del Festivaletteratura.
Sono stata a questo festival per la prima volta l’anno scorso e, per tutta una serie di motivi (l’atmosfera che si respira per le vie della città; la possibilità di incontrare gli autori non solo durante gli eventi ma anche per strada, mentre si fanno gli affari loro; il cibo e i dolci; e, soprattutto, la prima gita insieme a Luca) me ne ero pazzamente innamorata.
Un amore che si è confermato anche quest’anno, nonostante qualche piccola difficoltà organizzativa iniziale.

Il primo enorme scoglio da superare per andare al Festivaletteratura, infatti, è riuscire destreggiarsi in mezzo al vasto, vastissimo programma e ai luoghi degli eventi. Tanti incontri, in diversi punti della città che di primo impatto non si capisce quanto siano lontani tra loro (in realtà sono tutti raggiungibili in massimo quindici minuti a piedi dal centro), e che richiedono quindi una certa attenzione al momento della selezione.

Subito dopo c’è la questione della prenotazione dei biglietti. Io, per fortuna, avevo il pass stampa, ma abbiamo comunque dovuto prenotare qualche biglietto in anticipo. Alle 9.05 del giorno dell’apertura delle prenotazioni per i non soci, molti eventi online erano già esauriti. Telefonando qualche posto si trovava ancora, però come sistema, effettivamente, è un po’ scoraggiante. Soprattutto quando poi, una volta là, ti rendi conto che a molti eventi si riesce a entrare acquistando il biglietto sul posto (sì, anche quelli dati per esauriti online o in biglietteria), a fronte di code più o meno lunghe (in alcuni casi, arrivi sul posto, lo acquisti ed entri; in altri fai un bel po’ di coda): credo ci sia una ripartizione dei biglietti tra i vari canali di vendita, per fare in modo di accontentare più gente possibile. Un sistema che forse andrebbe comunque rivisto, così come andrebbe aggiunta una sorta di abbonamento a un prezzo ridotto per partecipare a un tot numero di incontri (la media dei biglietti d’ingresso è di 6€, che non sono tanti se si partecipa a uno o due eventi, ma lo diventano se il numero cresce).

Quindi, stilato l’elenco degli incontri a cui partecipare, localizzati sulla mappa i luoghi in cui si svolgeranno e prenotati i biglietti (e anche un luogo dove stare a Mantova, se è previsto un soggiorno di più giorni… noi siamo andati in un bellissimo appartamento a pochi km dalla città, con, tra le altre cose, un divano magnifico), si può partire.
Noi siamo arrivati il giovedì nel tardo pomeriggio, pochi minuti prima che scoppiasse un enorme temporale. Abbiamo aspettato che smettesse (addormentandoci sul suddetto divano) e poi siamo andati in città, poco prima di cena.


Abbiamo fatto un giro di ricognizione alle bancarelle dei libri usati che ogni anno popolano i portici di Palazzo Ducale e poi siamo andati a mangiare (i tortelli di zucca).

Il Festivaletteratura vero e proprio, per noi, è iniziato il venerdì pomeriggio, con l’incontro con lo scrittore americano George Saunders, di cui è appena uscito per Feltrinelli il primo romanzo, Lincoln nel bardo.
A presentarlo, nella cornice di Palazzo San Sebastiano, c’era Marco Malvaldi in pantalocini corti e, soprattutto, un po’ in soggezione.


L’incontro è partito con la domanda di rito su Donald Trump: una domanda banale, forse, ma anche inevitabile considerando l’epoca che stanno vivendo gli Stati Uniti e il fatto che comunque il protagonista di questo primo romanzo di Saunders è proprio un presidente (e poi credo sia abbastanza impensabile separare letteratura e vita politica, in questo momento. Soprattutto se sei uno scrittore di quel calibro). Lui ha risposto: “He is us”, ovvero che Trump fa parte degli americani, che ogni presidente viene dalla storia, nel bene e nel male.
Poi si è passati a parlare di Lincoln nel Bardo, il suo primo romanzo, e del suo significato: Lincoln si ritrova ad affrontare la morte del figlioletto, finito adesso in quel bardo (ovvero una specie di limbo, secondo la filosofia buddista). Ci si trova di fronte a un presidente dolce, intelligente, ma in qualche modo anche sconfitto dalla vita.
La particolarità di questo romanzo sta poi nella tecnica narrativa: George Saunders, attraverso un enorme lavoro di ricerca che lo ha tenuto impegnato per molti anni, utilizza fonti, ritagli, notizie, alcune vere altre inventate da lui per portare avanti la storia. (“Ci si deve sentire proprio dei gran fighi, a scrivere un romanzo così” gli ha fatto notare Marco Malvaldi).
Alla domanda su quali libri, invece, legge, Saunders ha citato i romanzi russi come i suoi preferiti. In particolare Le anime morte di Gogol di cui ha detto: “Sono sicuro che, se Dio pensa a noi, lo fa nel modo in cui Gogol pensa ai suoi personaggi". Ha poi citato anche i Peanuts, nella versione fumetto e nella versione cartone, come suo modello: questi personaggi con la testa enorme, che si muovo su uno sfondo quasi inesistente, e che dimostrano che se si è grandi dentro non importa molto cosa ci sia fuori.
Altre domande di rito, tra cui i rapporti con i social network in cui in qualche modo siamo tutti scrittori e bisognerebbe quindi prestare attenzione a cosa si scrive, e, visto l’argomento del libro, il rapporto tra vita e morte (“è più doloroso per chi se ne va o per chi resta?”).

Finito l’incontro con Saunders, siamo tornati in centro: Luca per andare di nuovo alle bancarelle dei libri usati (“prima si fa un giro di ricognizione, poi si compra senza pietà") e io per partecipare all’incontro Roma-Aosta solo andata con Antonio Manzini e Marco Giallini nel cortile di Piazza Castello.



Non credo serva che vi dica quanto sia stato figo, quest’incontro. Sì, anche se non aveva una scaletta vera e propria ma c’erano due lì che parlavano e dicevano cazzate. Sì, anche se Manzini all’inizio aveva mal di testa e all’inizio sembrava un po’ spento. Ho riso per un’ora, tra i loro aneddoti (e una bellissima dichiarazione d’amicizia di Manzini per Giallini) e le loro battute. Ho scoperto anche che stanno per iniziare a girare la seconda serie di Rocco Schiavone, che sarà formata da quattro puntate, due tratte da 7-7-2007 e due dal nuovo romanzo Pulvis et umbra. Loro due, insieme, sono esattamente come me li ero immaginati: fenomenali (e anche particolarmente gnocch...ehm, piacevoli da guardare).

Dopo cena, siamo invece andati all’incontro L’amore si impossessava di lei, con protagonista Artemis Cooper, la biografa di Elizabeth Jane Howard (sia la biografia sia i romanzi della Howard sono pubblicati da Fazi editore). 



In dialogo con Stefania Bertola, Artemis Cooper ha ripercorso un po’ la vita della scrittrice inglese, raccontando anche aneddoti personali sul loro rapporto (“Jane era una bravissima cuoca”). Quello che è venuto fuori, paradossalmente, è una specie di ritratto di tutta la famiglia Cazalet, che si concentra in un’unica donna: Elizabeth Jane Howard stessa, infatti, ha dichiarato più volte che in tutti i personaggi della sua saga c’è qualcosa di lei (in particolare in Louise, ma anche nelle altre due cugine, Polly e Clary). Si è poi passati a raccontare del suo rapporto con l’ingombrante marito Kingsley Amis, che finché sono rimasti insieme le ha quasi impedito di avere successo (però ora se si va in una libreria inglese di Kingsley Amis si trovano uno o due libri, mentre la Howard occupa pareti intere).
L’incontro con Artemis Cooper è stato davvero bello e avrei voluto che non finisse mai: mancavano giusto i pasticcini e un po’ di tè, per rendere perfetta l’atmosfera che ha creato con le sue parole e i suoi sorrisi. Si è percepito chiaramente quanto tenesse a questa biografia e, soprattutto, alla sua protagonista (che lei ha conosciuto da bambina, perché i suoi genitori erano molto amici di Jane e del marito).

Il primo incontro di sabato mattina è stato con Harry Parker, ex-soldato dell’esercito inglese e autore di Anatomia di un soldato, edito da Sur. Avrebbe dovuto essere in compagnia di Brian Turner, autore di La mia vita è un paese straniero (NN editore), che però è stato fermato dall’uragano Irma. Ed è stato un vero peccato, perché sarebbe venuta fuori una presentazione eccezionale.



È la seconda volta che partecipo a un incontro con Harry Parker ed è la seconda volta che un po’ mi commuovo. Per il suo modo di parlare, per la sua lucidità nel raccontare la guerra e quello che gli è successo, senza mai cadere nel pietismo o nell’autocommiserazione (nonostante il relatore, Carlo Annese, abbia insistito troppo sul fatto che Parker sia senza gambe e che quanto raccontato nel libro sia la sua storia… ma lo scrittore è stato bravo a non cadere nel tranello). Tra le cose che più mi hanno colpita c’è il fatto che lui abbia ribadito più e più volte che mentre era in Afghanistan, oltre a combattere, ha tentato in ogni modo di rendere la presenza dell'esercito il più semplice possibile per i civili, che da questa guerra non si libereranno mai (“noi soldati, dopo sei o sette mesi, torniamo a casa. Loro no, casa loro è la guerra”), così come il suo aver sottolineato che i media e il modo in cui viene fatta la comunicazione in tv oggi trasmette una visione completamente offuscata di come sia effettivamente la guerra in medio oriente.
Dal pubblico, a fine incontro, hanno di nuovo provato a chiedergli come si vive senza gambe e a quale è stato il suo percorso di accettazione di quello che gli è successo. E ancora una volta lui è stato bravissimo a non cascarci, perché “io non sono le mie ferite”.

Usciti dall'incontro con Parker siamo andati a prendere uno spritz al bar con un amico e, mentre eravamo lì seduti ai tavoli, dietro di noi sono passati Marianne Leone, Chris Cooper e Elizabeth Strout (sì, ho visto Elizabeth Strout mentre bevevo uno spritz piuttosto alcolico).

Marianne Leone e Chris Cooper li abbiamo rivisti nel pomeriggio, alla presentazione di Jesse, il libro pubblicato da Nutrimenti edizioni che la donna ha scritto per raccontare la storia di suo figlio, nato con una grave paralisi cerebrale.


Il libro è ricco di momenti tristi (inizia proprio con il racconto della morte del ragazzo, avvenuta quando aveva diciott'anni), ma è anche un enorme inno alla vita, al combattere, al non arrendersi di fronte alle ingiustizie e a una società spesso incapace di accettare il diverso.
Inutile dire che l’incontro è stato molto toccante e molto commovente, ma anche pieno di delicatezza (l’amicizia tra Marianne Leone e Davide Ferrario che l’ha intervistata ha reso l’intervento ancor più prezioso, così come l’incredibile sorriso della donna) e sì, anche di momenti divertenti.
Alla fine non ho avuto il coraggio di andare a farmi autografare il libro: temevo che sarei scoppiata a piangere di fronte a questa donna forte, dal sorriso magico, che sta girando l’Italia per raccontare la storia di suo figlio che oggi non c’è più. Ci è andato Luca per me, ma alla fine sono riuscita a stringerle almeno la mano.

Il nostro Festivaletteratura è finito con questo incontro (e una mangiata subito dopo). Ed è stato proprio bello, come l’anno scorso. Mantova è una città bellissima, che in quei giorni lo diventa ancora di più, per l’atmosfera che si respira e per le persone che la popolano, scrittori e non (“Guarda, c’è Saunders!” credo sia stata la frase che abbiamo ripetuto più spesso in giro per la città). 
Siamo tornati a casa io con una torta sbrisolona e un pass sbiadito, Luca con una decina di libri usati, ed entrambi con la voglia di tornarci anche l’anno prossimo. 


lunedì 11 settembre 2017

PULVIS ET UMBRA - Antonio Manzini



A un anno e un mese di distanza da 7-7-2007, Antonio Manzini è tornato in libreria con una nuova avventura del vicequestore più fig… ehm… più burbero del mondo, Rocco Schiavone. 
Un libro che ho atteso molto, questo Pulvis et umbra (uscito per Sellerio il 31 agosto), soprattutto dopo le emozioni che mi aveva trasmesso il volume precedente e dopo il successo della serie tv andata in onda l’autunno scorso su Rai2, in cui Rocco è stato interpretato da uno strepitoso Marco Giallini.

Da un lato, infatti, avevo una voglia matta di tornare ad Aosta, di scoprire come se la stava cavando adesso il vicequestore, dopo aver raccontato tutta la sua storia ai suoi superiori e aver dovuto fare i conti, ancora una volta, con i sensi di colpa. Volevo vedere anche come si stavano mettendo le cose tra Italo e Caterina, se il buon D’Intino era sempre così stordito e soprattutto come stava vivendo la situazione Seba, dopo aver perso l’amore della sua vita. Dall’altro, però, avevo paura che l’aver visto la trasposizione sullo schermo mi facesse un po’ perdere il gusto della lettura. 
Anche se molto spesso durante la lettura all’immagine di Rocco si sovrapponeva quella di Marco Giallini, devo dire che no, non è successo. Ho divorato Pulvis et umbra proprio come avevo fatto con i romanzi precedenti. E, proprio come con i romanzi precedenti, ora che l'ho finito non vedo l'ora che esca il prossimo.

La trama si sviluppa su due fronti: nella prima parte siamo ad Aosta, dove sulle sponde della Dora viene ritrovato il cadavere di una trans. Rocco e la sua squadra sono chiamati a indagare e il tutto sembra ruotare attorno al palazzo dove la donna esercitava. Ben presto, però, il vicequestore si rende conto che c’è qualcosa di potente dietro a questa storia, qualcosa su cui forse non dovrebbero indagare e che potrebbe mettere a rischio la vita sua e dei suoi agenti. Nella seconda parte, invece, si riprende il filo della storia romana: quella nata con Marina tanti anni fa, riportata alla luce con l’uccisione di Adele e che Rocco, per una volta, sta cercando di risolvere nel modo più giusto. Per se stesso, ma anche e soprattutto per non mettere ancor più nei guai il suo amico Seba. Il tutto si trasforma in una lunga caccia all’uomo, che da Roma si sposta verso nord, fino a un epilogo che è un colpo al cuore.

Ce ne sono tanti di colpi al cuore in Pulvis et umbra. Alcuni sono di pura tenerezza, come il bel rapporto che si sviluppa tra Rocco e il suo vicino di casa adolescente Gabriele, o quello con Lupa, la sua cagnolina che il vicequestore, anche in pubblico, non si fa alcun problema a chiamare amore; altri sono tradimenti e perdite di fiducia che sarà difficile, se non impossibile, recuperare. 

Già durante la lettura, mi sono ritrovata a pensare a quanto incredibilmente bravo sia Antonio Manzini nello scrivere le avventure di Rocco Schiavone. Siamo arrivati al sesto volume, con una trama secondaria che è partita dal primo (Pista nera) e che piano piano ha raggiunto il suo climax ed è presente ancora oggi. Avrebbe potuto logorarsi nel corso di sei romanzi. Iniziare a sfilacciarsi, diventare noiosa, perdere di forza e, perché no, trasformare quel gran personaggio di Rocco Schiavone in una macchietta di se stesso. E invece no, ogni romanzo è come il precedente e al tempo stesso ti lascia qualcosa di più. In ogni romanzo Rocco evolve, sviluppa sentimenti nuovi, diventa più riflessivo e meno impulsivo, matura in qualche modo. Tutto questo, ovviamente, sempre accompagnato dalla sua irriverenza, dalla sua ironia, oltre che dalle sue innumerevoli rotture di coglioni.

Pulvis et umbra mi è piaciuto tanto. Mi è piaciuto Rocco (vabbè, di lui sono innamorata, c’è poco da fare) e mi sono piaciute le storie e i personaggi che ruotano intorno a lui (con una menzione speciale a Michela Gambino, la nuova esperta della scientifica, nonché complottista). Certo, per il colpo di scena finale un po’ ci sono rimasta male, devo dir la verità, ma questo forse dimostra ancora di più quanto io ami questi romanzi e, soprattutto, la bravura di Antonio Manzini.

Ora non resta che aspettare un altro anno, per sapere come si rialzerà questa volta Rocco dalle mazzate che, di nuovo, si è preso.


Titolo: Pulvis et umbra
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 403
Editore: Sellerio
Anno: 2017
Acquista su Amazon:
formato brossura: Pulvis et umbra

martedì 23 maggio 2017

SALONE OFF 2017, ovvero di quella volta in cui ho presentato Antonio Manzini

Sabato mattina ho presentato Antonio Manzini alla Biblioteca civica Movimente di Chivasso. Un evento del Salone Off, in cui sono stata coinvolta grazie a Diego Bionda, presidente dell’Associazione Novecento (che a Chivasso ogni anno organizza il festival I luoghi delle parole), che, in cerca di qualcuno per presentare l’incontro un po’ all'ultimo minuto, ha pensato a me.

Vi devo confessare che per i primi minuti i miei pensieri sono stati: “oddio”, “mi sta prendendo in giro, dai”, “oddio”, “ma sarò in grado?”, “oddio”, “non lo voglio fare”, “oddio”, “che figata!”. Perché sì, c’è un piccolo particolare che Diego non sapeva ma che voi che seguite il mio blog e la mia pagina con maggior frequenza sì: ovvero che io adoro Antonio Manzini.

Io che guardo Antonio Manzini con sguardo adorante (©Barbara)

Dal momento in cui ho detto “sì, lo faccio” a quando mi sono seduta su quella poltroncina verde con lui accanto, sabato mattina in biblioteca, ho alternato momenti molto zen ad altri di agitazione più totale. Mi rendo conto sia un po’ sciocco: c’è chi fa presentazioni tutti i giorni, gli scrittori sono persone normalissime e non c’è alcun motivo di agitarsi. Però, ecco, io sono fatta così. E anche se, perdonatemi il gioco di parole, sapevo di sapere su Antonio Manzini tutto quello di cui avevo bisogno per presentarlo (avendo letto praticamente tutti i suoi romanzi e avendo una cotta pazzesca per il suo vicequestore Rocco Schiavone), avevo comunque paura di impappinarmi, di fare la domanda sbagliata, di parlare al microfono facendolo fischiare… tutte cose così.
E invece, con una voce un po’ tremante per i primi minuti che poi man mano è diventata più salda, sono riuscita a farlo: ho presentato Antonio Manzini!

(©Barbara)
Come avevo già avuto modo di scoprire assistendo come pubblico a sue presentazioni, lui è una persona fenomenale. Gli basta un la e parte a raccontare e far pendere dalle sue labbra chiunque lo ascolti.
La presentazione si è incentrata più che altro sul personaggio di Rocco Schiavone, sulla sua nascita, la sua evoluzione e il suo futuro, ma anche la sua trasposizione televisiva (con un Marco Giallini che lo stesso Manzini ha definito fenomenale). C’è stato poi spazio per domande su altri libri, soprattutto su Orfani Bianchi, pubblicato non da Sellerio come tutta la serie di Rocco Schiavone, ma da Chiarelettere. E quando si parlava di questo libro, l'autore si è un po' intristito, quasi incupito, lasciando intendere già solo a vederlo quanto caro gli sia il tema e quanto importante sia stato per lui scriverlo.
Poi però si è riso anche tanto, tantissimo. Quando si parlava di Rocco Schiavone e dei suoi personaggi di contorno, ma anche nelle frecciatine che lo scrittore ha fatto verso certe situazioni politiche italiane attuali o, semplicemente, quando ha raccontato qualche aneddoto nato da una domanda.

Questa foto, nonostante io abbia la bocca aperta, rispecchia perfettamente lo spirito della presentazione. E la trovo stupenda. (©Barbara)

L'incontro è durato quasi un’ora e mezza, tra le mie domande e quelle, tantissime, del pubblico, numeroso anche se era sabato mattina e non c’è stato molto tempo di pubblicizzare l’evento. Ed è davvero bello vedere un pubblico così partecipe e così interessato… non tutti gli scrittori riescono a far sentire così a loro agio le persone che sono lì per ascoltare, ulteriore dimostrazione di che persona splendida, almeno in queste occasioni, sia Antonio Manzini.

Il pubblico in biblioteca (© Diego Bionda)

Sono contenta, davvero. Di non aver ceduto al panico e aver detto “sì, lo faccio” nonostante l’ansia. Sono contenta di come è andata e di aver parlato così da vicino con uno dei miei scrittori preferiti, autore di uno dei personaggi letterari di cui sono più innamorata.
Concludo ringraziando ancora una volta Diego e l'Associazione Novecento, la Biblioteca di Chivasso e il Salone OFF, che mi hanno permesso di essere lì. Ma anche tutti coloro che hanno partecipato, la mia amica Barbara per le foto e il sostegno morale, e tutti coloro che poi mi hanno scritto o mi hanno chiesto come è andata subito dopo e nei giorni successivi.
E ora, devo ammettere, non vedo l'ora di rifarlo.

©I Luoghi delle Parole

PS: che faccio? Ve lo dico che a luglio esce il romanzo nuovo con protagonista Rocco Schiavone? Ma sì dai, ve lo dico!

martedì 16 maggio 2017

SalTo 2017: piccolo aggiornamento

Ovvero, di quella volta in cui alla lettrice rampante venne proposto di presentare Antonio Manzini e lei, ovviamente, disse sì. 


Devo aggiungere altro? 

(Comunque a parte il sabato mattina, per sopraggiunti impegni abbastanza fighi e abbastanza ansiogeni, per la mia presenza al Salone rimangono validi i giorni e le date che ho indicato nel post di ieri... quindi venerdì nel tardo pomeriggio, sabato pomeriggio e tutta domenica. Così come rimane valido l'invito a vederci se ci siete!)