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mercoledì 17 ottobre 2018

FATE IL VOSTRO GIOCO - Antonio Manzini


La settimana scorsa è uscito Fate il vostro gioco, il nuovo romanzo di Antonio Manzini con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone. Non starò qui a dirvi per l’ennesima volta quanto io ami questo personaggio, quanto attenda con ansia ogni sua nuova avventura e quanto, dopo un inizio non proprio entusiasta, mi sia appassionata anche alla serie tv che ne hanno tratto. Rocco Schiavone è un figo, burbero, stronzo, segnato da un passato che non gli dà tregua e che condiziona tutto il suo presente. Ma è anche tenero, a modo suo, con chi se lo merita (Lupa, più di tutti).

Aspettavo con ansia un nuovo romanzo, vi dicevo, anche perché sono ancora sconvolta da quanto successo da Pulvis et umbra l’anno scorso (per non fare spoiler dico solo: Caterina) ed ero curiosa di vedere come ne sarebbe uscito il mio vicequestore preferito.
Non benissimo, diciamoci la verità, perché Fate il vostro gioco, nonostante non sia un romanzo breve e abbia richiesto comunque un anno per essere scritto, è un po’ sottotono rispetto ai precedenti. E ci sta, ci mancherebbe, in una serie arrivata ora al settimo romanzo, più tutta una serie di racconti; ci sta che uno sia meno riuscito di un altro, soprattutto se arriva dopo due storie in cui la vicenda di Rocco ha forse toccato il suo climax. 

In questo nuovo romanzo, Rocco Schiavone si ritrova a indagare sull’omicidio di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint Vincent, ritrovato cadavere in casa sua con la fiche di un altro casino tra le mani. “Un morto che parla”, lo definisce Rocco, che si sforza per capire che cosa voglia dirgli. C’entra il riciclaggio? C’entrano i prestiti ai poveracci che si rovinano sul tavolo da gioco? O nessuna di queste cose? Rocco indaga con tutta la squadra, anatomopatologo Fumagalli e complottista della scientifica Gambino compresi. Ma nel mentre deve anche stare un po’ dietro a Italo, che sembra avere più di un problema, e, soprattutto, fare i conti con quanto successo nel romanzo precedente: i suoi amici romani che sembrano fidarsi più di lui, Enzo Baiocchi che pare intenzionato a fare grandi rivelazioni alla polizia, Marina che non si fa più sentire, e Caterina, ovviamente. A complicare ulteriormente le cose ci si mettono pure il vicino di casa adolescente Gabriele e sua madre. Riuscirà il nostro vicequestore preferito a risolvere il caso e, una volta per tutte, anche i suoi tormenti?

Lo scopriremo nella prossima puntata. Dico davvero (e prima che mi si accusi di spoiler, lo dice anche la bandella), perché Fate il vostro gioco è un romanzo che non finisce, che lascia in sospeso tante cose per quello a venire. E questo, per quanto mi riguarda, rappresenta un po’ un problema: non mi piacciono i gialli che non sono autoconclusivi; o meglio, mi piace che ci sia una trama parallela che li colleghi tutti, ma l’omicidio che viene affrontato in un romanzo preferisco che in quello finisca.
Al di là di questo, che è sicuramente una questione più personale, trovo che Fate il vostro gioco sia un po’ frettoloso, un po’ abbozzato. Più nella scrittura, forse, che non nella trama vera e propria. E qualcuno mi faceva notare che probabilmente è già pensato per serie tv: è più fatto di scenette, più televisivo. E poi, diciamocela, Rocco senza le sue donne non funziona tanto. E Antonio Manzini stesso sembra esserne reso conto perché poi, verso la fine, corregge un po’ il tiro con una scena in effetti molto commovente.

Fate il vostro gioco non è un brutto romanzo, sia chiaro. E, come si diceva già prima, un libro un po’ sottotono in una serie che inizia a diventare piuttosto lunga ci sta eccome. Però al tempo stesso un po’ mi spiace perché, pur avendolo divorato in un paio di giorni senza riuscire a metterlo giù, mi è mancato qualcosa che negli altri avevo trovato. Che il personaggio di Rocco stia iniziando a esaurirsi? Che stiano finendo tutte le complicazioni (e le rotture di coglioni) che il vicequestore possa affrontare risultando ancora credibile? 
Mi sa che, anche questo, lo scopriremo nella prossima puntata.


Titolo: Fate il vostro gioco
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 391
Editore: Sellerio
Anno: 2018
Prezzo: 15€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Fate il vostro gioco
formato ebook: Fate il vostro gioco (Il vicequestore Rocco Schiavone Vol. 11)

venerdì 10 novembre 2017

NEGLI OCCHI DI CHI GUARDA - Marco Malvaldi

Margherita si chinò un momento, raccolse un dente di leone da una piccola macchia erbosa vicino al sentiero e soffiò via i petali con un'espressione da bimba concentrata - l'unica espressione adeguata quando si soffia un dente di leone, a noi sembra una cosa da nulla ma se uno pensa ai denti di leone che ha inconsapevolmente contribuito a piantare quando era piccolo si ha quasi la sensazione di servire a qualcosa in questo mondo.

Marco Malvaldi ultimamente dà il meglio di sé quando chiude per ferie il Barlume e si avventura in altri romanzi. Lo dico da appassionata delle vicende dei vecchietti e del barrista Massimo, che mi hanno fatto scoprire questo autore toscano qualche anno fa e portato poi a leggere, di conseguenza, tutti i suoi romanzi. Il mio preferito in assoluto rimane Odore di chiuso, in cui secondo me l’autore ha elevato la sua bravura alla massima potenza, ma in generale quando Malvaldi ha più libertà di azione, con i personaggi, con i luoghi e con le trame, gli riesce qualcosa in più.

È il caso di Negli occhi di chi guarda, il suo ultimo romanzo uscito a ottobre per Sellerio editore.
Siamo sempre in Toscana: questa volta a Poggio alle Ghiande, una tenuta agricola molto antica e molto bella nel comune di Castagneto Carducci. È di proprietà di due fratelli gemelli, Zeno e Alfredo Cavalcati, di indole completamente diversa tra loro nonostante la genetica li abbia voluti identici: Zeno è un collezionista d’arte, che vive da decenni a Poggio alle Ghiande senza mai allontanarsene, al punto da aver creato in casa un museo; Alfredo è un broker, sempre in giro per il mondo e sempre in equilibrio precario tra la ricchezza e la bancarotta. Queste loro diversità li hanno portati, adesso, a non riuscire a prendere una decisione importante: vendere Poggio alle Ghiande a quegli investitori cinesi che vorrebbero farci un resort di lusso o tenerla? Alfredo e i suoi problemi economici propendono per la prima opzione, Zeno e tutti gli altri abitanti di Poggio alle Ghiande per la seconda, ovviamente.
Perché sì, oltre ai due fratelli, c’è tutta una serie di personaggi che da anni o per la prima volta in vita, per motivi diversi, ruota attorno a questa tenuta: c’è Piotr, uomo delle pulizie polacco che crede fermamente nella Santa Vergine di Czestochowa e nel potere della varechina; c’è Raimondo, uscito dal manicomio quando sono stati chiusi per leggere e ora custode della tenuta; c’è Giancarla Bernardeschi, professoressa di chimica in pensione che a Poggio alle Ghiande trascorre sempre le vacanze, distillando qualunque pianta incontri sul suo cammino; c’è Riccardo Maria Torregrossa, che durante l’anno lavora in formula Uno e d’estate cerca il silenzio nelle colline toscane; Anna Maria Marangoni, lasciata dal marito dopo ventisette anni di matrimonio per stare con una ventisettenne; ci sono Enrico Della Rosa e sua moglie Cristina. E poi Margherita e Piergiorgio, i due giovani a Poggio alle Ghiande solo di passaggio: filologa e archivista alla ricerca di un quadro perduto lei, ricercatore desideroso di studiare i gemelli lui.

Poi ovviamente avviene un omicidio, anzi due, e i piani dei due fratelli e di tutti gli altri abitanti di Poggio alle Ghiande vengono completamente stravolti.

Marco Malvaldi dà il meglio di sé quando si allontana dal BarLume, dicevamo all’inizio. E Negli occhi di chi guarda, secondo me, ne è una prova. Leggendo, si percepisce quanto lui si sia divertito a creare la storia e a caratterizzare i vari personaggi, a giocare con la chimica ma anche con l’arte, la storia e, perché no, anche qualche curiosità bizzarra (a un certo punto, durante la lettura, mi sono ritrovata a scrivere nella barra di ricerca di google “Venere di Milo cacca panda”, così, giusto per darvi un’idea).

La cosa bella è che riesce a fare tutto questo scrivendo comunque un romanzo scorrevole e divertente, mai pedante o saccente, anche per chi di chimica, storia, arte (e cacca di panda) non sa assolutamente nulla, perché alla base c’è un giallo appassionante e ben costruito, ci sono personaggi esilaranti (Piotr è il mio preferito in assoluto) accanto ad altri più profondi e c’è quell’ironia tipica malvaldiana, che a volte si coglie al volo altre dopo un attimo, e poi ti fa esclamare “che genio!” (o “che pirla!”, a volte, ma in senso buono).

Negli occhi di chi guarda mi è piaciuto molto anche per altri motivi, abbastanza casuali in realtà. Nella mia prima vacanza da sola con gli amici ho fatto proprio la tratta di treno che fa Piergiorgio per arrivare a Poggio alle Ghiande, per esempio.
Uno degli stati d'animo più belli dell'essere umano è quello del viaggio di andata. Specialmente se uno è in treno.

Eccessi di velocità, colpi di sonno, mancanza di benzina non ti riguardano; del viaggio da un punto di vista tecnico non hai niente di cui preoccuparti, e mentre il treno ti culla tu puoi cullare le tue aspettative.
Se poi sei talmente fortunato che il tuo treno è sulla tratta da Genova a Roma, puoi anche spegnere il cellulare - scusa se ho visto solo ora la chiamata ma sai, con tutte quelle gallerie il segnale non prende mai - e goderti il viaggio senza dover essere costretto ad affrontare la vita che si svolge altrove.
Alle medie, poi, avevo sviluppato una passione per il pittore Ligabue e per i suoi quadri (anche se non riesco a ricordarmi bene perché), e, tra l’altro, mi piacciono da matti le tombe etrusche.

Insomma, Negli occhi di ci guarda è un bel romanzo giallo, ma anche qualcosa di più, che intrattiene e diverte (che è poi l’obiettivo principale di questi romanzi), ma incuriosisce anche, trasmettendoti la voglia di imparare, di scoprire qualcosa in più.


(Anche se sulla Venere di Milo fatta con gli escrementi di panda continuo ad avere qualche perplessità).


Titolo: Negli occhi di chi guarda
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 274
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Sellerio
Acquista su Amazon:
formato brossura: Negli occhi di chi guarda
formato ebook: Negli occhi di chi guarda

mercoledì 6 luglio 2016

UNA PERFETTA GEOMETRIA - Giorgio Serafini Prosperi

Basta così.
Chiude la pagina e si illude di cancellare, come ha fatto con la scritta sullo specchio, tutto quello che prova. Poi rivede il suo sorriso e i buoni propositi vanno a farsi benedire.
Del resto, i sintomi dell'altra malattia ci sono tutti: uno dei più eclatanti è che ogni canzone d'amore trasmessa alla radio gli fa venire il magone. Oltre al fatto di controllare ogni trenta secondi se lei gli ha mandato un sms

Capitano a tutti, anche ai lettori più incalliti, dei periodi in cui non si ha voglia di leggere. O meglio, in cui qualunque libro si tenti di aprire, dopo poche pagine, si riveli quello sbagliato. Personalmente trovo questi periodi molto irritanti, perché se da un lato mi sembra di essere infastidita dal leggere, dall'altro mi manca non avere un libro tra le mani.

Per uscire da periodi così, di solito mi basta leggere un romanzo giallo. Se non riesce a sbloccarmi il racconto di un omicidio, di un’indagine, tenuta magari da un qualche investigatore figo, con una certa personalità e un certo fascino, vuol dire che la situazione è molto grave.

Questa volta il compito è toccato a Una perfetta geometria, romanzo d’esordio di Giorgio Serafini Prosperi, uscito il 30 giugno per NN Editore.

Protagonista è Adriano Panatta, ex commissario cacciato dall'arma a causa di uno scandalo non ben definito ma che riguarda una donna, che un giorno viene ricontattato da Olivia, uno dei grandi amori della sua vita, che gli chiede un aiuto. Non per se stessa, ma per la figlia Vera, che non riesce a riprendersi dalla morte della sua migliore amica, Alice, perché convinta non si sia trattato di suicidio. Adriano Panatta non riesce a resistere al richiamo delle indagini, un po' per orgoglio personale un po' per l'attrazione che prova per Vera, e si ritrova invischiato in un caso molto più grande di quanto non sembrasse all'inizio, che coinvolge sette religiose, esponenti della Roma bene e anche il mondo politico.

La trama del romanzo funziona, è fuor dubbio. Lo si intuisce già da quanto incollato ti tiene alle sue pagine. Così come funziona il personaggio di Adriano Panatta, che si porta dietro il nome del celebre tennista e un passato da mangiatore compulsivo che ancora oggi influenza il suo modo di essere.
Un po' meno riusciti sono forse i personaggi di contorno, non tanto per la loro caratterizzazione, ma per il loro numero eccessivo: a un certo punto, quando ci si avvicina alla fine, mi sono ritrovata a pensare "oddio, ora ne arriva un altro" e a perdermici un po'.
Tutti hanno un loro scopo preciso, assolutamente, ma forse il tutto avrebbe funzionato lo stesso anche con tre o quattro persone in meno. E lo stesso vale un po' per il finale, che sì è tutto coerente e incastrato alla perfezione, ma forse un pochino troppo macchinoso.

Una perfetta geometria è il classico giallo, alla Manzini mi verrebbe da dire visti tutti gli elementi comuni che ci sono (e non per niente di Manzini è la citazione sulla quarta di copertina, oltre che il cognome di uno dei personaggi coinvolti).
C'è un investigatore tormentato dal passato misterioso, un amore difficile e alcune spalle che lo aiutano nel risolvere il caso e con cui si crea un legame che va oltre il professionale. Elementi che si ritrovano spesso in questo genere di libri, e che fanno intendere che anche 
Giorgio Serafini Prosperi, prima di scriverne uno, di gialli ne ha letti molti.

Insomma, Una perfetta geometria è un buon giallo d'esordio, con sicuramente qualche imperfezione, ma che comunque riesce a coinvolgere il lettore fino all'ultima pagina. 
Certo, Adriano Panatta rimarrà sicuramente più famoso come tennista, ma anche questo investigatore, bisogna dire, non se la cava per niente male.


Titolo: Una perfetta geometria
Autore: Giorgio Serafini Prosperi
Pagine: 328
Editore: NN Editore
Prezzo di copertina: 17,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura:Una perfetta geometria
formato ebook: Una perfetta geometria

martedì 10 novembre 2015

BUCHI NELLA SABBIA - Marco Malvaldi

Il fatto è che l'opera, già di per sé, è una situazione artificiosa, che si regge in piedi per miracolo, e che richiede a noi fanatici del bel canto una dose smisurata di capacità di astrazione. Non è facile commuoversi per un baritono che, una volta ricevuta una coltellata nel petto, intona una romanza a tutta gargana invece di stramazzare sul palco, come farebbe qualsiasi persona beneducata qualora venisse pugnalata nelle reni. E ci vuole una robusta dose di concentrazione sulla musica per non mettersi a ridere di fronte a un tenore settantenne che sta facendo il giovanottino innamorato, decantando la bellezza di un mezzosoprano largo quanto due contrabbassi.


Comincio già con la foto a mettere le mani avanti per farvi capire che questa sarà tutto fuorché una recensione imparziale. È che io adoro Marco Malvaldi, se ancora non si fosse capito dal fatto che ho tutti i suoi libri, dai post di attesa per Buchi nella sabbia che ho condiviso nei giorni precedenti all’uscita o dal fatto che ogni volta che c’è una sua presentazione nei paraggi io mi ci fiondi senza pensarci troppo, sebbene ormai l’abbia visto più e più volte.
Lo adoro, dicevo. Adoro la sua ironia, adoro il suo saper giocare così tanto con le parole, il suo sapere tante, tantissime cose e raccontartele come se foste seduti al bar a parlare del nulla. E poi sì, beh, certo, adoro i suoi romanzi. Soprattutto quelli come Odore di chiuso e, appunto, Buchi nella sabbia. Dei gialli storici, in cui la trama gialla è quasi in più, talmente tante e talmente belle sono le cose che racconta dei vari contesti in cui decide di ambientarli.

Buchi nella sabbia è ambientato a inizio del ‘900 e a Pisa, terra di anarchici, sta per andare in scena la Tosca di Giacomo Puccini, alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Il rischio di attentato è alto, così come lo sono le misure di sicurezza. Ma mai nessuno avrebbe potuto pensare che a morire sarebbe stato qualcuno sul palco, fucilato per davvero anziché a salve. Ad indagare sull'omicidio e, per forza di cose, sui personaggi in scena ci sono il carabiniere Gianfilippo Pellerey e il suo diretto superiore Ulrico Dalmasso. Si tratta di una resa dei conti tra attori o di un piano di rivolta anarchica di fronte al re? Ma soprattutto, chi è che ha  permesso a Ernesto Ragazzoni, giornalista e poeta, nonché grande etilista, di prendere parte alle indagini? 

Marco Malvaldi quindi questa volta ci porta all'opera a vedere la Tosca e ci presenta il poeta Ernesto Ragazzoni, forse dai più un po’ dimenticato (io stessa, ammetto, non avevo idea di chi fosse), un poeta popolare, in grado di scrivere componimenti in rima sulle cose più semplici e banali.
Come si diceva in precedenza, in Buchi nella sabbia la trama gialla è quasi superflua, forse a tratti anche un tantino superficiale, ma sono talmente tante, e buffissime, le curiosità sul mondo dell’opera che Malvaldi offre ai lettori e, soprattutto, è talmente bello l’uso che fa dello stile e delle parole, che quasi non importa chi ha ucciso chi e perché. 

Credo però che questo, pur essendo un giallo dalla trama tutto sommato semplice, non sia un libro proprio per tutti, proprio come non lo era Odore di chiuso. Malvaldi approfitta del contesto storico per far vedere quanto è bravo con le parole e i costrutti delle frasi, mettendo un’ironia a volte sottile e non sempre facile da cogliere. Alcune frasi le ho dovute leggere un paio di volte, per essere sicura. Poi, però, una volta capite è stato di nuovo e ancor di più amore. Se cercate un libro scorrevole da leggere senza pensare troppo, meglio che vi buttiate sui romanzi del BarLume, più immediati, meno ricercati. 

Invece, non è fondamentale che conosciate l’opera (io ne ho viste cinque in tutta la mia vita, tra cui la Tosca, e, a parte il Nabucco di Verdi in cui credo di aver dormito per tutta la sua durata, mi hanno divertito un sacco… sarò strana, ma a me vedere uno che mentre muore canta “sto morendo” mi fa tanto ridere), per poter leggere questo libro. Anzi, Malvaldi inserisce talmente tanti aneddoti divertenti (sì, Puccini diceva le parolacce) e talmente tanti intrighi che alla fine avrete quasi voglia di andarci anche se non vi è mai passato per la mente.

Quindi sì, Buchi nella sabbia mi è piaciuto sacco. Per l’ambientazione, sicuramente, e per la possibilità che mi ha dato di scoprire Ernesto Ragazzoni.
Forse non sono imparziale, ma questo libro è assolutamente da leggere.

Titolo: Buchi nella sabbia
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 245
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: Sellerio
Acquista su Amazon:
formato brossura: Buchi nella sabbia
formato ebook: Buchi nella sabbia

venerdì 25 settembre 2015

DELITTO AI GRANDI MAGAZZINI - Cortland Fitzsimmons

Era da un po’ di tempo che volevo leggere un libro della collana I bassotti di Polillo editore. Una collana che raccoglie romanzi gialli, principalmente antecedenti agli anni ’60, di autori considerati spesso minori e che da noi quindi non erano mai arrivati. Ad attirarmi è l’idea di questa riscoperta di gialli dimenticati, ma anche la veste grafica, che trovo molto elegante e perfettamente adatta al contenuto, con cui sono stati presentati da Polillo. E poi vabbè, io ho un debole per i bassotti.

Eppure, nonostante tutte queste premesse, ne è passato di tempo prima che mi decissi finalmente a comprarne uno. Ed è stato quasi per caso, in realtà, quando spulciando tra una bancarella dell’usato mi è capitato tra le mani questo Delitto ai grandi magazzini di Cortland Fitzsimmons. Una rapida occhiata alla trama e, niente, doveva essere mio.

Protagonista di questo romanzo è Ethel Thomas, un’arzilla e un po’ scorbutica vecchietta di settantacinque anni, che si ritrova, più o meno suo malgrado, coinvolta nelle indagini riguardo a una serie di omicidi che si verificano all’interno dei grandi magazzini di cui possiede una quota di proprietà. 
Dopo aver sentito quell’urlo spaventoso provenire dall’ufficio della signora Briggs, e aver trovato tale signora morta, per Ethel è infatti davvero troppo difficile fare finta di niente ed esimersi dal partecipare alle indagini condotte dal suo ex poliziotto di quartiere Peter Conklin. Certo, mai avrebbe immaginato che a quell’omicidio ne seguissero poi altri, né che quei grandi magazzini potessero racchiudere così tanti intrighi.

Non ha poi tanto senso fare un riassunto della trama, essendo un giallo. E’ più bello che la scopriate da soli, seguendo le indagini e le intuizioni di Ethel in questa elegante carneficina. Sì, mi viene da definirla così perché effettivamente gli omicidi sono davvero tanti, eppure il libro è scritto con uno stile così garbato, elegante, che quasi non ci si rende conto di quanto cruenta sia la fine di alcuni dei personaggi. E questo è proprio quello che mi aspettavo e che cercavo in uno romanzo come questo e che, soprattutto, mi rende un po’ più ostici i gialli contemporanei rispetto a quelli del passato. Puntano più sui personaggi, sulla loro caratterizzazione, sulle intuizioni, che non sull'omicidio e la violenza in sé, che diventa quasi un espediente.
Poi beh, Ethel è fantastica, nel suo ispirarsi apertamente a Miss Marple, ma anche nella sua scorbuticità e le sue piccole debolezze. 

Delitto ai grandi magazzini di Cortland Fitzsimmons non è sicuramente il capolavoro dei romanzi gialli.Lo definirei più un romanzo giallo onesto, che compie perfettamente il suo scopo di intrattenere e appassionare il lettore, mescolando la giusta proporzione di suspence e ironia.
Se siete degli appassionati del genere, secondo me, non vi deluderà!

(E ora voglio un sacco di bassotti!)

Titolo: Delitto ai grandi magazzini
Titolo originale: The Whispering Window"
Autore: Cortland Fitzsimmons
Traduttore: Francesca Stignani
Pagine:250
Editore: Polillo editore
Acquista su amazon:
formato brossura: Delitto ai grandi magazzini

venerdì 13 marzo 2015

LA COSTOLA DI ADAMO - Antonio Manzini

Bene, mi sono innamorata di Rocco Schiavone. Sì, lo so che ero già innamorata di Guido Guerrieri e un po’ di anche di Massimo del BarLume, però il bello dei libri è che ti puoi innamorare di tutti i personaggi che vuoi senza che nessuno di loro si ingelosisca.
La scintilla con Rocco Schiavone si era già accesa con Pista Nera, il primo romanzo della serie scritta da Antonio Manzini. Già lì si era dimostrato un duro con un cuore, uno stronzo ma con un’etica (ok, sempre un po’ sul confine tra legale e illegale), oltre che un bravo investigatore. E ora, con La costola di Adamo, la scintilla si è trasformata in fuoco vivo.

Rocco, che continua a indossare le Clarks e il loden sebbene ormai abbia capito che ad Aosta fa freddo, si ritrova a indagare su uno strano suicidio. C’è una casa in disordine e una donna appesa a un lampadario in una stanza buia. Che qualcosa non torni se ne accorgerà quasi subito. Come si fa ad impiccarsi al buio? A disturbare le indagini, che lo porteranno a conoscere piccoli delinquenti locali, mariti apparentemente devoti, una libraia d’eccezione e un prete insospettabilmente manesco, inaspettatamente ricompare il passato di Rocco, quello che lo ha portato da Roma in esilio in Val d’Aosta e che ora richiede di nuovo un suo intervento. Perché qualcuno che fermi la violenza sulle donne, che sia al nord, al centro o al sud, che sia compiuta da persone insospettabili, ci va. E poi c’è Marina, la sua amata Marina, che richiede la sua attenzione.

Al di là della mia passione per Rocco Schiavone, che qui sembra un po’ meno burbero e un po’ più simpatico (la scena del video mi ha fatta ridere davvero di gusto), più umano rispetto al primo romanzo,  in questo libro c’è un messaggio forte e chiaro verso i femminicidi e la violenza sulle donne, una piaga sociale, come ricorda anche lo stesso Manzini nei ringraziamenti, che finché esisterà non permetterà a nessun paese di definirsi civile. Un messaggio che colpisce e fa anche un po' male.

Oltre a questo, Manzini fa poi molto leva sul passato di Rocco, sulla sua storia con la moglie e sul forte amore che lui prova e proverà sempre per lei, nonostante quello che è successo. Una strizzatina d’occhio più al mondo femminile, forse, ma che non va comunque ad intaccare né il personaggio né lo svolgimento della trama.

La costola di Adamo è sicuramente un romanzo di  puro intrattenimento, che si legge in poche ore e non richiede troppo impegno mentale  al lettore. Però è anche qualcosa di più, perché non è vero che questi romanzi, che io stessa definirei da spiaggia (o forse più da giornata di relax montagna, se si tiene conto dell’ambientazione Valdostana), non debbano lasciare nel lettore qualcosa su cui riflettere riguardo al nostro mondo, che a volte sa essere proprio brutto.

E quindi bravo a quel gran fico di Rocco Schiavone, ma soprattutto bravo a Manzini per aver creato questo personaggio e questa grande storia.

Titolo: La costola di Adamo
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 285
Editore: Sellerio
Anno: 2014
Acquista su Amazon:
formato brossura: La costola di Adamo

giovedì 5 marzo 2015

UNA PICCOLA BESTIA FERITA - Margherita Oggero

Sì, lo so, le mie recensioni dei romanzi di Margherita Oggero sono sempre un po’ tutte uguali, al punto che forse avrei potuto leggere la serie completa con protagonista la profia Camilla Baudino, visto che sicuramente la leggerò tutta, e farne poi un bel commento cumulativo. Ma per prima cosa quando ho iniziato con La collega tatuata non sapevo ancora che mi sarei affezionata così tanto a questa professoressa e a tutta la sua famiglia e cerchia di amici, e quindi l’ho recensito come un libro a se stante. Per seconda cosa, e forse direi anche soprattutto, credo che i libri che mi divertono e mi appassionano così tanto, anche se dei semplici gialli di puro e semplice intrattenimento, si meritino una recensione tutta per loro.

E così, eccomi qui a parlarvi di Una piccola bestia ferita,  secondo romanzo in ordine cronologico e terzo nel mio personalissimo (e mai una volta che segua l’originale) ordine di lettura della serie di Camilla Baudino. Che qui si ritrova a indagare sullo strano sequestro della giovane e antipatica figlia di una famiglia che vive nel suo stesso palazzo. Eh sì, perché anche se è sparita e non si dovrebbe tanto dire, è una ragazzina viziata e arrogante, che maltratta il goffo fratello Christian e i ricchi genitori un po’ troppo permissivi. Quella che sembra una sparizione volontaria ben presto si rivela infatti qualcosa di più grave, dentro cui la profia Camilla si ritrova invischiata suo malgrado, da quando ha sentito in ascensore l’odore di infelicità di Christian e poi, subito dopo, ha iniziato a dargli ripetizioni. E sarà proprio grazie al suo impicciarsi e al legame creato con il fratello della rapita, che la faccenda riuscirà fortunatamente a chiarirsi e a risolversi.

Accanto alla profia, ritroviamo i personaggi di sempre: il bel poliziotto Gaetano, con quel loro strano rapporto sempre in bilico tra amicizia  e attrazione, la fantastica figlia Livietta (mamma mia quanto ho riso per le “poppette”), il burbero ma adorabile marito Renzo e Potti, il super bassotto. E ritroviamo anche ovviamente lo stile di Margherita Oggero, ricco di quell’ironia e di quella piemontesità che tanto mi fanno adorare questa scrittrice.

A differenza degli altri due romanzi che ho letto, in questo c’è un finale un po’ più inaspettato a livello stilistico, con il passato e il presente, con le indagini della polizia e le paure di Karin, che si mischiano sulla pagina dando un ritmo devo dire abbastanza angosciante.

Se vi piacciono i gialli ma anche i romanzi d’amore, i personaggi profondi ma anche un po’ (ok, tanto) bislacchi, vi consiglio caldamente di leggere i libri di Margherita Oggero. Ci metterete poche ore (perché un giallo ben riuscito, secondo me, è quello che non ti distrae da qualche altra cosa tu debba fare in quel momento per tenerti lì tra le sue pagine) e, sono abbastanza convinta, ne rimarrete entusiasti.

Titolo: Una piccola bestia ferita
Autore: Margherita Oggero
Pagine: 246
Editore: Mondadori
Acquista su Amazon:
formato brossura: Una piccola bestia ferita

venerdì 3 ottobre 2014

IL TELEFONO SENZA FILI - Marco Malvaldi

Giuro che dopo questa recensione per un po' non mi sentirete parlare di Marco Malvaldi. Almeno fino a che non esce un nuovo libro o non assisto a una nuova presentazione. D'altronde, se frequentate questo blog da un po', sapete quanto io adori questo autore, di cui leggerei anche la lista della spesa.

E poi Il telefono senza fili è un nuovo romanzo della serie del BarLume, con Massimo il barrista e i quattro fantastici vecchietti. Era da due libri che non parlava più di loro (forse gli ha dedicato dei racconti nelle raccolte di gialli di Sellerio, che però ancora non ho letto) e l'attesa era davvero tanta. Dopo la serie tv andata in onda su sky, che non definisco pietosa perché comunque un po' sorridere mi ha fatto, avevo proprio bisogno di immergermi di nuovo nell'atmosfera originale del Barlume, quella cartacea, e lasciarmi coinvolgere dalle avventure di Nonno Ampelio e dei suoi amici.

La struttura di questo romanzo è molto simile a quella dei precedenti. Una donna scompare dopo aver comprato due quintali di carne, il marito viene visto di notte accanto a un fosso con il bagagliaio aperto e il principale accusatore, dopo aver seminato un po' di zizzania in tv, viene ritrovato morto. Vorrete mica che i vecchini rimangano impassibili di fronte a tutti questi avvenimenti? Ma assolutamente no. Iniziano a parlarne, e parlarne, e parlarne, e già che ci sono a fare qualche piccola indagine e a parlare con i giornalisti. E Massimo, come sempre, cerca di tenerli a bada come può, pur essendo anche lui incuriosito dal caso. A indagare ufficialmente questa volta c'è quella che rappresenta l'unica grande novità del libro: una giovane commissaria donna, Alice Martelli, che alle chiacchiere e ai pettegolezzi dei quattro attempati investigatori della domenica sembra dare più credito del necessario.

Ed è proprio questa novità che riporta un po' di brio a questi romanzi. Intendiamoci, adoro i vecchini, adoro Massimo  e adoro soprattutto lo stile di Marco Malvaldi e la sua schietta ironia. Però il rischio di fare romanzi gialli tutti uguali è ormai davvero dietro l'angolo. Succede qualcosa di strano, i vecchini indagano a modo loro, Massimo un po' li tiene a bada un po' riflette e alla fine arriva alla giusta soluzione. Ci andava un diversivo, sicuramente. E Alice Martelli e quell'intesa che si crea tra lei e Massimo, che Ampelio & Co non perdono occasione di mettere in risalto con battutine e risatine, è stato per me il diversivo perfetto, per quanto assolutamente prevedibile fin dalle prime pagine. Anche nei gialli ci va un po' d'amore, su. E l'autore è davvero bravo a non rendere il tutto troppo melenso e a non rinunciare alla sua verve anche in momenti come questi.

Il telefono senza fili mi è piaciuto molto. E' un romanzo di puro intrattenimento, scorrevolissimo e di davvero facile lettura (anche se qualche parte in toscano ho dovuta leggerla un paio di volte, prima di capirla). Ideale per distrarsi un po' e ridere di gusto. Come tutti gli altri romanzi del BarLume, che vi consiglio assolutamente di leggere.

Titolo: Il telefono senza fili
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 208
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838932281
Prezzo di copertina: 13 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Il telefono senza fili
formato ebook: Il telefono senza fili

sabato 28 dicembre 2013

ARINGHE ROSSE SENZA MOSTARDA - Alan Bradley

Era da un po' di tempo che non mi capitava di sdraiarmi sul letto con un libro in mano e non rialzarmi più finché non è arrivata la fine. Di solito mi succede con i gialli (tipo che una volta, ho letto in un pomeriggio tutta la trilogia di Adamsberg di Fred Vargas in un pomeriggio), quelli tradizionali, dove c'è un omicidio, qualcuno che indaga e la ricerca della soluzione ti coinvolge tanto quanto coinvolge il suo protagonista. Sono gli unici libri per cui sacrifico qualunque altra necessità, che sia mangiare o andare in bagno. Anche perché di solito sono brevi, rapidi, veloci e talmente intriganti che quasi non mi accorgo del sacrificio che sto facendo.

Ci voleva quindi un libro quasi sconosciuto per farmi di nuovo questo effetto così totale. Non avevo mai sentito nominare Aringhe rosse senza mostarda fino a qualche settimana fa, quando è comparso in offerta in formato ebook e, letta velocemente la trama, ho deciso di acquistarlo. Certo, una volta arrivato sul mio e-reader, ho fatto qualche ricerca approfondita e ho scoperto essere il terzo di una serie, che ha come protagonista Flavia, una bambina di undici anni appassionata di chimica. Ma di solito i gialli possono vivere anche di vita propria, e aver o meno letto i precedenti non è poi così necessario.
Ho iniziato questo libro in un periodo strano, quello delle feste, in cui si ha sempre la casa piena di gente e poco tempo (e anche poca voglia, diciamo la verità) di libri pesanti. E, come dicevo all'inizio, l'ho iniziato e finito senza quasi accorgermene.

Raccontare la trama di un giallo non è cosa semplice, se non si vuole rischiare di fare spoiler. E quindi mi limiterò a dire che il fulcro di tutto è Flavia, la bambina di cui parlavo prima. Rimasta orfana di madre quando era piccolina, Flavia vive nella vecchia tenuta materna, nella campagna inglese degli anni '50, insieme al padre, appassionato di filatelia, e le due sorelle, che con le quali più che affetto scambia continui e anche un po' crudeli dispetti. C'è anche un simpatico maggiordomo e una domestica chiacchierona, a completare il quadro. Proprio su una loro proprietà, a distanza di poche ore l'uno dall'altro, viene trovata gravemente ferita una donna, la Zingara del paese, e un morto appeso a una statua un uomo, da tutti conosciuto per la sua fama di poco di buono. Flavia si ritrova suo malgrado coinvolta in entrambi i ritrovamenti, al punto che i poliziotti potrebbero persino sospettare di lei, se non fosse che sanno che ha undici anni e che è affetta semplicemente da una curiosità che rasenta il patologico. Flavia si mette a indagare, a fare domande in giro per il paese, scoprendo storie passate mai dimenticate e arrivando, alla fine, alla soluzione.

Come dicevo tutto ruota intorno a questa buffa bambina. Un po' improbabile che esista nella vita reale, ma perfetta ed efficace per un romanzo giallo di questo tipo, dove tensione e curiosità si alternano a situazioni comiche, che solo una bambina di quest'età e con queste caratteristiche può generare. Il libro si legge che è un piacere, scorre veloce veloce e tiene incollato alle sue pagine. Forse qualche passaggio delle indagini della bambina è un po' frettoloso, e quindi non proprio immediato da cogliere, ma nel complesso è un romanzo che decisamente consiglio!


Titolo: Aringhe rosse senza mostarda
Autore: Alan Bradley
Traduttore: Alfonso Geraci
Pagine: 440
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838930164
Prezzo di copertina: 14,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Aringhe rosse senza mostarda

mercoledì 4 settembre 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #47

Nuova puntata della rubrica di confronto tra titoli. Ci stiamo a poco a poco avvicinando al traguardo delle cinquanta puntate e sto iniziando a pensare al suo futuro...

Per l'appuntamento di oggi ho scelto di parlare di un libro che ho amato tantissimo della grande Agatha Christie. Immagino che tutti i lettori abbiano avuto una "fase Agatha Christie"; la mia è stata tra i quattordici e i sedici anni, periodo in cui ho divorato tutto quello che mi capitasse a portata di mano di questa autrice. Una passione che poi è scemata quando mi sono accorta che ormai indovinavo chi fosse l'assassino già dopo una trentina di pagine. Ma Agatha dal mio cuore non è mai andata via.

Il libro protagonista oggi è quello che considero il suo libro più bello, per la sua genialità, per l'incredibile stupore che mi ha provocato la sua lettura (l'ho riletto a distanza di anni, cosa non molto sensata per un giallo, eppure mi ha nuovamente stupito). Ed è un libro che se ancora non avete letto dovete procurarvi subito.
Insomma, sto parlando di DIECI PICCOLI INDIANI:

Otto persone più due domestici si ritrovano per una vacanza su un'isola, Nigger Island, invitati da due misteriosi ospiti che non compaiono fino al momento della prima cena, durante la quale accusano tutti i presenti di essere degli assassini. E a poco a poco gli omicidi iniziano sul serio. Della trama non vi dico nient'altro, perché qualunque altra rivelazione, anche piccola e involontaria, potrebbe rovinarvi la lettura.
Passiamo quindi al titolo, a cui  fin dalla sua versione inglese è successo qualcosa di particolare.
Iil romanzo è uscito inizialmente, nel 1939, con il titolo TEN LITTLE NIGGERS


Il titolo in questione, la cui traduzione letterale sarebbe "Dieci piccoli negri", oltre a far riferimento al nome dell'isola in cui è ambientata la vicenda, riprende anche il titolo di una filastrocca inglese, molto conosciuta all'epoca, e che svolge un ruolo fondamentale all'interno dell'opera.
Nell'edizione americana dell'anno successivo però si è scelto di modificare questo titolo in AND THEN THERE WERE NONE:


Un cambiamento dovuto all'uso dispregiativo che stava acquisendo la parola "negro" e che quindi si è scelto di eliminare. La filastrocca per l'edizione americana cambia nome, diventando Ten Little Indians e il titolo del libro ne prende la frase conclusiva, ovvero "E poi non ne rimase nessuno".

La prima traduzione italiana, che come si è visto riprende il titolo della filastrocca nella sua versione americana, è stata pubblicata nel 1946 dalla casa editrice Mondadori.

E ora non vi resta che leggerlo!

venerdì 5 luglio 2013

AGATHA RAISIN E LA QUICHE LETALE - M. C. Beaton

Credo che la vita della maggior parte dei lettori sia scandita da periodi. C'è il periodo dei romanzi rosa, il periodo dei thriller, il periodo dei romanzi impegnati e il periodo dei gialli. Fasi la cui durata cambia da persona a persona, così come cambia il segno che i romanzi letti in quel periodo lasciano.
La mia fase "gialla" (manco fossi Picasso...) ha avuto un picco di sei mesi circa, quando avevo sui tredici quattordici anni. Cercavo qualcosa da leggere nella libreria di casa e ho trovato Dieci piccoli indiani, della grande Agatha Christie. Un giallo meraviglioso, spiazzante, che ogni tanto rileggo ancora pur sapendo benissimo come andrà a finire. Da lì poi ho letto tutto quello che mi capitava tra le mani di questa autrice, con qualche incursione anche in Conand Doyle. 
Poi, dopo una bellissima indigestione la fase gialla è passata e adesso mi capita raramente di leggere romanzi di questo tipo. Forse anche perché non ho mai trovato nulla che si avvicinasse anche solo lontanamente ai fantastici personaggi e alle trame perfette di Agatha Christie. C'è Fred Vargas con il suo commissario Adamsberg, che riesce comunque a farmi emozionare e a tenermi attaccata alla sue pagine. C'è Simenon, di cui però non ho letto moltissimo. Ma nessuno per me è come Agatha Christie.

E poi arriva questa M. C. Beaton, pseudonimo dietro qui si cela la scrittrice Marion Chesney, che porta i gialli di Agatha Christie ai giorni nostri, rendendole un omaggio davvero ben riuscito, e mi fa tornare all'improvviso la voglia di immergermi nella letteratura gialla.

Agatha Raisin è una donna londinese di poco più di cinquant'anni che decide, una volta in pensione dal suo lavoro nelle pubbliche relazioni, di trasferirsi in un paesino di campagna, Carsely,  in cerca di pace e tranquillità. Un paesino di campagna che la accoglie con fredda gentilezza, senza mai andare oltre un cortese buongiorno e un accenno al tempo. Agatha fatica ad ambientarsi e ad entrare a far parte della vita del paese. In un estremo tentativo decide quindi di partecipare alla tradizionale gara annuale di quiche, sicura della sua vittoria. Ma qualcosa va storto e la torta di Agatha non solo non vince ma uccide anche il giudice. La donna all'inizio viene accusata dell'omicidio, che però poi viene liquidato come un semplice incidente e tutto sembra tornare alla normalità. Ma Agatha non ci sta, qualcosa non le torna, e decide, a suo rischio e pericolo, di ficcanas... di indagare nella vita del paese, molto meno tranquilla di quello che a prima vista potrebbe sembrare, per scoprire la verità.

E' un giallo vero. Con l'omicidio, le indagini, i momenti buffi ma anche quelli drammatici, che dà uno spaccato perfetto della vita di paese nelle campagne inglesi. E Agatha Raisin è una donna fenomenale: brusca, burbera,  dai modi non sempre gentili e, per me, davvero adorabile. Sembra quasi un mix tra la dolce Miss Marple e il burbero ma alla fine gentile Poirot. Così come sono fenomenali tutti gli altri personaggi che le fanno da contorno: l'effeminato collega Roy, il poliziotto che indaga in parallelo con le indagini, la vicina di casa spiona e tutti gli altri abitanti di Carsely (nani da giardino compresi).

Non è un capolavoro della letteratura, intendiamoci. Ma è una lettura di intrattenimento piacevole, intelligente e molto ironica che, sono sicura, anche Agatha Christie avrebbe approvato. Non fosse altro per l'amore nei suoi confronti che traspare da ogni pagina.

Leggetelo se ne avete l'occasione. Lo divorerete in poche ore e, una volta arrivati alla fine, vi accorgerete di sentire un po' la mancanza di questa donna e della campagna inglese in cui vive. E, come me, vi ritroverete a voler leggere tutti gli altri della serie.

Nota alla traduzione: la traduzione riesce a ricreare perfettamente il clima inglese, anche se qua e là c'è qualche frase e qualche espressione un pochino stonata. Ma nel complesso direi ben fatta!

Titolo: Agatha Raisin e la quiche letale
Autore: M.C. Beaton
Traduttore: M. Morpurgo
Pagine: 257
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Astoria
ISBN: 978-8896919057
Prezzo di copertina: 16 €
Acquista su Amazon:

martedì 2 aprile 2013

LA COLLEGA TATUATA - Margherita Oggero

La protagonista è una "profia", una professoressa di mezza età, con una normale famiglia composta da due figli mediamente rompiscatole e un marito mediamente polemico verso la cucina affrettata di una donna che lavora fuori casa. Quando a scuola arriva una collega nuova, la bionda, ricca, elegante Bianca De Lenchantin, la nostra eroina non è per niente disposta a trovarla simpatica. Solo quando Bianca viene uccisa, senza nessuna apparente ragione, la nostra professoressa troverà il modo di sfoderare il proprio talento investigativo. Tanto più che il commissario è un uomo colto e affascinante.

Per qualche bizzarro motivo non avevo ancora letto nulla di Margherita Oggero. Ed è strano, perché amo molto i gialli vecchio stile, in cui si ritrova a indagare qualcuno che magari non c'entra nulla, e, soprattutto, le ambientazioni torinesi. Un po' di sano campanilismo, sebbene io abiti in realtà a una cinquantina di km dalla città,  non fa mai male. Eppure non ero mai stata attirata più di tanto da questa autrice e probabilmente non avrei mai iniziato a colmare questa mia lacuna se il libro non mi fosse stato casualmente prestato.
E me ne sarei pentita tantissimo, così come già ora un po' mi scoccia aver aspettato così tanto.

Margherita Oggero scrive in un modo molto particolare, con un uso delle virgole e della punteggiatura che richiede almeno una decina di pagine per riuscire ad abituarsi. Ma poi, una volta entrati nel meccanismo, diventa davvero impossibile smettere di leggere.
A morire è Bianca, una ricca, bellissima e un po' snob professoressa di inglese che odia i cani, sposata con un uomo più vecchio, più brutto ma anche molto più benestante di lei. Tutti elementi che servono alla protagonista, professoressa nella stessa scuola, a etichettarla semplicemente come "stronza". Certo, questo lo fa prima che muoia, ma anche dopo diventa difficile dimenticarsene. La curiosità prende comunque il sopravvento, e la donna inizia a indagare a modo suo, sguinzagliando una serie di conoscenze e amicizie un po' pettegole che la aiutano ad arrivare vicinissima alla verità. Verità a cui piano piano arriva anche Gaetano, l'affascinante commissario che si occupa delle indagini e con cui la donna intesse una strana relazione.

La forza di questo giallo sta a mio avviso non tanto nella trama, un po' macchinosa forse e non sempre così immediata da seguire, ma nei personaggi: la professoressa investigatrice è caustica, irriverente e molto spiritosa. Così come ben caratterizzati sono il marito Renzo, con cui ormai si è instaurato un rapporto fatto di affetto e abitudine, il bassotto Potti, che si vendica della mancanza di attenzioni facendo pipì ovunque, la madre che mangia solo sofficini e, soprattutto, la piccola Livietta, una bambina supercinica e super spassosa in grado di tenere testa a tutti, a parole o, all'occorrenza, a calcioni.
Leggendo un po' si ride, un po' ci si perde nei ragionamenti della professoressa (con molti spunti e riferimenti letterari notevoli) e un po' ci si ferma anche a riflettere sull'incredibile caratterizzazione che l'autrice è riuscita a dare agli abitanti di una città: i torinesi sono davvero così. Silenziosi e riservati all'apparenza, ma portinai e pettegoli per natura. Un po' snob su certe cose, ma anche molti semplici su altre. Insomma, l'ho trovato un ritratto assolutamente perfetto e fedele.

Come primo impatto con la Oggero è stato sicuramente molto positivo. E sicuramente ora cercherò di rimediare questa mia lacuna nei suoi confronti.
Anche perché c'è quel magnifico "disclaimer" a inizio libro, uno dei più belli che io abbia mai letto finora e che me l'ha resa simpatica fin da subito:


Titolo: La collega tatuata
Autore: Margherita Oggero
Pagine: 190
Anno di pubblicazione: 2003
Editore: Mondadori
ISBN: 978-8804512813
Prezzo di copertina: 9,50 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:La collega tatuata

lunedì 25 giugno 2012

LA BRISCOLA IN CINQUE- Marco Malvaldi

La rivalsa dei pensionati. Da un cassonetto dell'immondizia in un parcheggio periferico, sporge il cadavere di una ragazza giovanissima. Siamo in un paese della costa intorno a Livorno, l'immaginaria Pineta, "diventata località balneare di moda a tutti gli effetti, e quindi la Pro Loco sta inesorabilmente estinguendo le categorie dei vecchietti rivoltandogli contro l'architettura del paese: dove c'era il bar con le bocce hanno messo un discopub all'aperto, in pineta al posto del parco giochi per i nipoti si è materializzata una palestra da body-building all'aperto, e non si trova più una panchina, solo rastrelliere per le moto". L'omicidio ha l'ovvio aspetto di un brutto affare tra droga e sesso, anche a causa della licenziosa condotta che teneva la vittima, viziata figlia di buona famiglia. E i sospetti cadono su due amici della ragazzina nel giro delle discoteche. Ma caso vuole che, per amor di maldicenza e per ammazzare il tempo, sul delitto cominci a chiacchierare, discutere, contendere, litigare e infine indagare il gruppo dei vecchietti del BarLume e il suo barista. In realtà è quest'ultimo il vero svogliato investigatore. I pensionati fanno da apparato all'indagine, la discutono, la spogliano, la raffinano, passandola a un comico setaccio di irriverenze. Sicché, sotto all'intrigo giallo, spunta la vita di una provincia ricca, civile, dai modi spicci e dallo spirito iperbolico, che sopravvive testarda alla devastazione del consumismo turistico modellato dalla televisione. 

Ho acquistato questo romanzo memore di quanto mi fosse piaciuto "La carta più alta", il mio primo Malvaldi.
Vi avevo detto che amo molto la Toscana, soprattutto per il cibo, il mare, i paesini medievali e il dialetto. Così come amo molto i gialli vecchio stile, in cui investigatori più o meno professionisti si ritrovano ad indagare su omicidi apparentemente irrisolvibili e che, grazie a una serie di indizi e a un forte intuito, riescono alla fine ad arrivare alla verità.
E Massimo, "barrista" nonché proprietario del BarLume (che nome fantastico!) di Pineta, paesino toscano in riva al mare, rientra proprio in questa categoria. Si ritrova infatti coinvolto suo malgrado nelle indagini di un omicidio, quello di una ragazza trovata morta in un cassonnetto, e altrettanto suo malgrado incomincerà ad indagare e a scoprire la verità. A fargli da spalla ci sono quattro fantastici vecchini, che praticamente vivono al bar, giocando a carte e seguendo tutto quello che succede in paese, alimentando voci e pettegolezzi.

Qualcosa però, almeno per quanto mi riguarda, questa volta non ha funzionato. Per carità, il romanzo è scorrevolissimo e godibilissimo, si legge in una manciata di ore, Massimo è un buon investigatore e i vecchini sono veramente esilaranti. Eppure, non ho addosso lo stesso entusiasmo che avevo quando ho chiuso "La carta più alta", né leggendolo ho provato la stessa curiosità e la stessa voglia di sapere come andasse a finire. E credo che il motivo principale sia la trama, davvero troppo banale: a metà libro già avevo un mezzo sospetto sull'assassino, sospetto che si è rivelato fondato e che, per quanto mi lusinghi sapere che potrei essere una buona investigatrice (sì, certo...), non mi ha permesso di godermi a pieno l'evolversi della vicenda e delle indagini, a tratti troppo sbrigative e semplicistiche. 
Si sarebbe potuti arrivare alla stessa conclusione con un po' più di indagini, un po' più di investigazione e un po' più di ragionamento, senza fare solo affidamento alle illuminazioni del protagonista, e con un po' di colpi di scena. Provate ad esempio a leggere "L'assassinio di Roger Ackroid" di Agatha Christie (ovviamente indiscussa maestra del genere) e capirete immediatamente che cosa intendo.

Certo, la forza di Malvaldi sta sicuramente più nei personaggi e nell'ambientazione che non nella trama. Però mi aspettavo comunque qualcosina in più.
Ma ritenterò!

Titolo: La briscola in cinque
Autore: Marco Malvaldi
Pagine:163
Prezzo di copertina: 12 €
Editore: Sellerio
Acquista su Amazon: La briscola in cinque (La memoria)

mercoledì 18 aprile 2012

LA DONNA DELLA DOMENICA - Fruttero e Lucentini

Ambientato in una Torino malefica e metafisica, "La donna della domenica" è da molti considerato il capostipite del "giallo italiano". La trama si snoda tra i vizi, l'ipocrisia, le comiche velleità e gli esilaranti chiacchericci che animano la vita della borghesia piemontese.


Mi ricordo che avevo già letto questo grande romanzo di Fruttero e Lucentini qualche tempo fa, prima che avessi questo blog, e che mi aveva colpito e appassionato.
Rileggendolo, mi sono ricordata dei personaggi, delle situazioni, dell'incredibile ritratto che viene fatto di Torino. Ma non riuscivo assolutamente a ricordarmi chi fosse l'assassiono e perché.
E questo credo che sia un segno inequivocabile della bravura di questi due autori nello sviluppare la trama di questo giallo (oppure semplicemente sto invecchiando e la mia memoria inizia a vacillare). Una trama incredibile, che mischia personaggi e situazioni, che insinua il dubbio su tutto e su tutti e che alla fine, una volta svelato il mistero, ti fa pensare: "cavolo! non ci sarei mai arrivata".

La forza di questo romanzo a mio avviso più che nella trama sta nei personaggi. Ognuno incarna perfettamente un "tipo" che si poteva (e ancora in qualche modo si può oggi) trovare nella Torino degli anni '60: l'alta borghesia un po' snob, le madame ricche e ipocrite, i figli di papà che vivono di rendita, i parassiti fagnani che pesano sulle spalle di chi lavora, i giovani innamorati, gli invertiti di cui tutti conoscono l'esistenza ma di cui nessuno l'ammette. E i terroni, che hanno invaso il nord in cerca di fortuna e di lavoro e che proprio non riescono ad adattarsi alle usanze piemontesi.
Un grande ritratto della società e di Torino, forse protagonista indiscussa di tutta la storia. C'è il mercantino dell'usato Balon, ci sono le vie del centro invase da cinquecento e mini (la ZTL a quei tempi non esisteva), c'è la collina con le sue ville che ancora oggi rappresentano il posto più vip della città, ci sono i tristissimi e grigissimi corsi, tutti uguali e tutti brutti (oggi forse non è più proprio così, ma da frequentatrice di questa città, vi posso assicurare che certi corsi sono VERAMENTE brutti).
Senza Torino la storia non reggerebbe, o forse sì, ma non sarebbe per me così appassionante. Non riuscirei ad esempio a provare simpatia per il commissario Santamaria e il commissario De Palma, due "terroni" che non capiscono il piemontese e che si ritrovano ad indagare sul giallo che scoinvolge la Torino bene. Perché so come erano stati accolti a Torino gli emigranti del sud negli anni '60.
Se non ci fosse Torino sullo sfondo, non riuscirei a trovare così odiosi Anna Carla e Massimo, due amici appartenenti ai ceti elevati, molto snob e sicuri di sé e della loro influenza.
Non potrei capire le sorelle Tabusso e il loro inveire contro i vigili urbani che si ostinano a fargli multe e contro le prostitute che vanno ad esercitare nel loro vallone. Nè potrei provare tenerezza per Lello, giovane omosessuale in un'epoca e in un ambiente in cui esserlo e ammetterlo creava grossi problemi e grosse discriminazioni.

Un bellissimo giallo, che tiene con il fiato sospeso e con il dubbio fino alla fine. E soprattutto un bellissimo omaggio a una città che dicono essere fredda e grigia ma che io adoro tantissimo. Venite a Torino in un giorno di sole, passeggiate per via Roma, via Po e piazza Castello, salite in collina a gustarvi il panorama e difficilmente non rimarrete incantati.

Grandi Carlo Fruttero e Franco Lucentini per il piccolo capolavoro che sono riusciti a creare. Non deve essere per niente facile scrivere un romanzo a quattro mani, ma loro ci riescono egregiamente, creando un giallo che anche a distanza di quarant'anni dalla prima pubblicazione rimane sempre imprevedibile e sempre attuale.
Assolutamente da leggere!

Per acquistare: La donna della domenica (Oscar classici moderni)

giovedì 13 gennaio 2011

LA CASA DEI FIAMMINGHI- Georges Simenon

Chi ha ucciso Germaine Piedboeuf sfondandole il cranio a colpi di martello? E perché il corpo è stato gettato nella Mosa solo tre giorni dopo l'assassinio? Ma soprattutto: può una donna avere tanta forza da uccidere qualcuno a martellate? Maigret osserva e registra, com'è sua abitudine, i gesti e gli sguardi, gli ambienti e gli odori. E quando avrà trovato l'autore di questo delitto se ne tornerà a casa, lasciando che la colpa trovi il suo castigo nella progressiva rovina della "casa dei fiamminghi".



Inizialmente la tentazione è stata di scrivere come commento semplicemente un: "vedi qualche recensione precedente", visto che più o meno si confermano le stesse impressioni già dette in precedenza. Maigret come investigatore non mi convince molto, perché non investiga, non deduce (o meglio, deduce ma non lo dice al lettore) e si sofferma su particolari che sembrano rilevanti e invece non lo sono (un tentativo di depistaggio, forse?). Non amo i suoi modi burberi, né il suo modo di gestire i casi e i sospettati. Però questo romanzo ha effettivamente qualcosina in più del giallo, rispetto al precedente che ho letto. Riesce a insinuarti il dubbio e i sospetti, a farti immaginare trame e intrighi... fino al finale, forse un pochino scontato ma l'unico possibile...
Insomma, un giallo che va bene da leggere in spiaggia o sul treno o svaccati sul divano, per passare il tempo senza impegnare troppo la mente.
Diciamo che se non avete mai letto un giallo in vita vostra (non ci credo, dai!), non iniziate con quelli di Simenon...

Nota alla traduzione: è di nuovo una traduzione Adelphi...

giovedì 23 dicembre 2010

UNA TESTA IN GIOCO- Georges Simenon

Quanto vale la testa di un uomo? Secondo Maigret abbastanza da giocarsi la carriera. Ma questa volta il commissario rischia davvero grosso: far evadere dalla Santé, sulla base di una semplice intuizione, un condannato a morte alla vigilia dell'esecuzione capitale è una scommessa che potrebbe costargli cara. Pedinando l'evaso, Maigret si ritrova alla Coupole, confuso tra la fauna cosmopolita del carrefour Montparnasse: ricchi sfaccendati, artisti falliti, parassiti. E qui incontra colui che del romanzo è il vero protagonista: Jean Radek, ex studente di medicina cecoslovacco, spiantato e geniale. Una personalità tortuosa e malata, che per la prima volta riesce a stupire e disorientare Maigret sfidandolo a un duello sul terreno dell'intelligenza e dell'astuzia.

I gialli sono una categoria di romanzo che mi piace molto. Soprattutto quelli "seriali", con investigatori più o meno geniali che affrontano i casi e che grazie alla loro intelligenza o al loro estro arrivano a scoprire la verità. Adoro il Poirot di Agatha Christie. Adoro Adamsberger di Fred Vargas, e non mi dispiace nemmeno il buon vecchio Sherlock Holmes.
Che dire di Maigret? Forse tra tutti è quello che mi entusiasma di meno, almeno in questo romanzo specifico. Un po' troppo antipatico e scontroso per i miei gusti. E in questo romanzo, almeno per buona parte, non dimostra nemmeno una grande e spiccata intelligenza. Si muove in base ad un sospetto, che la persona condannata per omicidio in realtà sia innocente, al punto da farlo evadere dal bracico della morte. Il resto è poi un po' tutto confuso. Come se si ritrovasse casualmente catapultato dentro alla verità.
Non mi ha convinta del tutto.

Nota alla traduzione: le traduzioni Adelphi non mi convincono mai del tutto.

lunedì 8 marzo 2010

POIROT THE WAR YEARS: One, Two, Bubcle my shoe; Five Little Pigs; Taken at the Flood- Agatha Christie

ONE, TWO, BUCKLE MY SHOE The dentist was found with a blackened hole below his right temple. A pistol lay on the floor near his outflung right hand. Later, one of his patients was found dead from a lethal dose of anaesthetic. A clear case of murder and suicide -- but why would a dentist commit a crime in the middle of a busy day of appointments? A show buckle holds the key to the mystery. Now -- in the words of the rhyme -- can Poirot pick up the sticks and lay them straight?
FIVE LITTLE PIGS Beautiful Caroline Crale was convicted of poisoning her husband, yet there were five other subjects: Philip Blake (the stockbroker) who went to market; Meredith Blake (the amateur herbalist) who stayed at home; Elsa Greer (the three-time divorcee) who had roast beef; Cecilia Williams (the devoted governess) who had none; and Angela Warren (the disfigured sister) who cried 'wee wee wee' all the way home. It is sixteen years later, but Hercule Poirot just can't get that nursery rhyme out of his head!
TAKEN AT THE FLOOD A few weeks after marrying an attractive young widow, Gordon Cloade is tragically killed by a bomb blast in the London Blitz. Overnight, the former Mrs Underhay finds herself in sole possession of the Cloade family fortune. Shortly afterward, Hercule Poirot receives a visit from the dead man's sister-in-law, who claims she has been warned by 'spirits' that Mrs Underhay's first husband is still alive. Yet, what mystifies Poirot most is the woman's true motive for approaching him.

Tre avventure di Poirot ambientate durante il periodo della guerra. Non avevo mai letto niente di Agatha Christie in inglese e devo ammettere che la scrittura non è delle più semplici. Ma c'è anche da dire che, una volta preso il ritmo, in inglese lo stile della Christie rende ancora di più. Ci sono infatti un sacco di giochi di parole, di riferimenti culturali che spariscono in italiano perchè intraducibili.
Adoro Poirot, mi sta molto più simpatico di Miss Marple. Solo lui può entrare in una casa dove è in atto uno strangolamento dicendo: "spero di non interrompere qualcosa". Mi piace il suo modo riflessivo di arrivare alle soluzioni, impensabili per le menti "umane". Mi piace la soddisfazione che non nasconde di fronte alla sua celebrità.
Sulla Christie credo ci sia poco da dire. I suoi intrecci, sebbene a lungo andare diventino un po' prevedibili (di solito, l'assassino è chi di solito si esclude a priori), sono sempre ben costruiti e, alla fine, ben spiegati.
Dei tre romanzi che compongo questa raccolta, il primo è quello che mi ha convinto meno. Ma forse anche perchè dovevo ancora abituarmi all'inglese. Il secondo è quello forse meno possibile, in quanto i protagonisti si ritrovano a rievocare con veramente troppa precisione quanto successo 16 anni prima. E dell'ultimo mi piace molto il finale (ma non posso svelarvelo).
Decisamente consigliato.

domenica 28 febbraio 2010

LA TRIOLOGIA ADAMSBERG- Fred Vargas

All'origine del "caso Vargas", c'è la simpatia con cui è ritratto il mondo del distretto di polizia del XIII arrondissement dove si muove il commissario Jean-Baptiste Adamsberg. "Spalatore di nuvole", antirazionale, flemmatico e filosofico, Adamsberg preferisce procedere a zigzag e aspettare, brancolare nel buio finché non viene folgorato da una delle sue intuizioni geniali, lontane dal rigore della "classica" logica dell'investigatore, che lo conducono alla rivelazione finale. "L'uomo dei cerchi azzurri" segna la prima apparizione assoluta dell'insolito commissario che si trova alle prese con dei misteriosi cerchi tracciati sui marciapiedi di Parigi, in mezzo ai quali Adamsberg sente che presto comparirà un cadavere. Nel secondo romanzo che lo vede protagonista, L'uomo a rovescio", il poliziotto sui generis deve risolvere invece una catena di orrendi delitti il cui autore potrebbe essere un lupo mannaro. Zeppa di simboli e superstizioni che parrebbero affondare nei tempi bui della Morte Nera è l'intricata vicenda in cui si trova coinvolto Adamsberg nell'ultimo romanzo di questa trilogia, "Parti in fretta e non tornare".


Adoro i gialli della Vargas. Sono semplicemente incredibili e perfetti. Questo libro raccoglie i primi tre casi dell'investigatore Adamsberg: un uomo sui quarantacinque, che si basa su teorie e intuizioni, che tende a rispondere sempre "non lo so" ma che alla fine riesce sempre ad arrivare alla soluzione.
De " L'uomo dei cerchi azzurri" ho già parlato qualche post fa. Mi era piaciuto parecchio. Anche se credo che gli altri due romanzi di questa raccolta lo superino nettamente. Il personaggio del commissario si delinea meglio e anche la fantasia dell'autrice si lascia andare, dando vita così a due "gialli" d'eccezione. "L'uomo a rovescio" stupisce per lo stile narrativo, se non ci fossero dei morti di mezzo potrebbe quasi passare per un romanzo comico, un viaggio on the road su un vecchio carro bestiame per tre investigatori d'eccezione, a cui solo successivamente si unisce Adamsberg. Mi è piaciuto molto per il colpo di scena, solo leggermente prevedibile (diciamo che non ho iniziato a sospettare a metà librò, ma sono nel momento esatto in cui si scopre chi è il colpevole mi sono resa conto di averlo sempre saputo... ed è una bella sensazione).
In "Parti in Fretta e Non Tornare" si trova invece un intreccio geniale e strepitoso, del tutto imprevedibile e che l'autrice gestisce maestralmente. L'idea di recuperare la peste, e scoprire la psicosi che una malattia ormai debellata riesce ancora a creare (e ciò che descrive la Vargas sono sicura sia quello che realmente succederebbe), mi ha stupito e conquistato. E poi mi è piaciuta molto la scelta della scrittrice di "citarsi", permettendo ai "tre evangelisti" di aiutare Adamsberg nel risolvere l'indagine.
Tre gialli, uno più bello dell'altro.


Nota alla traduzione: due traduttori si alternano per questi tre romanzi. I primi due sono tradotti da una madrelingua francese, indubbiamente brava, ma che ogni tanto, soprattutto nel caso de "L'uomo a rovescio" in cui si usano parolacce, fa scelte non proprio felici. Il terzo invece è tradotto da un'altra persona e, a parte qualche errore (soprattutto nei congiuntivi) e qualche refuso, fa una traduzione abbastanza buona.