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martedì 29 maggio 2018

ALL'INIZIO DEL SETTIMO GIORNO - Luc Lang

Dovete attraversare insieme questa storia, non avete scelta, devono vederla, magari sei troppo pessimista, magari sentendo i figli lei... in medicina, ci sono miracoli, il risveglio dal coma esiste. Non devi fare in modo che perdano la speranza, consenti ai bambini di battersi per lei, ci sarà sempre il tempo di ammettere più tardi che avete lottato per niente, ma senza essere divorati dal rimorso e dal rimpianto di non avere tentato ogni cosa.


Ho un rapporto molto particolare con la narrativa francese contemporanea. Alcuni libri e autori mi piacciono molto (Eric-Emmanuel Schmitt, per esempio), altri invece, per stile e modo di raccontare, li trovo snervanti e irritanti (il più recente a rientrare in questa categoria è Un amore di Salinger di Frédéric Beigbeder). Per questo mi avvicino ai romanzi d’oltralpe sempre con un misto di curiosità e ansia, incerta su cosa troverò.

All’inizio del settimo giorno di Luc Lang, da poco pubblicato da Fazi editore con la traduzione di Maurizio Ferrara, rientra paradossalmente in entrambe le categorie. 
Il romanzo, che è stato finalista al premio Goncourt nel 2016, ha come protagonista Thomas, un ingegnere informatico francese che vive a Parigi con la moglie e i due figli. Una notte viene svegliato da una telefonata: è un ospedale che lo informa che la moglie Camille è ricoverata in rianimazione dopo un grave incidente d’auto. Thomas lascia i due figli a casa e parte verso la Bretagna per raggiungerla, ma anche per capire cosa sia successo e, soprattutto, cosa ci facesse sua moglie là a quell’ora della notte. Dubbi e perplessità, ansie e paure accompagnano la vita di Thomas nei mesi successi: Camille è in coma, poi si risveglia ma non è più quella di prima e mai più lo sarà. Thomas inizia a indagare, su se stesso e il suo matrimonio, ma anche sulla sua famiglia: il fratello Jean, che vive ritirato in una malga sui Pirenei, e che odia con tutto il suo cuore il padre, ora morto, e la madre, risposatasi; la sorella Pauline, che ha lasciato la Francia per l’Africa, dove lavora come medico in situazioni disperate e da cui proprio non ne vuole sapere di tornare. Presente e passato si mescolano, e Thomas si ritrova a fare i conti con tante, troppe cose che ignorava, sommando dolore al dolore.

Ho iniziato All’inizio del settimo giorno con enorme entusiasmo. Per quanto triste, mi apprezzato tantissimo l’espediente iniziale: un uomo che deve capire come mai la moglie ha avuto un incidente in un luogo tanto sperduto, nel cuore della notte. Da chi stava andando o da chi stava fuggendo. Cosa nascondeva. Così come mi è piaciuta l’idea di raccontare come una persona tiene insieme i pezzi della sua famiglia quando uno dei piloni portanti viene a mancare. Poi però il romanzo si perde un po’. C’è troppa carne al fuoco, a cui l’autore non dedica sempre la giusta attenzione e lascia lì un po’ a bruciare.
Alla storia di Thomas e della moglie Camille, si aggiunge quella della famiglia di Thomas: il suo rapporto con i genitori, nel ricordo del padre morto; il suo legame con Jean e il suo paese d’origine; i pochi contatti con Pauline e i tanti perché che sono rimasti in sospeso fin dalla sua infanzia. Sembrano quasi due, se non tre, romanzi diversi (e in effetti il testo è diviso in tre parti, definite proprio libri) che l’autore tiene insieme con un filo sottile, che sì, c’è, ma non sempre riesce a tenere tutto unito come dovrebbe. È un libro lungo e faticoso, che ha sì tanto da dire e con alcuni momenti davvero belli e intensi, che però un po’ si perdono in uno sbrodolarsi di parole non sempre così necessarie (un centinaio di pagine in meno non avrebbero guastato, ecco).

Si arriva alla fine All’inizio del settimo giorno abbastanza esausti dalla lettura, con qualche dubbio e qualche domanda rimasta senza risposta. Forse è un romanzo che va letto con la mente completamente sgombra da qualsiasi altro pensiero e la possibilità di concentrarsi solo ed esclusivamente su di esso. Così, sicuramente le parti che già ho apprezzato sarebbero risaltate ancora di più e probabilmente non mi sarei persa nelle lunghe descrizioni e nelle divagazioni. 

In ogni caso, oltre all’innegabile fatica, questo romanzo di Luc Lang mi ha lasciato anche altre cose: alcuni pensieri, dovuti forse a ricordi di esperienze personali che hanno fatto capolino ogni volta in cui Thomas andava a trovare la moglie Camille in ospedale; alcune riflessioni su come il passato possa influenzare il nostro presente e soprattutto su come due persone vicine, nello stesso ambiente, possano vivere le cose in modo completamente diverso. E che nulla è mai davvero come sembra.

Titolo: All'inizio del settimo giorno
Autore: Luc Lang
Traduttore: Maurizio Ferrara
Pagine: 561
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 18€
Acquista su amazon:
formato cartaceo:All'inizio del settimo giorno
formato ebook: All'inizio del settimo giorno

venerdì 2 marzo 2018

THÉODORE E DOROTHÉE - Alexandre Postel

Quando l'agente immobiliare aveva precisato che gli inquilini precedenti erano una giovane coppia, Théodore aveva subito dedotto che si erano lasciati. Perché, tra le tante spiegazioni possibili, privilegiava proprio quella all'ipotesi di un trasferimento di lavoro, di un'eredità o di una gravidanza? Perché, se non per il suo timore della convivenza?
Gli tremavano le gambe, dovette appoggiarsi allo stipite della porta. Allora sentì i passi di Dorothée per le scale; portava uno scatolone di libri; la vide arrivare trafelata, sorridente, gli occhi scintillanti, una ciocca di capelli sulla fronte: non gli era mai sembrata così bella né così felice. Théodore tornava a respirare.

I romanzi che parlano di vita di coppia mi inquietano sempre un po’. Ho sempre paura di non riconoscermi, e pensare magari che nella mia, di vita di coppia, stia forse sbagliando qualcosa, o di riconoscermici troppo, e pensare che quindi la mia storia per me così speciale sia in realtà un susseguirsi di luoghi comuni ed esperienze simili a quelle di tutte. La paura di riconoscermici troppo aumenta nel caso in cui la coppia raccontata nel romanzo sia magari in crisi senza rendersene conto, o sia un po’ antipatica, o abbia atteggiamenti che, alla lunga, un amore, almeno dal mio punto di vista, potrebbero distruggerlo.

È un po’ il caso di Théodore e Dorothée, romanzo di Alexandre Postel appena uscito per minimum fax con la traduzione di Stefania Ricciardi. O almeno così l’ho percepito, che ho iniziato fin dalla prima pagina a trovare irritanti i due protagonisti, i cui nomi sono anagrammi l’uno dell’altro e quindi, almeno all’apparenza, fatti per amarsi.

I due stanno insieme da qualche tempo e sentono che sia giunto il momento di fare un passo avanti nella loro relazione e andare a vivere insieme. I soldi sono un po’ un problema, perché i prezzi degli appartamenti di Parigi sono più alti che quello che le tasche di una professoressa e di un freelance dell’informatica possono permettersi. Ma, insomma, volere è potere, soprattutto se si ha qualcuno alle spalle disponibile ad aiutare. Théodore e Dorothée vanno quindi a vivere insieme, vivendo con un po’ (troppa) ansia il momento della scelta dei mobili e dell’arredamento, poi quello dell’inaugurazione della casa con i loro amici e poi, piano piano, della loro vita di coppia in generale. Gli anni passano e loro decidono che no, non vogliono sposarsi; che no, figli non ne voglio, però dai, magari potrebbero prendere un gatto; che sì, dai, perché non mettersi lì e fare qualcosa insieme: la palestra, scrivere un libro, fare lunghe passeggiate… però poi forse no, non è un’idea così buona; che no, il sostegno che i due dicono di darsi a vicenda si scontra presto con la vita pratica (lei sta scrivendo da anni una tesi di dottorato che sembra infinita, e in cui nessuno crede; lui cerca lavoro, ma forse non abbastanza). Eppure si amano. Forse un po’ per abitudine, forse perché l’amore di una coppia si dimostra anche sopportandosi e trattenendosi dal dire o fare certe cose, pur pensandole e pur mettendosi in dubbio ogni giorno.
Interrogarsi sul senso della vita in comune era correre il rischio della tristezza. Non farlo, era correre il rischio di fallire la propria vita, di deviare se stessi, di scoprire, in fondo al cammino, che la vita a due non era in realtà che una mezza vita.
Théodore e Dorothée mi hanno irritata e, per fortuna devo dire, non mi ci sono nemmeno così tanto identificata. In alcune cose sì, ovviamente, perché è inevitabile che la vita di coppia si trasformi in piccole e grandi routine che sono, o si pensa che siano, uniche di chi le sta vivendo. Però in questi due personaggi ho colto una nota di insoddisfazione generale che mi ha un po’ intristita e un po’ infastidita. Una sorta di rassegnazione, che si manifesta in piccoli dispetti che i due quasi inconsapevolmente si scambiano. 

Sicuramente Alexandre Postel è stato bravo a rappresentare la vita di questa coppia, a caratterizzare bene entrambi i protagonisti (ma anche le persone che ruotano attorno a loro), a volte enfatizzandone ed esasperandone tratti e atteggiamenti. Però sarà che io sto vivendo ancora l’entusiasmo dei primi tempi (sono sposata da meno di sei mesi e vivo con mio marito da un anno e mezzo), che scegliere la camera da letto è stato traumatico all’inizio ma anche divertente, che ci facciamo le nostre cose senza cercare sempre per forza l’approvazione l’uno dell’altro, pur condividendo ogni cosa… insomma che non siamo ancora caduti in quelle routine, in quei dubbi e in quelle domande che, credo inevitabilmente, sorgono a un certo punto di una relazione, e quindi la visione di coppia di Théodore e Dorothée mi ha davvero irritata, al punto da non saper dire se il romanzo mi sia piaciuto o meno.

È sicuramente un libro che dà molto da riflettere (e questo per un libro è comunque già una gran cosa) e in cui ogni persona ci troverà qualcosa di diverso, in base a quel che sta vivendo in quel momento. 
Io più volte sarei voluta entrare nelle pagine e dire a Théodore e Dorothée che magari potevano anche provare a separarsi per un po’ e vedere cosa sarebbe successo. Però poi mi sono resa conto  che probabilmente separati non sarebbero riusciti a sopravvivere.


Titolo: Théodore e Dorothée
Autore: Alexandre Postel
Traduttore: Stefania Ricciardi
Pagine: 207
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: minimum fax
Prezzo di copertina: 17,00 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Théodore e Dorothée
formato ebookThéodore e Dorothée

lunedì 8 gennaio 2018

UN ROMANZO INGLESE - Stéphanie Hochet

La guerra cambierà l'avvenire e la concezione che ne abbiamo. Modificherà il nostro modo di pensare. Chiameremo la guerra con dei numeri, anni di inizio e fine, ricorderemo delle immagini e non soltanto immagini di distruzione; si sentirà la leggera vergogna di coloro che saranno risparmiati. Si parlerà diversamente perché il vocabolario si sarà arricchito di parole nuove nate al fronte o dalle recenti tecniche industriali, oppure semplicemente perché dopo quel cataclisma ci si vorrà esprimere in maniera differente, magari con altro accento, forse per dimenticare quello di prima. Per dimenticare il mondo che ci ha portato fino a quel punto. Troveremo altri modi per sentirci felici e capiremo che per esserlo basterà la presenza di una persona cara.



Mi ci è voluto un po’ di tempo per riuscire a scrivere una recensione di Un romanzo inglese di Stéphanie Hochet, edito da Voland con la traduzione di Roberto Lana. È stato l’ultimo libro che ho letto nel 2017 e, complici le festività natalizie, l’arrivo del nuovo anno e la poca voglia di stare al computer, la sua recensione è rimasta in sospeso. In realtà, in parte, è anche perché non sapevo bene cosa scriverne. Già leggendolo, infatti, non riuscivo a capire se il libro mi stesse piacendo o meno.

Un romanzo inglese, come il titolo stesso lascia intendere, è il tipico romanzo inglese. Ci si ritrovano le atmosfere e lo stile di scrittura, lento, pacato, senza grossi exploit narrativi eppure intenso ed efficace. Con l’unica differenza che a scriverlo è stata una scrittrice francese, evidentemente appassionata di letteratura inglese, al punto da voler cimentarsi anche lei con il genere.

Il libro è ambientato in un paesino della campagna inglese nel 1917, dove una coppia, Anna e Edward Whig, si è trasferita insieme al figlio piccolo per sfuggire ai bombardamenti londinesi. Edward fa avanti e indietro tra la campagna e la città, dove gestisce un negozio di orologeria; Anna, invece, lavora come traduttrice e intanto cura il piccolo Jack. Per poter coniugare meglio le due cose, Anna decide di assumere un’istitutrice per il bambino. La ricerca richiede più tempo del previsto, perché in tempo di guerra è davvero difficile trovare qualcuno che possa svolgere questi lavori. Finché un giorno non riceve la lettera di George. Anna è incuriosita, convinta di trovarsi di fronte a una donna costretta per qualche motivo a usare un nome da uomo, come George Eliot, l’autrice di Middlemarch. La assume, per poi scoprire la cosa più ovvia: ovvero che si tratta di un uomo. All’inizio Anna è destabilizzata dalla cosa, sia perché si aspettava una donna, sia perché in questo giovane istitutore rivede un po’ suo cugino, al momento disperso in guerra. A poco a poco, però, inizia a conoscere meglio George e a trovare con lui un’intesa che con il marito ha perso da tempo e che la porterà a mettere in discussione se stessa e tutta la sua vita, fino a un tragico epilogo.

Non so esattamente che cosa dire di questo romanzo perché, anche adesso che ci ripenso, non riesco a capire del tutto cosa mi abbia lasciato. Si legge bene, quasi senza rendersene conto. Ed è anche scritto bene, al punto che se non si sapesse che è scritto da un’autrice francese non si coglierebbe alcuna differenza. Tratta poi temi importanti, come quello della guerra e della vita durante quegli anni, ma anche del rapporto genitori figli e della ricerca di se stessi.
Però, ecco, ho l’impressione che non mi abbia trasmesso quasi nulla. Che non sia un romanzo che rimarrà nella mia mente, se non per qualche bella citazione.
Per noi, che siamo rimasti lontani dal fronte, onorare il paese è continuare a funzionare come in tempo di pace. Onorare il paese - per quanti ne sono intimamente convinti - è riparare il meccanismo di un orologio di famiglia o di un pendolo, mentre gli Zeppelin sganciano centinaia, migliaia di cilindri carichi di esplosivo sulla capitale, come si distrugge un formicaio. Oppure parlare del senso della punteggiatura nell'opera di Proust quando non si hanno più notizie di un cugino inviato al fronte. Leggere una tragedia greca, spolverare il servizio da te, anche se nessuno verrà a farci visita. È tenere il proprio villino in ordine, chinarsi sulle piante del giardino per controllare che il gelo non le abbia uccise.
È una di quelle letture senza infamia e senza lode, che quasi ti scorrono addosso e durano solo il momento della lettura. Almeno così è stato per me, che ho visto in Un romanzo inglese più un esercizio di stile di Stéphanie Hochet, un “ehi, guardate che non bisogna essere per forza inglesi per scrivere un romanzo così”, che non qualcosa di più profondo.

Non è un brutto libro, intendiamoci. È solo un libro di cui io personalmente avrei potuto anche fare a meno.  


TITOLO: Un romanzo inglese
AUTORE: Stéphanie Hochet
TRADUTTORE: Roberto Lana
PAGINE: 126
ANNO: 2017
EDITORE: Voland
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Un romanzo inglese
formato ebook:Un romanzo inglese

mercoledì 23 agosto 2017

IL CASO MALAUSSÈNE. Mi hanno mentito - Daniel Pennac

La mia sorellina minore Verdun è nata che già urlava ne "La fata carabina", mio nipote È Un Angelo è nato orfano ne "La prosivendola", mio figlio Signor Malaussène è nato da due madri nel romanzo che porta il suo nome e mia nipote Maracuja è nata da due padri ne "La passione secondo Thérèse". E ora li ritroviamo adulti in un mondo che più esplosivo non si può, dove si mitraglia a tutto andare, dove qualcuno rapisce l'uomo d'affari Georges Lapietà, dove Polizia e Giustizia procedono mano nella mano senza perdere un'occasione per farsi lo sgambetto, dove la Regina Zabo, editrice accorta, regna sul suo gregge di scrittori fissati con la verità vera proprio quando tutti mentono a tutti. Tutti tranne me, ovviamente. Io, tanto per cambiare, mi becco le solite mazzate.



Ho letto i romanzi del ciclo di Malaussène di Daniel Pennac una decina di anni fa. Li ho letti tutti in fila, dopo essere rimasta folgorata dalle avventure del capro espiatorio Benjamin in Il paradiso degli orchi e, soprattutto, dopo essermi appassionata allo stile scanzonato, e a tratti un po’ folle, di questo scrittore francese.

Quando ho saputo che dopo vent’anni dall’ultima avventura (La passione secondo Thérèse), Pennac aveva deciso di ritornare a raccontare della famiglia Malaussène e di Benjamin, la mia prima reazione è stata di rifiuto. Vent'anni sono tanti, per riprendere in mano un personaggio così conosciuto e così amato, e il rischio di rovinarne il ricordo con una nuova avventura era molto, molto forte. 
E poi, confesso, temevo fosse più un’operazione commerciale, un riscaldare una minestra che in passato è stata apprezzata e sperare di riuscire a riprodurne il gusto.

Per questo motivo non ho acquistato subito Il caso Malaussène – Mi hanno mentito, in Italia sempre pubblicato da Feltrinelli e tradotto da Yasmina Melaouah. Ci ho girato attorno un po’; ho aspettato di leggere qualche recensione e qualche commento, per capire se questo nuovo romanzo fosse all'altezza dei precedenti o se invece Pennac si fosse lasciato andare a una triste operazione nostalgia che avrebbe deluso anche i suoi fan più accaniti. In tal senso, però, mi sono scontrata con pareri contrastanti, molto contrastanti: a qualcuno è piaciuto tantissimo, per qualcun altro sarebbe stato meglio se non l’avesse scritto, qualcuno non ci ha capito nulla, qualcun altro lo reputa un gran bel libro. 
Insomma, per capire davvero cosa fosse questo libro, lo dovevo leggere.

In mio soccorso è arrivata una bancarella di libri usati e un fine settimana di tedio, in cui non avevo romanzi in lettura e niente in casa che mi andasse in quel momento. E quindi ho acquistato Il caso Malaussène- Mi hanno mentito, sono arrivata a casa e ho iniziato subito a leggerlo. Per poi non riuscire a fermarmi prima di essere arrivata alla fine.

La trama è un po’ intricata, come in tutti i romanzi di questa saga: da un lato abbiamo Benjamin, che lavora per una casa editrice che si sta specializzando in autori che pubblicano romanzi con la “verità vera”, ovvero 

Argomento: sputtanamento dell'intera famiglia - padre, madre, fratelli e sorelle - in nome della verità vera. Risultato: faccia gonfiata di pugni, vertebre incrinate e una gamba rotta...

Benjamin organizza per questi personaggi un servizio di scorta, per evitare le ritorsioni dei parenti, e ora si trova nell'altopiano del Vercors, lontano da Parigi, a fare da balia a Alceste, l’ultima grande scoperta del suo editore. Lo tiene nascosto in un capanno, affinché termini il suo secondo libro senza essere ucciso. Benjamin ci sta bene, lì in montagna, al punto che cerca disperatamente di ignorare ogni singola notizia che arriva dalla città. Le notizie, però, sembrano proprio non voler ignorare lui, e così viene a sapere del rapimento di Georges Lapietà, un uomo balzato agli onori della cronaca per aver accompagnato l’azienda LAVA nel fallimento ed essersi beccato un paracadute d’oro al termine dei suoi servizi, a discapito di tutte le persone che l’azienda invece ha dovuto licenziare. Il caso viene affidato alla sorella Verdun, il giudice più brutto del mondo, che ben presto scopre che in questo rapimento la sua famiglia è più implicata di quanto si possa pensare. Meglio non dirlo a Benjamin, però, perché se no poi si agita. O peggio, sarebbe capace suo malgrado di fare in modo che si sospettasse di lui. Ma anche dopo vent’anni Benjamin Malaussène è sempre Benjamin Malaussène e un suo coinvolgimento è praticamente inevitabile.

Il caso Malaussène – Mi hanno mentito in realtà è il primo volume di una nuova serie e quindi, quando si arriva alla fine, si scopre che il romanzo non finisce. E quel “continua” in ultima pagina è stata la cosa più irritante di tutto il romanzo.  
E adesso? Quanto devo aspettare per sapere come si risolve la storia di Lapietà e qualhe pasticcio combinerà il mio Malaussène preferito (sì, di tutta la famiglia, Benjamin rimane il mio prediletto, anche se dopo questa lettura anche Verdun fa un bel balzo avanti)? 
La domanda principale che ci si pone alla fine, però, è un'altra: come diamine ha fatto Pennac a riportare in vita dopo vent’anni questa famiglia e riuscire a ricreare la stessa atmosfera, un po’ caotica, un po’ nonsense e parecchio geniale, e a scrivere esattamente con lo stesso stile (che si odia o si ama, temo) di allora?

Il caso Malaussène – Mi hanno mentito mi ha divertito tantissimo e, al tempo stesso, fatto riflettere. I temi che tratta, infatti, sono importanti: è giusto che un uomo che faccia chiudere un’azienda e licenziare tanti dipendenti si becchi una buonuscita così alta? È giusto dare in pasto al pubblico la propria vita famigliare per fare successo? È giusto inventare storie per rendere la realtà meno tragica di quello che invece è? 

Ma, soprattutto, è possibile che sia sempre colpa di Benjamin Malaussène?

Questa nuova avventura della famiglia Malaussène mi è piaciuta molto. C’è un passaggio generazionale tra genitori e figli, che si rispecchia nel diverso approccio alla tecnologia (internet e i "socials" che sono arrivati così, all'improvviso, dalla sera alla mattina) e alle ingiustizie del mondo, e che mette anche in luce, ancora una volta, il forte legame che lega tutti i membri (i giovani cercano di proteggere i vecchi, che a loro volta cercano di proteggere i giovani... poi tutti insieme cercano di proteggere il povero Benjamin, senza che lui abbia la più pallida idea di cosa stia succedendo).

Non so se sia all'altezza dei primi romanzi della serie, Il paradiso degli orchi e La fata carabina (secondo me i più belli in assoluto); però Pennac è riuscito a non cadere nella trappola della nostalgia e non trasformare i personaggi nelle macchiette del loro ricordo. E quindi, secondo me, è una lettura che, se si è amata fin da subito questa famiglia, vale la pena di intraprendere.


Titolo: Il caso Malaussène. Mi hanno mentito
Autore: Daniel Pennac
Traduttore: Yasmina Melaouah
Pagine: 274
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Feltrinelli
Prezzo di copertina: 18,50 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il caso Malaussène. Mi hanno mentito
formato ebook: Il caso Malaussène: Mi hanno mentito (Il ciclo di Malaussène)

martedì 13 giugno 2017

COME IN UN FILM - Régis de Sá Moreira

LUI: Però non è in negozio che la incontro, succede durante la pausa, lei esce per fumarsi una sigaretta sul marciapiede, a pochi passi dalla vetrina.
LEI: Che cretina, non ho l'accendino.
LUI: Più tardi, quante volte si dirà se solo avessi avuto l'accendino.
LEI: O dei fiammiferi.
LUI: O due bastoncini da sfregare.
LEI: E invece no, niente di tutto questo, e così aspetto di vedere un passante che fuma e il passante che fuma...
LUI: Sono io.
LEI: È lui.
LUI: Siamo noi.
LEI: No, non ancora, per ora lui è lui e io sono io. Gli dico scusi avrebbe da accendere?
LUI: La guardo, sorrido, rispondi sì.
LEI: Lo guardo, sorrido, dico grazie.
LUI: È così stupido se ci pensi.
LEI: Ma così bello.
LUI: È la vita.
LEI: Già, la vita.

“La vita non è un film” è una frase che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti rivolgere o ci siamo detti noi stessi, per tornare con i piedi per terra e avvolgerci di disincanto. Le cose che succedono al cinema o in tv nella vita vera non succedono. È impossibile. Soprattutto, poi, se stiamo parlando di storie d’amore: nessuno si trova per caso, nessuno si innamora a prima vista, nessuno si prende, si lascia, si tira dei piatti e fa l’amore ottantacinque volte al giorno. 
Ma ne siamo proprio sicuri? E se la vita, invece, a volte fosse non dico un film, ma come in un film?

Come in un film è proprio il titolo di questo libro di Régis de Sá Moreira, pubblicato a maggio da NN edizioni con la traduzione di Daniela Almansi.
Ci sono un LUI e una LEI, che una mattina del dicembre del 2005 si incontrano per caso a Parigi. LEI esce dal negozio in cui lavora per fumarsi una sigaretta ma non ha da accendere. LUI passa lì davanti proprio in quel momento, le accende la sigaretta e le chiede se dopo possono vedersi. Due caipirinha, tre vin brulé, un cinema in cui danno un film stupido e via, è amore. I primi tempi, come sempre, sono bellissimi: mesi di scoperte, di baci e scopate appassionate, di risate e primi incontri con i parenti. 
Poi, però, come spesso succede, qualcosa inizia a incrinarsi e iniziano le crisi: prima rade, poi sempre più frequenti, fino a diventare quasi insopportabili, oltreché spesso immotivate.

LUI: il 14 luglio, festa nazionale, ci piomba addosso una nuova crisi.
LEI: Eravamo tranquilli, era una bella giornata, era il mio compleanno.
LUI: Un granello di sabbia si deve essere infilato da qualche parte.
LEI: Forse ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire.
LUI: O io non ho risposto quello che avrei dovuto rispondere.
LEI: Strana cosa, le cazzate, credi che non esistano e all’improvviso sono dappertutto.
LUI: È come un raffreddore, puoi provare tutte le cure del mondo ma in realtà devi solo aspettare che passi.
LEI: Smocciando.
LUI: Smocciando.
LEI: Starnutendoti addosso
LUI: Noi due così vicini cinque minuti fa
LEI: Non siamo più che insulti e conflittualità.

Che fare? Provare a prendersi e lasciarsi per un po’? Cercare di capire se stare da soli è meglio o peggio che stare insieme? LUI e LEI, come succede a tutti, arrivano alla decisione definitiva, versano tante lacrime e la vita va avanti.
Ma questo amore, dopo qualche anno, sembra tornare. E questa volta sembra essere la volta buona. Lui e lei sono cresciuti e sembrano pronti a creare qualcosa insieme. Arrivano dei figli, si trasferiscono in campagna e tutto sembra andare, finalmente, per il verso giusto. Ma la vita, proprio come in un film, riserva ancora altre sorprese…

LEI: Siamo fortunati.
LUI: Capitiamo bene.
LEI: Passiamo per gli eccentrici della zona.
LUI: Abbiamo una grande casa sempre aperta.
LEI: Con un giardino giungla.
LUI: I bambini si fanno un sacco di amici.
LEI: La gente del posto saluta la bibliotecaria che passa per strada.
LUI: E dà un colpo di clacson al postino che passa con il suo furgoncino.
LEI: Viviamo in un’allegra canzone d’altri tempi.
LUI: E non succede più niente.
LEI: Nient’altro che questa canzone.
LUI: Che passa e ripassa per tre anni.
LEI: Tre anni di vita che hai voglia di prendere, stringere e infilare in una scatola per custodirli gelosamente sotto il cuscino.
LUI: Una scatola che potresti aprire quando vuoi per toccare, vedere, annusare, assaggiare quei tre anni felici.
GRANDE PUFFO: Finché non puffa tutto.

Come in un film di Régis de Sá Moreira è un libro geniale.
È un romanzo in presa diretta, formato dai dialoghi e dei pensieri di questo LUI e di questa LEI, a cui si aggiungono quelli delle altre persone che, a volte per un solo istante altre per un periodo più lungo, incontrano nella loro vita di coppia: il verduraio sotto casa, la madre di lei, la madre di lui, il cognato di lui, il padre, l’amico dell’uni, una cameriera, il gatto, gli spermatozoi, Grande Puffo, Britney Spears, Gabriel García Márquez, John Steinbeck, un marziano, J.K Rowling… e mille altri, che l’autore prontamente elenca alla fine del romanzo. (Una menzione speciale se la merita la traduttrice Daniela Almansi, perché tradurre un romanzo costruito in questo modo, fatto di dialoghi e scambi rapidissimi e con così tanti personaggi, non deve essere stato per niente semplice.)

Ma oltre che per lo stile, Come in un film è geniale anche per la storia che racconta, per la sua capacità di dare vita a una storia d’amore che sì, apparentemente sembra possibile solo in un film, ma che invece è molto più comune di quanto si pensi. Questo LUI e questa LEI riescono a incarnare molte delle fasi che alcuni amori (non tutti, certo) vivono: l’entusiasmo iniziale, i primi scontri, le prime incomprensioni, le insofferenze, l’incapacità di decidere che cosa fare, fino al perdersi… per poi magari ritrovarsi.

Perché la vita forse non è un film, ma a volte gli assomiglia un bel po’.


TITOLO: Come in un film
AUTORE:  Régis de Sá Moreira
TRADUTTORE: Daniela Almansi
PAGINE: 264
EDITORE: NN editore
ANNO: 2017
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Come in un film
formato ebook: Come in un film

venerdì 16 dicembre 2016

PICCOLI CRIMINI CONIUGALI - Eric-Emmanuel Schmitt

GILLES: È contro natura amare per sempre, amare a lungo
LISA: Non è vero.
GILLES: Per fare in modo che duri bisogna accettare l'incertezza, bisogna avanzare in acque pericolose, avventurarsi là dove si procede solo con la fiducia, risposarsi galleggiando su onde contraddittorie, certe volte di dubbio, certe volte di fatica, certe volte di serenità, ma mantenendo sempre la rotta.


Leggo raramente le pièce teatrali. Non perché non mi piacciano (e Casa di bambola di Ibsen, ma anche Ricorda con rabbia di John Osborne, mi hanno fatto letteralmente impazzire), ma perché credo che si debba essere davvero bravi a scriverle per fare in modo che funziono anche lette e non solo messe in scena.

Puntavo Piccoli crimini coniugali di Eric-Emmanuel Schmitt, pubblicato in Italia da edizioni e/o con la traduzione di Alberto Bracci Testasecca, già da un bel po’, senza però mai riuscire a decidermi. Di questo autore francese ho letto, e amato immensamente, solo racconti, sebbene la sua produzione sia molto, ma molto più vasta e comprenda anche romanzi e, appunto, pièce teatrali. Forse avevo paura che cambiando genere, cambiasse anche il mio amore per lui (ché non tutti gli scrittori sono capaci di destreggiarsi tra un genere e l’altro sempre con lo stesso risultato). Poi, a Più Libri Più Liberi, questo libro mi è inaspettatamente giunto in regalo, permettendomi così di soddisfare la mia curiosità.

Piccoli crimini coniugali è il dialogo tra Gilles e Lisa, marito e moglie, che ritornano finalmente a casa, una sera, dopo che lui è stato ricoverato in ospedale dopo un incidente domestico, che gli ha fatto perdere la memoria. I due sono molto trattenuti, hanno perso quella famigliarità che tutte le coppie sposate hanno, o dovrebbero avere, e non sanno bene come comportarsi l’uno con l’altra. Forse perché quell'incidente ha scoperchiato qualcosa rimasto sopito da tanto tempo, dando il via, tra un colpo di scena e l’altro, a una resa dei conti sulla vita di coppia e sull’amore in generale.

Ogni volta che mi capita di leggere un libro di Eric-Emmanuel Schmitt in cui parla d’amore, mi stupisco ogni volta del modo in cui riesce ad arrivare così in profondità e portarne alla luce tutti i segreti, le cose non dette, belle o brutte che siano. Lo avevo già notato in L'amore invisibile, ma anche in buona parte dei racconti che compongono La sognatrice di Ostenda. Qui, in Piccoli crimini coniugali, porta l’amore e la vita di coppia al suo estremo, in una commedia nera che sembra anche uno scontro, una resa dei conti finale, in cui si scontrano un uomo e una donna, ma anche due idee diverse d’amore. Che forse possono convergere, o forse no.

LISA: Tu non ti scoraggi mai?
GILLES: Altroché.
LISA: E allora?
GILLES: Ti guardo e mi chiedo se malgrado i miei dubbi, i miei sospetti, le mie inquietudini e la mia stanchezza ho davvero voglia di perderti. E la risposta mi viene sempre. Sempre la stessa. E insieme a lei mi viene il coraggio. Amare è irrazionale, è una fantasia che non appartiene alla nostra epoca, non si giustifica, non è pratico, la sua unica giustificazione è che c'è.

E quindi sì, Eric-Emmanuel Schmitt sa scrivere pièce teatrali che funzionano anche solo lette (sebbene la voglia di vedere questa opera messa in scena adesso è davvero tanta), e mi conferma di essere uno di quegli autori di cui leggerei probabilmente anche la lista della spesa, trovandola bellissima e geniale. 
Ora non mi resta che provare un suo romanzo, ma ho come l’impressione che nemmeno in quel caso mi deluderà.


TITOLO: Piccoli crimini coniugali
AUTORE: Eric-Emmanuel Schmitt
TRADUTTORE: Alberto Bracci Testasecca
PAGINE:145
EDITORE: edizioni e/o
ANNO: 2004

mercoledì 9 novembre 2016

LA SOGNATRICE DI OSTENDA - Eric-Emmanuel Schmitt

«Mi sto consolando piuttosto in fretta dal mio cruccio parigino. Ciò vuol dire che non ho poi perduto granché troncando quella storia. Ricorda cosa mi ha detto? Che è possibile rimettersi solo dalle cose poco importanti. E che da un amore totale non ci si riprende mai».
«Una volta ho visto un fulmine colpire un albero, e mi sono sentita molto vicina a quell'albero. Arriva un momento in cui bruciamo, ed è intenso, meraviglioso. Dopo, non resta che cenere».
Si girò verso il mare.
«Non si è mai visto un ceppo, anche vivo, ridare corpo a un albero intero».

Ogni volta che sento qualcuno dire “no, io non leggo i racconti, perché non mi coinvolgono tanto quanto i romanzi”, mi viene da pensare sempre che non abbiano mai letto i racconti giusti. Certo, poi è anche una questione di gusti, di percezione della lettura legata alla lunghezza del testo. Però, ecco, in generale, secondo me è perché non hanno mai letto un racconto ben fatto.

Come lo sono, per esempio, quelli dello scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, le cui opere, divise tra romanzi e raccolte di racconti, sono pubblicate in Italia da edizioni e/o. 
Ho scoperto questo autore quasi per caso, acquistando a scatola chiusa Concerto in memoria di un angelo. Me ne sono poi follemente innamorata leggendo Odette Toulemonde e ho mantenuto viva questa passione con L’amore invisibile. Tre raccolte di racconti, tra cui fatico a scegliere la mia preferita.

Anche perché adesso si è inserito anche La sognatrice di Ostenda. Di nuovo una raccolta di racconti, di nuovo cinque storie raccontate in non più di settanta pagine ciascuna (la più lunga, quella che dà il titolo alla raccolta, ma le altre molte meno) che sono riuscite, ancora una volta, a conquistarmi totalmente.

C’è questa donna, La sognatrice di Ostenda appunto, che, ormai anziana e su una sedia a rotelle, racconta a un visitatore il grande amore della sua vita, sebbene tutti, in famiglia, siano convinti che lei non abbia amato mai. 
Ce n’è un’altra, in Delitto perfetto, che decide di liberarsi del marito, perché convinta che l’enorme amore che lui riversa su di lei sia troppo grande, troppo bello per essere vero, ed è stanca di essere presa in giro.
Ce n’è una terza, in La guarigione, che di mestiere fa l’infermiera e che non è mai stata capace di amare se stessa e il suo aspetto. Finché non arriva un paziente, cieco e in fin di vita, che l’aiuta a capire quanto sia bella.
Poi si arriva al quarto racconto, Cattive letture, che in realtà io ho letto per primo, una sera prima di dormire mentre cercavo qualcosa di non troppo lungo da leggere. Qui il protagonista è uomo di lettere, che però legge solo saggi, perché i romanzi e le opere di fantasia non sono che una perdita di tempo. Finché si ritrova a leggerne uno e a lasciarsi coinvolgere talmente tanto da non distinguere più la realtà.
La raccolta si chiude con la storia di un’altra donna, La donna con il bouquet, che tutti i giorni, da quindici anni, va alla stazione con un mazzo di fiori per aspettare l’arrivo di qualcuno.

« Ti giuro che è vero. Ogni giorno, da tre lustri. Forse anche di più, visto che ognuno, prima di notare la sua presenza, impiega degli anni. Di conseguenza anche il primo... Tu, per esempio, sono tre anni che vieni a Zurigo e me ne parli solo oggi. Come niente, sta qui da venti o trent'anni... Qualcuno ha provato a chiederle cosa aspetti, ma lei non ha mai dato risposta».
«E ha fatto bene» osservai. «D'altronde, chi può rispondere a una domanda del genere?».

Di Eric-Emmanuel Schmitt adoro lo stile, la poesia che impiega nel narrare le storie che racconta, anche quelle più disparate o più macabre, ma, soprattutto, il modo in cui descrive e delinea i personaggi, con le loro fragilità, le loro debolezze, la loro incredibile umanità.
Per non parlare della facilità con cui questo autore riesce a passare dal parlare d'amore (soprattutto in La sognatrice di Ostenda, che è davvero un racconto molto dolce, ma anche in La donna del bouquet) agli omicidi... che è una cosa che pochissimi scrittori sono in grado di fare.

Insomma, se non avete mai letto racconti o ci avete provato e non vi sono piaciuti, vi suggerisco di ritentare con una delle raccolte di Eric-Emmanuel Schmitt. E La sognatrice di Ostenda è decisamente un buon punto di inizio, per imparare a conoscere questo scrittore francese, ma anche per iniziare ad amare i racconti.

Titolo: La sognatrice di Ostenda
Autore: Eric-Emmanuel Schmitt
Traduttore: Alberto Bracci Testasecca
Pagine: 209
Editore: e/o
Anno: 2008
Acquista su Amazon:
formato brossura: La sognatrice di Ostenda

giovedì 22 settembre 2016

UN AMORE DI SALINGER - Frédéric Beigbeder

Quando due lingue si toccano, a volte non succede niente. Ma a volte qualcosa succede... Oh mio Dio, accade qualcosa che fa venire voglia di fondersi, di disgregarsi, è come se si entrasse nell'altro a occhi chiusi, per mettere tutto sottosopra dentro. Lui la stringeva contro la sua bocca, in apnea. Quando la depose sul pontile, Oona aveva solo un desiderio: decollare di nuovo


Come avevo già scritto quando avevo recensito il bellissimo Un anno con Salinger di Joanna Rakoff, io di Salinger non so praticamente nulla.

Ho letto Il giovane Holden qualche anno fa e ne ho un vago ricordo. Ho letto i Nove racconti più di recente e ancora sono convinta di non aver capito quasi nulla (anche se, in questo caso, so che dovrei provare a rileggerli). Eppure, nonostante ciò, mi sono ritrovata di nuovo a leggere un libro che parla di Jerry, trovato nella libreria di una persona che invece Salinger e il suo Holden li adora eccome.

Un amore di Salinger di Frédéric Beigbeder, pubblicato da Mondadori con la traduzione di Giovanni Pacchiano, racconta dell’amore estivo tra il giovane Jerry e la bella e giovanissima Oona O’Neill. Un amore forte e potente, ma al tempo stesso passeggero, che lascerà però un grande segno nello scrittore americano. Jerry continuerà a scrivere a Oona anche mentre è in guerra, sebbene lei ormai lo abbia lasciato e si sia innamorata di Charlie Chaplin. E lei, tra figli, vita mondana e l’esilio del marito accusato di comunismo, un pochino a lui continuerà a pensare, nel corso degli anni.

La storia raccontata da Frédéric Beigbeder è in parte vera, in parte inventata. È vera la relazione che c’è stata tra Salinger e Oona O’Neill, è vero che poi quest’ultima si è messa con Charlie Chaplin proprio mentre Salinger era in guerra, così come è vero tutto quello che lo scrittore ha vissuto in guerra e quello che è successo dopo alla famiglia Chaplin. Di inventato c’è il come. Frédéric Beigbeder immagina, insomma, che le cose siano andate così. Immagina come sia stata la relazione tra i due, come sia proseguita negli anni, immagina le lettere che si sono scambiati e come il ricordo abbia continuato ad accompagnare entrambi.

Un problema grosso è che nell’immaginare questo "come" mette troppo se stesso. Troppi suoi commenti esterni, a volte in nota a volte direttamente nel testo, troppi suoi “giudizi” e troppi paralleli tra passato e presente che risultano forzati e un po’ rovinano l’atmosfera che è riuscito a creare nel raccontare il passato. 

Questo stile e questa commistione di generi (non è narrativa, non è saggistica… non si capisce bene che cosa sia, in realtà) durante la lettura rendono il romanzo irritante. Ho dovuto arrivare alla fine, rifletterci un po’ di tempo (e soprassedere su alcune imperfezioni a livello traduttivo e di revisione, che raggiungono il loro culmine nella frase "Accasciata, Oona acquistò un appartamento di due piani a New York...") per riuscire a capire se Un amore di Salinger mi sia piaciuto o meno.
E la risposta è doppia: è sì, perché in effetti ho scoperto cose che non sapevo sulla vita di Salinger e di Charlie Chaplin e letto un paio di citazioni notevoli sull’amore e la sua forza; ma è anche no, perché non mi è piaciuto il modo di scrivere dell’autore (per quanto mi sforzi, io con la narrativa francese ho sempre qualche problema) né il modo in cui si è immaginato certe cose (per non parlare del finale).

Insomma, Un amore di Salinger è un libro che se vi capita sottomano potete anche leggere, sia che siate appassionati di Jerry sia che non lo siate, perché scoprirete sicuramente qualche curiosità. Però, ecco, potete anche tranquillamente soprassedere.

Titolo: Un amore di Salinger
Autore: Frédéric Beigbeder
Traduttore: Giovanni Pacchiano
Pagine: 257
Editore: Mondadori
Acquista su Amazon:
formato brossura: Un amore di Salinger
formato ebook: Un amore di  Salinger

martedì 3 maggio 2016

NON HO ANCORA FINITO DI GUARDARE IL MONDO - David Thomas

HO PAURA DI TUTTO. Dei cani, dei topi, dei serpenti e del temporale. Di essere in ritardo, malata, sfinita, sola, bloccata in ascensore o sorpresa. Ho paura degli altri, ho paura di dovermi giustificare, di dovermi spiegare, ho paura di essere mal giudicata, di deludere o di infastidire. Ho paura della folla, dell’isolamento, degli ictus, dei germi e di essere cacciata dal lavoro.
Solo tu non mi fai paura, e non sono sicura che sia un buon segno.

(Questa mia recensione è stata pubblicata su Ultima pagina il 26 aprile)


A tre anni dal suo primo libro pubblicato in Italia, La pazienza dei bufali sotto la pioggia, lo scrittore francese David Thomas è da poco tornato in libreria, sempre con Marcos y Marcos, con una nuova raccolta di piccole storie di quotidianità. Non ho ancora finito di guardare il mondo, tradotto dagli allievi della scuola di specializzazione per traduttori tuttoEuropa di Torino, con la supervisione di Maurizia Balmelli, non è altro che questo: una collezione di frammenti di vita, di storie di uomini e di donne che si trovano ad affrontare le piccole e grandi problematiche che il mondo mette loro davanti.
David Thomas deve essere un cultore delle cose di ogni giorno. Di quei piccoli istanti di felicità o di tristezza, di noia o di euforia, di vita insomma, che tutti affrontano nella loro quotidianità. Ed è per questo che per i suoi microracconti, che non superano mai le quattro pagine e che più sono brevi più sono efficaci, sceglie sempre la narrazione in prima, o al massimo in seconda, persona. Perché quello che succede a questi uomini e a queste donne potrebbe succedere a tutti. Anzi, già lo fa.

Tutti noi proviamo una soddisfazione incredibile a fare qualcosa di nascosto, come l’ascoltatore del primo racconto, Fare l’amore, che adora tenere la finestra aperta per sentire le urla di piacere dei vicini e sentirsi felice e in pace con il mondo. Tutti noi abbiamo qualcuno di cui odiamo le abitudini ma a cui alla fine non sapremmo mai rinunciare, come il protagonista di Caverna, che detesta sua moglie come solo chi ama davvero può fare, o quello di Urli, che cerca un po’ di pace ma poi nel silenzio proprio non riesce a stare. Tutti noi abbiamo amiche o amici che proprio non capiscono che cosa possiamo provare per qualcuno, perché fisicamente non proprio appetibile, come in Brutta, o semplicemente perché stronzo, in Niente di più semplice. Ma, soprattutto, tutti noi abbiamo rimpianti o rimorsi per il tempo perso, come la protagonista di Sette anni, che riesce a raccontare in poche righe il nascere, il crescere, il deteriorarsi e il finire di un amore, o per qualcosa che è stato e ora non è più e di cui forse non si è goduto abbastanza (provate a chiedere al povero Pugnetto).

La differenza è che forse non tutti saremmo in grado di affrontare le cose che la vita ci mette davanti ogni giorno come le affrontano i protagonisti dei racconti di Non ho ancora finito di guardare il mondo. Con amarezza, sì, con un’estrema coscienza di sé, dei propri limiti e delle proprie debolezze, soprattutto quando si parla d’amore, ma anche con ironia e autoironia. Come se David Thomas e i suoi personaggi, che a volte potrebbero sembrare un po’ folli ma che non sono altro che estremamente umani, sapessero che non c’è altro modo per sopravvivere alla realtà.

Sono anni che mi dico che dovrei cambiare macchina, lavoro, quartiere, donna e anche identità. Ma non so perché, non faccio niente per cambiare le cose. È deciso, domani mi cambio le mutande, queste sarà una settimana che ce le ho addosso. Sono sicuro che mi darà la carica per cambiare tutto il resto.

Non ho ancora finito di guardare il mondo di David Thomas è un libro da tenere vicino a sé e sfogliare di tanto in tanto, quando ci succede qualcosa di imprevedibile e non sappiamo come reagire, ma anche semplicemente quando la vita di ogni giorno ha il sopravvento su di noi, quando tante piccole cose si mettono insieme per farne una grande che ci sembra di non poter affrontare. Basta aprire questo libro in una pagina a caso e leggere uno dei settanta brevi racconti che lo compongono, per sentirsi un po’ meno soli, un po’ meno strani e, soprattutto, molto, molto più umani.


Titolo: Non ho ancora finito di guardare il mondo
Autore: David Thomas
Traduttore: Allievi della Scuola di specializzazione per traduttori editoriali, a cura di Maurizia Balmelli
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Marcos y Marcos
ISBN:978-8871686585
Prezzo di copertina: 16,00 €
Acquista su Amazon:

lunedì 29 febbraio 2016

COME ACCADDE CHE THOMAS LECLERC 10 ANNI 3 MESI E 4 GIORNI DIVENNE FULMINE TOM E SALVO' IL MONDO - Paul Vacca

E lui, Thomas Leclerc, ragazzino dal ciuffo ribelle e dalle lenti spesse, capace di risolvere problemi di matematica in un lampo e di viaggiare nelle galassie più remote con la forza del pensiero, sarà Fulmine Tom?
Se sua madre è disperata per la sua incapacità di trasmettere le proprie emozioni, le sua inattitudine a sorridere o a piangere, la sua impossibilità a comunicare con gli altri umani che nessun medico riesce a curare, adesso, da quel famoso settembre 1968, lui sa che è perché è un supereroe.
Non è forse, come tutti quei supereroi, un essere gettato in un mondo che non sembra fatto per lui?

Credo che tutti, almeno una volta, quando eravamo bambini abbiamo sognato di essere dei supereroi e salvare il mondo. Quando ero piccola io, l'universo dei fumetti con protagonisti supereroi per i non appassionati si limita ai film di Superman e ai film e al cartone di Batman (É l'uomo pipistrelloooo, è Batmaaaan, si avvolge nel mantello, è proprio Batmaaaan, è rapidissimo, è fortissimo, è giustissimo...). Poi con gli anni 2000 sono arrivati i film di Spiderman e di più o meno tutti i supereroi della Marvel, rendendo ancora più facile per un bambino di oggi questa identificazione.
Ad accomunare quasi tutti questi supereroi è il fatto che, una volta tolto il costume, sono persone normalissime. Addirittura un po' sfigate, a volte, e, soprattutto, con un grande dolore alle spalle.

Negli anni '60 i film non c'erano ancora e questo processo di identificazione arrivava tramite i fumetti. Ed è così che il piccolo Thomas Leclerc, protagonista di questo libro dal titolo lunghissimo e bellissimo di Paul Vacca, pubblicato in Italia da edizioni Clichy con la traduzione di Tania Spagnoli e Federico Zaniboni, li ha conosciuti e amati.

Oggi il piccolo Tom verrebbe definito un bambino un po' speciale, allora, nella periferia di Parigi degli anni '60 in cui il romanzo è ambientato, veniva chiamato diverso, non normale. Thomas Leclerc è infatti un bambino autistico, con la grande passione per i fumetti con i supereroi e una grande difficoltà a lasciarsi andare e a relazionarsi con gli altri. Vorrebbe, ma non ci riesce. Finché non capisce che la sua diversità non è poi così diversa da quella degli eroi di carta che tanto ama e scopre così di essere anche lui un supereroe: Fulmine Tom, pronto a eliminare i cattivi e salvare il mondo. Da quel momento la sua vita cambia, anche se forse lui stesso non si rende conto quanto, e inizia ad aprirsi agli altri e a cercare di aiutare come può chi gli sta attorno: da quel cane legato alla catena che non la smette di abbaiare, alla nonna un po' distratta, da quel bambino come lui che non riesce a smettere di fissare le aiuto, a Palma, quella ragazzina che sogna un giorno di diventare una diva del cinema, fino ai suoi genitori, forse il suo lavoro più difficile. Riuscirà Fulmine Tom a salvare la sua famiglia? Riuscirà a sconfiggere i cattivi che hanno fatto del male ai suoi amici? E se sì, a quale prezzo?

Come accadde che Thomas Leclerc 10 anni 3 mesi e 4 giorni divenne fulmine Tom e salvò il mondo è un libro dolcissimo, che affronta in modo intelligente e diverso dal solito il tema dell'autismo e di come ci si può rapportare a questa malattia. Thomas è un bambino speciale davvero, un supereroe, che nella sua ingenuità e nel suo candore capisce del mondo, anche delle parti più brutte e dolorose di esso, molto più di quanto non riescano a capire gli altri e cerca in ogni modo e con ogni suo mezzo disponibile di migliorarlo. 
É un romanzo sicuramente buonista, che però non nasconde le difficoltà che ci possono essere in una famiglia quando si trova a dover crescere un bambino con questo problema. Una famiglia che, per quanto ami con tutta se stessa quel bambino, vorrebbe solo un po' di normalità, per poi sentirsi in colpa ad averlo pensato. E non nasconde nemmeno quanto brutto possa essere il mondo là fuori, quando si è troppo piccoli e indifesi (oh, piccola Palma...). Thomas lo sa, perché il mondo, prima che diventasse un supereroe, per lui era brutto anche dentro.

Un supereroe deve affrontare il mondo.
E Tom deve superare il suo muro di silenzio per andare a vedere cosa succede dall'altra parte.

Come accadde che Thomas Leclerc 10 anni 3 mesi e 4 giorni divenne fulmine Tom e salvò il mondo è un libro che fa sorridere, che fa commuovere e che fa anche tanto pensare. Un libro da leggere.


Titolo: Come accadde che Thomas Leclerc 10 anni 3 mesi e 4 giorni divenne fulmine Tom e salvò il mondo
Autore: Paul Vacca
Traduttore: Tania Spagnoli e Federico Zaniboni
Pagine: 300
Editore: Edizioni Clichy
Acquista su amazon:
formato brossura:Come accadde che Thomas Leclerc 10 anni 3 mesi e 4 giorni divenne Fulmine Tom e salvò il mondo

giovedì 3 settembre 2015

STORIA DI UN CORPO - Daniel Pennac

13 anni, 4 mesi, 9 giorni
VENERD
Ì 19 FEBBRAIO 1937
Le gambe molli ma niente più febbre. Il dottore è tranquillo: dice che una scarlattina si "si sarebbe già dichiarata". L'espressione mi ha colpito perché, quando Violette parla di suo marito, dice sempre che "era caruccio quando si è dichiarato!". (È morto in guerra, subito, nel settembre del '14). Anche le guerre si dichiarano.

Mi scrocchio le dita prima di appoggiarle sulla tastiera. Incrocio le gambe sulla sedia. Di sottofondo, sento il ticchettio dell’orologio, il profumo all'arancia appena spruzzato dal profumatore della cucina arriva al mio naso. Incredibile quanto coinvolto sia ogni senso del nostro corpo anche nelle più piccole cose che facciamo. O forse è ovvio, anche se a volte nemmeno ci facciamo caso. Eppure sono cose che fanno parte della nostra vita e ci  possono accomunare agli altri più di qualunque altra cosa.

Storia di un corpo di Daniel Pennac, che io ho avuto la fortuna di leggere nella stupenda edizione illustrata da Manu Larcenet, racconta proprio quello che il titolo lascia intendere. È un diario, in cui il narratore annota e racconta i fatti salienti del suo corpo, da quando era bambino fino a poco prima di morire.Un diario che ha lasciato alla figlia prima di morire e in cui racconta l'evoluzione e i cambiamenti del suo fisico negli anni, le paure, le malattie, gli acciacchi, ma anche la semplice quotidianità e il modo in cui gli avvenimenti esterni lo hanno colpito.

60 anni, 10 mesi, 6 giorni
GIOVEDÌ  16 AGOSTO 1984
Lo scricchiolio della ghiaia sotto un passo tranquillo, sentito nel giardino del palazzo T., verso l'una di notte, mentre Mona è addormentata contro di me. Questo scricchiolio fa parte dei suoi rassicuranti della mia vita.

È un libro molto particolare, questo Storia di un corpo. Un libro che inizialmente, devo confessarlo, nemmeno volevo leggere. Sebbene le illustrazioni mi attirassero tantissimo, temevo fosse un romanzo noioso, prevedibile (che con un corpo ci conviviamo tutti, tutti i giorni, no?). Quando poi però mi sono decisa a iniziarlo, non riuscivo più a metterlo giù, talmente tanto è riuscito a coinvolgermi.

Ho adorato soprattutto la parte in cui il narratore è un ragazzino, con la contrapposizione tra la freddezza della madre e l'affetto e il calore della tata Violette, ma anche i primi moti apparentemente incontrollabili del suo corpo. E poi quando è più avanti con gli anni, con i figli già grandi e i nipoti da accudire e l'amore per la moglie che non scema in nessun modo. 

Ma tutto il libro è molto bello, in realtà, nella sua semplicità. Raccontare un corpo è raccontare la vita di chi in quel corpo ci vive, dando spazio a certi aspetti che per pudore forse a volte nascondiamo ma anche a quegli esperimenti "fisici" che tutti almeno una volta abbiamo fatto.
37 anni, compleanno
LUNEDÌ 10 OTTOBRE 1960
Durante una riunione particolarmente soporifera sui problemi di distribuzione, ho ceduto alla tentazione di verificare se lo sbadiglio è un fenomeno contagioso. Ho finto di sbadigliare, con un incredibile squartamento della faccia, seguito da un breve "chiedo scusa", e il mio sbadiglio si è propagato, diciamo, ai due terzi dei presenti - fino a tornare a me, facendomi sbadigliare sul serio!
Insomma, Storia di un corpo di Daniel Pennac è proprio un libro da leggere (e cercate l'edizione illustrata che lo rende ancora più speciale!)

Ora forse è meglio che mi metta seduta composta, o avrò mal di schiena per giorni.

Titolo: Storia di un corpo
Autore: Daniel Pennac
Traduttore: Yasmina Melaouah
Illustratore:  Manu Larcenet
Pagine: 414
Editore: Feltrinelli
Acquista su Amazon:

mercoledì 5 agosto 2015

L'AMORE INVISIBILE - Eric-Emmanuel Schmitt



Eric-Emmanuel Schmitt sta diventando a poco a poco uno dei miei scrittori preferiti. Forse è un po’ presto per dirlo, ché la sua produzione è molto vasta e io al momento ho letto solo tre raccolte di racconti. Però, ecco, pur essendo arrivata così tardi a questo autore, per ora non c’è stata una volta in cui mi abbia deluso.
Quando ho acquistato L’amore invisibile, in realtà ero partita con l’intento di provare a leggere un romanzo. Però non ero sicura di quale scegliere, né se davvero volevo rischiare così tanto di leggere qualcosa di più lungo di un autore che per me a scrivere racconti è molto, molto bravo.  E quindi ho scelto un’altra raccolta di racconti, lasciandomi guidare dalla copertina e del tema.

L’amore invisibile si compone di cinque racconti di lunghezza diversa, accomunati dal tema dell’amore. L’amore in tutte le sue forme e manifestazioni possibili. Si inizia con la storia di una ricca coppia omosessuale che, non potendosi sposare ufficialmente, si nasconde in fondo alla chiesa durante il giorno delle nozze di una coppia di sconosciuti. Una coppia che seguiranno negli anni, attraverso i quali vivranno quello che loro ancora non possono vivere: presenzieranno ai battesimi dei figli, vedranno la coppia allontanarsi, vivranno a distanza malattie e lutti, fino all'incredibile gesto finale. Si passa poi all'amore profondo per un animale, per il cane Argo, che in realtà sono molti cani che il medico che li possiede decide ogni volta di chiamare così, in ricordo del primo, quello a cui più di tutti ha voluto bene. C’è poi l’amore che un uomo dice di provare per sua moglie, anche se in realtà più che di lei è innamorato del suo primo marito.  C’è l’amore incrociato tra zie e nipoti e madri e figli, un amore che sembra incondizionato e fatto di confronti, spesso impietosi, che però vacilla di fronte alla crudeltà della vita.  E si conclude con l’amore tra una coppia che sembrava poter resistere all'impossibilità di avere figli, finché un incidente non li costringe a tirar su un muro in mezzo alla casa.

Cinque racconti, tutti molto belli, in cui ancora una volta Eric-Emmanuel Schmitt parla in maniera delicata, ma al tempo stesso diretta e senza sconti, dei sentimenti umani, della loro fragilità, della loro imprevedibilità. Non giudica mai. Non si lascia andare a facili buonismi né a quei sentimentalismi che spesso si ritrovano nelle storie d’amore. 
Ho apprezzato molto la scelta di raccontare diversi tipi di amore, e anche se un paio di racconti possono sembrare un po' prevedibili, questa prevedibilità è in realtà molto funzionale alle storie narrate, perché effettivamente molto umana.
Con L’amore invisibile Eric-Emmanuel Schmitt arriva dritto al cuore del lettore,per quanto poco mi piaccia questa espressione, mettendone in luce sì la passione, ma anche le paure, le insicurezza, i legami con il passato e l’impotenza di fronte a certe situazioni che la vita mette davanti.

Se non conoscete l’autore, questo è sicuramente un grande punto di partenza (così come lo sono stati,per me, sia Concerto in memoria di un angelo sia Odette Toulemonde). 
E prima o poi leggerò anche un suo romanzo, promesso.

Titolo: L'amore invisibile
Autore: Eric-Emmanuel Schmitt
Traduttore: Alberto Bracci Testasecca
Pagine: 192
Editore: e/o
Anno: 2013
Acquista su Amazon:
formato brossura: L'amore invisibile

giovedì 11 giugno 2015

FELICI I FELICI - Yasmina Reza

 Felices los amados y los amantes y los que 
pueden prescindir del amor.
Felices los felices
 C’è Borges all’inizio di questo libro. C’è la frase da cui è tratto il titolo, ma soprattutto quella che ne riassume alla perfezione il contenuto.  Felici gli amati e gli amanti e quelli che possono vivere senza amore. Felici i felici.
La cosa buffa è che dentro a questo bel libro di Yasmina Reza la felicità che c’è è solo apparente, dura poche righe in ogni racconto, giusto il tempo per presentare al lettore quello che in un mondo ideale dovrebbe essere ma non è.
Ci sono coppie sposate che non sanno se si amano o si odiano, ci sono figli problematici e genitori ammalati, ci sono mariti traditori che non sopportano che la propria moglie abbia un amante e giovani che ancora di amore non hanno capito nulla, ci sono coppie anziane che non si amano più e ricordi del passato che rimangono vivi anche dopo anni, donne che vogliono amare ma non hanno il coraggio e altre che sperano che presto arrivi qualcuno a cui appoggiarsi per poter camminare sicure. Ci sono gesti semplici, come guidare un’auto, che diventano difficilissimi se negli anni abbiamo deciso di non farlo più; e gesti difficili, come ricoverare un figlio in una clinica psichiatrica, che diventano semplici quando non si riesce a trovare nessun’altra soluzione. C’è amore, c’è odio, tradimento, amicizia, logoramento, apparenza, sofferenza, gioia, dolore. Vita.
Un giorno bisognerebbe studiarlo, questo particolare silenzio dei viaggi in macchina, della notte, quando si torna a casa dopo aver sfoggiato una serenità a uso e consumo degli altri, un misto di conformismo e autoinganno. Un silenzio che non può essere rotto neanche dalla radio, perché chi, in questa muta guerra di resistenza, avrebbe il coraggio di accenderla?
Yasmina Reza è brava a farci vedere tutto questo in tanti piccoli spaccati di quotidianità di vita di coppia. Tanti piccoli racconti, che possono essere a se stanti ma anche collegati tra loro, perché tra tutti c’è un legame: nei personaggi, che si chiamano tra una storia e l’altra, ma soprattutto in quella sensazione di apparenza e impotenza, di amore che c’è ma non si manifesta o che non c’è ma potrebbe esserci se solo lo si volesse.

“Non puoi essere felice in amore se non hai un talento per la felicità” dice a un certo punto uno dei protagonisti, che ama e odia la moglie al tempo stesso, che ha un’amante ma a casa torna sempre, rivolto a un suo amico, che la moglie la ama eccome, ma che si ritrova ad affrontare insieme a lei qualcosa di troppo grande e difficile.
Qui sono pochi gli amati e gli amanti felici, sono pochi quelli che possono prescindere dall'amore (ma c’è davvero qualcuno che può vivere senza amore?). Pochi i felici che sono davvero felici.

Felici i felici di Yasmina Reza è stata una vera sorpresa. Un libro molto bello, a tratti un po’ destabilizzante per quanto a fondo, nella sua semplicità, analizza l’amore e quella felicità che si presuppone dovrebbe lasciare, ma che troppo spesso invece non c’è.

Titolo: Felici i felici
Autore: Yasmina Reza
Traduttore: Maurizia Balmelli
Pagine: 165
Editore: Adelphi
Acquista su Amazon:
formato brossura: Felici i felici

sabato 25 aprile 2015

GLI UOMINI IN GENERALE MI PIACCIONO MOLTO - Véronique Ovaldé

Ho acquistato Gli uomini in generale mi piacciono molto di Véronique Ovaldé senza avere la minima idea di che cosa parlasse. Mi ha attratta molto il titolo e ancora di più la stupenda copertina dell’edizione tascabile di minimum fax. Mi piacevano i colori, mi piacevano quei cuori  rossi gommosi e come il tutto si presentava visivamente.
Ho letto la quarta solo una volta arrivata a casa, ma non ho provato alcun stupore nello scoprire che il libro è tutt'altro che leggero e che tratta un tema molto forte, quello della violenza e dell’amore, da parte di chi dovrebbe o vorremmo che ci volesse bene.

Protagonista è Lili, che vive con il compagno Simon in un piccolo appartamento e che ama andare a trovare gli animali nel vicino zoo. Finché un giorno, proprio lì dove si sente più tranquilla, non le pare di vedere un’ombra che le riporta alla mente tutto il suo passato: una madre morta troppo presto, un padre padrone assente, troppo preso dall'ascesa del suo nuovo folle partito, un fratellino rimasto traumatizzato che ripone in lei ogni speranza, dei vicini di casa gentili e un uomo che sembra dare alla Lili quattordicenne tutto l’amore di cui ha bisogno. Un passato che Lili, per quanto si sforzi, non riesce in alcun modo a dimenticare. Tutto è ancora troppo aperto: lo sono le violenze, psicologiche e fisiche, ma lo è, purtroppo, anche l’amore. E Lili deve trovare il coraggio di chiudere tutto questo. In un solo modo possibile.

Ammetto che nelle prime trenta pagine non riuscivo bene a capire che cosa stessi leggendo. La narrazione è affidata direttamente a Lili e nelle sue parole c’è del disordine, c’è della follia che impiega un po’ di pagine per acquisire un suo senso. Una volta però che si scopre che cosa questa ragazza sta realmente raccontando, tutto acquisisce un senso, anche la sua confusione, e la durezza e il dolore, ma anche la voglia di liberarsene, invadono le pagine e lasciano senza fiato.
La vita di Lili è fatta di amori e di perdite: l’amore per la madre, che di colpo non c’è più, l’amore per il padre, che non ha mai potuto mostrarsi perché troppo presto trasformato in paura, l’amore per il fratello, troppo piccolo per riuscire ad affrontare tutto quanto, l’amore per quell'uomo che lei credeva l’avrebbe aiutata a vivere. E l’amore per se stessa, che appare e scompare, e su cui dovrà puntare per potercela fare.
È un personaggio forte e potente, ma anche fragile e insicuro, quello creato da Véronique Ovaldé con questo suo ostile, inizialmente ostico sì, ma incredibile una volta arrivati alla fine.

Gli uomini in generale mi piacciono molto è un libro difficile da leggere e da comprendere (e immagino anche da scrivere). Però superati questi ostacoli, superato lo stupore legato allo stile, è un libro che conquista, che fa male e che fa pensare, all’amore e a tutte le cose che troppo spesso noi donne ci lasciamo fare nel suo nome. Un libro da leggere.

Titolo: Gli uomini in generale mi piacciono molto
Autore: Véronique Ovaldè
Traduttore: Lorenza Pieri
Pagine: 122
Editore: minimum fax
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