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Illustrazione di Gwen Van Knippenberg |
E ovviamente di continuare a leggere!
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Illustrazione di Gwen Van Knippenberg |
(Queste considerazioni sono state pubblicate sulla pagina Facebook del blog, ma ho deciso di riportare piano piano tutte le recensioni anche qui, così da non perderle e ritrovarle più facilmente nel tempo)
Tutti sanno cos'è successo, tutti sanno chi ha picchiato più duro e chi alla fine è andato oltre, nessuno sa di preciso perché ma è come se un perché non servisse nemmeno.
La notte rossa di Rebecca Godfrey (pubblicato da NN Editore con la traduzione di Fabio Bernabei) racconta di quell'omicidio, un fatto realmente accaduto che Rebecca Godfrey ha analizzato nel dettaglio, partendo dal ritrovamento del corpo di Reena e ricostruendo i suoi ultimi giorni e poi gli anni successivi, quelli del processo a Warren e Kelly, i due che dopo che era stata massacrata di botte hanno concluso l'opera. Ma soprattutto racconta i caratteri e le dinamiche tra la vittima e i carnefici, tra questo gruppo di adolescenti accomunati da una serata di follia, e descrive il contesto sociale in cui il tutto si svolge, fornendo un ritratto lucido e fedelissimo di un disagio giovanile ormai considerato quotidianità e che fino a quel momento non era mai del tutto esploso.
È un libro tostissimo, ma è anche il più bello che abbia letto finora quest'anno. L'ho terminato in due giorni, perché impossibile da mettere giù. Rebecca Godfrey trasforma questa storia terribile in un romanzo, lucido, agghiacciante ma anche molto umano, in cui si parla di bullismo, di emarginazione, di desiderio di accettazione e di far parte di un gruppo, di fragilità nascoste che emergono nei modi più impensabili, di coraggio e di senso di colpa. Di redenzione.
Non so se l'aver a che fare ogni giorno con ragazzini e ragazzine coetanee di Reena e dei suoi carnefici possa aver influito sulla mia percezione del libro. In parte forse sì, sebbene fortunatamente nulla di così grave e terribile sia mai successo attorno a me. Ma Rebecca Godfrey è stata così brava nel mostrare le fragilità e le difficoltà, il desiderio di essere accettati, anche a costo di passare sopra gli altri, il desiderio costante di sfida e di sentirsi i più forti, la consapevolezza, che arriva solo dopo, di aver sbagliato, che è impossibile non riconoscerle anche nella quotidianità di oggi.
Insomma, La notte rossa è un libro assolutamente da leggere.
(Queste considerazioni sono state pubblicate sulla pagina Facebook del blog, ma ho deciso di riportare piano piano tutte le recensioni anche qui, così da non perderle e ritrovarle più facilmente nel tempo)
Sua madre ora si accovacciò e sembrò voler fare qualcosa ma non era sicura di cosa. Si mosse come per toccare Lucy e Lucy sussultò, perché anche se non l'aveva mai colpita, l'aveva toccata così di rado che persino una carezza era allarmante. Così Carmel si fermò e incrociò le braccia per tenere a bada l'irrequietezza, e piuttosto guardò Lucy negli occhi e disse quello che negli anni successi si sarebbe impegnata a ripetere e a dimostrare, disse, Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto. E poi disse, Andiamo a casa
(Queste considerazioni sono state pubblicate sulla pagina Facebook del blog, ma ho deciso di riportare piano piano tutte le recensioni anche qui, così da non perderle e ritrovarle più facilmente nel tempo)
Ho terminato da qualche giorno la lettura di Un giorno di festa di Joyce Maynard, tradotto da Federica Merani per NN Editore.
È la storia del tredicenne Henry e di sua madre Adele, una donna che dopo un doloroso divorzio si è come chiusa in se stessa, incapace di reggere ancora tutto il dolore della sua vita. Si prende cura del figlio come può, andando a far la spesa solo quando la scorta di zuppa in barattolo sta ormai finendo o a Henry serve qualcosa che non si può rimandare. Eppure una volta Adele era una donna felice, che amava ballare in soggiorno e lasciarsi trasportare dalla musica.
Proprio durante una di queste rare uscite con la madre, nel fine settimana del Labour Day, Henry viene avvicinato da un uomo sanguinante che gli chiede aiuto. Si chiama Frank ed è appena evaso dall'infermeria del penitenziario. Senza esitare, Henry e Adele decidono di aiutarlo e di accoglierlo in casa loro. Una decisione quasi impulsiva che riporta però improvvisamente un po' di luce e colore nella vita da troppo tempo grigia di madre e figlio. Una parentesi di pochi giorni, che cambia radicalmente le vite di entrambi.
Un giorno di festa è un inno alla speranza dopo il dolore e la sofferenza. È un invito ad aprirsi agli altri, a cogliere al volo le occasioni inaspettate anche quando sembrano completamente assurde, a darsi seconde possibilità e a non smettere di credere in un futuro migliore.
La storia di Adele e del suo profondo dolore mi ha commossa, grazie anche alla bravura di Joyce Maynard a raccontare tutto con estrema delicatezza. E mi ha stretto un po' il cuore anche Henry, nel suo desiderio di stare vicino alla madre nonostante tutto e alla sua paura di non far parte della sua felicità.
Di Joyce Maynard avevo già apprezzato molto L'albero della nostra vita (pubblicato sempre da NN editore con la traduzione di Silvia Castoldi), ma Un giorno di festa mi è piaciuto ancora di più, per il messaggio che trasmette, per l'idea folle e poetica che chiunque possa davvero cambiare la nostra vita e aiutarci a superare il dolore e ricominciare a vivere, amare e ballare.
L'Angelo nero che sovrastava i defunti senza nome cominciò a ballare. La lapide su cui posava era lunga come due uomini, fitta di nomi cesellati nel marmo molti decenni prima, ma ancora lucida. Reggeva alta una torcia, nel caso che la Verità tentasse la fuga con il favore delle tenebre.
Al manicomio sprofondò ancor di più nel buco, il buco di tristezza sotto i nostri piedi che ci chiama quando perdiamo l'orientamento o un qualunque motivo per andare avanti, il confortante precipizio al di là degli affanni comuni e del buonsenso, giù nella voragine fino alla malinconica poltrona il cui conforto diventa un pericolo in quellospazio solitario, e ci vogliono anni, o un'eternità, perché chi vi si è arenato ritrovi l'energia per alzarsi da quel soffice e mesto isolamento, per tornare verso il buco e arrampicarsi di nuovo su, verso i noti pericoli del mondo alla luce del sole.
Alma DeGeer Dunahew, con la sua indole ostile e sofferente, le sue oscure ossessioni e il suo primitivo bisogno di vendetta, era il grande cuore rosso della nostra famiglia, il cuore vero, quello che teniamo nascosto e ci sorregge.
Passarono anni prima che imparassi a volerle bene.
Lui saltò un altro steccato e risalì Hill Street e il mondo dietro di lui si squarciò e volò in aria, e lui si girò verso il cielo infuocato da un getto arancione che saliva ondeggiando in una torre molto più alta dell’orizzonte, e si fermò, vide un edificio in frantumi schizzare in aria con la gente che volava giù, e restò lì incapace di muoversi, incapace di muoversi o distogliere lo sguardo, sentì le urla tremende, le grida, l’agonia della gente che arrostiva, e non passò un giorno o una notte in cui non le sentisse.
Non era il paradiso e non era l'inferno, solo un rettilineo che gli passava in mezzo.
«Mi sa che non credo più nel lieto fine.»
«Io non penso di averci mai creduto» risposi. «Ma avrei sempre voluto farlo.»«Secondo te va bene se forse, solo per il momento, credo in un presente felice?»«Può andare» dissi «a patto di viverlo insieme.»
Micah si portò pollice e indice alle labbra e fischiò. Di lì a poco una vecchia capra sbucò da dietro la casa. Micah e Lyris l'avevano cresciuta insieme.
La capra si avvicinò con passo felpato sull'erba. I ciuffi rossi e bianchi del suo manto avevano assunto varie sfumature argentee. Scrutò i presenti e poi fissò Micah, come a dire: «Ehi, aspetta, te ne stai andando? È di questo che si tratta?»
Micah si lasciò cadere in ginocchio e le arruffò il manto stopposo e lungo. Si sforzò chiaramente di non piangere, ma pianse comunque. La capra guardava con occhi a fessura la strada davanti alla casa.
«È più difficile di quanto avessi immaginato» disse Micah.
«Ho trovato una fidanzata, pa'».
Tiny si sentì vecchio a quella notizia.
«Una fidanzata, Micah».
«Si chiama Charlotte. Va a cavallo».
«Devo aprirle le porte, capito? E non farle prendere freddo».
«Okay, pa'».
«Prendono freddo facilmente. Cioè, magari non tutte, ma tante sì».
«Le prenderò dei guanti».
«Bravo. E se ha freddo togliti la giacca e dalla a lei. Non so bene perché ma è una cosa molto importante».
Tornati a casa di mio padre, ti riposi vicino ai miei piedi sul tappeto del soggiorno e io fumo arruffandoti le radici rosse del pelo. Adesso sei tornato tu. Quel tu che non si siede, non resta fermo, non si blocca e non sta al piede a comando, che non viene quando lo chiamo, che non sa camminare come si deve, proprio per niente. Eppure devo ammirare il modo in cui resti te stesso. Non voglio trasformarti in uno di quei giocattoli a batteria che abbaiano e fanno la capriola quando premi l'interruttore. Ho sbagliato a dirti che sei stato cattivo. Ho sbagliato a cercare di importi un po' della mia umanità, visto che il genere umano non mi ha mai portato nulla di buono.
Di sera guardiamo la televisione. A te piacciono i documentari sulla natura, soprattutto se ci sono versi d'uccelli acutissimi. A me piacciono i reality show. Mi piace il fatto che, senza copione, la gente non sa cosa dire o dice le cose sbagliate. Mi piace che, senza cipolle, la gente piange comunque; anzi, piange meglio.Io non ho fatto la vita dei personaggi della televisione. Non ho combattuto in guerra, non mi sono innamorato. Non ho mai tirato un pugno a un uomo o preso per mano una donna. Non ho vissuto al massimo, non ho avuto una vita piena, ma voglio comunque credere che sia stata intensa, che sia stato capace di mettere in discussione e riflettere sulla mia esistenza nulla e vuota,e a volte anche di capirla.
Tu non mi appartieni, Unocchio. Tu non mi appartieni e ho sbagliato a trattarti come se fossi mio. Tu appartieni alle colline ingannatrici, ai campi e ai fossi irrefrenabili, alle buche della foresta, alla linea dell’orizzonte, ai tassi.Le stagioni non mi appartengono, il mare non mi appartiene, il cielo non mi appartiene. È mia soltanto la casa di mio padre, e anche se cambiassi tornerei a essere quello di prima.
È in tuta e non vorrebbe esserlo, mentre lo guarda farsi vicino vorrebbe essere pettinata e vestita diversamente, vorrebbe essersi truccata, vorrebbe che lui la vedesse bella, vorrebbe, pensa, che lui la baciasse, vorrebbe che lui trovasse il coraggio di prenderle il viso tra le mani e vorrebbe sentire il calore del suo fiato sulle guance e sulle labbra che adesso sono arrossate mentre Valerio le sta porgendo le margherite e, finalmente, piange.
"Disse che avrebbe voluto sposarsi il giorno del suo compleanno, lui rispose di sì.Erano giovani, era il ventotto luglio, faceva caldo, erano belli."
Arrivò una cameriera con una matita dietro l'orecchio.«Candy, cosa vuole la gente?» le domandò il barista.
«Un po' d'amore, immagino» rispose lei.
Tanto tempo prima, diffondeva la religione tra chi era disposto ad ascoltare. Ricordava di aver viaggiato con la Bibbia bianca tra le mani, mentre i merli dalle ali rosse svolazzavano da un palo all'altro. Come tutti, voleva indietro qualcosa che aveva perduto e che non si trovata da nessuna parte.
«[…]Non sappiamo cosa sei stata, così come ignoriamo cosa diventerai, ma sotto sotto non so quanto tu sia diversa, perché è tutto casuale. È sempre la stessa storia: “Succede questo, succede quest’altro, ed eccoci qui”. E voglio essere sincero con te: anche io a volte faccio cose che mi sembrano senza senso. Il meglio che possiamo fare è ricordarci l’uno dell’altro e, per l’amor del cielo, fare una telefonata quando vediamo che è tardi».
Posso spegnere il mio cuore quando voglio, aveva detto.
Per anni le avevo creduto.
Ma ora so qual è la verità. La verità è che siamo pazzi, malati d’amore, tutti quanti.
La gestazione dura poco più di novanta giorni. Se allo stato brado le vengono sottratti i cuccioli la madre li cerca per ore, ruggendo di continuo.
Raccontami ancora della riproduzione del giaguaro, dissi.
Lo farei anch’io, dissi. Te lo giuro.
Voglio esagerare, spiegare, esaltare, espiare. Voglio raccontarle della proscimmia in via d’estinzione che ho nell’armadio. Voglio chiamarla e dirle che le voglio bene. Voglio raccontarle un’altra storia a cui lei non crederà.
Chiamai a casa. Rispose mio padre. Ciao papà, dissi. Posso parlare con la mamma?Un attimo, disse. Penso sia fuori con il cane. Come stai tesoro?
Papà era infinitamente affidabile, il padre per antonomasia, mi mandava fiori per il compleanno, mi chiamava spesso, teneva i miei disegni delle elementari incorniciati in ufficio. In quell'istante, sentendo la sua voce, mi venne voglia di avere di nuovo dieci anni, di non sapere nulla del mondo, di sentirmi al sicuro davanti a casa a guardare la mamma che faceva giardinaggio e papà che grigliava hamburger, e a pensare solo ai compiti di ortografia o a prendere l'autobus. Oppure quando andavamo tutti insieme a camminare nei boschi di Camden, dopo il viaggio in macchina sui tornanti della Kancamagus Higway con la radio accesa.
LUI: Però non è in negozio che la incontro, succede durante la pausa, lei esce per fumarsi una sigaretta sul marciapiede, a pochi passi dalla vetrina.LEI: Che cretina, non ho l'accendino.LUI: Più tardi, quante volte si dirà se solo avessi avuto l'accendino.LEI: O dei fiammiferi.LUI: O due bastoncini da sfregare.LEI: E invece no, niente di tutto questo, e così aspetto di vedere un passante che fuma e il passante che fuma...LUI: Sono io.LEI: È lui.LUI: Siamo noi.LEI: No, non ancora, per ora lui è lui e io sono io. Gli dico scusi avrebbe da accendere?LUI: La guardo, sorrido, rispondi sì.LEI: Lo guardo, sorrido, dico grazie.LUI: È così stupido se ci pensi.LEI: Ma così bello.LUI: È la vita.LEI: Già, la vita.
LUI: il 14 luglio, festa nazionale, ci piomba addosso una nuova crisi.LEI: Eravamo tranquilli, era una bella giornata, era il mio compleanno.LUI: Un granello di sabbia si deve essere infilato da qualche parte.LEI: Forse ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire.LUI: O io non ho risposto quello che avrei dovuto rispondere.LEI: Strana cosa, le cazzate, credi che non esistano e all’improvviso sono dappertutto.LUI: È come un raffreddore, puoi provare tutte le cure del mondo ma in realtà devi solo aspettare che passi.LEI: Smocciando.LUI: Smocciando.LEI: Starnutendoti addossoLUI: Noi due così vicini cinque minuti faLEI: Non siamo più che insulti e conflittualità.
LEI: Siamo fortunati.
LUI: Capitiamo bene.
LEI: Passiamo per gli eccentrici della zona.
LUI: Abbiamo una grande casa sempre aperta.
LEI: Con un giardino giungla.
LUI: I bambini si fanno un sacco di amici.
LEI: La gente del posto saluta la bibliotecaria che passa per strada.
LUI: E dà un colpo di clacson al postino che passa con il suo furgoncino.
LEI: Viviamo in un’allegra canzone d’altri tempi.
LUI: E non succede più niente.
LEI: Nient’altro che questa canzone.
LUI: Che passa e ripassa per tre anni.
LEI: Tre anni di vita che hai voglia di prendere, stringere e infilare in una scatola per custodirli gelosamente sotto il cuscino.
LUI: Una scatola che potresti aprire quando vuoi per toccare, vedere, annusare, assaggiare quei tre anni felici.
GRANDE PUFFO: Finché non puffa tutto.
«Dammi la mano» le disse. Lei gliela diede. Le dita di Louise erano forti e calde. «Grazie» disse lui. Rimasero così, con le mani appoggiate sul tavolo.«Non c'è di che» disse lei.
Attorno a loro si sviluppano tante altre storie, più o meno grandi. C’è quella di Tiny, l’ex marito di Louise, che fatica ad accettare la fine del matrimonio, un po’ per orgoglio un po’ per amore, e che inizia a spostarsi, da una cittadina all’altra, da un lavoro strambo all’altro, fino a tornare a Grouse County. C’è quella di Quinn, il neonato trovato da Dan abbandonato in un carrello del supermercato e attorno a cui tutto il paese si stringe. C’è quella di Albert e del suo amore contrastato per Lu Chiang, la studentessa di Taiwan giunta a Grouse County con un programma di studi e ritrovatasi a badare ai polli. C’è quella di Carol e Kenneth Kennedy e dei pesci dello stagno del loro villaggio vacanze. Quella del fotografo Kleeborg, della spogliarellista Marnie e ancora tante, tante piccole altre storie.«Cos’è che stavi scrivendo?» disse Dan mentre uscivano, e lei gli porse un foglietto su cui aveva scritto, quattro volte: dimostrami amore.«Lo farò» disse lui.
«Louise?».
«Sì. Che cosa c'è?».
«Non dimenticarti delle cose belle».