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venerdì 23 marzo 2018

fiore frutto foglia fango - Sara Baume

Tornati a casa di mio padre, ti riposi vicino ai miei piedi sul tappeto del soggiorno e io fumo arruffandoti le radici rosse del pelo. Adesso sei tornato tu. Quel tu che non si siede, non resta fermo, non si blocca e non sta al piede a comando, che non viene quando lo chiamo, che non sa camminare come si deve, proprio per niente. Eppure devo ammirare il modo in cui resti te stesso. Non voglio trasformarti in uno di quei giocattoli a batteria che abbaiano e fanno la capriola quando premi l'interruttore. Ho sbagliato a dirti che sei stato cattivo. Ho sbagliato a cercare di importi un po' della mia umanità, visto che il genere umano non mi ha mai portato nulla di buono.



Io sono una di quelle persone che si ferma a salutare ogni cane che vede per strada. Che si ferma a guardare le somiglianze tra l’animale e il suo padroncino e a immaginare quale rapporto ci sia tra loro, e che si commuove di fronte a ogni gesto di tenerezza che si scambiano.
Non ho mai avuto un cane mio. Più volte ci ho pensato, ma per un motivo o per l’altro non è mai il momento giusto. E poi ora ho una gatta bellissima, a cui voglio molto bene.

Credo siano stati tutti questi motivi a spingermi verso fiore frutto foglia fango, il romanzo d’esordio della scrittrice irlandese Sara Baume, da poco uscito per NN editore con la traduzione di Ada Arduini. Mi piaceva tantissimo il titolo, mi piaceva tantissimo la copertina, ma soprattutto la sua trama: un cane senza un occhio che viene adottato da un uomo senza niente se non se stesso, le sue abitudini e i suoi ricordi.

Sono una coppia un po’ strana, Unocchio e Ray. L’uomo lo ha adottato d’impulso, dopo aver visto un annuncio sulla vetrina di uno dei negozietti del piccolo paese irlandese in cui abita. Quando lo ha visto la prima volta, quando ha visto il suo aspetto malandato e la sua paura, Ray ha capito che era il suo compagno giusto. D’altronde anche Ray è un solitario: lo è sempre stato, fin da bambino, e lo è diventato ancora di più quando suo padre, che si è preso cura di lui per tutta la vita, è morto.
Unocchio e Ray riescono a crearsi quasi subito una routine, fatta di passeggiate e corse sulla spiaggia, di annusate tra i cespugli e di coccole in poltrona.

Di sera guardiamo la televisione. A te piacciono i documentari sulla natura, soprattutto se ci sono versi d'uccelli acutissimi. A me piacciono i reality show. Mi piace il fatto che, senza copione, la gente non sa cosa dire o dice le cose sbagliate. Mi piace che, senza cipolle, la gente piange comunque; anzi, piange meglio.Io non ho fatto la vita dei personaggi della televisione. Non ho combattuto in guerra, non mi sono innamorato. Non ho mai tirato un pugno a un uomo o preso per mano una donna. Non ho vissuto al massimo, non ho avuto una vita piena, ma voglio comunque credere che sia stata intensa, che sia stato capace di mettere in discussione e riflettere sulla mia esistenza nulla e vuota,e a volte anche di capirla.

Nessuno però può entrare nel loro mondo. Unocchio non lo permette. Finché un giorno, proprio durante una delle loro passeggiate, il cane azzanna un altro cane e i due sono costretti a scappare. Inizia così un lungo viaggio in auto apparentemente senza meta, in cui i due a poco a poco impareranno a conoscersi sempre di più, a vicenda, ma soprattutto se stessi.

Il potenziale affinché fiore frutto foglia fango mi piacesse tantissimo c’era tutto. C’è la tenerezza del rapporto tra un cane e il suo padrone; c’è la storia di Ray, quest’uomo solitario che non è mai riuscito a trovare il suo posto nel mondo, ma che al tempo stesso vive bene nelle sue piccole abitudini e routine, lontano da tutti; c’è il viaggio alla ricerca di se stessi che non porta poi così lontano da dove si è partiti.

Tu non mi appartieni, Unocchio. Tu non mi appartieni e ho sbagliato a trattarti come se fossi mio. Tu appartieni alle colline ingannatrici, ai campi e ai fossi irrefrenabili, alle buche della foresta, alla linea dell’orizzonte, ai tassi.
Le stagioni non mi appartengono, il mare non mi appartiene, il cielo non mi appartiene.  È mia soltanto la casa di mio padre, e anche se cambiassi tornerei a essere quello di prima.

Eppure, qualcosa tra me e questo romanzo non ha funzionato del tutto. Ho trovato delle parti bellissime e tenerissime, ma anche altre davvero faticose, soprattutto nelle descrizioni della natura circostante, così importante per Ray e per Unocchio, ma in cui io confesso di essermi un po’ persa. Sara Baume è una grande osservatrice, che presta attenzione anche al più piccolo dettaglio, e anche una grande conoscitrice della natura: qui si trovano riferimenti a uccelli, piante, fiori sconosciuti ai più, che lei invece riesce a descrivere in modo magistrale, oltre che dettagliato. Forse fin troppo, almeno per quanto mi riguarda (forse perché, pur essendo io cresciuta in campagna, in mezzo a campi, prati, colline, alberi e fiori, non ho mai prestato attenzione ai nomi delle cose, mi sono limitata a osservarle).

In ogni caso, se si ha un cane o lo si ha avuto in passato, ma anche solo se si amano senza mai averne avuto uno,  fiore frutto foglia fango farà commuovere fin dalla prima pagina, fin da quella corsa disperata di Unocchio per salvarsi la vita e dal momento in cui Ray se lo carica in auto. 
Ed è sicuramente un libro molto poetico, che, tra il nome di una pianta e l'altro e una descrizione e l'altra, riesce a raccontare al meglio quale straordinario rapporto si possa creare tra un cane e chi decide di adottarlo, ma soprattutto tra due esseri solitari che decidono di unire le loro solitudine.


Titolo: fiore frutto foglia fango
Autore: Sara Baume
Traduttore: Ada Arduini
Pagine: 236
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: NN editore
Prezzo di copertina: 18,00 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Fiore frutto foglia fango
formato ebook: fiore frutto foglia fango

venerdì 13 novembre 2015

IL PESO - Liz Moore

Prima di tutto quanto, prima che Marty morisse, Marty, la mia più cara amica al mondo. Quando ancora insegnavo e anche prima. Quand’ero bambino. Quando non ero ancora nato. Mi sentivo destinato alla solitudine, certissimo che un giorno mi avrebbe trovato, così quando è accaduto non mi sono stupito e l’ho perfino salutata con gioia.
per tutta la vita ho incontrato solo una persona con la quale ho sentito un legame di questo genere, ed era Charlene Turner. Dal momento in cui l’ho conosciuta ho pensato, Anche tu? E dallo sguardo che aveva negli occhi ho capito che si sentiva così anche lei. All’epoca era più sola di me, lo intuivo, e questo mi ha spinto ad amarla.

Il dramma della solitudine lo chiamano al tg, ogni volta che viene ritrovato il corpo senza vita di una persona che ha sempre vissuto ed è sempre stata sola. Talmente sola che nonostante sia morta da mesi, anni, nessuno se n’era accorto prima. Mi colpiscono sempre molto, queste notizie. Pur non avendo io tanti parenti, e nemmeno poi così tanti amici, mi è inconcepibile pensare che per tutto quel tempo, nessuno si preoccupi per me, si chieda che fine ho fatto. Un parente, un amico, un conoscente, l’Enel, un vicino. Possibile che davvero nessuno si accorga quando una persona sparisce?

La sensazione che ho provato per buona parte della lettura di Il peso di Liz Moore, tradotto da Ada Arduini e pubblicato da Neri Pozza, è stata un po’ quella. 
Arthur Opp è molto grasso, eppure è invisibile. Per sua scelta, almeno in parte. Vive recluso in casa da anni, ordina solo online e apre solo al fattorino che gli consegna i suoi pacchi. Sua madre è morta, suo padre li ha abbandonati quando era ancora bambino e si è fatto una vita da un’altra parte. La sua migliore amica, anche lei, non c’è più. Gli rimane il ricordo di Charlene, quella strana studentessa a cui ha insegnato tanti anni prima e con la quale ha intrattenuto per anni una corrispondenza. Rilegge spesso le sue lettere e lì si sente un po’ meno solo. Finché un giorno, Charlene non ricompare e le cose per Arthur cambiano. Deve pulire casa, se la donna decidesse mai di venirlo a trovare. E così entra nella sua vita Yolanda, una giovane donna delle pulizie, che si è sempre sentita un po’ invisibile. Invisibile come non è mai stato invece Kel Keller, il figlio di Charlene, una promessa del baseball che ha sempre nascosto dietro a questa sua bravura il dramma della solitudine che vive in casa con sua madre. Ed è proprio per Kel che Charlene ricontatta Arthur, prima che sia troppo tardi.

Tante sono le solitudini che si incontrano in questo libro. E sono solitudini dettate dagli eventi, ma anche soprattutto dall'incapacità di reagire e di chiedere aiuto di ognuno dei suoi protagonisti. Arthur sceglie di mangiare e di essere solo, perché non sa cos'altro potrebbe fare né chi lo potrebbe volere. Charlene prova a non stare sola, ma anche sembra che non possa fare altro. Yolanda è sola perché chi la circonda sembra non volerla, e Kel è solo anche in mezzo a tanti, nel momento in cui nasconde quello che sta vivendo a casa. È un libro che fa un po’ male, perché chissà quante persone così sole, così bisognose di aiuto ma incapaci di chiederlo, incontriamo ogni giorno sulla nostra strada. 

La cosa bella è che Liz Moore offre a tutti un’occasione di riscatto. Fa vedere che, se si vuole davvero, da questa solitudine, da questo isolamento si può uscire. Facendo una telefonata, confidandosi con una persona fidata senza paura di venir giudicati, invitando a cena un vicino che sembra invadente ma che in realtà vuole essere solo gentile.

Che poi la solitudine non è necessariamente una cosa negativa. Ogni tanto si sente la necessità di stare da soli. Però ecco, io non vorrei mai che qualcuno mi trovasse morta dopo anni e solo per via dell’odore che si sente dalla porta. Non vorrei mai che la paura degli altri mi impedisse di comunicare. Come ci insegna il libro, non bisogna mai aver paura di chiedere aiuto. Perché stare soli sì può essere rassicurante, più facile a volte, ma stare soli insieme a qualcuno lo è sicuramente di più.
Ma tornando a Il peso di Liz Moore, direi che mi è piaciuto, mi è piaciuto davvero tanto.

Titolo: Il peso
Autore: Liz Moore
Traduttore: Ada Arduini
Pagine: 351
Editore: Neri Pozza, Beat
Anno: 2012
Acquista su Amazon:
formato brossura:Il peso
formato ebook: Il peso (Bloom)

lunedì 11 maggio 2015

LA CANZONE D'AMORE DI QUEENIE HENNESSY - Rachel Joyce

Voi l'avete letto L'imprevedibile viaggio di Harold Fry? Un romanzo uscito un paio di anni fa e che ha avuto un successo strepitoso, e che racconta del pellegrinaggio che il protagonista, Harold Fry appunto, decide di affrontare per raggiungere Queenie Hennessy, una donna con cui non aveva più avuto contatti da vent'anni e che, in punto di morte, gli ha scritto un messaggio, semplicemente per salutarlo e ringraziarlo.
A me il libro era piaciuto molto. Avevo adorato Harold Fry, la sua tenerezza e la sua caparbietà in quella sua lunga camminata da una parte all'altra del Regno Unito. Mi era piaciuto il modo in cui l'autrice, Rachel Joyce, aveva criticato la società che tende a strumentalizzare un po' tutto, e amato il finale, commuovente e buonista al punto giusto, pur nel dolore.

Mai, però, mi era venuto in mente di aver bisogno di leggere questa storia da un altro punto di vista. Non credevo fosse necessario, sapere cosa pensava la donna che ha dato origine al viaggio dell'uomo. Forse perché la percepivo solo come una scusa, come uno strumento, per il cammino che Harold doveva intraprendere per ritrovare se stesso.
Eppure, Rachel Joyce, forse per riprendersi un po' dal minore successo avuto dal suo romanzo successivo, Il bizzarro incidente de tempo rubato, ha pensato bene di ritornare a disturbare Harold e, soprattutto, la povera Queenie.

Questo libro parla di lei. Dal momento in cui ha spedito il suo breve messaggio all'uomo che ha sempre amato al giorno in cui lui è finalmente arrivato. Nel mentre, ha vissuto in questa casa di cura per malati terminali, con alcuni di loro ha stretto amicizia e con loro ha condiviso l'attesa, che in qualche modo ha portato un po' di speranza in un posto in cui non ce ne può proprio essere. E ha scritto: del suo passato con Harold, di come lo ha conosciuto e si è innamorata di lui senza mai rivelarglielo, e di dove si è rifugiata dopo, quando non poteva proprio più stargli accanto. Una lunga lettera destinata proprio a lui, per raccontargli tutte quelle cose che non ha mai potuto o saputo dirgli.

Già dalle prime pagine, ho avuto la conferma che questo libro non fosse per niente necessario e che sia andato a svelare il passato in un modo un po' forzato, togliendo al lettore che ha letto il romanzo precedente (e deve averlo letto, per poterci capire qualcosa) il gusto di immaginarselo da solo. 
In più, la tristezza che traspare del libro è una tristezza quasi gratuita. Nel senso, l'attesa, il dolore, l'ineluttabilità di quello che sarebbe successo a Queenie, con l'implorazione continua di Harold di aspettarlo, era ben evidente già nel primo libro, senza che fosse necessario entrare in una casa di cura per malati terminali e vedere tutti spegnersi a poco a poco. L'idea che l'autrice voleva dare era sicuramente quella che si può e si deve cercare di essere felici fino alla fine, però ho avuto l'impressione che sfruttasse la commozione e la lacrima facile per arrivare al lettore in modo, appunto, quasi gratuito.

Detto questo, non posso sicuramente negare che il libro sia scorrevole, scritto bene e di facile lettura, e che in alcuni punti la tristezza venga soppiantata da momenti dolci e divertenti. 
Però, ecco, rimane una lettura che forse non sono tanto io che non avrei dovuto affrontare (ok, in parte sì, perché quando un autore torna su una storia già conclusa a distanza di così pochi anni, probabilmente è perché non sa più bene cosa scrivere e cerca di sfruttare un successo già avuto... ma ero curiosa, dai!) ma soprattutto che l'autrice, per rispetto della sua passata storia e dei suoi personaggi, non avrebbe proprio dovuto scrivere.

Titolo: La canzone d'amore di Queenie Hennesy
Autore: Rachel Joyce
Traduttore: Ada Arduini e Lucia Olivieri
Pagine: 342
Editore: Sperling & Kupfer
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