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venerdì 2 agosto 2024

DEMON COPPERHEAD - Barbara Kingsolver

Voleva copiare tutti il libro sull'aquilone? No. Solo le parti che gli erano piaciute di più. 
"E poi cosa succede?"
Indicò la finestra e con la mano fece segno su, su.
"Fai volare l'aquilone?"
Fece sì con la testa. Disse che spesso, dopo aver letto un libro, avrebbe voluto ringraziare  chiunque l'aveva scritto, ma di solito erano morti. Sul suo libro c'era un nome che avevo già sentito. Shakespeare. Morto, evidentemente.
"Quindi è un po' come recitare il ringraziamento?"
Fece segno di sì. Proprio così. Però mia nonna aveva detto che non si faceva, in quella casa. Quanto meno non a Dio. Ringraziare Shakespeare e gli altri, a quanto pare, andava bene.

È passata più di una settimana da quando ho terminato la lettura di Demon Copperhead di Barbara Kingsolver (tradotto da Laura Prandino per Neri Pozza), ma ho voluto aspettare un po' di tempo prima di parlarne. Volevo lasciarlo sedimentare un po', vedere che effetto mi avrebbe fatto anche una volta finito, perché capisco se un libro mi è piaciuto davvero se continuo a tornarci in qualche modo, anche quando non lo sto più leggendo.

E ancora adesso, a distanza di diversi giorni, ogni tanto mi ritrovo a pensare a Demon e alla sua infanzia sfortunata: il padre morto prima che lui nascesse, una madre che vorrebbe prendersi cura di lui ma non riesce nemmeno a prendersi cura di se stessa, fino all'ingresso nel mondo delle famiglie affidatarie... un destino che lui affronta come può e con i mezzi che ha, cercando di rimanere il più possibile a galla aggrappandosi ai pochi punti fermi che ha: i vicini di casa, la famiglia Peggot, scalcagnata come la sua e che cerca però di prendersi cura di lui; la sua passione per i supereroi della Marvel, che gli consentono di trasformare ogni sua giornata in una lotta tra buoni e cattivi; se stesso.

Ma ripenso anche a Demon quando arriva nell'adolescenza, quando scopre di essere bravo in qualcosa e che forse forse qualcosa nel suo destino segnato può cambiare, deve solo arrivare la svolta, svolta vera. Con tutto ciò che ne consegue.

Demon Copperhead è un romanzone, che in alcuni punti ti massacra, per il dolore che racconta, e in altri ti fa anche un po' arrabbiare. In alcuni punti questa sua lunghezza si sente e, personalmente, ho trovato l'ultimo centinaio di pagine un po' sfilacciato, rispetto al resto. Ma forse perché ancor più sfilacciata, incredibilmente, è la vita di Demon, nella sua incapacità di concepire che anche per lui, volendo, le cose potrebbero andare bene.

Comunque Demon Coppehead è uno di quei libri che una volta letto non puoi dimenticare e che ogni tanto ti torna in mente, anche mentre stai facendo altro. Ed è l'ulteriore conferma di quando già avevo sostenuti in precedenza: i premi Pulitzer sono una vera garanzia.

lunedì 5 dicembre 2016

LA DANZA DELLE FALENE - Poppy Adams



Ho sempre avuto una certa passione per le saghe famigliari. Mi piacciono quei libri che raccontano le storie, i rapporti, i segreti, le evoluzioni che nascono all’interno di un nucleo famigliare e segnano l’esistenza di chi le vive. Forse perché sono, sostanzialmente, una persona curiosa, forse perché sono convinta che in ogni famiglia, in ogni casa, ci sia una storia da raccontare. Mi piacciono quelle saghe famigliari che partono da lontano e ripercorrono le vite di molte persone, ma anche quelle che si concentrano solo su una generazione.

La danza delle falene di Poppy Adams, pubblicato in Italia prima da Neri Pozza e poi da BEAT edizioni con la traduzione di Massimo Ortelio, rientra in quest’ultima categoria. Un padre, una madre e due figlie, Ginny e Vivian.
Il racconto inizia con le due sorelle ormai anziane. Ginny non ha mai lasciato la casa in cui è nata e ha vissuto, portando avanti per tutta la vita il lavoro di lepidotterista ereditato dal padre Clive, e ora vive in un mondo fatto di abitudini e routine che non vuole sia turbato da nessuno. Ma sua sorella Vivian, dopo più di quarant'anni d’assenza, ha deciso di tornare, per vivere gli ultimi anni della sua vita con la sorella. Dall’arrivo di Vivian a casa, una marea di ricordi sopiti e a volte distorti si fa largo nella mente di Ginny, che si ritrova a ripercorrere tutto il passato della sua famiglia: da quella volta in cui Vivian è caduta da una torre ed è sopravvissuta per miracolo, ai ricordi della loro infanzia e adolescenza, fino alla morte della madre prima e del padre poi, avvenuta molti anni dopo. Eppure Ginny è turbata da qualcosa, qualcosa che la presenza di sua sorella non fa che alimentare. Verità, segreti e risentimenti del passato vengono a galla e l’anziana donna sa che esiste solo un modo per farli tacere.

Quando sono arrivata alla fine di La danza delle falene per qualche minuto sono rimasta semplicemente senza parole. Un finale che non mi aspettavo e che ha esplicitato al meglio quello strano senso di inquietudine che mi ha accompagnata durante tutta la lettura e mi ha tenuta incollata alle pagine.
Era da tempo che non mi capitava di provare questa sensazione, leggendo. Ed era da tempo che non trovavo un personaggio così ben caratterizzato come quello di Ginny, che in parte fa una tenerezza infinita, per la sua ingenuità, in parte inquieta tantissimo, proprio per lo stesso motivo. E quindi tu ti ritrovi a leggere e non capire del tutto quale sia la ragione, quale sia la verità. Che cosa effettivamente sia successo.

È un libro bello, questo di Poppy Adams. Un libro che coinvolge (anche se alcune delle parti sulle falene e gli insetti sono un pochino noiose), appassiona e tiene ben desta l’attenzione del lettore fino all’ultima pagina. Assolutamente da leggere.


Titolo: La danza delle falene
Autore: Poppy Adams
Traduttore: Massimo Ortelio
Pagine: 294
Editore: BEAT
Prezzo di copertina: 9€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: La danza delle falene

venerdì 13 novembre 2015

IL PESO - Liz Moore

Prima di tutto quanto, prima che Marty morisse, Marty, la mia più cara amica al mondo. Quando ancora insegnavo e anche prima. Quand’ero bambino. Quando non ero ancora nato. Mi sentivo destinato alla solitudine, certissimo che un giorno mi avrebbe trovato, così quando è accaduto non mi sono stupito e l’ho perfino salutata con gioia.
per tutta la vita ho incontrato solo una persona con la quale ho sentito un legame di questo genere, ed era Charlene Turner. Dal momento in cui l’ho conosciuta ho pensato, Anche tu? E dallo sguardo che aveva negli occhi ho capito che si sentiva così anche lei. All’epoca era più sola di me, lo intuivo, e questo mi ha spinto ad amarla.

Il dramma della solitudine lo chiamano al tg, ogni volta che viene ritrovato il corpo senza vita di una persona che ha sempre vissuto ed è sempre stata sola. Talmente sola che nonostante sia morta da mesi, anni, nessuno se n’era accorto prima. Mi colpiscono sempre molto, queste notizie. Pur non avendo io tanti parenti, e nemmeno poi così tanti amici, mi è inconcepibile pensare che per tutto quel tempo, nessuno si preoccupi per me, si chieda che fine ho fatto. Un parente, un amico, un conoscente, l’Enel, un vicino. Possibile che davvero nessuno si accorga quando una persona sparisce?

La sensazione che ho provato per buona parte della lettura di Il peso di Liz Moore, tradotto da Ada Arduini e pubblicato da Neri Pozza, è stata un po’ quella. 
Arthur Opp è molto grasso, eppure è invisibile. Per sua scelta, almeno in parte. Vive recluso in casa da anni, ordina solo online e apre solo al fattorino che gli consegna i suoi pacchi. Sua madre è morta, suo padre li ha abbandonati quando era ancora bambino e si è fatto una vita da un’altra parte. La sua migliore amica, anche lei, non c’è più. Gli rimane il ricordo di Charlene, quella strana studentessa a cui ha insegnato tanti anni prima e con la quale ha intrattenuto per anni una corrispondenza. Rilegge spesso le sue lettere e lì si sente un po’ meno solo. Finché un giorno, Charlene non ricompare e le cose per Arthur cambiano. Deve pulire casa, se la donna decidesse mai di venirlo a trovare. E così entra nella sua vita Yolanda, una giovane donna delle pulizie, che si è sempre sentita un po’ invisibile. Invisibile come non è mai stato invece Kel Keller, il figlio di Charlene, una promessa del baseball che ha sempre nascosto dietro a questa sua bravura il dramma della solitudine che vive in casa con sua madre. Ed è proprio per Kel che Charlene ricontatta Arthur, prima che sia troppo tardi.

Tante sono le solitudini che si incontrano in questo libro. E sono solitudini dettate dagli eventi, ma anche soprattutto dall'incapacità di reagire e di chiedere aiuto di ognuno dei suoi protagonisti. Arthur sceglie di mangiare e di essere solo, perché non sa cos'altro potrebbe fare né chi lo potrebbe volere. Charlene prova a non stare sola, ma anche sembra che non possa fare altro. Yolanda è sola perché chi la circonda sembra non volerla, e Kel è solo anche in mezzo a tanti, nel momento in cui nasconde quello che sta vivendo a casa. È un libro che fa un po’ male, perché chissà quante persone così sole, così bisognose di aiuto ma incapaci di chiederlo, incontriamo ogni giorno sulla nostra strada. 

La cosa bella è che Liz Moore offre a tutti un’occasione di riscatto. Fa vedere che, se si vuole davvero, da questa solitudine, da questo isolamento si può uscire. Facendo una telefonata, confidandosi con una persona fidata senza paura di venir giudicati, invitando a cena un vicino che sembra invadente ma che in realtà vuole essere solo gentile.

Che poi la solitudine non è necessariamente una cosa negativa. Ogni tanto si sente la necessità di stare da soli. Però ecco, io non vorrei mai che qualcuno mi trovasse morta dopo anni e solo per via dell’odore che si sente dalla porta. Non vorrei mai che la paura degli altri mi impedisse di comunicare. Come ci insegna il libro, non bisogna mai aver paura di chiedere aiuto. Perché stare soli sì può essere rassicurante, più facile a volte, ma stare soli insieme a qualcuno lo è sicuramente di più.
Ma tornando a Il peso di Liz Moore, direi che mi è piaciuto, mi è piaciuto davvero tanto.

Titolo: Il peso
Autore: Liz Moore
Traduttore: Ada Arduini
Pagine: 351
Editore: Neri Pozza, Beat
Anno: 2012
Acquista su Amazon:
formato brossura:Il peso
formato ebook: Il peso (Bloom)

martedì 13 ottobre 2015

UN ANNO CON SALINGER - Joanna Rakoff

Un tipo olandese – Salinger aveva un grande seguito in Olanda, a giudicare dalla posta che riceveva – innamorato del Giovane Holden aveva seguito, durante un viaggio a New York di qualche mese prima, le tracce di Holden in giro per la città. Anche se era inverno aveva visto delle anatre a Central Park. Lo sapeva, Salinger, che adesso le anatre restavano a Central Park per tutto l’inverno?



Ho letto Il Giovane Holden di J.D Salinger qualche anno fa, e non mi ricordo quasi niente. I Nove racconti, invece, li ho letti da poco e ancora adesso mi sto interrogando sul loro significato. Forse non mi fa molto onore ammettere questa ignoranza nei confronti di questo autore americano, dai più considerato un mostro sacro della letteratura americana Però è anche inutile che vi dica “Sì, a me è piaciuto tanto” se, a parte la storia del titolo, delle anatre e dei pescibanana, io non mi ricordi quasi niente.

Quando ho visto per la prima volta il libro Un anno con Salinger di Joanna Rakoff, pubblicato in Italia da neri Pozza con la traduzione di Martina Testa, ho fatto finta di niente. Per quanto mi piacesse la copertina, perché avrei dovuto leggere qualcosa che avrebbe amplificato questa mia ignoranza?
Poi però qualcuno, che nemmeno mi conosce così tanto in realtà, mi ha detto che questo libro quasi sicuramente sarebbe stato un libro per me. Perché sì, è vero, io di Salinger non so quasi niente, ma nemmeno Joanna, autrice nonché protagonista del libro, aveva mai letto niente quando ha iniziato a lavorare nell'agenzia editoriale che lo rappresentava. Eppure gli parlava al telefono e lo chiamava tranquillamente Jerry. Quindi, fregatene se conosci poco Salinger e leggi Una anno con Salinger.

Il libro racconta la storia  vera di Joanna, fresca fresca di laurea a Londra, che torna a New York e va a lavorare per l’agenzia editoriale che, tra gli altri, rappresenta proprio Salinger. Ha una direttrice un po’ all'antica, che non accetta l’avanzare della modernità e che impone ai suoi collaboratori regole molto ferree nel trattate con i propri clienti. Tra cui, appunto, c’è anche Salinger. È il 1996, quindi è un Salinger un po’ anziano, un po’ sordo e che non pubblica libri da anni. Joanna, tra le altre mansioni, ha quella di rispondere alle lettere dei fan a lui indirizzate. Ci sono adolescenti, che si riflettono in Holden Caulfield e che leggendo la sua storia si sono sentiti meno soli. Ci sono reduci di guerra, proprio come lo è Salinger, che cercano un confronto con qualcuno che ha vissuto la stessa cosa. Ci sono persone da tutto il mondo che sentono il bisogno di dire a un autore che uno dei suoi libri ha cambiato loro la vita. Joanna a poco a poco si fa sempre più coinvolgere da queste lettere, a cui fatica a mandare la risposta standard. Ma si appassiona anche a Salinger, Jerry, e alla vita dell’agenzia, che la porta ad avere contatti con scrittori e giornali importanti, oltre che a rimettere in discussione tutto quello che ha fatto finora e, soprattutto, quello che vuole.

Un anno con Salinger mi ha coinvolta tantissimo. Forse perché parla di libri dal punto di vista degli addetti ai lavori e mostra il funzionamento, un po’ antiquato in questo caso, certo, perché siamo nel 1996, delle agenzie editoriali e dei contatti con autori e riviste, e sa il Cielo quanto mi piacerebbe lavorare in quel mondo.

Lei non aveva mai passato interi giorni stesa sul letto a leggere, notti intere a inventarsi mentalmente storie complicatissime. Non aveva mai sognato di catapultarsi nel mondo di Anna dai capelli rossi e Jane Eyre per poter avere degli amici veri, amici che capissero l'intrico spinoso dei suoi sogni e dei suoi desideri. Come faceva a passare le giornate - la vita - ad accompagnare dei libri verso la pubblicazione senza amarli come li amavo io, come dovevano essere amati?
Guardai per un attimo i suoi occhi freddi e intelligenti. Mi sbagliavo? Avevo capito male? Forse una volta lei era esattamente come me? E il tempo - e l'editoria - l'avevano cambiata?

Ma c’è stato anche qualcosa di più. La vita di Joanna fuori  e dentro l’agenzia, con le sue insicurezze, le sue paure, il suo primo approcciarsi al mondo del lavoro, la sua strana situazione sentimentale, ma anche la sua empatia con i fan che scrivono a Salinger o con il vecchio Jerry stesso,  le sue prime soddisfazioni ma anche il suo sentirsi tonta fragile (sì, con la o), insomma, tutto l’insieme di questo libro mi ha stupita, quasi come se fossi io… (parte del merito va anche al modo in cui Joanna Rakoff è riuscita a raccontare di sé, e a come Martina Testa ha reso il suo stile in traduzione).
Proprio come mi aveva detto chi me l’aveva consigliato: questo è un libro per me. 

E se amate i libri, ma anche tutto quello che c’è dietro, da quando nascono a quando arrivano ai lettori che li fanno propri, se adorate come me il lato umano degli scrittori e tutte le curiosità e le manie ad essi collegate, questo libro è anche un libro per voi. Anche se non avete mai letto Salinger.

Non so se ora andrò a rileggere Il giovane Holden o a cercare ancora una volta di trovare un senso ai Nove racconti. Forse mi prenderò ancora del tempo e poi lo farò, immaginando dietro a quelle parole il Jerry ormai anziano che Joanna Rakoff racconta così bene. 

Titolo: Un anno con Salinger
Autore: Joanna Rakoff
Traduttore: Martina Testa
Pagine: 287
Editore: Neri Pozza
Acquista su Amazon:
formato brossura: Un anno con Salinger
formato ebook: Un anno con Salinger

martedì 25 agosto 2015

INDICE MEDIO DI FELICITA' - David Machado

Io ho una passione per i pulmini Volkswagen. Non saprei dirvi bene da dove derivi, perché non ne ho mai posseduto uno né ci sono mai salita. So solo che quando li vedo, per strada o anche solo in tv, mi riempiono di allegria. Mi immagino comprarne uno, mollare tutto e partire per il giro del mondo. 
Come conseguenza di questa mia passione, sono attratta verso tutto ciò che ha a che fare, anche lontanamente, con questi pulmini: poster, adesivi, riproduzioni. E sì, anche copertina di libri. 
Ed è stato proprio il pulmino Volkswagen piazzato in copertina la prima cosa ad attirarmi di Indice medio di felicità di David Machado. Consapevole però che una bella copertina potrebbe essere fuorviante, ho letto poi la quarta e mi sono convinta definitivamente.


Protagonista del romanzo è Daniel, un trentasettenne di Lisbona da poco rimasto disoccupato dopo aver lavorato per anni in un’agenzia di viaggi. La crisi in Portogallo è infatti sempre più grave e ci si deve arrangiare come si può per riuscire a sopravvivere. La moglie di Daniel, anch'ella disoccupata, è tornata nel suo paese d’origine a casa dei suoi, portandosi dietro i figli, ma l’uomo non vuole perdere la speranza, non vuole arrendersi e decide di rimane a Lisbona.  A vendere aspirapolvere porta a porta, vivendo in auto e badando a Xavier, suo amico dai tempi delle scuole superiori, che non esce di casa da anni, e soprattutto e suo malgrado a Vasco, figlio di Almodôvar, un altro suo amico ora in galera, che sta prendendo davvero una brutta piega. 
Insieme con Xavier e Almodôvar, Daniel aveva creato un sito web per mettere in contatto tra loro le persone bisognose di aiuto. Un sito che però non ha riscosso alcun successo, se si esclude un uomo che continua a offrire passaggi con il suo pulmino a chi ne ha bisogno. Finché un giorno non arriva una richiesta di aiuto che nessuno si sente di ignorare.

La prima cosa che bisogna dire di Indice medio di felicità è che un libro molto più serio e impegnativo di quanto la copertina e la quarta non lascino intendere. La situazione di Daniel è molto grave, con la moglie e i figli lontani, la mancanza di lavoro e l'ostinazione a non arrendersi, e davvero tanto deprimente. Così come lo è quella dell’amico Xavier, che tutti temono da anni sull'orlo del suicidio, e quella di quasi tutti gli altri personaggi del libro (una donna che fa doppi lavori per riuscire a sopravvivere, un ragazzino abbandonato a se stesso che imbocca una cattiva strada, etc etc).

Non è un libro semplice da leggere, proprio come non lo è rispondere alla domanda che fa da filo conduttore: “qual è il tuo indice di felicità in questo momento?”. Una risposta impossibile da dare (voi lo sapete qual è il vostro?) e un valore difficile da far aumentare.
Cos'è l'indice di felicità? ho domandato.
Xavier si è lasciato cadere all'indietro ed è rimasto sdraiato sul piumone, la mano con la sigaretta fuori dal letto. Ha chiuso gli occhi.
Non è una statistica molto interessante, dato che manca di obiettività, mi ha risposto. Ma è il meglio che abbiamo. In verità, si basa su un questionario che prevede un'unica domanda: in una scala da 0 a 10, quanto si sente soddisfatto, complessivamente, della sua vita?
Ha fatto un tiro alla sigaretta. Il fumo gli è uscito lentamente dal naso. Poi ha aggiunto: sospetto che la maggior parte della gente risponda al questionario con leggerezza, anche perché la maggior parte della gente non ci capisce niente di felicità.
Nella seconda parte, però, arriva anche la speranza, fondamentale per poter sopravvivere. E si concretizza in un viaggio, su un pulmino vecchissimo e con una strana compagnia, che per tutti i suoi partecipanti assume un ruolo importante, una sorta di illuminazione.
Non avvicinatevi a questo libro con leggerezza (soprattutto se avete qualche problema di lavoro e di felicità in generale), perché, sebbene tutti i temi siano volutamente esasperati, vi potrebbe demoralizzare un po’, soprattutto all'inizio. 

Però leggetelo, e poi magari affittiamo tutti insieme un pulmino Volkswagen e partiamo all'avventura, in cerca della nostra felicità.

Titolo: Indice medio di felicità
Autore: David Machado
Traduttore: Romana Petri
Pagine: 267
Editore: Neri Pozza
Anno: 2015
Acquista su Amazon:
formato brossura: Indice medio di felicità

sabato 22 novembre 2014

IO NON RICORDO - Stefan Merrill Block

Ci sono libri che, ancor prima di aprirli, sai già come ti faranno stare. Sai quali ti faranno ridere e quali piangere, quali ti trasmetteranno benessere e quali dolore, quali saranno bellissimi e quali, invece, bruttissimi.
Quando ho preso in mano per la prima volta Io non ricordo di Stefan Merril Block sapevo già che avrei letto una storia bellissima e dolorosissima. Non è che ci vada un genio per capirlo, in realtà, perché il romanzo parla di Alzheimer, di una delle sue forme, se possibile, ancor peggiori del solito: l'Alzheimer famigliare a esordio precoce. Che si tramanda di genitore in figlio. Che hai il 50% delle possibilità di avere se uno dei tuoi genitori ne soffre. Che sai che non ti lascerà alcuno scampo. Ti farà dimenticare, prima le cose più inutili, poi quelle sempre più importanti.

Io non ricordo racconta di un bambino, Seth, la cui madre è affetta da questa terribile malattia e che viene quindi rinchiusa in una casa di riposo, perché l'unico modo per contenerla. Seth soffre per questa situazione, soffre per l'apparente indifferenza del padre, soffre perché sa che potrà succedere anche a lui. E per cercare in qualche modo di mitigare questa sua sofferenza, per renderla in qualche modo più sopportabile, decide di iniziare a fare ricerche, sulla malattia ma soprattutto sul passato della madre, un passato misterioso di cui non ha mai voluto parlare con nessuno. In parallelo viene raccontata la storia di Abel, ora un anziano solitario e un po' scorbutico, che difende in ogni modo la sua casa dall'invasione dell'abuso edilizio, che vorrebbe abbatterle per farci altre villette. La difende perché spera ancora che qualcuno del suo passato in quella casa ci torni, che torni da lui. 

Il libro si divide tra i capitoli raccontati da Seth e quelli raccontati di Abel, sempre inframmezzati da un racconto, quello di Isidora, la città fantasma in cui tutti sognano di arrivare, filo conduttore, bellissimo e un po' straziante, di tutto il romanzo. Qua e là ci sono poi alcune informazioni di carattere saggistico e scientifico, ma romanzate, sulla scoperta di questa variante dell'Alzheimer, su come si è diffusa e cosa ha comportato negli anni in chi scopriva di averla.
Io non ricordo è un romanzo scorrevole ma allo stesso tempo difficile da leggere, che racconta di amore e di dolore, di frustrazione e di impotenza, di voglia di sapere e di paura. E che lascia, forse, un briciolo di speranza.

Sicuramente bisogna essere nel giusto stato d'animo per leggerlo, perché è davvero molto intenso e molto toccante, oltre che non semplice da accettare (perché parla di qualcosa che potrebbe colpire tutti, il perdere la memoria, il dimenticare, il non riconoscere più nemmeno chi ci sta accanto ogni giorno... una delle mie più grandi paure, se devo essere onesta). 
Però è anche un libro bellissimo, che merita davvero di essere letto.


Titolo: Io non ricordo
Autore: Stefan Merril Block
Traduttore:  Stefano Bortolussi
Pagine: 340
Editore: BEAT/ Neri Pozza
Acquista su Amazon:
formato brossura: Io non ricordo

mercoledì 24 settembre 2014

Due titoli un solo libro: ma perché? #93

Puntata speciale questa settimana della rubrica di confronto tra titolo originale e traduzione. Speciale perché torno a parlare di una casa editrice che già una volta è stata protagonista di questa rubrica senza aver digerito troppo il mio commento, ma anche perché è uno di quei casi in cui uno stesso libro si ritrova ad avere ben tre titoli diversi.
Vediamo di partire dall'inizio. Nel luglio del 2010 esce THE HUNDRED-FOOT JOURNEY dello scrittore americano Richard C. Morais.
Il romanzo racconta la storia di Hassan Haji, cresciuto a Bombay proprio sopra il ristorante di suo nonno. Osservando il nonno e la nonna all'opera, ha imparato a cucinare e così, quando la famiglia si è trasferita prima a Londra e poi a Parigi, a lui è toccato il compito di mettersi ai fornelli nel ristorante che suo padre ha aperto. Ma la proprietaria del locale di fronte, Madame Mallory, non è contenta che il suo ristorante di classe venga invaso dall'odore della cucina indiana.

Il libro viene tradotto tradotto lo stesso anno, da F. Novajra, per la casa editrice Neri Pozza con il titolo MADAME MALLORY E IL PICCOLO CHEF INDIANO


E' evidente fin da subito la differenza tra l'originale e il titolo italiano. Se fosse stato tradotto letteralmente, avrebbe dovuto intitolarsi qualcosa come "Un viaggio lungo cento passi". Un titolo che, effettivamente, in italiano non suonava poi così, e che quindi si è scelto di modificare inserendo i due protagonisti: Madame Mallory con il suo nome proprio e Hassan Haji con un "piccolo chef indiano" (anche se immagino che per lavorare nel ristorante sia cresciuto...). Devo ammettere che, prima di scoprire il titolo originale, trovavo quello italiano molto curioso e affascinante (complice anche una stupenda copertina). E anche adesso, tutto sommato, pur essendo contraria a questi cambi di titolo, non lo trovo così male.

Ad agosto di quest'anno è uscito negli Stati Uniti il film tratto da questo libro. Ovviamente il titolo lì è rimasto uguale a quello del libro. In Italia arriverà invece l'8 ottobre e altrettanto ovviamente il titolo è diverso da quello del libro.



Eggià, il libro The Hundred-Foot Journey che in italiano era diventato Madame Mallory e il piccolo chef indiano, arrivato sui grandi schermi si è misteriosamente trasformato in AMORE, CUCINA E CURRY.
Che chi ha scelto il titolo italiano del film non abbia capito che è stato tratto dal libro di Morais? Mi sembra incredibile, onestamente. Forse ha pensato che un titolo un po' più idiota, con l'amore piazzato in bella vista, attirasse di più, Che fare, quindi, se non cambiarlo?

Già questo è sufficiente a farmi arrabbiare. Odio questi strani cambiamenti nelle trasposizioni cinematografiche. Trovo che creino solo confusione.

Ma, come se non bastasse, la Neri Pozza che ha fatto? Ha cambiato il titolo del libro, ovviamente! Quindi un libro uscito quattro anni fa ora ritorna in libreria, in edizione non tascabile ovviamente, con il titolo AMORE, CUCINA E CURRY e una nuova copertina, che non è l'originale, non è quella della prima versione italiana e non è nemmeno quella dei film. Perché?


(Per correttezza segnalo che all'interno della quarta di copertina viene detto che il romanzo è stato originariamente pubblicato con un altro titolo).

domenica 7 settembre 2014

RITRATTI D'ARTISTA - Susan Vreeland

La pittura mi ha sempre affascinata. Sarà che non ho per niente doti artistiche, ma ogni volta che mi ritrovo di fronte a un quadro, un bel quadro, rimango affascinata. Le mie conoscenze sono sicuramente molto limitate: conosco i pittori e i quadri di cui i miei professori di scuola media e liceo hanno parlato in classe, qualcun altro che ho incontrato nella mia vita di turista, più alcune passioni personali, nate chissà come. Non so per niente un'esperta e non saprei nemmeno dire perché un quadro mi piaccia o meno. Tra i miei pittori preferiti ci sono Picasso, Mirò e quasi tutti gli impressionisti. Il buon vecchio Van Gogh, prima di tutti, e poi Cezanne e Monet.

Quello della pittura è, insomma, un mondo che mi affascina, che mi piacerebbe conoscere meglio. Mi sono sempre chiesta cosa ci fosse dietro a un quadro, come un pittore facesse materialmente a dipingerlo e perché.

Ritratti d'artista di Susan Vreeland prova rispondere a tutte queste mie domande. Il libro si compone di diversi racconti, tutti dedicati al mondo dell'arte. I primi otto raccontano un momento della vita di alcuni pittori impressioni: il momento che è stato d'ispirazione a un determinato quadro, oppure gli stati d'animo, le motivazioni, il rapporto con le proprie muse ispiratrici e le sensazioni dei parenti e degli amici di fronte all'estro di questi artisti. Non mi è ben chiaro se siano episodi inventati dall'autrice oppure ampiamente documentati, ma sicuramente riescono a rendere perfettamente il personaggio e le sue caratteristiche, mostrandone un aspetto che chi guarda una tela difficilmente potrebbe cogliere.

Questi otto racconti, che sono sicuramente i più belli, sono poi seguiti da altri che parlano di arte in modo completamente diverso: c'è una bambina curiosa affascinata dalle statue precolombiane della sua vicina di casa; una donna che per movimentare la sua vita e cercare in qualche modo di colmare la sua insoddisfazione decide di posare nuda per un corso di scultura; c'è una città in cui ogni anno viene fatta una sorta di galleria d'arte vivente; una classe in cui sulla lavagna compare misteriosamente un quadro di Matisse, che di cancellarsi proprio non ne vuole sapere.

Credo che l'idea di fondo del libro si possa riassumere semplicemente in una frase che Susan Vreeland fa dire alla protagonista di uno dei suoi racconti:
In ogni modo la si guardi, nella vita c'è arte e le persone che campano senza rendersene conto si perdono la parte migliore
Non so se questo libro possa essere apprezzato anche da un non amante della pittura: soprattutto i primi racconti, probabilmente, risulteranno un po' ostici, se non si conosce di chi si sta parlando. Però credo anche che potrebbe essere uno spunto, un buon punto di partenza per far nascere un po' di curiosità. Questi racconti prendono questi grandi pittori e li rendono umani, più vicini a tutti. Anche a chi, come me, non è in grado di dipingere nemmeno un muro. Alcuni magari annoieranno un po', da altri invece si resterà affascinati.  Proprio come di fronte a certi quadri.
Insomma, una bella lettura


Titolo: Ritratti d'artista
Autore: Susan Vreeland
Traduttore: Francesca Diano
Pagine: 318
Anno di pubblicazione: 2005
Editore: Neri Pozza
ISBN: 978-8854500518
Prezzo di copertina: 16 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Ritratti d'artista

martedì 17 settembre 2013

IL PASTICCIERE DEL RE - Anthony Capella

I libri della casa editrice Neri Pozza sono sempre stati una certezza per me. Li compro o comunque li leggo quasi a scatola chiusa, senza fare troppe ricerche o interrogarmi  più di tanto su titoli e copertine. 
Ed è stato così anche per Il pasticciere del re, acquistato a pochissimi giorni dalla sua uscita, attratta dal titolo culinario, dal fatto che fosse una specie di romanzo storico e che fosse stato scritto dallo stesso autore de Il profumo del caffè, libro che avevo adorato.

Eppure, questa volta, qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto. E non è colpa dell'autore, non è colpa della trama o delle ricette preparate che non erano di mio gusto. No. E' colpa del titolo italiano, cambiato rispetto all'originale, e totalmente fuorviante. Perché un libro che in originale si intitola The Empress of the Ice-cream (L'imperatrice del gelato) deve diventare Il pasticciere del re? 

Ancor più visto che uno dei due protagonisti, Carlo, è specializzato non in piccola pasticceria ma in granite, sorbetti e gelati , un'arte che ha imparato da bambino, che custodisce gelosamente e che lo ha portato alle corti reali. Da re Sole, prima, e poi da questi ceduto a re Carlo d'Inghilterra per cercare di consolarlo per la morte della sorella, cognata di re Sole, con la novità dei suoi gelati e dei suoi sorbetti,  ma anche per cercare di carpire più informazioni possibile riguardo alle sue intenzioni di alleanza con la Francia. Insieme a Carlo, viene mandata in Inghilterra anche Luoise de Kérouialle, una bella bretone mandata al palazzo francese in cerca di un marito che punti più ai titoli nobiliari che alla dote, e poi spedita al re Carlo con la precisa intenzione di sedurlo e diventarne l'amante. Ovviamente il Carlo gelataio è innamorato di Louise, che però lo rifiuta più volte perché non alla sua altezza. I due però, una volta in Inghilterra, diventano amici e Carlo assiste da lontano alle strategie messe in atto da Louise per farsi accettare dal re e riuscire quindi a manipolarlo, prima in base agli ordini ricevuti dalla Francia e poi in base a sue scelte personali. Carlo a poco a poco si renderà conto del comportamento di Louise e dei suoi veri intenti e, ferito e disincantato, prenderà una drastica decisione.

La trama del romanzo, anche se un pochino macchinosa, non è per niente male. E' evidente quanto Anthony Capella si trovi a suoi agio nei romanzi storici, con personaggi fittizi che si muovono in un contesto reale. Molto ben costruiti i personaggi, soprattutto i due protagonisti, a cui è anche affidata la narrazione, in capitoli alternati: da un lato Carlo, con la sua passione per il gelato, la voglia di sperimentare e creare sempre cose nuove e il suo sincero amore, dall'altro Louise, una donna ambigua, dolce e pura all'inizio, calcolatrice e meschina alla fine (io l'ho trovata davvero odiosa). E molto bella è anche l'idea di iniziare ogni capitolo con un estratto dal "The book of ice", in cui viene anticipato in qualche modo quello che Carlo preparerà nella pagine che seguono. 

Insomma, al romanzo in sé non avrei assolutamente nulla da recriminare. L'ho letto con piacere, è scorrevole e ben scritto, soprattutto se siete amanti del genere. Però questo cambio di titolo non riesce proprio ad andarmi giù. Anche perché l'ho scoperto a metà lettura, quando mi sono resa conto che qualcosa non stava quadrando. Infatti, oltre al fatto che come si diceva all'inizio Carlo non è un pasticciere, la vera protagonista, il vero fulcro di tutto il romanzo è Louise. L'azione di tutti ruota intorno a lei e alle sue scelte. Perché togliere il riferimento femminile dal titolo quindi?

Comunque, una lettura che consiglio... anche se forse non allo stesso livello de Il profumo del caffè.

Titolo: Il pasticciere del re
Autore: Anthony Capella
Traduttore: Maddalena Togliani
Pagine: 432
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Neri Pozza
ISBN: 978-8854506138
Prezzo di copertina: 18,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:Il pasticciere del re

mercoledì 12 dicembre 2012

Due titoli, un solo libro: ma perché? #13 Speciale PROIBIZIONISMO

Se l'argomento della settimana scorsa sono stati i titoli presenti nella mia libreria che contengono la parola "segreto", quest'oggi invece vi parlo dei libri che possiedo nel cui titolo tradotto compare la parola "proibito" (in ogni sua forma e accezione).

Come sappiamo tutti, "segreto" e "proibito" sono forse le due parole più spesso inserite nei titoli italiani modificati... anche se non è facile capirne il motivo. Forse perché siamo tutti attratti da quello che non conosciamo (segreto) e che ha qualcosa magari di losco o di illegale (proibito). E quindi siamo stati letteralmente invasi da questi titoli tutti uguali, al punto che spesso non si riesce più a distinguere un romanzo dall'altro.

Mi sono accorta però che nella mia "collezione", di cose proibite ce ne sono poche: sono riuscita a trovarne soltanto due, sebbene abbia cercato parecchio, e devo ammettere che questo mi consola e non poco. Inutile dire che in nessuno dei due casi compariva la parola "proibito" nel titolo originale...
Il primo è un romanzo di qualche anno fa, edito in Italia dalla casa editrice Neri Pozza, sto parlando di THE JOURNAL OF DORA DAMAGE ovvero LA RILEGATRICE DEI LIBRI PROIBITI di Belinda Starling


Uscito in lingua originale nel 2007, poco dopo la morte dell'autrice, il romanzo è arrivato in Italia con la traduzione di M. Ortelio nel 2008. Si tratta di un romanzo storico ambientato nella Londra della seconda metà dell'800, epoca in cui veniva considerato illegale pubblicare e diffondere opere letterarie considerate immorali, ma si poteva possederle. E quindi alcuni nobili iniziarono a chiedere alla legatoria Damage di rilegare in formati preziosi alcune delle opere ritenute proibite. Sarà Dora, moglie del proprietario della legatoria afflitto dall'artrite, a svolgere questo lavoro.
La traduzione letterale del titolo originale sarebbe "Il Diario di Dora Damage". A mio avviso come titolo avrebbe funzionato anche per il pubblico italiano, eppure si è scelto di cambiarlo, utilizzandone uno più esplicativo. La protagonista è effettivamente una rilegatrice e i libri di cui si occupa sono davvero proibiti. Quindi non me la sento di condannare definitivamente questa scelta, anche perché è stata presa ben prima che iniziasse la mania del "proibizionismo" nei titoli italiani.

L'altro libro è invece "HOTEL ON THE CORNER OF BITTER AND SWEET" ovvero "IL GUSTO PROIBITO DELLO ZENZERO" di Jamie Ford


Uscito in lingua originale nel 2009, e tradotto in italiano per Garzanti da L. Noulian l'anno successivo, il romanzo parla di un periodo della storia americana che io non conoscevo, quello della vita dei giapponesi negli Stati Uniti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Se volete, potete trovare qui la recensione.
La prima cosa che si nota è che nella versione italiana, almeno nella prima edizione, è stata mantenuta la stessa copertina dell'originale, a mio avviso effettivamente molto bella e perfettamente adatta alla trama del libro. Per quanto riguarda il titolo, la traduzione letterale dall'inglese sarebbe "Hotel all'angolo del dolce e dell'amaro". Effettivamente come titolo sarebbe stato un pochino macchinoso e non facile da ricordare, anche se magari modificando semplicemente l'ordine o qualche parola si sarebbe potuto ottenere un effetto analogo. La Garzanti invece decide di stravolgere tutto, scegliendo "Il gusto proibito dello zenzero". Una scelta che non riesco a comprendere, anche perché all'interno del libro si fa riferimento allo zenzero forse una volta, di sfuggita, senza che influenzi minimamente la trama. Eppure lo zenzero è finito in copertina...

... ma la Garzanti un giorno o l'altro me la dovrà spiegare questa politica dei titoli!

mercoledì 21 novembre 2012

DUE TITOLI, UN SOLO LIBRO: ma perché? #10

Ed eccoci arrivati alla puntata di questa settimana della rubrica sulla traduzione dei titoli (che noto con estremo piacere stare riscuotendo un certo successo). Sono stata indecisa fino all'ultimo sul protagonista di quest'oggi ma alla fine ho deciso di fare una puntata "monografica" su un unico autore, di cui ho letto tutti i romanzi e che amo tantissimo.

Mi riferisco a Brendan O'Carrol, scrittore, sceneggiatore e commediografo irlandese che deve la sua fama in Italia alla strepitosa saga di libri che ha come protagonista la mitica Agnes Browne, da cui è stato poi tratto anche un film.
Ho letto questi romanzi qualche tempo fa, contagiata dall'entusiasmo di una mia amica che me li ha passati tutti: quattro sono quelli che compongono la saga della donna, a cui se ne aggiunge un quinto che però non ha nulla a che vedere con Agnes Browne (e che ovviamente, viste le aspettative, è stata un po' una delusione).
In Italia tutti i romanzi sono editi dalla casa editrice Neri Pozza. Vediamo cosa succede con i titoli.

Il primo romanzo ad essere uscito è stato "The Mammy" ovvero "Agnes Browne Mamma":

Uscito in lingua originale nel 1999, ci sono voluti quasi dieci anni perché arrivasse anche in Italia, nel 2008, con la traduzione di Gaja Cenciarelli. La prima cosa che si nota è che la copertina italiana viene mantenuta uguale a quella originale, una scelta che non cambierà nemmeno con i romanzi successivi. Per quanto riguarda il titolo, l'originale si riferisce al modo in cui in Irlanda viene chiamata la mamma (una variazione dell'inglese "mum"). La scelta italiana di aggiungere il nome della protagonista davanti alla parola "mamma" è a mio avviso una scelta sensata e completamente giustificabile: usare la semplice traduzione letterale, che avrebbe anche perso il riferimento culturale all'Irlanda, non sarebbe stata efficace per descrivere il libro.

L'episodio successivo è "The Chisellers" ovvero "I marmocchi di Agnes":
Uscito in lingua originale nel 2000 e in italiano nel 2008, sempre con la traduzione di Gaja Cenciarelli, anche in questo caso si nota subito l'utilizzo della stessa foto, solo con colori in evidenza, per la copertina. Il titolo originale è un'altra espressione colloquiale tipica irlandese utilizzata per indicare i bambini. La scelta italiana è a mio avviso nuovamente azzeccata: anziché utilizzare l'espressione comune "bambini" si sceglie una parola un po' più colloquiale, seguita dal complemento di specificazione che fa si che il libro sia immediatamente ricollegato alla saga di Agnes Browne.

Poi i bambini crescono e la saga continua con "The Granny" ovvero "Agnes Browne Nonna"

Il libro in lingua originale è uscito a pochi mesi di distanza dal suo precedente, sempre nel 2000, mentre in Italiano è uscito un anno dopo, nel 2009, sempre con la stessa traduttrice e la stessa copertina. Per il titolo si è seguita la stessa logica del primo della serie: un semplice "La nonna" probabilmente non avrebbe avuto molto significato per il lettore e quindi si è aggiunto il nome della protagonista, proprio come era già successo con "Agnes Browne mamma".

L'ultimo libro della serie è "The Young Wam" ovvero "Agnes Browne Ragazza"

Sebbene sia uscito qualche anno dopo rispetto agli altri tre della serie, nel 2004 in lingua originale e nel 2009  in italiano con la traduzione questa volta di Massimiliano Morini, "The Young Wam" è in realtà una sorta di prequel, che racconta le vicende di Agnes prima che si sposasse. "Wan" è il termine colloquiale irlandese utilizzato per indicare una ragazza e la versione italiana segue nuovamente la logica dei precedenti con una traduzione letterale a cui aggiunge il nome della protagonista .

Qualche anno dopo è uscito in Italia un nuovo romanzo di Brendan O'Carrol che però non ha nulla a che fare con Agnes Browne e la sua storia. Le aspettative ovviamente erano altissime e hanno probabilmente penalizzato il  libro di fronte ai lettori che tanto avevano amato la saga precedente.
Il romanzo si intitola "Sparrow's Trap" ovvero "Birra e Cazzotti"
Questo romanzo era uscito in realtà in lingua inglese già nel 1997, quindi prima della saga di Agnes, con il titolo "Sparrow's Trap".  E' poi uscita una nuova edizione, nel 2011, con il nuovo titolo "The Scrapper" e con la copertina uguale alla versione italiana. Non è ben chiaro perché sia avvenuto questo cambiamento, anche se mi permetto di ipotizzare che potrebbe essere dovuto alla volontà di dare comunque un po' di continuità alla linea di titoli e copertine scelta per la saga di Agnes Browne. Il titolo "Sparrow's trap" , letteralmente "la trappola di Sparrow", si riferisce al nome del protagonista, che da un passato di promessa del pugilato, si ritrova anni dopo a vivere una vita frustrata e insoddisfacente, in mezzo a persone che non riescono a superare la sua disfatta di tanti anni prima. "The Scrapper" invece potrebbe essere tradotto letteralmente con il "combattente". Nella versione italiana, "Birra e Cazzotti" si nota subito una forte discrepanza con il titolo originale, che a mio avviso penalizza e non poco la percezione della trama. Una scelta azzardata e a mio avviso non molto giustificabile.

Come si è notato quindi, i libri della saga di Agnes Browne hanno subito solo dei piccoli cambiamenti rispetto al titolo originale, giustificati dalla necessità di dare una maggiore chiarezza al lettore. 
L'ultimo romanzo invece  (che in realtà, come si diceva, in originale è stato pubblicato per primo) subisce una trasformazione azzardata di cui non si riesce a comprendere molto il significato... se avessero voluto mantenere l'assonanza con la saga precedente, come la scelta della copertina lascerebbe intendere, forse avrebbero potuto scegliere un titolo tipo "Sparrow McCabe Pugile"... che, per quanto banale e non molto bello, avrebbe sicuramente avuto più senso di quello poi scelto.

In ogni caso, vi consiglio di leggere la saga di Agnes Browne, ve ne innamorerete sicuramente!

venerdì 16 novembre 2012

IL PROFUMO DEL CAFFE' - Anthony Capella

Londra, 1896. Robert Wallis ha ventidue anni e conduce una pigra esistenza da esteta, tra oppio, vaghe aspirazioni letterarie, una raffinatezza ricercata e languidi incontri con donne di facili costumi. Vive in un limbo ozioso: non più studente, dopo l'espulsione da Oxford, non ha alcuna fretta di trovare lavoro, assistito com'è dalla benevola munificenza del padre. Il giovane bohémien ignora però di avere un dono prezioso: un palato molto sensibile e una "plume" precisa ed elegante, capace di tradurre in parole ogni sfumatura del gusto. Il caso vuole che un giorno capiti al Café Royal, la brasserie frequentata da Robert e da una nutrita schiera di eccentrici nullafacenti come lui, Samuel Pinker, un mercante di caffè basso come uno gnomo e dall'aria compunta e sobria come la sua finanziera senza fronzoli. Perspicace come pochi, Pinker assolda il giovane esteta per un progetto rivoluzionario: creare un cofanetto di aromi per dare al caffè un lessico universale. Il mercante ha una figlia, Emily, una ragazza dal viso espressivo e vivace, e dai capelli setosi e dorati raccolti in una crocchia severa. La razionalità e tenacia di Emily, allevata dal padre all'insegna del progresso e della modernità, compensano perfettamente la mollezza sensuale di Robert e, con grande disappunto di Pinker, tra i due nasce un amore condito da profumi e sapori afrodisiaci.

Mi ricordo che da bambina, ogni volta che mio padre prendeva il caffè lo obbligavo a lasciarmi il fondo: grazie allo zucchero si formava una specie di crema, una vera golosità per una bambinetta di sette-otto anni. Credo che la mia passione per il caffè sia iniziata proprio da lì. Per carità, non sono di quelle persone che deve bere venticinque tazzine al giorno per rimanere sveglia o che non esce di case senza averlo preso, né sono una grande esperta di miscele e di aromi... però il gusto mi piace davvero tanto.
E anche il profumo, effettivamente. Quindi è stato inevitabile per me sentirmi attratta da questo libro. Certo, il fatto che fosse un romanzo storico ha sicuramente aiutato (così come il fatto che fosse edito dalla Neri Pozza, per me una garanzia quando ho voglia di leggere un romanzo di questo genere), ma comunque avevo la certezza di trovarmi di fronte a un libro che mi sarebbe sicuramente piaciuto. Ed effettivamente così è stato.

Il romanzo è ambientato a Londra alla fine dell'800 inizio del '900 e racconta dell'arrivo e della diffusione del caffè nel paese. Protagonista è Robert Wallis, un giovane dandy che sogna di diventare poeta e vive nell'ozio più totale, scialacquando tutti i soldi che il padre gli da' in vestiti stravaganti e bordelli, sicuro che questo sia l'unico modo per risvegliare le muse che per il momento proprio non ne vogliono sapere di fargli visita. Una mattina incontra in una brasserie Samuel Pinker, un mercante di caffè che, colpito da un'affermazione fatta dal giovane sulla bevanda che stava gustando, gli chiede se vuole lavorare per lui per un progetto: la creazione di una guida universale per i vari gusti del caffè. Robert accetta e si ritrova a lavorare in questa azienda a conduzione famigliare. Il signor Pinker ha infatti tre figlie: c'è la più piccola, La Rana, che è ancora una bambina che si nasconde sotto i tavoli, c'è Ada, che lo guarda con estrema diffidenza, e poi c'è Emily, la più entusiasta e appassionata di tutte. I due si ritroveranno a lavorare ogni giorno fianco a fianco, bevendo caffè e assaporandone l'aroma, ed inevitabilmente inizieranno un processo di corteggiamento e innamoramento. Il signor Pinker però, un po' per mire espansionistiche, un po' per allontanare il ragazzo dalla figlia prima che compiano gesti irreparabili, spedisce Robert in Africa con la missione di dar vita a una nuova piantagione. Potrà tornare solo dopo quattro anni e allora, forse, sposare Emily. 
Durante il viaggio, Robert entrerà in contatto con realtà molto diverse, mettendo in dubbio il lavoro stesso di Pinker. Ma soprattutto incontrerà una schiava, dalla pelle nerissima, gli occhi chiarissimi e la pelle profumata di caffè  di cui si si innamorerà perdutamente. Decide di spedire una lettera ad Emily in cui le comunica di non volerla più sposare e si butta senza riflettere in questa nuova relazione. Qualcosa però va storto: la donna non era esattamente quello che sembrava e la piantagione di caffè, vuoi per inesperienza vuoi perché la natura spesso si ribella alle imposizioni dell'uomo, non riesce a crescere. Robert torna in Inghilterra, più solo e più povero di quando era partito. Trova una Londra cambiata, lontana dagli sfarzi bohémien del passato. E anche il caffè ormai sta diventando un prodotto per tutti: lo stesso Pinker ha abbandonato la qualità a vantaggio di una diffusione di massa.
Ma la più cambiata è Emily, costretta in un matrimonio con un uomo troppo ancorato alla visione della donna del passato e che quindi le impedisce di vivere come vorrebbe. Di nascosto dal marito diventerà una suffragista, prendendo parte attivamente al movimento per ottenere il suffragio femminile. Accanto a lei, c'è Robert, che la ama ancor più di prima ma che sa che non potrà mai averla.

E' un libro incredibile, di quelli che quasi si leggono da soli e che riescono ad appassionarti dall'inizio alla fine. Anthony Capella riesce grazie a questi personaggi, tutti ben caratterizzati e assolutamente credibili, a creare uno spaccato molto realistico della società inglese dell'epoca e di tutte le sue caratteristiche: i dandy, le suffragette, la diffusione di una cultura di massa tramite la pubblicità, il problema del colonialismo e dello sfruttamento dei paesi più poveri, la diffusione delle teorie di Freud sulla sessualità femminile e sulla visione delle donne, la borsa e la nascita degli speculatori. Il tutto accompagnato da una storia d'amore lunga, sofferta ma anche tanto, tanto appassionata, a cui il caffè e tutti i suoi aromi riescono a conferire un alone di magia e sensualità. Certo, forse il finale è un tantino prevedibile, ma credo si tratti anche dell'unico possibile.

Consigliatissimo (anche se non bevete mai caffè)!

"Ho imparato quello che deve imparare ogni uomo senza che nessuno glielo possa insegnare: che nonostante ciò che dicono i poeti, esistono diversi tipi d'amore.
Non intendo limitarmi ad affermare che ogni storia d'amore sia diversa dalle altre. Invece, l'amore stesso non è fatto di un'emozione sola, ma di molte. Proprio come un buon caffè odora, forse, di cuoio, tabacco e caprifoglio insieme, così l'amore è un misto di sentimenti diversi: infatuazione, idealismo,tenerezza, passione, bisogno di proteggere o di essere protetti, desiderio di possesso, cameratismo, amicizia, apprezzamento estetico e mille altri.
Non esiste un codice o un regolamento capace di guidarvi tra questi misteri. Alcuni si svelano solo andando in capo al mondo, si intuiscono nello sguardo di uno sconosciuto. Altri si ritrovano in camera da letto, altri ancora in una strada affollata. Alcuni vi bruceranno come una farfalla notturna, lambendovi con le loro fiamme, e altri vi avvolgeranno di un dolce tepore. Alcuni vi procureranno piacere, altri felicità, e altri ancora - se siete fortunati- vi faranno entrambe le cose.
La risata di una donna, il profumo di un bambino, la preparazione di un caffè sono tutti sapori diversi dell'amore."

Nota alla traduzione: direi tradotto bene! C'è qualche nota qua e là per spiegare qualche gioco di parole altrimenti intraducibile, ma non danno particolare fastidio nella lettura.

Titolo: Il profumo del caffè
Autore: Anthony Capella
Traduttore: Maddalena Togliani
Pagine: 526
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Neri Pozza
ISBN: 978-8854505797
Prezzo di copertina: 18,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Il profumo del caffè

lunedì 19 dicembre 2011

UN GIORNO - David Nicholls

È l'ultimo giorno di università, e per due ragazzi sta finendo un'epoca. Emma e Dexter sono a letto insieme, nudi. Lui è alto, scuro di carnagione, bello, ricco. Lei ha i capelli rossi, fa di tutto per vestirsi male, adora le questioni di principio e i grandi ideali. Si sono appena laureati, l'indomani lasceranno l'università. È il 15 luglio 1988, e per la prima volta Emma e Dexter si amano e si dicono addio. Lui è destinato a una vita di viaggi, divertimenti, ricchezza, sempre consapevole dei suoi privilegi, delle sue possibilità economiche e sociali. Ad attendere Emma è invece un ristorante messicano nei quartieri nord di Londra, nachos e birra, una costante insicurezza fatta di pochi soldi e sogni irraggiungibili. Ma per loro il 15 luglio rimarrà sempre una data speciale. Ovunque si trovino, in qualunque cosa siano occupati, la scintilla di quella notte d'estate tornerà a brillare. Dove sarà Dexter, cosa starà combinando Emma? Per venti anni si terranno in contatto, e per un giorno saranno ancora assieme. Perché quando Emma e Dexter sono di nuovo vicini, quando chiacchierano e si corteggiano, raccontandosi i loro amori, i successi e i fallimenti, solo allora scoprono di sentirsi bene, di sentirsi migliori. Comico, intelligente, malinconico, Un giorno cattura l'energia sentimentale delle grandi passioni: i cuori spezzati, l'intricato corso dell'amore e dell'amicizia, il coraggio, le attese e le delusioni di chiunque abbia desiderato una persona che non può avere.

Ho delle serie difficoltà a scrivere il commento a questo romanzo. Una di queste è il rischio che questo post, più che una recensione, si trasformi in un'analisi della mia vita, con il rischio di annoiarvi e di diventare patetica.
Un'altra difficoltà è data dalle grandi aspettative che commenti entusiastici avevano creato in me, e che sono state poi disattese da quello che ho effettivamente letto sull carta. Ed è difficile parlare male di un libro di cui tutti han parlato bene.

Il romanzo altro non è che una banale storie d'amore stereotipate: bellissimo, strafigo e desiderato da tutte Dexter, bruttina idealista e un po' sfigatella Emma. Una grande amicizia, che si trascina per anni finchè entrambi finalmente ammettono di non poter vivere l'uno senza l'altra. Nel mezzo la ricerca del futuro di entrambi: lui che non sa cosa fare della sua vita e pensa solo a divertirsi, lei che inzia con difficoltà ma poi riesce a realizzare i suoi sogni. Lui che finalmente capisce cosa vuole solo quando si mette con lei. Nel mezzo, un sacco di poveri altri ragazzi e ragazze che hanno avuto la sfortuna di innamorarsi dell'uno o dell'altro, sapendo benissimo che un giorno avrebbero dovuto mettersi da parte.
E' banale, troppo banale. Persino il colpo di scena finale (se colpo di scena voleva essere), è un qualcosa di visto e rivisto, al punto che non mi ha nemmeno fatto commuovere (ed è strano, perché una volta da bambina ho pianto addirittura per una puntata di Candy Candy).

Poi certo, c'è l'aspetto prettamente personale che vi accennavo prima. Un po' il rivedermi in Emma, o in parti di lei e della sua insicurezza, che si contrappone alla sicurezza di Dexter. Questo modo diverso e spesso inconciliabile che hanno di vedere il mondo e di vivere la propria vita, mi ha riportato indietro di qualche mese, ritrasmettendomi un'angoscia che di solito riesco a tenere a bada.
E poi c'è anche un altro aspetto, ovvero che non credo nell'amicizia tra uomo e donna, per quanto gli interessati si professino veramente non innamorati. C'è sempre un interesse, più o meno velato. E chi ha la sfortuna di ritrovarsi in mezzo, la maggior parte delle volte non può far altro che assistere inerme e decidere se accettare di essere sempre un gradino meno importante o lasciar perdere tutto. Per questo mi sono ritrovata a parteggiare per Ian a un certo punto: innamorato cotto di Emma, con la quale vorrebbe costruirsi una vita, al punto da sopportare la presenza dell'altro, pur sapendo che lei non lo amerà mai come lui.

Non lo so. Non me la sento di bocciarlo completamente. Certo, come ho detto, è così banale da far cascare le braccia. Ma è anche vero che mi ha fatto riflettere parecchio... Insomma, vedete un po' voi se leggerlo o meno.
E scusatemi se una parte del post è venuta un po' troppo personale.

Nota alla traduzione: mi sembra fatta abbastanza bene!



Per acquistare il libro:Un giorno

martedì 20 settembre 2011

BIRRA E CAZZOTTI- Brendan O'Carroll

Per sopravvivere a Snuggstown, turbolento sobborgo di Dublino, ci sono due possibilità: pagare il pizzo alla mala, oppure riscuoterlo per suo conto. E per un poliziotto, ce n'è una sola: chiudere entrambi gli occhi. Ma se nella chiassosa cittadina ti capita di nascere con il talento per la boxe, forse al destino c'è una via di scampo. È questo ciò che pensano i fans del venticinquenne Anthony "Sparrow" McCabe, il miglior pugile irlandese dei pesi leggeri, in una calda sera del 1982, mentre assistono o ascoltano alla radio la finale europea di categoria in corso al palazzetto dello sport Sanmartino di Madrid. All'ottavo round l'avversario di McCabe è alle corde e per la vittoria manca solo l'ultimo pugno, quello del knock-out. Ma Sparrow quel pugno a un avversario impotente e umiliato non riesce proprio a sferrarlo, vorrebbe ma non può, potrebbe ma non vuole... e il sogno finisce. Come succede per i grandi eventi, a Snuggstown quattordici anni dopo tutti ricordano ancora quel giorno, ricordano dov'erano e cosa stavano facendo nel momento della sconfitta di Sparrow: lo ricorda Kieran Clancy, che da giovane diplomato all'accademia di polizia è nel frattempo diventato sergente ispettore, intenzionato a tenere ben aperti gli occhi sulla malavita. Così come lo ricordano i fratelli Morgan e il loro capo, Simon "Semplice" Williams, intraprendente gangster diventato il boss della città, che risolve ogni contesa "semplicemente" suggerendo ai suoi sgherri di spargere sangue.

Leggere un libro di Brendan O'Carroll senza la mitica Agnes Browne è un po' come mangiare il tiramisù senza il cacao spolverato sopra: il dolce è buono lo stesso, ma manca quel qualcosa per renderlo speciale. E credo che questo sia il destino di tutti gli scrittori che hanno scritto una saga e per essa sono diventati famosi, soprattutto se questa è stupenda come lo è quella di Agnes Browne. Resistere alla tentazione di fare un paragone è veramente difficile.
"Birra e Cazzotti" è indubbiamente un bel libro (anche se il titolo non gli rende il giusto merito), che parla di una piccola cittadina irlandese schiacciata dalla criminalità organizzata e dal suo capo Simon "Semplice" Williams che fa della città quello che vuole. Parla anche di uomini che devono far conto con il loro passato, come Sparrow McCabe, un pugile che ha avuto pietà per il suo avversario proprio nel momento in cui avrebbe dovuto finirlo e ha perso così i suoi sogni di gloria, una sconfitta che 16 anni dopo ancora non è riusciuto a superare. Parla anche di voglia di realizzare i propri sogni, come quella di Kieran Clancy, da sempre destinato a entrare in polizia, il cui sogno è quello di fare del bene alla sua città, di sconfiggere la criminalità.
Il destino di questi tre personaggi un bel giorno si incrocia. Sparrow avrà finalmente la sua opportunità di chiudere i conti con il passato e Kieran di realizzare il suo sogno. Che fine possa fare Williams ve lo lascio immaginare.
Ripeto, è indubbiamente un bel libro. Scritto molto bene, con personaggi ben caratterizzati e che offre uno spaccato dell'Irlanda un po' triste ma che lascia spazio alla speranza, una specie di favola moderna, piena di pugni, sangue ma anche amore e dolcezza.
Ma non è Agnes Browne.

Nota alla traduzione: il titolo italiano è semplicemente orrendo. Fa passare il romanzo per qualcosa di comico e buffo, quando in realtà è tutt'altro. Capisco che rendere quello originale (Sparrow's Trap, La trappola di Sparrow, dove sparrow vuol dire anche passerotto) è alquanto difficile in italiano, ma poteva sicuramente pensare qualcosa di meglio.

venerdì 8 ottobre 2010

UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN- Betty Smith

È l'estate del 1912 a Brooklyn. I raggi obliqui del sole illuminano il cortile della casa dove abita Francie Nolan, riscaldano la vecchia palizzata consunta e le chiome dell'albero che, come grandi ombrelli verdi, riparano la dimora dei Nolan. Alcuni a Brooklyn lo chiamano l'Albero del Paradiso perché è l'unica pianta che germogli sul cemento e cresca rigoglioso nei quartieri popolari. Insieme a suo fratello Neeley, Francie raccoglie pezzi di stagnola che si trovano nei pacchetti di sigarette e nelle gomme da masticare, stracci, carta, pezzi di metallo e li vende in cambio di qualche cent. Francie se ne va a zonzo per Brooklyn. Lungo il tragitto forse qualcuno le ricorderà che è un peccato che una donna così graziosa come sua madre, ventinove anni, capelli neri e occhi scuri, debba lavare i pavimenti per mantenere tutta la famiglia. Qualcun altro magari le parlerà di Johnny, suo padre, il ragazzo più bello e più attaccato alla bottiglia del vicinato, qualcuno infine le sussurrerà mezze parole sull'allegro comportamento di sua zia Sissy con gli uomini. Francie ascolterà e ogni parola sarà per lei una pugnalata al cuore, ma troverà, come sempre, la forza per reagire, poiché lei è una bambina destinata a diventare una donna sensibile e vera, forte come l'albero che, stretto fra il cemento di Brooklyn, alza rami sempre più alti al cielo.

Odio non sapere cosa scrivere nella recensione di un libro. Perchè da un lato può sembrare che non mi sia piaciuto e non abbia niente da dire (va beh, ormai lo sapete, se un libro mi ha fatto schifo le parole non mi mancano), e dall'altro che mi sia piaciuto troppo e non ci siano parole per descriverlo. Questo libro non rientra in nessuno dei due casi. Le saghe familiari generalmente mi piacciono molto. Mi piace vedere come se la cavano i personaggi, i legami e i rapporti che si creano e come affrontano il mondo. E questo romanzo in questo riesce molto bene. La saga raccontata è quella della famiglia Nolan: una madre molto pratica, un padre artista e sognatore, due figli, Francie e Neely, che crescono insieme (e un'ultima più avanti nella storia) che ereditano le caratteristiche di uno e dell'altro. E alla loro vicenda partecipano tanti altri personaggi secondari (fantastiche le zie materne). Quel che viene descritto, la loro vita e la loro "lotta per la sopravvivenza" in una NEw York dai primi anni del '900 fino all'entrata in guerra. Insomma, una bella storia. Condita anche da un elogio alla cultura e ai libri non indifferente.
Eppure, fino a oltre la metà, il romanzo non mi ha convinto molto. Si legge bene, scorre veloce, ma sembrava proprio solo un susseguirsi di eventi. Non ho mai pensato di abbandonarlo eh. Però mi sono chiesta diverse volte "ma quando finisce?". E poi, le ultime 150 pagine mi hanno fatto cambiare totalmente giudizio. Forse perchè i due figli crescono e affrontano il mondo, scontrandosi con le vere prime delusioni da adulti. Forse perchè c'è un riscatto, da poveri e desolati, la situazione si aggiusta e tutti riescono a coronare i loro piccoli sogni. Insomma, le ultime pagine mi hanno colpita e commossa. E sono contenta che il libro non sia finito prima.

Nota alla traduzione: una delle poche traduzioni in cui le canzoni vengono lasciate in lingua originale senza note o spiegazioni. Scelta azzeccatissima per me ma che mi rendo conto possa creare difficoltà a chi non ha dimestichezza con l'inglese. E poi c'è altro che stona. Ma non saprei ben dire cosa...

"Mio Dio concedimi di essere qualcosa, in ogni istante di ogni ora della mia vita. Fammi essere felice o triste, fa che io abbia caldo o freddo, che abbia poco o troppo da mangiare, che sia vestita elegante o con degli stracci, affidabile o bugiarda, degna di stima o peccatrice.Ma concedimi di essere qualcosa in ogni istante. E concedimi pure di sognare quando dormo, in modo che non vi sia un solo momento della mia vita che vada perduto".