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mercoledì 14 agosto 2019

ELEANOR OLIPHANT STA BENISSIMO - Gail Honeyman

Avevo cercato di sbrigarmela da sola per troppo tempo e non mi aveva fatto bene per niente. A volte basta soltanto una persona gentile seduta al tuo fianco mentre affronti le cose.


Io a certi libri arrivo sempre dopo. Dopo che hanno già avuto successo, dopo che sono già stati letti da (quasi) tutti e che il loro clamore si è un po’ sgonfiato. A volte lo faccio consapevolmente, per vedere se il fenomeno è solo passeggero o se si tratta di un libro destinato a durare, almeno nel medio periodo. Altre è semplicemente un caso: magari non credevo che quel libro mi potesse piacere, magari non avevo tempo, magari ero in un vortice di letture che non concedeva distrazioni. Comunque poi a quei libri ci arrivo quasi sempre anch’io.

È il caso di Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman, uscito per Garzanti nel 2018 con la traduzione di Stefano Beretta, e vero e proprio caso editoriale (per una volta è un’espressione appropriata, pur trattandosi di un libro Garzanti, che è solita abusarne) dell’ultimo anno e mezzo. Tant’è che è giù uscito in tascabile.  
Ho sentito parlare tanto di questo romanzo e della sua omonima protagonista ma non ero certa che lo avrei letto. Poi però nelle ultime settimane mi sono incuriosita: tante persone, con gusti simili e diversi dai miei me l’hanno consigliato; c’era chi lo definiva uno dei libri più belli letti nell’ultimo periodo e chi, invece, non è riuscito nemmeno a finirlo. Queste dicotomie così nette mi attirano sempre. Quindi una mattina mi sono svegliata, sono andata a comprarlo e mi sono messa subito a leggerlo.

Eleanor Oliphant è una ragazza di trent’anni con un passato terribile alle spalle di cui non ricorda poi molto. Certo, sa che quelle cicatrici che ha sul volto derivano da un incendio; sa di essere passata da una casa famiglia all’altra prima di essere grande abbastanza da vedersi assegnato un appartamento tutto suo e ricevere ogni sei mesi le visite dell’assistente sociale; sa che al mondo manca un po’di educazione e che le scarpe con il velcro stanno bene con tutto; e sa anche che tutti i mercoledì sera sua madre le telefonerà da un brutto posto e le ribadirà quanto inutile e deludente lei sia. Ha qualche problema a rapportarsi con gli altri, Eleanor, anche se non ne è per nulla consapevole. Ci pensa Raymond, il tecnico informatico dell’azienda in cui lavora da subito dopo la laurea, a smuovere un po’ le sue abitudini; ma ci pensa soprattutto l’uomo di cui, improvvisamente, Eleanor si innamora a farle rivedere le sue priorità. Il passato però è sempre lì che spinge per riemergere, per venire fuori, e la donna a un certo punto capisce che non ha altra scelta se non liberarlo, e stare malissimo, per poter poi stare davvero benissimo.
Io esisto, no? A volte ho la sensazione di non trovarmi qui e di essere un frammento della mia immaginazione. Ci sono giorni in cui i miei legami con la terra mi sembrano così labili che i fili che mi tengono fissata al pianeta sono sottili come una ragnatela, come zucchero filato. Una violenta folata di vento potrebbe staccarmi del tutto, sollevandomi e facendomi volare via, come un seme di tarassaco.

Eleanor Oliphant è un personaggio caratterizzato all’ennesima potenza, nelle sue fissazioni, nelle sue manie, nei suoi evidenti problemi relazionali. Fa tenerezza, ma la sua iper caratterizzazione a tratti è anche irritante. Si capisce perché c’è chi la adora e chi la odia, chi ha amato questo romanzo e chi invece non è riuscito ad andare avanti.
Io mi sono ritrovata completamente immersa nella lettura come non mi succedeva da tempo. Ho seguito Eleanor nella sua graduale evoluzione, sorridendo delle sue (dis)avventure e provando a volte un po’ di compassione per la sua ingenuità, oltre che per il suo passato tristissimo. E ho adorato soprattutto Raymond, che è saputo andare oltre le apparenze e che sa che un gatto è sempre la soluzione.

Non ho però provato per Eleanor tutta l’empatia e l’affetto che mi sarei aspettata. Forse perché a volte l’autrice si fa prendere un po’ la mano nella caratterizzazione del personaggio e il tutto, riflettendoci un po’ più a fondo, risulta poco credibile: alcuni elementi sembrano aggiunti solo per esasperare ancor di più le sfortune della donna, senza che ce ne sia una reale necessità (la storia dell’ex ragazzo di Eleanor, per esempio, l’ho trovata un po’ eccessiva), e altri buttati un po’ lì, senza troppe spiegazioni, per far progredire il romanzo.

Quella di Eleanor Oliphant sta benissimo non è stata una brutta lettura, assolutamente. È un libro che ti mostra che anche dopo tante sofferenze si può arrivare a stare bene e che, se solo si aprono un po’ gli occhi e ci si ammorbidisce un po’, ci sarà sempre qualcuno pronto a sostenerti. 

Ecco che cosa provavo: il peso caldo delle sue mani su di me; la sincerità del suo sorriso; il calore delicato di qualcosa che si apriva, nello stesso modo in cui i fiori si schiudono la mattina alla vista del sole. Sapevo che cosa stava accadendo. Era la parte priva di cicatrici del mio cuore. Era abbastanza estesa da lasciare entrare un po’ di affetto. C’era ancora un minuscolo spazio libero.

Per quanto mi riguarda, però, è mancato qualcosa per rendere questo libro davvero indimenticabile, come avrebbe invece avuto tutto il potenziale di essere.


Titolo: Eleanor Oliphant sta benissimo
Autore: Gail Honeyman
Traduttore: Stefano Beretta
Pagine: 352
Editore: Garzanti
Anno: 2018
Prezzo: 14,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Eleanor Oliphant sta benissimo
formato ebook: Eleanor Oliphant sta benissimo

lunedì 4 settembre 2017

IL MAESTRO E MARGHERITA - Michail Bulgakov


Mentre in rete imperversava l’ennesima polemica sulla lettura e ruolo formativo dei classici (nel caso ve la foste persa: è uscito un articolo sul Il fatto quotidiano in cui Francesco Musolino ha chiesto a dieci giovani scrittori italiani quale classico non hanno letto. Un articolo più o meno ironico, molto breve, da cui sono nate accuse di ignoranza verso tutti i giovani scrittori, schieramenti, insulti e ritrattazioni varie, nonché, ovviamente, almeno altri tre articoli), io mi sono finalmente decisa a leggere Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov.

Sì, sono arrivata a trentadue anni senza mai aver letto quello che è considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.

I motivi sono diversi.  Il primo è che ho un rapporto un po’ altalenante con i classici: ne ho letti in passato e li leggo ancora adesso, ma non così di frequente. Credo che i classici abbiano ancora tanto da dire (forse una definizione di classico è proprio questa: un romanzo che, per forma e contenuti, resiste al passare del tempo), ma che non si possa leggere solo quelli. Devono essere in qualche modo complementari ai romanzi moderni e considerando quanti libri interessanti escono ogni giorno, fatico sempre un po’ a ricavare del tempo per leggere libri del passato.

Il secondo è che leggere i classici mi spaventa un po’. Quando tutti di un libro dicono che è un capolavoro io ho sempre paura ad approcciarmici. E se poi a me non piace? E se poi io non ci trovo nulla di quanto è stato esaltato quasi da tutti? Da un lato penso “vabbè, pazienza”, dall’altro però è bastato vedere che cosa ha scatenato quella polemica di fine estate di cui si parlava prima, per capire che ci sono romanzi che sembrano quasi intoccabili. Li devi aver letti e ti devono assolutamente essere piaciuti. 
Questa paura si amplifica quando si parla di romanzo russi. Ho studiato Anna Karenina senza mai averlo letto nella sua interezza. Ho letto tutto Delitto e Castigo ed è stata una mezza sofferenza che ha quasi azzerato la mia voglia di riprovarci ancora.

Però era da un po’ di tempo che Il maestro e Margherita mi stava quasi perseguitando. Da quando ho letto questo bellissimo articolo di Serena Daniele per la rubrica "Libri tanto amati" sul blog di Giacomo Verri, è iniziata a venirmi un po’ di curiosità. Curiosità che è aumentata, dopo aver visto che Bookriot ha inserito il romanzo di Bulgakov tra i dieci romanzi che meglio incarnano la definizione di realismo magico, fino al punto da dover assolutamente rimediare questa lacuna dopo aver sentito da più fronti, anche quelli meno dittatoriali riguardo alla lettura di certi libri, che sì, forse avrei dovuto leggerlo.
E quindi in un caldo pomeriggio d’estate ho deciso che era arrivato il momento di Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. 

La trama è nota a tutti. Il maestro del titolo è uno scrittore che è stato emarginato dalla Cultura ufficiale sovietica dopo aver scritto un romanzo su Ponzio Pilato, di cui è stata rifiutata la pubblicazione. Il maestro ora vive in un manicomio e di lui sembra ricordarsi solo la bella Margherita, la sua amante.
Nel frattempo, in città è arrivato Voland, il diavolo, che sta per celebrare un sabba. Deve però trovare la donna giusta per parteciparvi. Nell’attesa di incontrarla, accompagnato dal gatto Behemot e da un altro aiutante, stravolge la vita di chiunque incontri in città. La strada di Voland incrocia poi quella di Margherita e, di conseguenza, anche quella del maestro.
In parallelo si legge poi la storia di Ponzio Pilato, quella raccontata nel libro del Maestro. Un racconto nel racconto, che all’inizio lascia un po’ interdetti (nel romanzo compare prima questa storia del personaggio del maestro), ma che poi, con lo stratagemma del racconto nel racconto, man mano che si procede con la lettura acquisisce un senso.
A queste due vicende principali se ne intersecano poi altre: piccole trame minori, a volte anche solo semplici episodi, che servono a tratteggiare le caratteristiche di Voland e il ruolo che il diavolo può avere nella società.

Non ho impiegato molto tempo per leggere Il maestro e Margherita. E, probabilmente, se non avessi letto la prima edizione con la prima traduzione (a opera di Maria Olsoufieva), il tempo di lettura sarebbe stato ancor più breve. Perché sì, pur essendo un romanzo russo, Il maestro e Margherita è scorrevole e in molti punti anche molto divertente.

A quasi due settimane dalla fine della lettura, però, ancora non riesco a stabilire se questo romanzo mi sia piaciuto o meno. Un senso di inquietudine molto forte, infatti, ha iniziato a pervadermi già dopo poche pagine dall'inizio. Un effetto che Bulgakov è stato bravissimo a trasmettere e che è ovviamente una parte integrante del romanzo e della sua bellezza, che però forse su di me ha un effetto non del tutto positivo.

Questa sensazione, quasi di paura, non se ne è andata nemmeno nei giorni successivi e anche adesso che ci ripenso per scrivere, rimane dominante rispetto a tutto il resto. Rispetto alla genialità di Bulgakov nel creare queste trame e incastrarle tra loro; rispetto al divertimento di alcune scene e alla bellezza di alcuni personaggi (ovviamente sono innamorata del gatto Behemot… che, ahimè, nella traduzione in cui ho letto io il romanzo si chiama ancora Ippopotamo); rispetto persino alla storia d’amore tra il maestro e Margherita, disposta a tutto pur di riabilitarlo.

Scultura dedicata ai protagonisti di Il maestro e Margherita, a Mosca (Fonte: Ruslan Krivobok/RIA Novosti)
È la figura di Voland, ovviamente, ad avermi creato tutta questa inquietudine. Questo diavolo che arriva in incognito e fa da un lato scherzi quasi simpatici, dall’altro funeste e angoscianti previsioni di morte. Questo diavolo che deve celebrare un sabba (una scena abbastanza cruenta, per quanto mi riguarda) e che fa sfilare le sue vittime davanti a una regina, perché illustrino le loro terribili pene. 
Questo diavolo che ha potere di vita e di morte su tutti quelli che incontra e che è potrebbe essere ovunque, in mezzo ai protagonisti ma anche in mezzo a noi, senza che ce ne rendiamo conto.

In questo personaggio e in tutte le sue implicazioni sta tutta la bravura di Bulgakov, ne sono più che consapevole. Ma sta anche tutto quello che in me ha causato un’inquietudine talmente profonda da farmi quasi chiedere chi me l’abbia fatto fare di leggere finalmente questo libro, perché non so quando questa sensazione se ne andrà. Un libro che provoca tutto questo è sicuramente un capolavoro e, se torniamo alla definizione di classico detta all’inizio, ovvero un romanzo che avrà sempre qualcosa da dire nonostante gli anni che passano e i tempi che cambiano, sicuramente Il maestro e Margherita è un classico, forse addirittura IL classico.

Però, forse, non è quello che fa per me.

Titolo: Il maestro e Margherita
Autore: Michail Bulgakov
Traduttore: Maria Olsoufieva
Pagine: 410
Anno di pubblicazione: 1973
Editore: Garzanti
Acquista su amazon:
formato brossura: Il Maestro e Margherita

mercoledì 11 febbraio 2015

Due titoli, un solo libro: ma perché?#107

 


«Uh guarda, un libro ambientato in una libreria! Ma cavolo, dal titolo si capisce! Meglio se lo specifichiamo, che se no poi i lettori appassionati di libri che parlano di libri magari non se n accorgono e non non lo comprano! E poi che ci mettiamo, un faccione o una ragazza di spalle?»
«La ragazza di spalle, il faccione lo abbiamo messo l'ultima volta»
«Hai ragione!Stavo per sbagliarmi».

Ed è così che The moment of everything (letteralmente "Il momento di tutto") di Shelly King è diventato Tutta colpa di un libro.

Titolo originale: The moment of everything
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Tutta colpa di un libro
Autore: Shelly King
Traduttore italiano: Lo sto cercando disperatamente ma non riesco a trovarlo, troppo faticoso metterlo nella pagina del libro sul sito o su Il Libraio, quando viene presentato? EDIT delle 11.40: dalla regia mi informano che la traduttrice è Roberta Scarabelli. 
Editore italiano: Garzanti

mercoledì 10 dicembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #101


Dai su, era da qualche settimana che non parlavo di un romanzo Garzanti. E recupero, grazie alla segnalazione di Cristina, con un libro che incarna perfettamente tutte le mie battaglie, perse, contro i titoli sempre uguali. The map of true places di Brunonia Barry, letteralmente traducibile con "la mappa dei luoghi veri", diventa La ragazza che rubava le stelle. Effettivamente la traduzione letterale del titolo originale non suona poi così bene ma, anziché pensare a un titolo che potesse avere più o meno lo stesso senso, la casa editrice ha fatto ricorso alla solita "Ragazza che..." fa qualcosa. Nello specifico qui ruba le stelle (come faccia, di preciso, non lo so)

A questo si aggiunge poi la copertina, con la solita figura di spalle (ricorrente tanto quanto i faccioni, sulle copertine Garzanti) che guarda verso l'infinito. C'è da dire che l'originale è molto simile, e addirittura un meno poetica di quella italiana, che sarebbe anche bella, se non fosse che si è già vista e rivista. 


Titolo originale: The map of true places
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: La ragazza che rubava le stelle
Autore: Brunonia Barry
Traduttore italiano: Alba Mantovani
Editore italiano: Garzanti

mercoledì 3 settembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #90


Eh niente, proprio non ci riesce la Garzanti a mantenere i titoli originali. E così "La libreria", di Deborah Meyler, un titolo così breve, semplice eppure, per me, molto evocativo, diventa "Lo strano caso dell'apprendista libraia". Lungo e, soprattutto, che richiama immediatamente a Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon.
E già che ci siamo mettiamo anche una bella signorina in copertina, girata di spalle, con una lunga treccia e una maglietta vintage, che fa molto lettrice (sono sicura che se l'avessero messa da davanti anziché di schiena avrebbe avuto gli occhiali e le lentiggini).

Sicuramente questo titolo attirerà tante lettrici... ma di sicuro non me (sì, credo anche io che la Garzanti possa sopravvivere anche senza di me... e questa notizia mi riempie di gioia, perché così posso continuare a parlar male dei suoi titoli farlocchi senza sentirmi troppo in colpa).

Titolo originale: The Bookstore
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Lo strano caso dell'apprendista libraia
Autore: Deborah Meyler
Traduttore italiano: C. Marseguerra
Editore italiano: Garzanti

lunedì 25 agosto 2014

UN BEL SOGNO D'AMORE - Andrea Vitali

In mezzo al marasma di libri di Andrea Vitali che vengono pubblicati ogni anno, una volta ogni tanto ce n'è uno un po' più degno di nota degli altri. 
Lo stile è sempre lo stesso, ovviamente. C'è sempre Bellano, c'è sempre la vita di paese con i suoi caratteristici protagonisti e le sue trame banalissime eppure di vitale importanza per chi le vive, e ci sono sempre questi capitoli brevi, di facile lettura, che ti fanno arrivare alla fine senza quasi accorgertene.

Però, ecco, in questo Un bel sogno d'amore ho trovato anche qualcosina in più. Forse perché parla d'amore, quello di Adelaide, indecisa tra il suo storico fidanzato Alfredo Denti, che sembra abbia bisogno di più di un incoraggiamento per compiere il passo definitivo, ed Ernesto Tagliaferri, detto Il Taglia, ladruncolo di provincia che non riesce a fare a meno di mettersi nei guai. Ma anche dell'amore presunto dell'austera madre di Alfredo per quell'uomo misterioso che vede ogni giorno all'ora di pranzo.

La trama è davvero molto semplice, come lo è in tutto i romanzi di questo autore, che riesce a trovare sempre qualcosa che meriti di essere raccontato nella vita quotidiana di un piccolo paese: chiacchiere, piccoli crimini e intrighi, voci e pettegolezzi che si alimentano quasi da soli. E tu ti senti quasi parte di tutto questo, leggendo le sue storie. Soprattutto quelle ben riuscite come questa, più intensa e profonda del solito.
Certo, la scelta di focalizzare l'attenzione sulla proiezione di L'Ultimo tango a Parigi come motore dell'azione è in realtà più un trovata di marketing che non il vero fulcro del libro... ma ammetto che con me ha funzionato, perché se non avessi avuto la curiosità di sapere quali sono state le reazioni di fronte a quel film scandaloso, difficilmente avrei acquistato. E quindi alla fine non mi è nemmeno poi pesato così tanto l'essere stata platealmente fregata dalla quarta di copertina.

Insomma, un libro all'altezza del Vitali dei tempi migliori, in cui si percepisce più cura nella scrittura e meno ansia di pubblicare a tutti i costi qualunque cosa. Lo consiglio!

Titolo: Un bel sogno d'amore
Autore: Andrea Vitali
Pagine: 371
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811687542
Prezzo di copertina: 9,90€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Un bel sogno d'amore

lunedì 23 giugno 2014

LA LIBRERIA DEGLI AMORI INATTESI - Lucy Dillon

Più o meno una volta all'anno abbandono tutti i miei pregiudizi, le mie perplessità e la mia avversione e leggo un romance dal titolo bislacco pubblicato dalla Garzanti.Lo faccio quando esce in versione tascabile l'ultimo romanzo di Lucy Dillon e ci sono gli sconti.
Solo questa autrice, che ho conosciuto quasi per caso qualche anno fa, quando un mio caro amico mi ha regalato in lingua originale il suo primo romanzo, The ballroomclass, riesce a farmi superare tutte le mie remore nei confronti di questo genere. Il motivo credo sia la presenza di un sacco di animaletti pelosi a quattro zampe in tutte le storie che scrive. Non riesco proprio a resistere, davanti a quei musetti. Anche se sono più che consapevole che il rischio di trovarsi di fronte a qualcosa di banale, scontato, già letto, già sentito è molto, molto alto, considerando soprattutto il fatto che Lucy Dillon pubblica un libro così all'anno, ogni anno, verso giugno, mi ritrovo un suo romanzo tra le mani.

Protagoniste sono Michelle e Anna. Michelle arriva in questo sperduto paese per sfuggire al suo passato. Espulsa della scuola che frequentava e poi ingabbiata in un matrimonio con un uomo tanto affascinante quanto viscido e crudele, la donna decide di aprire un negozio di chincaglierie per la casa al posto della vecchia pescheria. Durante i primi giorni conosce Anna, appassionata di libri per bambini, sposata con Phil, divorziato e padre di tre figlie in diverse fasi d'età a cui la donna si ritrova a fare da matrigna, rinunciando a un figlio tutto suo. Anna e Michelle diventano molto amiche, e quando Michelle decide di rilevare la libreria accanto al suo negozio, non può che affidarla ad Anna, alla quale però nasconde i suoi piani di trasformala in una succursale del suo già avviato negozio. Non potrà farlo prima di un anno però, perché il vecchio proprietario non affitterà il locale a nessuno senza la garanzia che almeno per altri 365 giorni rimarrà un libreria. A farsì che questo venga rispettato c'è il giovane e buffo avvocato appassionato di libri e, soprattutto, Tavish l'anziano cagnolino del proprietario.

Non vado avanti con la trama perché potete immaginare perfettamente da soli cosa possa succedere. Leggendo, mi sono ritrovata più di una volta a dire "Non dirmi che adesso..." e poi poche pagine dopo scoprire che effettivamente stava succedendo quello che avevo previsto.
 Però devo ammettere anche che questo libro è stato un compagno perfetto per una giornata in spiaggia. Che nella sua banalità mi ha tenuta compagnia senza richiedermi troppi sforzi mentali, che mi ha fatto ridere e sorridere e ha alimentato al punto giusto il lato pettegolo del mio carattere. E poi ci sono i libri, un elemento fondamentale nella vita di Anna, anche se forse un tantino stereotipata (o forse è la vita di noi lettori ad essere fatta di questi stereotipi). Ho apprezzato moltissimo l'idea di iniziare ogni capitolo con una breve recensione di un libro fatta da uno dei protagonisti, che in qualche modo anticipa quanto succederà nel capitolo.
Certo, i cani questa volta ci sono ma non svolgono un ruolo poi così fondamentale come nei precedenti e la loro presenza, per quanto buffa e adorabile, non era poi così fondamentale come la trama riportata in quarta di copertina lasciava intendere.
Insomma, La libreria degli amori inattesi è un libro piacevole e divertente da leggere, adatto quando si ha bisogno di riposare un po' la mente, senza però tuffarsi in romanzi davvero troppo imbecilli. Lo consiglio per un pomeriggio in spiaggia o comunque di totale inedia.

Ah sì, poi quando lo avrete letto, venite a spiegarmi cosa sono i palloncini di Natale da mettere sull'albero? (Un modo elegante per dire che la traduzione e la revisione avrebbero dovuto essere un po' più precise).


Titolo: La libreria degli amori inattesi
Autore: Lucy Dillon
Traduttore: Sara Caraffini
Pagine: 477
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811687528
Prezzo di copertina: 9,90 €
Acquista su amazon:
formato brossura: La libreria degli amori inattesi

mercoledì 30 aprile 2014

OLIVE COMPRESE - Andrea Vitali

Lo so, lo so, non sono una persona molto coerente. Passo buona parte del mio tempo a criticare quegli scrittori che pubblicano (di dire "scrivono" non me la sento) tre o quattro romanzi nuovi all'anno e poi però alla fine li leggo. In realtà, di questi autori così prolifici leggo solo Andrea Vitali e solo i romanzi più vecchi, quelli che potevano definirsi "il nuovo romanzo di..." per più di sei mesi. L'ho già detto e ripetuto più volte che i romanzi più vecchi di Andrea Vitali mi piacciono molto. Letture leggere leggere che mi divertono un sacco.

Era a un po' di tempo che volevo leggere Olive comprese. Con questo suo titolo, molto curioso, era forse uno dei romanzi di Vitali che mi ispirava di più, sebbene non avessi idea di quale fosse la trama. Anche perché, alla lunga,  le trame dei romanzi di Vitali sono tutte un po' simili e, soprattutto, non sono poi così fondamentali.
Di fondamentale c'è Bellano, questo paesino sul lago di Como, con i suoi caratteristici abitanti e i loro piccoli grandi drammi a sconvolgere la normale vita di paese, questa volta negli anni '30, ai tempi del fascismo.  E poi ci sono un medico, un maresciallo, un podestà con una moglie strampalata, una gattara dall'oscuro passato e un impiegato delle poste che ha un figlio disperso in guerra. C'è un gruppo di amici, che si divertono a commettere piccolo crimini e a fare un po' di casino (oltre che andarci, al casino), che con il passare del tempo però uno per uno mettono la testa a posto: c'è chi rimane a Bellano e si sposa, chi se ne va definitivamente per non tornarci più.

Raccontare la trama di un romanzo di Vitali è davvero un'impresa ardua, se non impossibile. E' un po' come se chiedeste a una vecchina del vostro paese o del vostro condominio se c'è qualche novità. E lei partirà a parlare, a raccontare, a fare collegamenti che all'apparenza non hanno alcun senso ma che messi tutti insieme dipingono un ritratto fedele di quello che succede attorno a lei. E sta proprio lì la forza dei romanzi di Vitali secondo me. Nella loro apparente banalità e semplicità, negli intrecci che sembrano non avere senso ma che invece un senso ce l'hanno eccome. Nella comicità quasi involontaria delle situazioni e delle reazioni dei vari personaggi.
E' insomma una lettura leggera, che tira fuori il lato pettegolo di ognuno di noi (è inutile negarlo, ce l'abbiamo tutti un lato pettegolo!) e per questo riesce a conquistare e appassionare. E poi il momento in cui il titolo viene spiegato è davvero divertente.

Insomma, Olive comprese è un romanzo che merita. E magari lo sono anche tutti quelli nuovi di Andrea Vitali (al momento non sono nemmeno sicura di quale sia il titolo dell'ultimo, che ne sono usciti due in due mesi), ma questa sua eccessiva prolificità secondo me gli toglie un po' di fascino e aumenta quel senso di ripetitività che romanzi come i suoi necessariamente hanno. Se  se ne legge uno all'anno questa ripetitività non disturba, uno ogni due mesi diventa un po' noioso.


Titolo: Olive comprese
Autore: Andrea Vitali
Pagine: 448
Anno: 2006
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811682752
Prezzo di copertina: 9,90€
Acquista su amazon:
formato ebook:Olive comprese (Garzanti Narratori)

mercoledì 12 febbraio 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #68

Innanzitutto mi devo scusare per la latitanza di questi giorni sul blog. Siamo in fase trasloco e il tempo per leggere in questo periodo è molto ridotto.  E nella casa nuova ancora non abbiamo internet, quindi non riesco nemmeno ancora a programmare post. Portate pazienza, che a breve conto di tornare più viva e operativa che mai.

Per la puntata di oggi della rubrica di confronto tra titolo originale e sua traduzione, mi avvalgo del suggerimento di una fan della pagina, accanita lettrice e, da qualche tempo, anche mia spacciatrice di libri. Il romanzo è della Garzanti, casa editrice verso cui, come ormai sapete, da un po' di tempo a questa parte non provo grande simpatia. Non che voglia accanirmi sempre contro di lei, per questi cambiamenti di titolo... ma diciamo che te le serve sempre su un piatto d'argento. Eppure oggi il confronto non è del tutto negativo.

Il libro di cui sto parlando è FINCHE' LE STELLE SARANNO IN CIELO di Kristin Harmel

Uscito in Italia nel 2013 con la traduzione di S. Caraffini, il romanzo racconta la storia di Rose, una donna dal passato oscuro e sconosciuto, che, ormai invecchiata, vorrebbe ritrovare la sua vera famiglia, a Parigi. Per farlo si affida alla nipote Hope, alla quale rivela di essere ebrea e di essere sopravvissuta all'olocausto. Gli unici indizi che ha Hope per aiutare la Rose sono un elenco di nomi e una ricetta, quella dei dolci preparati da Rose nella sua pasticceria di Cape Cod.

Il romanzo in lingua originale è uscito nel 2012 con il titolo THE SWEETNESS OF FORGETTING

Letteralmente si potrebbe tradurre con "La dolcezza del dimenticare". In originale quindi l'attenzione è focalizzata sul lavoro di pasticcera di Rose e sui tanti anni passati.
Ovviamente questo titolo viene completamente stravolto nel passaggio alla nostra lingua.
La ragazza che mi ha suggerito questo libro però mi scrive anche che, sebbene sia completamente diverso, anche la versione italiana ha un suo senso:
Vero, il titolo italiano non c'entra nulla con quello originale, ma per il libro è azzeccatissimo, la frase viene ripetuta un paio di volte e le stelle hanno un ruolo simbolico molto importante.
Quindi il cambiamento c'è stato ed è decisamente evidente, ma non si discosta completamente dal contenuto del libro (come invece spesso succede).

Per quanto riguarda la copertina, mi vengono in mente solo improperi... Quella originale è meravigliosa, quella italiana ha il solito faccione.

venerdì 13 dicembre 2013

LA MAMMA DEL SOLE - Andrea Vitali

Io con Andrea Vitali ho un rapporto strano. Nel senso che ultimamente dico di lui peste e corna, per questa sua, per me terrificante, abitudine di pubblicare almeno 5 libri all'anno. Sono troppi, secondo me. Anche perché poi, leggendoli, si ha come l'impressione che li abbia scritti di fretta, senza rifletterci troppo: come se fossero un abbozzo di storia, che avrebbe bisogno di essere ampliata, ma che lui non abbia voglia di ampliare. Per cui, dai romanzi nuovi di Andrea Vitali, cerco di tenermi lontana (ne ho letti solo due "Galeotto fu il collier", lunghissimo ma comunque estremamente superficiale, e "Regalo di Nozze"). 
Però ogni tanto ho voglia delle sue storie leggere leggere. Ne avevo bisogno, ad esempio, dopo Libertà di Franzen, per riposare la mente e leggere qualcosa che non mi desse molto da pensare. Quando è così, cerco tra i suoi romanzi più vecchi e trovo esattamente quello di cui ho bisogno.

La mamma del sole è in realtà poi solo del 2010, eppure non ci ho ritrovato quella sensazione di superficialità dei romanzi più recenti.
Siamo sempre a Bellano (e non riesco a immaginare che Vitali ambienti un suo romanzo da qualche altra parte) e c'è sempre tutta una galleria di personaggi bislacchi, pittoreschi, quelli tipici di un paesone degli anni '20. C'è una donna che scompare da una casa di riposo, un carabiniere con la passione dell'aeronautica che da una vecchia radio sgangherata segue i gloriosi trasvolatori della Seconda Crociera Atlantica, c'è una perpetua un po' bisbetica e un sacrestano nervoso che ogni tanto suona un'ora in più. C'è il capo della sede del partito fascista, a cui del partito fascista non potrebbe fregar di meno, e una donna dai facili costumi, con una quindicina di figli tra legittimi e illegittimi. E poi il maresciallo dei carabinieri, che si trova, ovviamente, in mezzo a tutto questo.

La trama di questo romanzo, che si basa su due misteri, quello della donna scomparsa e quello dell'interessamento del partito fascista nei confronti della donna di facili costumi, è in realtà solo un pretesto. E' semplice, quasi banale, ma permette ai personaggi di muoversi, di mostrarsi, di agire e di dare vita a un ritratto perfetto dell'epoca. Non succede mai nulla di troppo tragico, nei romanzi di Vitali. E anche quando succede è affrontato con una giusta proporzione tra ironia e rispetto. Si ride e si sorridere, a volte un pochino ci si commuove anche. E soprattutto non si pensa. Si legge e basta. Le pagine scorrono, scorrono e arrivi alla fine senza quasi accorgertene (merito anche dei capitoli brevi).

I romanzi di Andrea Vitali, insomma, vanno presi così. Non sono capolavori e non hanno alcuna pretesa di esserlo. Puro e  semplice intrattenimento. Ottimi da leggere uno ogni tanto, quando si ha bisogno di qualcosa di leggero leggero, per far passare il tempo e riposare la mente.  Certo, bisogna riuscire a scordarsi di quanti libri pubblica all'anno o l'effetto viene un po' rovinato. Ma se fate come dicevo all'inizio, e prendete le opere più vecchiotte, non vi infastidirete più di tanto... e vi ritroverete immersi in questi buffissimi ed soprattutto estremamente realistici pettegolezzi di paese. Con un bel lieto fine.

Titolo: La mamma del sole
Autore: Andrea Vitali
Pagine: 286
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: Garzanti
ISBN : 978-8811686323
Prezzo di copertina: 10,90€
Acquista su Amazon:
formato brossura: La mamma del sole

mercoledì 11 dicembre 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché?#61

Dopo il viaggio a New York della settimana scorsa, nella puntata di oggi della rubrica di confronto tra titolo originale e titolo tradotto non andiamo da nessuna parte. Rimaniamo fermi qua, meglio se seduti, perché il confronto di oggi, per chi ancora non avesse visto in giro i libri di cui parlerò, potrebbe essere un po' scioccante.
Ammetto che, da quando l'ho notato, mi è sembrato sempre talmente tanto assurdo che ero perfino restia a parlarne. Mi sembrava un po' di sparare sulla croce rossa, mettendo in evidenza come questa maledetta moda dei titoli tutti uguali potesse davvero raggiungere livelli imbarazzanti. Però non ho avuto tempo di cercare altri libri, di fare ricerche più approfondite e quindi ho deciso di parlarne. Anche perché, diciamo la verità, voglio essere sicura che questo incredibile autogol arrivi a più persone possibile.

Qualche mese fa è uscito, per la casa editrice Garzanti, un romanzo dal titolo L'AMORE IN UN GIORNO DI PIOGGIA, scritto da Sarah Butler e tradotto da E. Budetta:


Sempre qualche mese fa è uscito, per la casa editrice Sperling & Kupfer, un romanzo dal titolo L'AMORE IN UN GIORNO DI PIOGGIA, scritto da Gwen Cooper e tradotto da G. Balducci:


Ovviamente, non ci potevo credere. Ho voluto anche dare il beneficio del dubbio alle due case editrici, andando a controllare i rispettivi titoli originali. E indovinate un po'? Nessuno dei due titoli originali corrisponde ai due titoli italiani.
Quello di Sarah Butler in originale si intitola, infatti, TEN THINGS I'VE LEARNED ABOUT LOVE

Tradotto letteralmente: Dieci cose che ho imparato sull'amore.

Quello di Gwen Cooper, invece, si intitola LOVE SAVES THE DAY

Tradotto letteralmente: L'amore salva la giornata.

Com'è possibile quindi che due libri che in originale hanno due titoli completamente diversi (l'unica cosa in comune è la parola amore sulla copertina), si siano ritrovati ad avere in italiano un titolo identico? 
Anche guardando la data di pubblicazione, è difficile capire di chi sia la disattenzione: entrambi sono usciti a settembre di quest'anno (il primo il 12 e il secondo il 10)... si tratta quindi di un'incredibile casualità? (in realtà pare che quello della Garzanti circolasse già qualche mese prima in ebook... ma per il momento non sono riuscita a trovare riscontri in proposito).
Può darsi quindi che sia una coincidenza, di quelle che fanno sorridere qualcuno ma sudare freddo altri, però ci terrei a sottolineare ancora una volta che se fossero stati mantenuti i titoli originali, questo non sarebbe mai successo.

E poi, porca misera, ma perché non hanno mantenuto le due bellissime copertine originali?

lunedì 17 giugno 2013

PICCOLI PASSI DI FELICITA' - Lucy Dillon


Non so perché ma ogni volta che leggo e recensisco un romanzo di Lucy Dillon mi vengono in mente degli aneddoti canini della mia vita. E pensare che non ho mai nemmeno avuto un cane mio e che fino a tredici anni circa avevo una paura folle di questi pelosi animali a quattro zampe. Invece ora, complici anche le due simpatiche e buffe bestiole del mio ragazzo, nutro nei confronti dei cani un affetto smisurato. 
Affetto che si dimostra anche nell'acquisto di questi romanzi, che normalmente non acquisterei visto la loro chiara tendenza rosa, attirata soprattutto dalla copertina (che ha proprio lo scopo di attirare gli allocchi come me). Però, se proprio mi venisse chiesto di consigliare un romanzo rosa, quelli di Lucy Dillon sarebbero sicuramente tra i primi. 
Ho conosciuto per caso questa autrice qualche anno fa, grazie a un mio amico che mi ha regalato il primo romanzo, Lezioni di ballo, in lingua inglese. E subito mi sono accorta che, a differenza della maggior parte dei romanzi rosa, questo non mi annoiava per niente. Forse perché non cadeva nelle banalità tipiche del genere o lo faceva in modo meno scontato. Poi, qualche anno dopo è poi uscito "Il rifugio dei cuori solitari", con un bel cagnolone in copertina, ed è stato amore. E quindi, devo ammetterlo, ho atteso con parecchia ansia l'uscita in economica anche di Piccoli passi di felicità.



Protagonista è Juliet, una donna sulla trentina, il cui marito Ben, con cui stava insieme dai tempi del liceo, è da poco morto d'infarto. Di lui al momento gli rimane una casa immensa ancora da ristrutturare, una suocera melodrammatica e Midton, il cagnolino che aveva adottato insieme a Ben, e che è l'unico in grado di colmare un po' quell'incredibile senso di vuoto che il marito le ha lasciato dentro andandosene. Finché un giorno la madre non le affida anche Coco, la sua anziana cagnolona, per tre giorni alla settimana, quelli in cui deve guardare il nipotino. Juliet è così costretta a uscire di casa per portare gli animali al parco e a poco a poco conoscerà il mondo dei cani e del loro proprietari, trasformandosi in dog-sitter. Ricomincerà così lentamente a vivere, grazie anche all'aiuto della strampalata famiglia metallara che abita vicino a lei e alle attenzioni di Lorcan, assunto dalla madre di Juliet perché dia una sistemata alla casa cantiere della figlia. Juliet inizierà a fare i conti con se stessa e con il mondo che la circonda: i problemi con la sorella, molto meno perfetta e sicura di sé di quanto tutti abbiano mai creduto; i suoi sensi di colpa per la morte di Ben e il suo affetto per i genitori, che si sono presi cura di lei in modo discreto, sacrificando un po' loro stessi. 

A differenza degli altri di questa autrice, questo libro a volte è un po' banale e stucchevole. Ma deve essersene accorta anche l'autrice stessa, che ha inserito qua e là qualche elemento originale e divertente per cercare di smorzare un po' la prevedibilità. Riuscendoci, secondo me. Perché il romanzo si legge bene, fa sorridere (grazie soprattutto alla famiglia metal) e commuovere, nonostante si capisca quasi subito come andrà a finire. Ma un po' di lieto fine ogni tanto fa anche bene, dai.

Non credo che sai necessario dire che non siamo di fronte a un capolavoro. Ma è un libro leggero leggero,  da leggere quando si ha bisogno di una lettura svuota-mente e che abbia un bel lieto fine. E se siete amanti degli animali,  non potrete non rimanere  conquistati da Midton, da Coco e tutti gli altri animali che compaiono in queste pagine. 
Io l'ho letto in spiaggia, in due pomeriggi, ed è stata sicuramente una lettura azzeccata (anche se il libro ora è un po' insabbiato e sporco di crema solare).

Nota alla traduzione: più che alla traduzione, dovrebbe essere una nota all'edizione. Il romanzo è pieno di refusi, alcuni davvero inspiegabili ("reality show" che diventa "reality shaw"), che disturbano non poco la lettura e che lasciano pensare a una scarsa cura a livello di editing e di correzione di bozze.

Titolo: Piccoli passi di felicità
Autore: Lucy Dillon
Traduttore: S. Caraffini
Pagine: 414
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811670537
Prezzo di copertina: 9,90 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Piccoli passi di felicità

mercoledì 5 giugno 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #36

Ed eccoci arrivati a un nuovo appuntamento della rubrica sul confronto tra titolo originale e titolo italiano. Una fan mi ha suggerito di provare a fare il contrario questa settimana, ovvero di prendere un libro italiano e vedere come è stato tradotto all'estero. Mi è sembrata una bella idea, anche per movimentare un po' questa rubrica.
Poi però, mentre facevo qualche ricerca in proposito, sono incappata in un romanzo straniero, il cui cambiamento di titolo a mio avviso merita una discussione. E quindi rimando alla prossima settimana il confronto contrario.

Allora, il romanzo in questione è stato pubblicato nel 2011 negli Stati Uniti e poi tradotto nella nostra lingua nello stesso anno da R. Scarabelli per la casa editrice Garzanti. Sì, proprio loro, la casa editrice che solitamente attua i cambiamenti di titolo più assurdi e sconvolgenti (dai su, era un po' che non infierivo).

Sto parlando di BETWEEN SHADES OF GREY ovvero AVEVANO SPENTO ANCHE LA LUNA di Ruta Sepetys:



Il romanzo parla della deportazione in un gulag sovietico della quindicenne Lina, ragazza lituana, figlia di un docente universitario sulla lista nera della polizia sovietica, in quanto scrittore e uomo di cultura. L'autrice stessa è di origini lituane e ha voluto racconta una storia forse dai più sconosciuta.  Non ho letto il libro, quindi non posso darvi alcun giudizio sulla trama.

La differenza di titolo è invece parecchio evidente. La traduzione letterale sarebbe "Tra le sfumature di grigio". Eh sì, inevitabilmente, anche se il romanzo è uscito prima della celebre trilogia erotica di E.L. James (uscito nel Regno Unito nel 2011 e in Italia nel 2012), la prima cosa che si pensa, soprattutto se appunto non si conoscono le tempistiche di pubblicazione, è che le opere siano in qualche modo collegate.
La Garzanti cambia quindi completamente il titolo, alludendo forse alla generale perdita della speranza che affligge i protagonisti del libro.
La domanda che sorge spontanea a questo punto però è se la Garzanti sapeva dell'imminente arrivo delle "Sfumature" o se invece ha deciso di cambiare arbitrariamente. In entrambi i casi direi che gli è andata bene (anche se trovo la copertina davvero inquietante).

Ora però è arrivato in libreria anche il secondo romanzo di questa autrice, tradotto sempre da R. Scaravelli per Garzanti: OUT OF THE EASY ovvero UNA STANZA PIENA DI SOGNI


La protagonista è figlia di una prostituta che non l'ha mai amata. Vive una vita solitaria e triste, priva di ogni affetto. Il suo unico rifugio è la libreria del suo quartiere, dove conoscerà un uomo che forse potrà aiutarla a scappare da quella vita.
Ancora una volta, la differenza tra titolo originale e traduzione è palese. E questa volta non sono sicura che sia possibile trovare una giustificazione plausibile.La traduzione letterale non è proprio semplice e comprensibile, sarebbe qualcosa come "Fuori dalla semplicità, dalla facilità". Certo, non poteva essere lasciato così in italiano, ma si sarebbe potuto forse trovare qualcosa di un po' più simile, di meno banale...

Che dite?

lunedì 22 aprile 2013

DOPO LUNGA E PENOSA MALATTIA - Andrea Vitali

Sono le tre di notte del 4 novembre. Il dottor Carlo Lonati viene chiamato per un'urgenza, il paziente lo conosce bene. Attraversa sotto una pioggia micronizzata i cinquecento metri che lo separano dalla casa del notaio Luciano Galimberti, suo antico compagno di bagordi. Può solo constatarne la morte per infarto. Ma c'è qualcosa che non lo convince, e nelle ore successive arrivano altri indizi e i sospetti crescono. Il dottore non può fare a meno di indagare: vuole sapere se il suo vecchio amico è davvero morto per cause naturali. Per farlo, dovrà conquistare la fiducia della moglie e della figlia di Galimberti. E scoprire che la verità si trova forse sull'altra sponda del lago di Como. "Dopo lunga e penosa malattia" è l'unico giallo scritto da Andrea Vitali. E forse non è un caso che abbia come protagonista un medico sensibile e acuto. L'indagine è concentrata in una settimana, tra le esitazioni dell'improvvisato detective e il moltiplicarsi di tracce e confidenze, fino al colpo di scena finale.

"Vuoi leggere un libro carino, leggero, veloce e ben scritto?"
Con questa frase mi è stato messo in mano questo libro. Certo, chi me l'ha prestato sa benissimo quanto mi piaccia leggere Andrea Vitali di tanto in tanto. I suoi sono romanzi leggeri leggeri, utili quando si cerca qualcosa da leggere che non richieda eccessivo sforzo mentale, già a partire dalla struttura in capitoli corti e veloci. Certo, le trame non gli riescono sempre molto bene, soprattutto ultimamente, forse per stare dietro a logiche editoriali e commerciali che gli richiedono uno o due libri all'anno.
Però, prendendo i romanzi più vecchi, solitamente con Vitali vado abbastanza sul sicuro. Basta leggerli con un giusto intervallo di tempo e non si viene mai a noia.

Dopo lunga e penosa malattia ha però qualcosa di diverso rispetto ai suoi soliti romanzi. Bellano c'è sempre (e se non ci fosse probabilmente ne sarei rimasta parecchio delusa), ma non è così fondamentale come nelle altre sue opere. Non è il protagonista questa volta. Così come non lo sono le chiacchiere e i pettegolezzi di paese che fanno progredire le storie negli altri suoi libri. No, qui siamo di fronte a un giallo e per scriverlo Vitali alza anche un po' il registro.
Un giallo che effettivamente funziona, ben scritto e ben studiato e che coinvolge il lettore al punto da non poter chiudere il libro finché non si arriva alla fine (cosa abbastanza fattibile, visto che è di sole 160 pagine). Ci si appassiona al destino di Luciano Galimberti, apparentemente morto d'infarto, e alle indagini del dottor Carlo Lonati, i cui sospetti che ci sia qualcosa di più sotto vengono confermati dai piccoli indizi che qualcuno gli lascia perché non perda interesse sulla vicenda. Un manifesto mortuario volutamente sbagliato, telefonate anonime continue. Bugie e ambiguità. Insomma, un bel giallo vecchio stile.
Però, purtroppo, c'è un però che rovina un po' tutto. Il finale. Uno si aspetterebbe, come in tutti i gialli di questo tipo, che tutti i tasselli vadano al loro posto: assassino e movente rivelati e giustizia finalmente fatta. E almeno in parte questo succede. Ma qualcosa rimane in sospeso, qualcosa non viene spiegato (purtroppo non vi posso dire cosa o vi rovinerei tutto il libro), lasciando quel senso di incompleto che un romanzo del genere non dovrebbe lasciare.

Il libro è sicuramente scritto bene e, pur non essendo sicuramente all'altezza di Una finestra vistalago che per me è il miglior Vitali in assoluto (tra quelli che ho letto, ovviamente), riesce a intrattenere e a divertire. Non è un libro scritto di fretta e solo ed esclusivamente per vendere, e, come si diceva all'inizio, è perfetto per lasciare andare la mente e i pensieri senza sforzi. Ma gli manca qualcosa.

(Comunque la prossima volta che mi viene chiesto "Vuoi leggere un libro carino, veloce e ben scritto?" provo a rispondere di no... solo per il gusto di vedere la faccia di chi me l'ha chiesto)

Titolo: Dopo lunga e penosa malattia
Autore: Andrea Vitali
Pagine: 176
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811686521
Prezzo di copertina: 14,60 €
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formato brossura: Dopo lunga e penosa malattia

domenica 14 aprile 2013

MIRTILLI A COLAZIONE - Meg Mitchell Moore

Burlington, Vermont. Il tavolo della colazione sembra un campo di battaglia. Uova strapazzate sbocconcellate, macchie di marmellata mista a yogurt, briciole di pane sulla tovaglia. In salotto giocattoli sparsi a terra e il pianto di un neonato. Ginny e William pensavano di non doversi più occupare di queste cose. Tutti i figli sono ormai grandi e se ne sono andati finalmente a vivere per conto proprio. Il loro programma era quello di godersi in pace gli anni della vecchiaia, curare il giardino, scaldarsi alle chiacchiere serene dell'ultimo sole. Ma è bastato un solo, breve weekend perché la casa fosse improvvisamente invasa da tutta la loro progenie. La prima a presentarsi è Lillian, in fuga da un marito fedifrago, con al seguito la sua bambina di tre anni e il neonato Philip. Poi Stephen, accompagnato dalla moglie che scopre proprio in quel momento che la sua gravidanza è a rischio ed è costretta all'immobilità immediata. E infine Rachel, la figlia minore, che ha perso il lavoro e non può più permettersi le scarpe costose e l'affitto nel pieno centro di Manhattan. Dovevano fermarsi solo pochi giorni, ma sono diventati ospiti a tempo indeterminato. William e Ginny hanno di fronte a loro una lunga, lunghissima estate in cui, fra piatti rotti, urla selvagge, ma anche le carezze tenere delle dita paffute di un nipotino, devono imparare a conoscere di nuovo i figli e i loro problemi, ormai molto più complessi di una caduta dalla bicicletta e un ginocchio sbucciato.

Eppure lo so che dovrei stare ben lontana dai libri con i faccioni in copertina. Dai libri con titoli che non c'entrano assolutamente nulla con l'originale e che hanno qualche cibo al loro interno. Dai libri che ultimamente la Garzanti sforna alla media di uno a settimana, con una bella fascetta che li dichiara "casi editoriali" o "libri dell'anno". Lo so, ma ci sono cascata ugualmente. Vuoi per curiosità, perché comunque la trama di questo mi ispirava parecchio, vuoi per vedere se magari i miei sono solo pregiudizi.
Pregiudizi che però non sarà questo libro a farmi passare. Anzi. E' riuscito a farmi crescere ancora di più l'irritazione, verso le copertine, verso i titoli e verso la casa editrice che li pubblica. E quindi questa recensione non sarà per niente ragionata. Non cercherò scusanti né giustificazioni. Perché non ce ne sono.

E' un libro insulso. Insulsi sono i protagonisti. Insulsa è la classica famiglia americana stereotipata che viene descritta e altrettanto insulse sono le vicende che a tutti i personaggi capitano. Una serie di luoghi comuni, di banalità, messi tutti insieme sotto lo stesso tetto, quello dei perfettissimi William e Ginny, che di colpo si ritrovano in casa tutti e tre i figli ormai adulti: c'è chi è in fuga da una vita deludente o da un marito fedifrago, e chi  era semplicemente in visita ma poi costretto a restare. Un'analisi dei legami tra i vari famigliari non viene mai fatta. Sono tutti semplicemente antipatici, non solo al lettore ma anche tra di loro, e tutti troppo presi dai loro problemi e dal "andiamo da mamma e papà che ci pensano loro". Certo, come no. (Anche perché, pure 'sti genitori, non è che siano così contenti di vedere i figli eh...).

Il problema principale di questo libro è che mette troppa carne al fuoco, lanciandola sulla griglia quasi a caso,  mischiando tanti elementi (il tradimento, le difficoltà delle neomamme, le mogli che guadagnano più dei mariti, il senso di smarrimento che si prova quando la vita non sta andando dove vogliamo, la religione, le gravidanze difficili), senza poi essere però in grado di seguirli. Risultato: una storia con tanto potenziale andata in fumo, che più che di mirtillo (che, per la cronaca,  l'unico modo in cui compare nel libro è sotto forma di Blackberry, inteso come cellulare) sa di bruciato.

Insomma, uno di quei libri che non appena lo chiudi (per fortuna scorre abbastanza in fretta, questo bisogna ammetterlo) non puoi fare a meno di domandarti: perché? Perché è stato scritto, perché è stato pubblicato, perché è stato tradotto e, soprattutto, perché diavolo l'ho letto.

Nota alla traduzione: c'è una nota per spiegare che il "blackberry", inteso come il cellulare tuttofare, vuol dire anche "mirtillo". E mi viene il sospetto che sia stata aggiunta dopo la scelta del titolo italiano (quello originale è "The arrivals")

Titolo: Mirtilli a colazione
Autore: Meg Mitchell Moore
Traduttore: Enrica Budetta
Pagine: 312
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811681779
Prezzo di copertina: 16,40 €
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formato brossura: Mirtilli a colazione

martedì 26 febbraio 2013

REGALO DI NOZZE - Andrea Vitali

Ercole Correnti ha ventinove anni, tra qualche giorno si sposa, dopo cinque anni di fidanzamento. In una calda domenica d'agosto, mentre sta andando a pranzo dalla mamma, sul lungolago vede una Fiat 600 bianca. È uguale alla macchina sulla quale lui aveva fatto il primo viaggio della sua vita, vent'anni prima. Con mamma Assunta, papà Amedeo e soprattutto lo zio Pinuccio. Indimenticabile, quella gita, come lo zio Pinuccio. "Nato gagà", come diceva sua sorella Assunta. Ma anche insuperabile cacciaballe, raccontava di essere mediatore d'affari per i grandi produttori di seta del comasco. Grazie ai suoi mirabolanti racconti, era in grado di affascinare qualunque femmina gli capitasse a tiro. Ma anche un po' misteriosa, quella gita: Ercole ne riuscirà a scoprire i retroscena solo vent'anni dopo, in quell'afosa domenica di fine agosto.

A volte ho l'impressione che certi autori siano o si sentano in qualche modo obbligati a scrivere e pubblicare un libro. Autori che sfornano due, tre, quattro romanzi all'anno, perché tanto il loro nome è più che sufficiente per vendere, indipendentemente dalla storia che raccontano. E purtroppo credo che Andrea Vitali  rientri in questa categoria. Lui pubblica almeno due libri all'anno (negli ultimi dodici mesi siamo già al terzo), e tutte le volte il suo libro attira (me, ma tanti altri), vende e poi però una volta chiuso lascia sempre un po' di amaro in bocca. O almeno è quello che mi è successo con le sue ultime fatiche, dal piacevole "Zia Antonia sapeva di menta", che me lo ha fatto scoprire, al noiosissimo "Galeotto fu il collier", fino ad arrivare a questo suo "Regalo di Nozze" (ma so che nel mentre ne è uscito un altro, "Le tre minestre", pubblicato non più da Garzanti ma da Mondadori). Per carità, non si tratta assolutamente di libri brutti, anche perché lo stile semplice di Vitali mi piace molto, così come adoro le sue ambientazioni bellanesi... però sembrano scritti di fretta, quasi poco curati, come se l'importante fosse appunto vendere.

Anche "Regalo di nozze" risente un po' di questa logica. La storia è bella e avrebbe davvero del gran potenziale, eppure viene liquidata troppo in fretta, con troppi punti lasciati in sospeso. Protagonista è Ercole che, a pochi giorni dal matrimonio, si appresta a compiere l'ultima cena in casa di sua madre, cuoca non proprio provetta rimasta vedova tanti anni prima. Già prima di arrivare, Ercole si rende conto che non sarà una cena come tutte le altre: ci sono tanti, troppi segni che gli fanno capire che quella sera succederà qualcosa di speciale. Primo fra tutti, aver visto parcheggiata una Fiat 600 bianca, proprio uguale a quella che aveva comprato suo padre e che poi era passata allo zio Pinuccio come regalo di nozze. L'auto non può essere la stessa, ma i ricordi che porta alla luce sono forti. Ercole si ricorda di una gita al mare fatta con quell'auto, proprio il giorno prima che il padre morisse. E si ricorda di una foto, scattata da zio Pinuccio in quella giornata, ma che la madre dice di non aver mai visto. E proprio durante la ricerca della foto, verranno alla luce ricordi e segreti del passato, che Ercole non aveva mai sospettato.

Forse il problema più grosso di questo libro è che è troppo breve. Caratteristica di Vitali questa, che se a volte è adatta alla storia raccontata, altre la limita un po', facendola quasi sembra incompiuta e troppo sbrigativa. Eppure qui ne avrebbe avuto da parlare e da raccontare. 
Non sto dicendo che il libro sia brutto, anzi. Si legge bene, fa sorridere e, come tutti gli altri libri di questo autore, riesce a farti sentire parte integrante di quello che racconta, come se anche il lettore fosse seduto in cucina con Ercole e la madre, o fosse stato seduto anche lui sul sedile posteriore di quella 600 in gita verso il mare. Però non so, avrei voluto saperne di più della vita di tutti. Avrei voluto che non fosse quasi troncato, ma che si prendesse più spazio e raccontasse meglio. Sarebbero bastate forse anche solo una cinquantina di pagine in più e l'effetto complessivo sarebbe stato diverso.
Insomma, a me va bene anche se anziché tre all'anno ne scrivi solo uno, ma che meriti davvero.

Titolo: Regalo di nozze
Autore: Andrea Vitali
Pagine: 151
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Garzanti
ISBN: 978-88-11-68695-8
Prezzo di copertina: 14 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Regalo di nozze

mercoledì 12 dicembre 2012

Due titoli, un solo libro: ma perché? #13 Speciale PROIBIZIONISMO

Se l'argomento della settimana scorsa sono stati i titoli presenti nella mia libreria che contengono la parola "segreto", quest'oggi invece vi parlo dei libri che possiedo nel cui titolo tradotto compare la parola "proibito" (in ogni sua forma e accezione).

Come sappiamo tutti, "segreto" e "proibito" sono forse le due parole più spesso inserite nei titoli italiani modificati... anche se non è facile capirne il motivo. Forse perché siamo tutti attratti da quello che non conosciamo (segreto) e che ha qualcosa magari di losco o di illegale (proibito). E quindi siamo stati letteralmente invasi da questi titoli tutti uguali, al punto che spesso non si riesce più a distinguere un romanzo dall'altro.

Mi sono accorta però che nella mia "collezione", di cose proibite ce ne sono poche: sono riuscita a trovarne soltanto due, sebbene abbia cercato parecchio, e devo ammettere che questo mi consola e non poco. Inutile dire che in nessuno dei due casi compariva la parola "proibito" nel titolo originale...
Il primo è un romanzo di qualche anno fa, edito in Italia dalla casa editrice Neri Pozza, sto parlando di THE JOURNAL OF DORA DAMAGE ovvero LA RILEGATRICE DEI LIBRI PROIBITI di Belinda Starling


Uscito in lingua originale nel 2007, poco dopo la morte dell'autrice, il romanzo è arrivato in Italia con la traduzione di M. Ortelio nel 2008. Si tratta di un romanzo storico ambientato nella Londra della seconda metà dell'800, epoca in cui veniva considerato illegale pubblicare e diffondere opere letterarie considerate immorali, ma si poteva possederle. E quindi alcuni nobili iniziarono a chiedere alla legatoria Damage di rilegare in formati preziosi alcune delle opere ritenute proibite. Sarà Dora, moglie del proprietario della legatoria afflitto dall'artrite, a svolgere questo lavoro.
La traduzione letterale del titolo originale sarebbe "Il Diario di Dora Damage". A mio avviso come titolo avrebbe funzionato anche per il pubblico italiano, eppure si è scelto di cambiarlo, utilizzandone uno più esplicativo. La protagonista è effettivamente una rilegatrice e i libri di cui si occupa sono davvero proibiti. Quindi non me la sento di condannare definitivamente questa scelta, anche perché è stata presa ben prima che iniziasse la mania del "proibizionismo" nei titoli italiani.

L'altro libro è invece "HOTEL ON THE CORNER OF BITTER AND SWEET" ovvero "IL GUSTO PROIBITO DELLO ZENZERO" di Jamie Ford


Uscito in lingua originale nel 2009, e tradotto in italiano per Garzanti da L. Noulian l'anno successivo, il romanzo parla di un periodo della storia americana che io non conoscevo, quello della vita dei giapponesi negli Stati Uniti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Se volete, potete trovare qui la recensione.
La prima cosa che si nota è che nella versione italiana, almeno nella prima edizione, è stata mantenuta la stessa copertina dell'originale, a mio avviso effettivamente molto bella e perfettamente adatta alla trama del libro. Per quanto riguarda il titolo, la traduzione letterale dall'inglese sarebbe "Hotel all'angolo del dolce e dell'amaro". Effettivamente come titolo sarebbe stato un pochino macchinoso e non facile da ricordare, anche se magari modificando semplicemente l'ordine o qualche parola si sarebbe potuto ottenere un effetto analogo. La Garzanti invece decide di stravolgere tutto, scegliendo "Il gusto proibito dello zenzero". Una scelta che non riesco a comprendere, anche perché all'interno del libro si fa riferimento allo zenzero forse una volta, di sfuggita, senza che influenzi minimamente la trama. Eppure lo zenzero è finito in copertina...

... ma la Garzanti un giorno o l'altro me la dovrà spiegare questa politica dei titoli!

giovedì 6 dicembre 2012

PROFUMI, GIOCHI E CUORI INFRANTI - Joanne Harris

Quelle che Joanne Harris racconta nei suoi libri sono prima di tutto storie: appassionanti avventure vissute da personaggi che s'imprimono nella memoria, rivissute con il brio e la sapienza di un'autrice che padroneggia le più sottili tecniche di scrittura. Ma a colpire nei suoi libri è soprattutto la voglia e la capacità di comunicare, di stringere un patto di immediata simpatia con il lettore, anche quando affronta i lati oscuri dell'esistenza. In "Profumi, giochi e cuori infranti" il piacere del racconto torna con tutta la sua forza di seduzione: temi spesso curiosi e spiazzanti, narrati da voci ben caratterizzate e autentiche, situazioni sorprendenti che si dipanano in trame piene di invenzioni con sorpresa finale.

"Chocolat" di Joanne Harris è in assoluto uno dei miei romanzi preferiti. Ma anche " La scuola dei desideri" e "Vino, patate e mele rosse" sono molto belli e appassionanti. Di questa autrice amo molto lo stile, il suo modo di portarti all'interno della trama, al punto che ti sembra di essere un personaggio in più. Amo molto il suo modo di descrivere i dettagli, i profumi, i colori, gli odori e le sensazioni di ogni personaggio. Certo, questo non le riesce alla perfezione in tutte le sue opere ("La spiaggia rubata", ad esempio, è stata una lettura abbastanza inutile, se mi passate il termine. Né amo i suoi romanzi troppo mistici e magici). Non sapevo che questa autrice avesse scritto anche dei racconti finché su un altro blog sono venuta a conoscenza di questo libro. O meglio, lo conoscevo già, ma per qualche inspiegabile motivo me ne ero sempre tenuta alla larga.  Ho deciso comunque che era arrivato il momento di provare e ho preso in prestito questo volume in biblioteca.

E meno male che non l'ho acquistato! Eh sì, perché questa volta la Harris non è riuscita a conquistarmi come avrei immaginato e sperato. Può essere che il racconto breve non sia il genere in cui riesca meglio, può anche essere che la terribile traduzione abbia contribuito a non farmelo apprezzare a dovere, fatto sta che di questi due racconti, ce ne sono solo quattro che mi sono piaciuti davvero e che è valsa la pena leggere. Il fatto che due di questi fossero collocati in prima posizione mi aveva fatto ben sperare che tutta la raccolta fosse così meritevole. Speranza vana purtroppo.
Lo stile della Harris, la sua magia e la sua abilità con le trame e le parole si ritrova solo in "Faith e Hope fanno shopping", in cui le due protagoniste, due residenti in una casa di riposo "evadono" per andare in città una a comprarsi un paio di scarpe bellissime che ha visto su una rivista e l'altra perché vuole assolutamente una copia di "Lolita" di Nabokov, lettura non ritenuta adatta dall'infermiera che legge per loro tutte le sere. Fa sorridere questo racconto. Fa riflettere ed è colmo di una dolcezza infinita che non può lasciare indifferenti.
Subito dopo questo racconto, c'è "La sorellastra di Cenerentola", una geniale apologia di tutte le sorellastre del mondo, vittime di stereotipi e cliché che le vedono ritratte sempre come esseri crudeli e soprattutto dall'aspetto brutto, molto, molto brutto. Questo anche a causa di Cenerentola, che con quella sua faccia da santarellina e i suoi vestiti stracciati ma tanto di moda ha imbrogliato tutti, lettori e principi azzurri. L'idea di base di questo racconto è davvero geniale, al punto che alla fine ci si ritrova a fare il tifo per tutte le sorellastre bistrattate dalle fiabe.
Per arrivare a "Colazione da Tesco", un altro piccolo gioiello che rilegge in chiave moderna "Colazione da Tiffany" di Capote, bisogna però riuscire a sopportare dodici racconti non molto appassionati, che alla fine della lettura lasciano poco o nulla. E poi, subito dopo "Colazione da Tesco", si trova forse il più bello di tutta la raccolta, grazie anche al suo incredibile protagonista, ovvero "Prego, Mr Lowry, è giunta la sua ora!", che parla di sfortuna, fortuna e sogni da realizzare prima di morire., come ad esempio volare dalla Torre Eiffel. 
E poi basta. 

Ammetto che mi dispiaccia molto scrivere una recensione così poco lusinghiera di un'autrice che amo moltissimo, ma che trovo che a volte sia vittima (più o meno consapevole) del suo successo, che la porta forse a pubblicare su richiesta, dei fan o degli editori, anche cose non troppo ben riuscite (ok, lo ammetto, sono molto titubante anche sul suo nuovo romanzo, il secondo seguito di Chocolat, dopo che già il primo, almeno per me, non era stato per niente all'altezza).

Se non avete mai letto nulla di quest'autrice, vi sconsiglio di iniziare da questa raccolta perché secondo me ne rimarrete delusi. Se siete già suoi fan sfegatati invece, potete darle una chance e magari smentire la mia opinione.

Nota alla traduzione: TERRIBILE. Era un po' che non mi alteravo così tanto leggendo un romanzo. Mancano i congiuntivi, ci sono parecchi refusi,  calchi imperdonabili ("MAGIC TREE" è la versione inglese del nostro "ARBRE MAGIQUE"... ed è stato tradotto con "ALBERO MAGICO"). E anche a livello di editing è stato fatto un lavoro frettoloso, che ha lasciato parecchie parole attaccate ed errori di punteggiatura. Assolutamente da rivedere.


Titolo: Profumi, giochi e cuori infranti
Autore: Joanne Harris
Traduttore: Laura Grandi
Pagine: 248
Anno di pubblicazione: 2004
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811665670
Prezzo di copertina: 14,50 €
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formato brossura: Profumi, giochi e cuori infranti